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Prescrizioni affidamento in prova: no a limiti al lavoro

Un condannato per bancarotta fraudolenta, ammesso alla misura alternativa dell’affidamento in prova, si è visto imporre prescrizioni che gli impedivano di continuare a svolgere la sua attività lavorativa in Svizzera. La Corte di Cassazione ha annullato la decisione del Tribunale di Sorveglianza, stabilendo che le prescrizioni dell’affidamento in prova non possono ostacolare il lavoro, elemento fondamentale per la rieducazione, senza una specifica e adeguata motivazione. Il caso è stato rinviato per un nuovo esame.

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Pubblicato il 17 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Le prescrizioni per l’affidamento in prova non possono ostacolare il lavoro

L’ammissione a una misura alternativa alla detenzione, come l’affidamento in prova al servizio sociale, rappresenta un momento cruciale nel percorso di reinserimento di un condannato. Tuttavia, le condizioni imposte dal giudice devono essere attentamente calibrate per non vanificare la finalità rieducativa della pena. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 34727 del 2024, ha ribadito un principio fondamentale: le prescrizioni affidamento in prova non possono limitare in modo generico e immotivato l’attività lavorativa del condannato, anche se svolta all’estero.

Il caso: lavoro all’estero e divieti incompatibili

Il protagonista della vicenda è un uomo condannato per bancarotta fraudolenta a una pena di un anno e dieci mesi di reclusione. Avendo i requisiti, ha richiesto al Tribunale di Sorveglianza di Milano di essere ammesso all’affidamento in prova, specificando di svolgere un’attività lavorativa in Svizzera che richiedeva la sua presenza e il pernottamento in loco per alcuni giorni a settimana.

Il Tribunale ha accolto la richiesta di ammissione alla misura alternativa, ma ha imposto una serie di prescrizioni standard, tra cui il divieto di allontanarsi dalla Regione Veneto, di compiere viaggi notturni e di recarsi all’estero. Tali divieti, di fatto, rendevano impossibile per il condannato proseguire la sua attività lavorativa, fonte del suo sostentamento.

L’intervento della Cassazione e le prescrizioni per l’affidamento in prova

L’uomo, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando due violazioni principali:
1. Omessa motivazione: Il Tribunale non aveva speso una sola parola per spiegare perché avesse ignorato la richiesta specifica di autorizzazione al lavoro in Svizzera, documentata dall’interessato.
2. Violazione di legge: Le prescrizioni imposte erano palesemente incompatibili con il diritto al lavoro e con la finalità rieducativa della pena, sancita dall’articolo 27 della Costituzione.

La Procura Generale presso la Corte di Cassazione ha appoggiato il ricorso, chiedendo l’annullamento della decisione.

La necessità di una motivazione specifica

La Corte di Cassazione ha accolto pienamente le argomentazioni della difesa, sottolineando che il Tribunale di Sorveglianza era caduto in un grave vizio di motivazione. Pur avendo concesso la misura, aveva completamente trascurato un elemento centrale dell’istanza: la necessità di lavorare all’estero per garantirsi un sostentamento e, quindi, un percorso di reinserimento efficace.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

I giudici supremi hanno ribadito che le prescrizioni affidamento in prova non sono un elemento accessorio, ma parte integrante del giudizio prognostico sulla rieducazione del condannato. Pertanto, devono essere modellate sulla situazione concreta della persona e non possono consistere in divieti generici e indiscriminati che contrastano con le esigenze fondamentali di vita e di lavoro.

Citando un proprio precedente orientamento, la Corte ha affermato che sono illegittime le prescrizioni che impongono “generiche ed indiscriminate limitazioni all’attività lavorativa esercitabile dall’affidato, senza alcun vaglio preliminare che le correli al giudizio prognostico”. In altre parole, un divieto di lavoro o di spostamento deve essere giustificato da specifiche esigenze di controllo o da un concreto pericolo di recidiva, altrimenti si trasforma in un ostacolo irragionevole al percorso rieducativo. La legge (art. 47 ord. pen.) non pone alcun divieto assoluto al lavoro all’estero durante l’affidamento, lasciando al giudice il compito di valutare caso per caso.

Le conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Milano, rinviando il caso per un nuovo giudizio. Il nuovo collegio dovrà riconsiderare l’istanza del condannato e fornire una motivazione adeguata, tenendo conto dei principi di diritto affermati. Dovrà quindi valutare concretamente la richiesta di lavoro all’estero e, se la accoglie, formulare prescrizioni compatibili; in caso di diniego, dovrà spiegare dettagliatamente le ragioni ostative legate alla personalità del soggetto o al pericolo di fuga o recidiva. Questa sentenza rafforza il principio secondo cui il lavoro è uno strumento essenziale di risocializzazione e le misure alternative alla detenzione devono favorirlo, non impedirlo.

È possibile lavorare all’estero durante l’affidamento in prova al servizio sociale?
Sì. La legge non pone un divieto assoluto. La possibilità di lavorare all’estero deve essere valutata dal Tribunale di Sorveglianza caso per caso, bilanciando le esigenze lavorative e rieducative del condannato con quelle di controllo e prevenzione.

Il giudice può imporre prescrizioni che impediscono al condannato di lavorare?
No, non senza una valida e specifica motivazione. Secondo la Corte di Cassazione, le prescrizioni che limitano in modo generico e indiscriminato l’attività lavorativa sono illegittime se non sono correlate a un giudizio prognostico negativo sul condannato e se non sono necessarie per prevenire la recidiva. Le limitazioni devono essere compatibili con la finalità rieducativa della pena.

Cosa succede se il Tribunale di Sorveglianza non motiva le prescrizioni imposte?
Il provvedimento è viziato da nullità per omessa motivazione. Come avvenuto in questo caso, la Corte di Cassazione può annullare l’ordinanza e disporre che un nuovo giudice riesamini la questione, fornendo una motivazione completa e logica che tenga conto di tutte le istanze presentate dal condannato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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