Prescrizione e Recidiva Qualificata: La Cassazione Chiarisce il Calcolo
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce i criteri per il calcolo della prescrizione recidiva, un tema cruciale nel diritto penale. La decisione chiarisce come la recidiva qualificata influenzi non solo la durata base della prescrizione, ma anche il tetto massimo degli aumenti dovuti agli atti interruttivi, un dettaglio che può fare la differenza tra l’estinzione del reato e la conferma di una condanna.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine dalla condanna di un imputato, confermata in secondo grado dalla Corte d’Appello di Bologna, per un reato legato agli stupefacenti (art. 73, comma 5, D.P.R. 309/1990), aggravato dalla recidiva specifica, infraquinquennale e reiterata (art. 99, comma 4, c.p.).
L’imputato, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso in Cassazione sostenendo un unico motivo: la mancata declaratoria di estinzione del reato per prescrizione. Secondo la sua tesi, il reato, commesso il 9 dicembre 2013, si sarebbe prescritto il 9 aprile 2022, data anteriore alla sentenza d’appello del 7 settembre 2023. Questo calcolo si basava su un’interpretazione restrittiva degli effetti dell’interruzione della prescrizione.
L’Errore nel Calcolo della Prescrizione Recidiva
Il ricorrente aveva correttamente individuato l’aumento di due terzi sul termine di prescrizione base dovuto alla recidiva qualificata, come previsto dall’art. 157 del codice penale. Tuttavia, ha commesso un errore cruciale nel valutare l’impatto degli atti interruttivi. Egli sosteneva che, nonostante la recidiva, l’aumento massimo della prescrizione per effetto di interruzioni (come un decreto di citazione a giudizio) dovesse essere contenuto nel limite di un quarto, come previsto in via generale dall’art. 161 c.p.
Questa interpretazione, se corretta, avrebbe effettivamente portato all’estinzione del reato prima della pronuncia di secondo grado. La Corte di Cassazione, però, ha giudicato questa tesi manifestamente infondata, evidenziando il doppio impatto della prescrizione recidiva qualificata.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, smontando la tesi difensiva con argomentazioni solide e richiamando un importante precedente delle Sezioni Unite (Sent. n. 30046/2022). I giudici hanno chiarito che la recidiva ex art. 99, comma 4, c.p. (specifica, infraquinquennale e reiterata) ha un duplice effetto sui termini di prescrizione:
1. Aumento del termine base: Il termine ordinario di prescrizione viene aumentato di due terzi, ai sensi dell’art. 157 c.p.
2. Aumento del limite per l’interruzione: Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, anche il limite massimo di aumento derivante da atti interruttivi viene elevato a due terzi, e non rimane fermo al limite ordinario di un quarto o un terzo.
Applicando questo corretto meccanismo di calcolo, il termine massimo di prescrizione per il reato in questione si estendeva a undici anni e quaranta giorni, un periodo di tempo ben più lungo di quello trascorso tra la commissione del fatto e la sentenza d’appello. Il reato, quindi, non era affatto prescritto.
La Corte ha inoltre precisato, citando le Sezioni Unite, che il computo deve basarsi su parametri oggettivi e astratti, senza che i limiti di pena previsti per la recidiva (art. 99, sesto comma) possano influenzare la qualificazione della stessa come circostanza a effetto speciale ai fini della prescrizione.
Le Conclusioni: Inammissibilità e Conseguenze Pratiche
L’inammissibilità del ricorso ha comportato la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro a favore della Cassa delle ammende. Questa decisione non è solo una sanzione per aver adito la Corte con un motivo palesemente infondato, ma funge da monito sull’importanza di un corretto inquadramento giuridico delle norme sulla prescrizione.
L’ordinanza conferma un principio fondamentale: la recidiva qualificata è una circostanza che aggrava pesantemente la posizione dell’imputato non solo in termini di pena, ma anche dilatando significativamente i tempi necessari per l’estinzione del reato. Per i professionisti del diritto, ciò significa prestare la massima attenzione al tipo di recidiva contestata per calcolare correttamente i termini processuali ed evitare di fondare strategie difensive su presupposti errati.
Come incide la recidiva qualificata (art. 99, comma 4, c.p.) sul termine di prescrizione?
La recidiva qualificata comporta un aumento del termine di prescrizione base pari a due terzi. Inoltre, estende il limite massimo di aumento in caso di atti interruttivi, portandolo anch’esso a due terzi.
Perché il calcolo della prescrizione presentato dal ricorrente era sbagliato?
Il ricorrente ha erroneamente ritenuto che l’aumento massimo per l’interruzione della prescrizione fosse limitato a un quarto, mentre la legge, per la recidiva qualificata contestata, prevede un aumento fino a due terzi, estendendo notevolmente il tempo necessario per l’estinzione del reato.
Quali sono state le conseguenze della decisione della Cassazione?
La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza, poiché il reato non era prescritto. Di conseguenza, ha confermato la condanna e ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria di 3.000 euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 39369 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 39369 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
ENDOURANCE NOME NOME il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 07/09/2023 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
La Corte d’appello di Bologna, con la pronuncia di cui in epigrafe, ha confermato la condanna di NOME per il reato di cui agli artt. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, e 99, comma 4, cod. pen. in relazione alla recidiva specifica, infraquinquennale e reiterata.
Avverso la sentenza l’imputato, tramite il difensore, ha proposto ricorso fondato su un motivo (di seguito enunciato ex art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.), con il quale si deduce la mancata declaratoria di estinzione del reato pur essendosi prescritto Io tesso antecedentemente alla sentenza di secondo grado. Per il ricorrente, considerato il massimo edittale previsto per la fattispecie di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 all’epoca dei fatti, quattro anni di reclusione, il reato, commesso il 9 dicembre 2013, si sarebbe prescritto il 9 aprile 2022, quindi antecedentemente alla sentenza d’appello, emessa il 7 settembre 2023, in considerazione dell’aumento di due terzi previsto dall’art. 157 cod. pen., in relazione alla recidiva ex art. 99, comma 4, dello stesso codice, e degli effetti dell’interruzione o sospensione che, nella specie, sempre per il ricorrente, opererebbero nei limiti di un quarto ex art. 161 cod. pen.
Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza, non essendo maturato il termine di prescrizione antecedentemente alla sentenza d’appello. Diversamente da quanto ritenuto dal ricorrente, difatti, la recidiva specifica, infraquinquennale e reiterata di cui all’art. 99, comma 4, cod. pen. rileva, ai fini del termine di prescrizione, tanto in ordine al computo del termine ex art. 157 cod. pen., comportando un aumento pari a due terzi (nella specie sei anni e otto mesi), quanto, diversamente dalle deduzioni del ricorrente, in merito agli effetti dell’interruzione, comportando un ulteriore aumento di due terzi e non di un terzo, portando così, nella specie, il limite edittale a undici anni e quaranta giorni di reclusione (ex plurimis, Sez. U, n. 30046 del 23/06/2022, Cirelli, Rv. 282228 – 01, la quale ha peraltro precisato che in tema di recidiva, il limite all’aumento di pena previsto dall’art. 99, sesto comma, cod. pe ., non rileva in ordine alla qualificazione della recidiva, prevista dal secondo e dal quarto comma del predetto articolo, come circostanza a effetto speciale, né influisce sui termini di prescrizione, determinati ai sensi degli artt. 157 e 161 cod. pen., carne modificati dalla legge 5 dicembre 2005, n. 251, il cui computo è da effettuarsi secondo parametri oggettivi, generali e astratti).
All’inarnmissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, ex art. 616 cod. proc. pen., che si ritiene equa valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso nei termini innanzi evidenziati (Corte cost. n. 186/2000).
P.Q.M
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 17 settembre 2024 Il C si GLYPH
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