Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 8311 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 8311 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME NOME, nato a Torino il DATA_NASCITA
rappresentato ed assistito dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO (quest’ultimo rinunciante al mandato), di fiducia avverso la sentenza in data 01/02/2023 della Corte di appello di Torino, prima sezione penale;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
preso atto che non è stata richiesta dalle parti la trattazione orale ai sensi degli artt. 611, comma 1-bis cod. proc. pen., 23, comma 8, d.l. 23 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, prorogato in forza dell’art. 5-duodecies del d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199 e, da ultimo, dall’art. 17 del d.l. 22 giugno 2023, n. 75, convertito con modificazioni dalla legge 10 agosto 2023, n. 112 e che, conseguentemente, il procedimento viene trattato con contraddittorio scritto;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria scritta ex art. 23, comma 8, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. :176 e succ. modif.,
con la quale il Sostituto procuratore generale, NOME COGNOME, ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 01/02/2023, la Corte di appello di Torino, in parziale riforma della pronuncia resa in primo grado, all’esito di giudizio abbreviato, dal Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Torino in data 24/01/2018, così decideva:
-assolveva l’imputato dal reato di cui al capo 7, perché il fatto non sussiste;
-dichiarava non doversi procedere nei confronti dello stesso in relazione ai capi 1, 2, 3, 5 e 6 (per questi ultimi due limitatamente ai fatti contestati sino all’i agos 2015) e 8 per essere i reati estinti per prescrizione;
-confermava nel resto la sentenza di primo grado, rideterminando la pena per le residue imputazioni (capi 4, 5 e 6 per i fatti dopo l’i agosto 2015 e 9) in anni due e mesi sei di reclusione, con le pene accessorie di legge;
-condannava l’imputato alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili COGNOME NOME, NOME, RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME e RAGIONE_SOCIALE, che provvedeva a liquidare.
Avverso la predetta sentenza, nell’interesse di NOME COGNOME, è stato proposto ricorso per cassazione, per i motivi che vengono di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Primo motivo: vizio di motivazione nella parte in cui la Corte territoriale ha omesso di affrontare il terzo motivo di appello difensivo (pagg. 24 e 25 dell’atto di impugnazione) inerente alla richiesta di assoluzione dai fatti di appropriazione indebita di cui ai capi 3) e 4).
Secondo motivo: nullità dell’ordinanza con la quale la Corte territoriale, in relazione ai capi 5) e 6) dell’imputazione, ha rigettato l’istanza di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale al fine di disporre perizia sul personal computer e sul server dell’imputato, con conseguente nullità della sentenza impugnata per mancata assunzione di una prova decisiva. Si ritiene che la Corte territoriale abbia errato nel ritenere non decisiva la prova richiesta, da un lato motivando in modo inconferente rispetto alla domanda di prova, laddove la motivazione in ordine all’esclusione della prova richiesta si attesta sull’aver assunto la testimonianza delle persone offese e, dall’altro, esclude la non decisività della prova domandata sul presupposto errato della disponibilità in capo al NOME di un p.c. e di un server funzionanti e accessibili. L’analisi tecnica del p.c. sarebbe stata decisiva perché:
da un lato, avrebbe permesso di contraltare alle dichiarazioni delle persone offese, le quali messe eventualmente di fronte ad una più ampia documentazione loro trasferita dal NOME, con più difficoltà e in modo certamente meno attendibile avrebbero potuto affermare “candidamente” di non aver compito per anni alcuna verifica sulle dichiarazioni fiscali loro inviate dal COGNOME; dall’altro, avrebbe offerto determinante apporto alla tesi difensiva del COGNOME, il quale da sempre ha affermato che le falsità inserite nelle dichiarazioni fiscali dei propri clienti erano con ques ultimi concordate.
Terzo motivo: vizio di motivazione per travisamento della prova nella parte in cui la Corte territoriale, in relazione ai reati di cui ai capi 5) e 6) ha ritenuto le mail prodotte dalla difesa con produzione documentale del 26/01/2023, siano state le uniche mail esistenti inerenti all’oggetto di causa. La Corte territoriale, pu avendo riconosciuto la centralità e la rilevanza della documentazione estraibile dal p.c. del NOME, è incorsa in un travisamento del dato processuale ovvero si è convinta di un dato probatorio inesistente quale quello della rinnovata capacità di accesso del NOME al contenuto del proprio p.c.: circostanza, questa, mai venuta in essere ed espressamente negata dalla difesa nella propria memoria di accompagnamento alle produzioni documentali depositate il 26/01/2023.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato in relazione alle censure relative al capo 4), con conseguente sentenza di annullamento parziale in relazione a detto capo, per essere il reato estinto per prescrizione, con conseguente rideterminazione della pena complessiva per gli altri reati non dichiarati estinti e declaratoria d inammissibilità nel resto.
Parzialmente fondato è il primo motivo, con riferimento al capo 4).
Con lo stesso, l’Accusa ha contestato al COGNOME di essersi appropriato, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, della cosa mobile altrui della quale aveva il possesso, segnatamente omettendo la restituzione a RAGIONE_SOCIALE, NOME e COGNOME NOME di tutta la documentazione contabile e fiscale inerente la predetta società e predette persone fisiche, documentazione della quale il COGNOME aveva il possesso in ragione dell’attività professionale di commercialista svolta in favore dei predetti soggetti che gli revocavano il mandato professionale nel dicembre 2015 senza riuscire ad ottenere la restituzione della documentazione inerente la propria impresa.
2.1. Nell’atto di impugnazione, la difesa aveva eccepito la mancanza dell’elemento soggettivo del reato, affermando come l’imputato avesse “un
concomitante interesse a trattenere la documentazione contabile e fiscale presso di se per difendersi … non certo dall’accusa di truffa, quanto piuttosto dal proprio discredito professionale di fronte ai nuovi commercialisti incaricati e soprattutto per difendersi in eventuale sede di contenzioso o giudiziaria essendo in allora oramai rimasto privato della possibilità di utilizzare il programma contabile di studio non potendovi più accedere in quanto per morosità gli avevano sospeso il servizio”.
Sul punto dedotto dall’appellante in sede di gravame, la Corte territoriale ha omesso qualsivoglia risposta ritenendo – erroneamente – che in relazione a detto capo non fosse stato spiegato alcun motivo di doglianza.
L’omessa risposta, non altrimenti sanabile con argomentazioni implicite ovvero tratte dal complessivo corpo della motivazione, impone l’accoglimento del motivo in parte qua, con conseguenziale declaratoria di prescrizione del reato, nelle more maturata.
2.2. Invece, in relazione al reato di appropriazione indebita di cui al capo 3), è stata pronunciata sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato.
Riconosce la giurisprudenza della Suprema Corte che, in presenza di una causa di estinzione del reato (nella specie, prescrizione), non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata perché l’inevitabile rinvio della causa all’esame del giudice di merito dopo la pronuncia di annullamento è incompatibile con l’obbligo dell’immedial:a declaratoria di proscioglimento stabilito dall’art. 129 cod. proc. pen., salvo che nella sentenza impugnata si dia atto della sussistenza dei presupposti per la pronunzia di assoluzione, sia pure ai sensi del secondo comma dell’art. 530 cod. proc. pen., atteso che, nel vigente sistema processuale, l’assoluzione per insufficienza o contraddittorietà della prova è del tutto equiparata alla mancanza di prove e costituisce pertanto pronunzia più favorevole rispetto a quella di estinzione del reato (cfr., Sez. 4, n. 40799 del 18/09/2008, COGNOME, Rv. 241474; Sez. 2, n. 18891 del 05/03/2004, COGNOME, Rv. 228635).
Conseguentemente, solo allorquando nella sentenza impugnata si dia atto, ovvero risulti chiaramente, la sussistenza dei presupposti per la pronuncia assolutoria ex art. 530, comma 2 cod. proc. pen. – il ricorso per cassazione, con il quale si evidenzi la predetta situazione, potrà essere accolto e la statuizione resa conseguentemente riformata; quando invece, con il ricorso per cassazione si faccia valere – come nella presente situazione – il vizio di difetto o illogicità de motivazione ovvero quello di travisamento della prova, viene meno quell’evidenza cui l’art. 530, comma 2 cod. proc. pen. subordina il proscioglimento di merito e trova applicazione la costante giurisprudenza di questa Suprema Corte di cui si è
appena detto (cfr., Sez. 1, n. 4177 del 27/10/2003, dep. 2004, COGNOME, Rv. 227098; Sez. 4, n. 23680 del 07/05/2013, COGNOME, Rv. 256202). Ed invero, il concetto di ‘evidenza’, richiesto dal secondo comma dell’art. :129 cod. proc. pen., presuppone la manifestazione di una verità processuale così chiara e obiettiva, da rendere superflua ogni dimostrazione, concnetizzandosi così in qualcosa di più di quanto la legge richiede per l’assoluzione ampia, oltre la correlazione ad un accertamento immediato (Sez. 6, n. 31463 dell’08/06/2004, Dolce, Rv. 229275). Da ciò discende che, una volta sopraggiunta la prescrizione del reato, al fine di pervenire al proscioglimento nel merito dell’imputato, occorre applicare il principio di diritto secondo cui ‘positivamente’ deve emergere dagli atti processuali, senza necessità di ulteriore accertamento, l’estraneità dell’imputato a quanto allo stesso contestato, e ciò nel senso che si evidenzi l’assoluta assenza della prova di colpevolezza di quello, ovvero la prova positiva della sua innocenza, non rilevando l’eventuale mera contraddittorietà o insufficienza della prova che richiede il compimento di un apprezzamento ponderato tra opposte risultanze (cfr., Sez. 2, n. 26008 del 18/05/2007, COGNOME, Rv. 237263; Sez. 2, n. 132.30 del 21/02/2014, COGNOME, non mass.; Sez. 2, n. 20729 del 01/07/2020, COGNOME, non mass.).
Tanto deve ritenersi non riscontrabile nel caso di specie, in cui questa Suprema Corte non ravvisa alcuna delle ipotesi sussumibili nel quadro delle previsioni di cui all’art. 129, comma 2 cod. proc. pen., dovendo pertanto ritenersi corretta la decisione del giudice d’appello, nella parte in cui dichiara non doversi procedere nei confronti dell’imputato essendo il reato a lui ascritto al capo 3) estinto per intervenuta prescrizione.
3. Manifestamente infondato è il secondo motivo.
Va evidenziato in premessa come, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, nei casi in cui si proceda con giudizio abbreviato, la mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello per assumere d’ufficio, anche se su sollecitazione di parte, prove sopravvenute che non siano vietate dalla legge o non siano motivatamente ritenute manifestamente superflue o irrilevanti, può essere sindacata, in sede di legittimità, ex art. 603, comma 3, cod. proc. pen., soltanto qualora sussistano, nell’apparato rnotivazionale posto a base della conclusiva decisione impugnata, lacune, manifeste illogicità o contraddizioni, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza (Sez. n. 40855 del 19/04/2017, COGNOME, Rv. 271163); inoltre, la medesima giurisprudenza afferma che, nel giudizio abbreviato d’appello, le parti sono titolari di una mera facoltà di sollecitazione del potere di integrazione istruttoria, esercitabile dal giudice “ex officio” nei limiti della assoluta necessità ai sensi dell’art. 603, comma 3, cod. proc. pen., atteso che in sede di appello non
può riconoscersi alle parti la titolarità di un diritto alla raccolta della prov termini diversi e più ampi rispetto a quelli che incidono su tale facoltà nel giudizio di primo grado (cfr., Sez. 2, n. 17103 del 24/03/20:17, A., Rv. 270069; negli stessi termini, Sez. 6, n. 4694 del 24/10/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272197; Sez. 6, n. 51901 del 19/09/2019, COGNOME, Rv. 278061; Sez. 2, n. 5629 del 31/11/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282585).
Fermo quanto precede, evidenzia il Collegio come l’organo giudicante ha ritenuto la completezza della piattaforma probatoria e, conseguentemente, superflua ogni ulteriore investigazione: in particolare, si è ritenuto che già le e mail prodotte dalla difesa non fossero dimostrative della finalità di informazione della clientela e risultassero smentite dal loro stesso contenuto rispetto alla prova del citato accordo illecito genetico; e questo, tanto più, se coordinate con le altre fonti di prova (le dichiarazioni delle parti civili, oltre che di COGNOME NOME e COGNOME; la confessione da parte dell’imputato della vicenda COGNOME; la documentazione prodotta dalle parti civili RAGIONE_SOCIALE e COGNOME).
Evocativo di non consentite censure in fatto e comunque manifestamente infondato è anche il terzo motivo.
4.1. Va detto in premessa che non rientra nei poteri del giudice di legittimità quello di effettuare una rilettura degli elementi storico-fattuali posti a fondamento del motivato apprezzamento al riguardo svolto nell’impugnata decisione di merito, essendo il relativo sindacato circoscritto alla verifica dell’esistenza di un logic apparato argomentativo sui vari aspetti o segmenti del percorso motivazionale ivi tracciato: verifica il cui esito non può che dirsi positivamente raggiunto nel caso in esame. Le esposte doglianze difensive non sono idonee ad infirmare la ragionevolezza del complessivo risultato probatorio tratto dalla ricostruzione della vicenda operata nell’ultima decisione di merito, per la semplice ragione che esse tendono a (nuovamente) prospettare un’alternativa, e come tale non consentita nella presente sede, rivisitazione del fatto oggetto del correlativo tema d’accusa, ovvero ad invalidarne elementi di dettaglio o di contorno, lasciando inalterata la consistenza delle ragioni giustificative a sostegno della pronuncia di responsabilità.
4.2. Fermo quanto precede, avuto riguardo al dedotto travisamento della prova, evidenzia il Collegio come, secondo l’insegnamento costante della Suprema Corte, l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha u orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato al giudice di legittimità essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito
si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali.
L’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile “íctu ocu/i”, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794).
Inoltre, la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione devono risultare dal testo del provvedimento impugnato, sicché dedurre tale vizio in sede di legittimità significa dimostrare che il testo del provvedimento è manifestamente carente di motivazione e/o di logica, e non già opporre alla logica valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa ricostruzione, magari altrettanto logica (Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, COGNOME Francesco, Rv. 205621), sicché una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti si prestavano a una diversa lettura o interpretazione, munite di eguale crisma di logicità (Sez. U, ri. 30 del 27/09/1995, Mannino, Rv. 202903).
Pertanto, il travisamento della prova è configurabile solo quando si introduce nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia; il relativo vizio ha natura decisiva solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio (cfr., Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, COGNOME, Rv. 258774; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499).
4.2.1. Il travisamento della prova rende la motivazione insanabilmente contraddittoria con le premesse fattuali del ragionamento così come illustrate nel provvedimento impugnato, una diversità tale da non reggere all’urto del controgiudizio logico sulla tenuta del sillogismo.
Il travisamento, conseguentemente: -è decisivo solo allorquando la frattura logica tra la premessa fattuale del ragionamento e la conclusione che ne viene tratta risulti irreparabile; -non costituisce il mezzo per valutare nel merito la prova, bensì lo strumento per saggiare la tenuta della motivazione alla luce della sua coerenza logica con i fatti sulla base dei quali si fonda il ragionamento.
4.2.2. Nella fattispecie, non si ravvisa la commissione di un errore percettivo (unico rilevante ai fini del travisamento) della prova, di consistenza tale da minare alle fondamenta il ragionamento del giudice ed il sillogismo che ad esso presiede. E tantomeno, risulta che si siano affermati come esistenti fatti certamente non esistenti ovvero come inesistenti fatti certamente esistenti.
4.2.3. Ciò considerato, il ricorrente tende sostanzialmente a proporre un’interlocuzione diretta con la Suprema Corte in ordine al contenuto delle prove già ampiamente scrutinate in sede di merito sollecitandone l’esame e proponendole quale criterio di valutazione della illogicità manifesta della motivazione; in questo modo, sollecita inammissibilmente il Giudice di legittimità a sovrapporre la propria valutazione a quella dei Giudici di merito, laddove ciò non è mai consentito.
Alla pronuncia di annullamento parziale in relazione al capo 4) per essere il reato estinto per prescrizione consegue l’eliminazione della pena inflitta con riferimento a detto reato, pari a mesi tre di reclusione; la pena finale, in relazione ai residui reati, scomputando la pena inflitta per il capo 4), va conseguentemente rideterminata in anni due e mesi tre di reclusione; nel resto il ricorso va dichiarato inammissibile.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata in relazione al reato di cui al capo 4), perchè estinto per prescrizione, ed elimina la relativa pena di mesi tre di reclusione; ridetermina la pena in relazione ai residui reati in anni due e mesi tre di reclusione e dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma il 12/01/2024.