Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 34695 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 34695 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 11/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a CAMPI SALENTINA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 29/09/2023 della CORTE APPELLO di LECCE
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette la requisitoria e le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;
lette le conclusioni depositate dall’AVV_NOTAIO, per le parti civili NOME COGNOME E COGNOME, con le quali si è chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi il ricorso, con condanna alle spese di rappresentanza e giudizio come da nota depositata.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Lecce, con la sentenza emessa il 29 settembre 2023, riformava, riducendo la somma liquidata a titolo di risarcimento, e confermava nel resto la pronuncia del Tribunale di Lecce, che aveva accertato la responsabilità penale di NOME COGNOME, in ordine al delitto previsto dall’art. 87 del d.P.R. 570 del 1960, per aver usato minaccia e esercitato pressioni atte a costringere NOME
NOME a dare il voto – nelle elezioni amministrative per il rinnovo del consiglio comunale di RAGIONE_SOCIALE Salentina del 25 maggio 2014 – al candidato NOME COGNOME della lista “RAGIONE_SOCIALE“, dicendo che in caso contrario avrebbe licenziato la di lei figlia, NOME COGNOME, che prestava attività lavorativa presso il supermercato “RAGIONE_SOCIALE” gestito dalla moglie dello stesso COGNOME, NOME COGNOME, e che veniva immediatamente licenziata a seguito del rifiuto opposto dalla COGNOME.
Il ricorso per cassazione proposto nell’interesse di NOME COGNOME consta di quattro motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Il primo motivo deduce violazione di legge in relazione all’art. 602, comma 1, cod. proc. pen. per omessa relazione da parte della Corte di appello nel corso dell’udienza.
Il ricorrente lamenta che il presidente o il relatore non provvedevano alla relazione della causa e contesta l’orientamento giurisprudenziale che esclude la sussistenza di una invalidità conseguente alla citata omissione, dovendo però rilevarsi che nel caso in esame – a differenza di quelli analizzati in dottrina e giurisprudenza – l’omissione è totale e non sostituita da una modalità alternativa, il che integrerebbe una nullità per violazione del contraddittorio.
Il secondo motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’elemento soggettivo del delitto in contestazione, in quanto la deposizione della persona offesa, che riferisce del tentativo di pacificazione da parte dell’imputato, escluderebbe le condotte indicate nella norma incriminatrice, di minaccia o di prova della promessa di benefici.
Il ricorrente lamenta omessa motivazione sulla verifica di attendibilità della dichiarazione della persona offesa, introducendo una causale calunniatoria, determinata dalla circostanza che COGNOME contestava alla lavoratrice inadempienze e scarsa puntualità.
Inoltre, la sentenza impugnata incorre in vizi motivazionali in relazione alla negata tenuità del fatto ex art. 131-bis cod. pen., risultando l’imputato gravato da precedenti penali risalenti nel tempo e non della medesima indole, come pure non è stata valutata la rinuncia della COGNOME a intraprendere iniziative sindacali contro COGNOME e la circostanza che la stessa si sarebbe recata al supermercato ma non quale dipendente, bensì spontaneamente e solo per sistemare documentazione di vario genere: il reato risulterebbe impossibile per inidoneità dell’azione e la negata applicazione dell’art. 131-bis risulta in palese contrasto con la finalità proprio
dell’intervento normativo, che ha ampliato l’ambito di applicazione della disciplina della tenuità del fatto. A tal ultimo proposito, COGNOME avrebbe agito con volontà riparativa da subito, della quale la Corte di appello non ha tenuto conto.
Il terzo motivo deduce violazione dell’art. 157 cod. proc. pen. in relazione al differimento di udienza determiNOME oltre che dall’adesione del difensore all’astensione di categoria, anche per impedimento dell’ufficio, cosicchè prevale tale ultima causa ed è illegittimo aver ritenuto, da parte della Corte di appello, la sussistenza della sospensione del termine di prescrizione.
Il quarto motivo sollecita la rimessione alle Sezioni Unite ex art. 618 cod. proc. pen. in quanto il contrasto esistente sulla precedenza dell’una o dell’altra causa di rinvio – oggetto del precedente motivo di ricorso – giustifica l’auspicata rimessione.
Il ricorso è stato trattato, quindi, senza intervento delle parti, ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. n. 137 del 2020, disciplina prorogata sino al 31 dicembre 2022 per effetto dell’art. 7, comma 1, d.l. n. 105 del 2021, la cui vigenza è stata poi estesa in relazione alla trattazione dei ricorsi proposti entro il 30 giugno 2023 dall’art. 94 del d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 150, come modificato dall’art. 5-duodecies dl. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito con modificazioni dalla I. 30 dicembre 2022, n. 199, nonché entro il 30 giugno 2024 ai sensi dell’art. 11, comma 7, del dl. 30 dicembre 2023, n. 215, convertito in legge 23 febbraio 2024, n. 18.
Il Pubblico ministero, nella persona del AVV_NOTAIO, ha depositato requisitoria e conclusioni scritte, con le quali ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso, rilevando come l’omessa relazione in appello non integri nullità alcuna, ritenendo il secondo motivo generico e reiterativo – a fronte di una motivazione adeguata anche in relazione all’art. 131bis cod. pen. – infine, quanto al terzo e al quarto motivo, corretto il calcolo della prescrizione operato dalla Corte di appello e inesistente il dedotto contrasto giurisprudenziale.
AVV_NOTAIO, per le parti civili, ha concluso per la manifesta infondatezza del primo motivo di ricorso, per altro non risultando la nullità immediatamente eccepita; manifestamente infondati gli RAGIONE_SOCIALE motivi, in quanto la condotta si è consumata con la minaccia, tanto efficace sia per i precedenti dell’imputato che per l’effetto che vide allontanata, come conseguenza, la COGNOME dal supermercato, non avendo alcun rilievo la condotta successiva,
neanche ai fini dell’art. 131-bis cod. pen. per il quale la motivazione della Corte di appello è adeguata, anche rispetto al corretto calcolo della prescrizione.
10. L’AVV_NOTAIO, per l’omonimo ricorrente, dapprima insisteva con nota del 24 giugno 2024 per la trattazione orale, richiesta con il ricorso per cassazione e negata dal Presidente di questa Corte; poi il 25 giugno 2024 avanzava nuova istanza, chiedendo la rimessione in termini per caso fortuito e, comunque, sollevava questione di legittimità costituzionale nella parte in cui alla istanza proposta con l’atto di impugnazione non segua una autonoma istanza; infine, con memoria del 5 luglio 2024, dichiarava dapprima di aderire alla astensione deliberata dalla RAGIONE_SOCIALE, poi, replicando alla Procura AVV_NOTAIO ed escludendo la manifesta infondatezza dei propri motivi di ricorso, insisteva per il riconoscimento della prescrizione maturata e l’accoglimento del motivo inerente l’omesso riconoscimento della tenuità del fatto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Quanto alle doglianze preliminari, in relazione al rito di legittimità, va osservato quanto segue.
L’istanza di trattazione orale, proposta con l’atto di impugnazione, non è stata accolta, essendo necessaria una istanza separata dopo la fissazione dell’udienza: osserva la Corte che del tutto impropri sono i richiami alla disciplina codicistica, essendo in vigore, come indicato al par. 7 che precede, l’art. 23, comma 8, d.l. n. 137 del 2020 e succ. modifiche, per tutti i ricorsi presentati fino al 30 giugno 2024, quindi anche quello ora in esame.
Questo Collegio aderisce al condivisibile e maggioritario principio, applicabile anche al rito di legittimità, fissato da Sez. 3, n. 20575 del 22/03/2024, Notarangelo, Rv. 286435 – 01, per cui in tema di giudizio di appello, applicabile anche al presente rito impugNOMErio, nel vigore della disciplina emergenziale per il contenimento della pandemia da Covid-19, è legittimo lo svolgimento del processo con rito camerale non partecipato nel caso in cui il difensore dell’imputato abbia formulato richiesta di trattazione orale con l’atto di appello, senza aver altresì trasmesso, a mezzo PEC, apposita istanza alla cancelleria della Corte di appello, non profilandosi alcuna nullità della conseguente sentenza per lesione del diritto di difesa (nello stesso senso, Sez. 5, n. 43782 del 17/10/2023, S., Rv. 285774 01; di segno opposto, Sez. 2, n. 33310 del 28/04/2023, Scavone, Rv. 285310 01).
A ben vedere il dato letterale e la ratio legis, che richiede una autonoma istanza, al fine di consentire la migliore organizzazione dell’udienza, oltre che consentire anche alla stessa difesa di conoscere se le è possibile la partecipazione all’udienza a seguito della fissazione – ovviamente non conosciuta all’atto della proposizione della impugnazione – esclude che la richiesta, formulata nell’atto di ricorso, possa surrogare quella a farsi con atto separato.
Anche COGNOME la COGNOME dedotta COGNOME questione COGNOME di COGNOME legittimità COGNOME costituzionale COGNOME risulta manifestamente infondata, per quanto evidenziato da Sez. 1, n. 11501 del 28/02/2023, Marrano, Rv. 284259 – 01 in relazione all’art. 23 d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, per contrasto con gli artt. 24, 111 e 117 Cost. in relazione all’art. 6 CEDU, nella parte in cui nel giudizio di legittimità, nel vigore della disciplina emergenziale per il contenimento della pandemia da Covid-19, ha previsto la celebrazione in pubblica udienza nel solo caso di tempestiva richiesta del difensore della parte: l’attribuzione del diritto potestativo, non sindacabile, di formulare istanza di trattazione orale o camerale partecipata rende il rito cartolare compatibile con il principio del giusto processo.
In ordine alla istanza di rimessione nel termine, va richiamato il consolidato principio per cui l’errore del difensore di fiducia, causato da ignoranza della legge processuale, non integra il caso fortuito o la forza maggiore che possono legittimare la restituzione nel termine dell’impugnazione della sentenza, attesi gli oneri di diligenza che gravano sia sul difensore tecnico che sull’imputato (Sez. 3, n. 39437 del 05/06/2013, L., Rv. 257221 – 01) il che vale anche in relazione alla decadenza dal termine per proporre istanza di trattazione orale.
Infine, l’istanza di rinvio per adesione del difensore all’astensione dalle udienze, prevista per l’odierna udienza, non rileva, non essendo stata disposta la trattazione orale. Infatti, nel giudizio di cassazione celebrato secondo la disciplina emergenziale pandemica, in assenza di tempestive richieste di discussione orale, è priva di effetti l’istanza di rinvio presentata dal difensore che dichiari di aderir all’astensione collettiva proclamata dai competenti organismi di categoria, non avendo l’istante diritto di partecipare all’udienza camerale (Sez. 5, n. 26764 del 20/04/2023, COGNOME, Rv. 284786 – 01: in motivazione la Corte ha precisato che il rinvio può essere concesso solo in relazione ad atti o adempimenti per i quali sia prevista la presenza del difensore e che, dunque, in caso di trattazione scritta, rimangono del tutto irrilevanti, ai fini dell’accoglimento dell’istanza, ulterio circostanze quali la data di scadenza del termine previsto per la trasmissione delle conclusioni o se tale termine ricada nel periodo di astensione; conf. n. 42081 del 2021 rv. 282067 – 01).
3. Venendo ai motivi di ricorso, quanto al primo è necessario e sufficiente ricordare la giurisprudenza consolidata di questa Corte, dalla quale il Collegio non ritiene di discostarsi non sussistendone ragioni: in tema di appello, la relazione della causa prevista dall’art. 602, comma 1, cod. proc. pen. ha una funzione meramente espositiva, non incidendo il suo svolgimento sulla regolarità del contraddittorio e non determinando la sua mancanza una nullità della successiva sentenza (Sez. 1, Sentenza n. 207 del 04/12/2017 dep. 08/01/2018, Rv. 271982; conf. n. 21398 del 2005 Rv. 231857). Tale orientamento risponde ai principi di tassatività delle invalidità, non vertendosi in tema di atti sconosciuti, dei quali vanno messe al corrente le parti, che invece tutte hanno accesso agli atti e alla sentenza impugnata, tanto da avere la difesa proposto impugnazione avverso tale ultimo provvedimento. Il che esclude anche l’ipotizzata lesione del principio del contraddittorio, potendo la difesa lamentarsi solo di invalidità che abbiano inciso sul proprio diritto al contraddittorio. Il motivo è manifestamente infondato.
4. Quanto al secondo motivo, lo stesso è aspecifico, in quanto non si confronta con la sentenza impugnata che ha fatto corretta applicazione dei consolidati principi affermati da questa Corte in ordine alla attitudine probatoria delle dichiarazioni della persona offesa costituitasi parte civile. Il senso di tali princip (da ultimo consacrati dalle Sez. Un., n. 41461 del 19 luglio 2012, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 253214) è quello di imporre un vaglio rinforzato dell’attendibilità del testimone portatore di un astratto interesse a rilasciare dichiarazioni etero accusatorie, non certo quello di negare l’autonomo valore probatorio delle stesse.
In tal senso, qualora possa risultare opportuna l’acquisizione di positive conferme esterne a tali dichiarazioni, queste possono consistere in qualsiasi elemento di fatto idoneo ad escludere l’intento calunniatorio della persona offesa, ma non devono certo risolversi necessariamente in autonome prove del fatto imputato, né devono assistere ogni segmento della narrazione della stessa, posto che la loro funzione è sostanzialmente quella di asseverare la sua credibilità soggettiva.
Oltre a una valutazione accurata del narrato della dichiarante, da parte della Corte territoriale, che viene ritenuto coerente, puntuale, spontaneo, preciso e costante, la sentenza impugnata esclude l’intento calunniatorio e richiama quali elementi di conforto sia le dichiarazioni della COGNOME, che quelle dello stesso imputato, che in parte ammetteva la condotta, al netto della minaccia, oltre che nella circostanza, costituente riscontro logico, che la COGNOME non era più tornata al lavoro presso il supermercato proprio perché licenziata.
D’altro canto, in tema di prove, la valutazione della credibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che, come tale, non può essere
rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice sia incorso in manifeste contraddizioni. (Sez. 2, n. 41505 del 24/09/2013 – dep. 08/10/2013, Terrusa, Rv. 257241). E nel caso in esame alcuna manifesta illogicità si rinviene.
La doglianza proposta dal ricorrente, inoltre, coltiva una ipotesi alternativa a seguito di una rilettura non consentita in questa sede delle risultanze probatorie, per altro proposte non con deduzione di travisamento, bensì solo con il richiamo di brani di deposizioni, che in sé rendono il motivo aspecifico, in quanto non idoneo a porre la Corte di cassazione in grado di valutare la relativa doglianza.
Infatti, qualora la prova omessa o travisata abbia natura dichiarativa, il ricorrente ha l’onere di riportarne integralmente il contenuto, non limitandosi ad estrapolarne alcuni brani ovvero a sintetizzarne il contenuto, giacchè così facendo viene impedito al giudice di legittimità di apprezzare compiutamente il significato probatorio delle dichiarazioni e, quindi, di valutare l’effettiva portata del vizi dedotto (ex multis Sez. 4 n. 37982 del 26 giugno 2008, Buzi, rv 241023; Sez. 3, n. 19957/17 del 21 settembre 2016, COGNOME, Rv. 269801).
Di fatto il ricorrente non censura la illogicità della sentenza in sé, ma invece propone una inammissibile, per il giudice di legittimità, rilettura RAGIONE_SOCIALE elementi ricostruttivi del fatto ed una rivalutazione nel merito della sentenza non consentite (Sez. 6, n. 27429 del 4/7/2006, COGNOME, Rv. 234559; Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, COGNOME, Rv. 265482 vedi anche Sez. U, n. 47289 del 24/9/2003, COGNOME, Rv. 226074; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, COGNOME, Rv. 214794). Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una rivisitazione RAGIONE_SOCIALE elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/4/1997, COGNOME, Rv. 207944; successivamente il principio è stato ribadito da Sez. 5, n. 39048 del 25/9/2007, COGNOME, Rv. 238215; Sez. 6, n. 25255 del 14/2/2012, COGNOME, Rv. 253099).
Quanto alla doglianza mossa in ordine all’art. 131-bis, la Corte di appello per un verso esclude che la tenuità possa trarsi dalle deposizione delle parti civili, per altro verso che la stessa consegua alla condotta tesa a una rappacificazione posta in essere dall’imputato, individuando nella stessa un azione funzionale non a risarcire e riparare il danno, bensì a tutelare il proprio interesse, con il che non si tratta di condotta susseguente adeguata a integrare la tenuità della condotta, esclusa dalla sentenza impugnata in quanto lesiva della libertà di voto con perdita del lavoro.
A ben vedere si tratta di una motivazione completa e non manifestamente illogica, dovendo per altro considerarsi che per effetto della novellazione dell’art.
131-bis cod. pen. ad opera dell’art. 1, comma 1, lett. c), n. 1, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 – se acquista rilievo, ai fini dell’applicazione della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto, anche la condotta dell’imputato successiva alla commissione del reato, tuttavia, non potrà, di per sé sola, rendere di particolare tenuità un’offesa che tale non era al momento del fatto, potendo essere valorizzata solo nell’ambito del giudizio complessivo sull’entità dell’offesa recata, da effettuarsi alla stregua dei parametri di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 3., n. 18029 del 04/04/2023).
Pertanto, la valutazione della gravità della condotta, in sé lesiva della libertà costituzionale di voto, esclude la tenuità, che non è collegata ai precedenti penali dell’imputato, pur se gli stessi hanno rilievo quanto alla serietà della minaccia, essendo l’imputato stato condanNOME nel passato in relazione ai delitti previsti dagli artt. 416-bis cod. pen. e 74 d.P.R. 309/1990, il che spiega anche la ragione per cui la persona offesa non volle intraprendere alcuna azione sindacale.
A fronte di tale motivazione, sulla esclusione delle tenuità del fatto, manifestamente infondata è anche la doglianza relativa al ‘tentativo’ di pacificazione che escluderebbe il dolo, vedendosi in tema di post-factum irrilevante ai fini della consumazione del delitto.
E’ stato affermato, in modo condivisibile, che in tema di reati elettorali la legge intende salvaguardare da ogni ritorsione, sia pure solo possibile, la libertà di voto e, a tal fine, punisce chiunque con qualsiasi mezzo di illecito, atto anche a diminuire soltanto la libertà RAGIONE_SOCIALE elettori, esercita pressioni per costringerli votare per determinate candidature, senza che occorra che tale obiettivo sia conseguito (Sez. 3, n. 5369 del 28/04/1993, Parisi, Rv. 194727 – 01, nel caso in cui è stato identificato il mezzo illecito impiegato per estorcere il consenso elettorale a chi, peraltro, confidava nell’accoglimento dell’istanza di contributo a favore dei terremotati, nella consegna dei facsimili di schede con le relative indicazioni e nell’ammonimento rivolto dall’imputato che le schede sarebbero state riconosciute per le caratterizzanti modalità).
A ben vedere la norma incriminatrice non prevede che il voto condizioNOME sia stato espresso, ma si consuma con la sola violenza o con la formulazione della minaccia rivolta contro un elettore per costringerlo «a firmare una dichiarazione di presentazione di candidatura o a votare in favore di determinate candidature, o ad astenersi dalla firma o dal voto, o con notizie da lui riconosciute false, o con raggiri o artifizi, ovvero con qualunque mezzo illecito, atto a diminuire la libertà RAGIONE_SOCIALE elettori, esercita pressioni per costringerli a firmare una dichiarazione di presentazione di candidatura o a votare in favore di determinate candidature, o ad astenersi dalla firma o dal voto ».
In tal senso di si verte in tema di reato di pericolo, in quanto l’interesse tutelato è la libertà di voto del cittadino – valore costituzionale ex art. 48, comma 2, Cost., che merita l’anticipazione della soglia di tutela assicurata dal delitto di pericolo – cosicché la condotta si consuma nello stesso momento della formulazione della minaccia, risultando, ai fini della sussistenza del delitto, comunque irrilevante la condotta susseguente.
Ne consegue la manifesta infondatezza e la genericità del motivo.
Quanto al terzo e quarto motivo possono essere trattati congiuntamente, in quanto riferiti alla prescrizione del reato.
Va premesso che l’udienza del 26 maggio 2016 era la prima, a seguito del decreto di citazione a giudizio, come rilevato dalla Corte di appello.
L’esame del verbale di udienza, consentito a questa Corte vertendosi in tema di error in procedendo (Sez. U. 31 ottobre 2001, Policastro, Rv. 220092) consente di rilevare come i difensori abbiano richiesto il differimento per l’adesione all’astensione della categoria, mentre il Giudice abbia preso atto dell’istanza di rinvio, limitandosi al differimento dell’udienza alla data del 19 ottobre 2017 «per l’intera istruttoria e per la discussione», «essendo il ruolo di questo Giudice saturo fino ad ottobre 2017». In sostanza, nell’ordinanza di rinvio il Giudice non compie alcun riferimento all’assenza dei testi, anzi in occasione del rinvio «autorizza il pubblico ministero alla citazione dei propri testi» per la successiva udienza. Nessuna constatazione, quindi, si rinviene quanto alla assenza dei testimoni, né la ragione del differimento è alla stessa correlata.
D’altra parte, è lo stesso difensore che con la richiesta di rinvio – per adesione all’astensione – depositata fuori udienza il 24 maggio 2016 (fol. 4 del fascicolo di primo grado), chiarisce che non avrebbe citato i testi a discarico per evitare il disservizio di una citazione inutile per costoro, circostanza e principio che ben potrebbe aver determiNOME correttamente il Pubblico ministero a evitare la citazione dei testi per l’udienza.
A ben vedere la Corte di appello, al fol. 3 della sentenza impugnata, chiariva come il reato non fosse ancora estinto per prescrizione, in quanto all’udienza del 26 maggio 2016, rinviata al 19 ottobre 2017 per astensione di difensori, operava la sospensione dei termini di prescrizione, pur se mancavano comunque i testimoni.
L’orientamento fatto proprio dalla Corte di appello risulta coerente con quello di questa Corte, per la quale la sospensione del corso della prescrizione per l’adesione del difensore alla astensione dalle udienze opera indipendentemente dal fatto che, nelle medesime udienze fissate per la prosecuzione dell’istruttoria, vi sia stata anche l’assenza dei testimoni, atteso che l’astensione del difensore
determina l’arresto dell’udienza ancor prima che il giudice possa esercitare i suoi ordinari poteri processuali e, quindi, verificare l’assenza dei testimoni, disponendone, all’evenienza, l’accompagnamento coattivo (Sez. 2, n. 5050 del 19/01/2021, COGNOME Gregorio, Rv. 280564 – 01; conf. n. 6362 del 2019 rv. 275834 01). Ancora più recente e condivisibile è l’affermazione per cui, in tema di sospensione dei termini di prescrizione, per adesione del difensore alla agitazione di categoria, non assume rilievo la concomitante assenza dei testimoni da escutere che, anzi, costituisce l’effetto virtuoso della disciplina del Codice di autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze, adottato dall’Avvocatura il 4 aprile 2007 in adempimento dell’obbligo di legge previsto dalla legge 12 giugno 1990, n. 146 e succ. mod. sui servizi pubblici essenziali, con la conseguenza che la mancata comparizione dei testi non può costituire un motivo prevalente sull’adesione al c.d. RAGIONE_SOCIALE ai fini dello scomputo dell’intero periodo di sospensione (Sez. 6, n. 41384 del 21/09/2023, D., Rv. 285355 – 01).
Certamente esiste un opposto, seppur più risalente oltre che minoritario orientamento, che rileva che in tema di prescrizione del reato il rinvio del dibattimento riferibile ad esigenze di acquisizione della prova non determina la sospensione nel corso della prescrizione (Sez. 3, n. 26429 del 01/03/2016 , COGNOME, Rv. 267101 – 01; Sez. 5, n. 49647 del 02/10/2009, COGNOME, Rv. 245823, conf. N. 41557 del 2005 Rv. 232835 – 01).
Ma nel caso in esame, per quanto osservato, comunque difetta la doppia causa di rinvio che determinerebbe, secondo tale ultimo orientamento, l’esclusione della sospensione del termine di prescrizione. Il che rende irrilevante il contrasto giurisprudenziale rispetto al caso in esame, esonerando questa Corte dalla rimessione alle Sezioni Unite della questione di contrasto, come sollecitato dal ricorrente.
Ne consegue l’inammissibilità del ricorso, con la condanna della parte ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p. (come modificato ex L. 23 giugno 2017, n. 103), al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
L’imputato va anche condanNOME alla rifusione delle spese di costituzione e partecipazione in giudizio delle parti civili, che si liquidano in euro 4.500,00, oltre accessori di legge.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili difese dall’AVV_NOTAIO che liquida in complessivi euro 4500,00, oltre accessori di legge.
Così deciso in data 11/07/2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente