Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 12108 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 12108 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a TARANTO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 21/07/2023 del TRIBUNALE di FIRENZE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Visti gli atti.
Esaminati il ricorso e la sentenza impugnata.
Rilevato che il ricorso di NOME è manifestamente infondato;
Considerato, infatti, che il provvedimento impugnato – con motivazione adeguata ed esente da vizi logici – ha ritenuto l’odierna ricorrente responsabile del reato di cui artt. 81 e 660 cod. pen. da lei commesso sino al mese di settembre del 2017;
Ritenuto in particolare che il Tribunale di Firenze, in modo non manifestamente illogico, ha ritenuto dimostrata la penale responsabilità della imputata sulla base del concordi deposizioni testimoniali (anche delle persone offese) ed ha considerato i comportamenti della ricorrente petulanti e privi di giustificato motivo;
Rilevato che la condannata rispetto a tale compiuto e logico ragionamento svolto dal Tribunale, pur lamentando violazione di legge e vizio di motivazione, sollecita una differente (ed inammissibile) valutazione degli elementi di merito coerentemente esaminati dal giudice a quo;
Considerato, poi, che le censure relative al difetto di condizione di procedibilità p mancanza di querela sono manifestamente infondate poiché la costituzione di parte civile non revocata equivale a querela ai fini della procedibilità di originariamente perseguibili d’ufficio, divenuti perseguibili a querela a seguito dell’entr in vigore del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (cd. riforma “Cartabia”), posto che la volon punitiva della persona offesa, non richiedendo formule particolari, può essere legittimamente desunta anche da atti che non contengono la sua esplicita manifestazione (Sez. 3 – , Sentenza n. 27147 del 09/05/2023, Rv. 284844 – 01);
Rilevato, inoltre, che il reato di cui agli artt.81, 660 cod. pen. (accertato sin mese di settembre del 2017) non si era prescritto prima della sentenza impugnata (pronunciata il giorno 21 luglio 2023) dovendosi tenere conto, a tal fine, sia del sospensione della prescrizione per i periodi dall’8 aprile 2019 al 3 aprile 2020, dal luglio 2021 al 2 settembre 2021 e dal 7 aprile 2023 al 9 giugno 2023 a causa dei rinvii disposti per legittimo impedimento dell’imputata, sia di quella dal 9 marzo 2020 all’ maggio 2020 ai sensi dell’art. 83 d.l. n. 18 del 2020 e dell’art. 36 dl. n. 23 del 2020 la pandemia da Sars-Covid-19 e sia del termine di un anno e sei mesi stabilito dall’art. 159, commi secondo e terzo, cod. pen. nel testo introdotto dalla legge n. 103 del 2017, art. 11, comma 1, lett. b), entrata in vigore il 3 agosto 2017;
Ritenuto, infatti, che il termine di prescrizione deve essere assoggettato anche alla proroga stabilita dal citato art. 159, nel testo introdotto dalla legge n. 103 del 2017, 11, comma 1, lett. b), entrata in vigore il 3 agosto 2017. Il relativo testo è stato poi
sua volta sostituito dalla legge n. 3 del 2019, entrata in vigore dall’ 1 gennaio 2020. testo di cui ai commi secondo e terzo dell’art. 159 cod. pen. – in vigore nel periodo dal agosto 2017 sino al 31 dicembre 2019 e, quindi, riguardante i reati commessi in questo lasso temporale (fra cui quello di cui si tratta in questa sede) – prevede, fra l’altro quanto di interesse), che il corso della prescrizione rimane sospeso dal termine previsto dall’art. 544 cod. proc. pen. per il deposito della sentenza di condanna di primo grado sino alla pronuncia del dispositivo della sentenza che definisce il grado successivo del giudizio, per un tempo comunque non superiore ad un anno e sei mesi;
Ritenuto che il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile, e che la ricorrente deve essere condannata, in forza del disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., a pagamento delle spese processuali e della somma, ritenuta congrua, di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non esulando profili di colpa nella presentazione del ricorso (Corte Cost. n. 186 del 2000);
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 7 marzo 2024.