Prescrizione Usura: la Cassazione Conferma i Limiti del Proprio Giudizio
Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha affrontato un caso delicato, offrendo chiarimenti fondamentali su due aspetti cruciali del diritto penale: la decorrenza della prescrizione usura e i limiti del sindacato di legittimità. La decisione sottolinea come il termine per l’estinzione del reato di usura inizi a decorrere solo dall’ultimo pagamento effettuato dalla vittima e ribadisce che la Suprema Corte non può sostituirsi ai giudici di merito nella valutazione delle prove. Analizziamo insieme i dettagli di questa pronuncia.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato, condannato per il reato di usura dalla Corte d’Appello di Bologna. L’imputato si è rivolto alla Corte di Cassazione sollevando principalmente due questioni. In primo luogo, sosteneva che il reato fosse ormai estinto per prescrizione, affermando che il termine avrebbe dovuto decorrere da una data anteriore a quella stabilita dai giudici di merito. In secondo luogo, contestava la valutazione delle prove operata dalla Corte d’Appello, ritenendola viziata e illogica, in particolare per quanto riguarda le consulenze tecniche, le prove documentali e la credibilità della persona offesa.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, pertanto, inammissibile. La decisione si è basata su un’analisi rigorosa di entrambi i motivi di ricorso, confermando l’orientamento consolidato sia in materia di prescrizione del reato di usura sia sui poteri della Corte stessa.
Primo Motivo: la Decorrenza della Prescrizione Usura
La Corte ha rigettato la tesi della difesa sulla prescrizione usura. I giudici hanno chiarito che, ai sensi dell’art. 644-ter del codice penale, la prescrizione per il reato di usura decorre dalla data dell’ultimo pagamento effettuato dalla vittima, sia esso relativo al capitale o agli interessi. Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva accertato, con una ricostruzione dei fatti ritenuta logica e coerente, che l’ultimo pagamento era avvenuto nel corso del 2008. Di conseguenza, al momento della fissazione dell’udienza d’appello, il termine di prescrizione non era ancora maturato. La Cassazione ha definito l’argomentazione del ricorrente come palesemente smentita dagli atti processuali e in contrasto con il dato normativo.
Secondo Motivo: l’Impossibilità di Riesaminare i Fatti
Anche il secondo motivo di ricorso, relativo al presunto vizio di motivazione nella valutazione delle prove, è stato respinto. La Corte ha ribadito un principio cardine del nostro sistema processuale: il giudizio di Cassazione è un giudizio di legittimità, non di merito. Ciò significa che la Suprema Corte non ha il potere di effettuare una “rilettura” degli elementi di fatto o di sostituire la propria valutazione a quella del giudice dei gradi inferiori. Il suo compito è verificare che la motivazione della sentenza impugnata sia esente da vizi logici e giuridici.
Le Motivazioni della Decisione
La motivazione dell’ordinanza si fonda su due pilastri. Il primo è il chiaro dettato dell’art. 644-ter c.p., che fissa il dies a quo della prescrizione all’ultimo pagamento. Qualsiasi interpretazione alternativa, come quella proposta dal ricorrente, è stata ritenuta non conforme alla legge. Il secondo pilastro è il consolidato orientamento giurisprudenziale, citando la sentenza delle Sezioni Unite n. 6402/1997 (Dessimone), che delimita nettamente i poteri della Corte di Cassazione. I giudici hanno evidenziato come la Corte d’Appello avesse fornito una motivazione solida e coerente (un “granitico ed univoco quadro probatorio”), in particolare sull’attendibilità della parte civile, le cui dichiarazioni erano state ritenute credibili perché coerenti e riscontrate da elementi esterni. Pertanto, tentare di ottenere in Cassazione una diversa ricostruzione dei fatti è un’operazione non consentita dalla legge.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza
Questa pronuncia rafforza due principi fondamentali. Innanzitutto, per chi è vittima di usura, chiarisce che il reato continua a sussistere fino all’ultimo esborso, posticipando così il termine entro cui è possibile denunciare e ottenere giustizia. In secondo luogo, per gli operatori del diritto, l’ordinanza serve come un monito: il ricorso in Cassazione non può essere utilizzato come un “terzo grado” di giudizio per rimettere in discussione l’accertamento dei fatti, ma deve concentrarsi esclusivamente sulla violazione di legge o sui vizi logici della motivazione, che devono essere evidenti e manifesti.
Da quando inizia a decorrere la prescrizione per il reato di usura?
La prescrizione del reato di usura, secondo l’art. 644 ter del codice penale, inizia a decorrere dal giorno dell’ultimo pagamento del capitale o degli interessi da parte della vittima.
La Corte di Cassazione può riesaminare le prove e i fatti di un processo?
No, la Corte di Cassazione non può effettuare una nuova valutazione dei fatti o delle prove. Il suo ruolo è limitato a verificare la corretta applicazione della legge e l’assenza di vizi logici o giuridici nella motivazione della sentenza impugnata.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria (in questo caso, tremila euro) in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 180 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 180 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a MODENA 11 19/10/1948
avverso la sentenza del 16/02/2024 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME;
ritenuto che il primo motivo di ricorso, che contesta la violazione di legge in relazione agli artt. 2 e 644 ter cod. pen. per mancata declaratoria di intervenuta prescrizione nelle more della fissazione dell’udienza di appello, è manifestamente infondato poiché inerente a supposta violazione di norme palesemente smentite dagli atti processuali ed in palese contrasto con il dato normativo;
che nel caso di specie deve applicarsi il disposto di cui all’art. 644 ter cod. pen., secondo cui la prescrizione del reato di usura decorre dall’ultimo pagamento del capitale o degli interessi, avvenuto – secondo la ricostruzione operata dalla Corte territoriale in sentenza a pag. 3 – nel corso dell’anno 2008;
che la deduzione difensiva del pagamento del solo capitale successivamente la modifica normativa dell’art. 644 ter cod.pen. non è confortata ed anzi è chiaramente smentita dalla ricostruzione operata dalla corte di appello a pagina 3 della motivazione che il ricorso contesta solo genericamente e peraltro attraverso una lettura alternativa di elementi di prova non consentita;
considerato che il secondo motivo, con cui si deduce il vizio motivazionale in ordine alla valutazione delle consulenze tecniche in atti, delle fonti di prova e della persona offesa, non è consentito dalla legge in sede di legittimità perché tende ad ottenere un’inammissibile ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di merito, il quale, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, ha esplicitato le ragioni del suo convincimento (si vedano, in particolare, pagg. 11 e ss. della sentenza impugnata sul granitico ed univoco quadro probatorio gravante sul prevenuto e in punto di attendibilità della parte civile, le cui dichiarazioni sono state ritenute credibili, poiché coerenti e riscontrabili ab extemo);
che esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito (per tutte: Sez. U, n. 6402, del 30/4/1997, COGNOME, Rv. 207944);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 03/12/2024
Il Consigliere COGNOME