Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 12023 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 12023 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/02/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: 1) COMUNE DI TARANTO, parte civile nel procedimento a carico di: COGNOME NOME e COGNOME NOME; 2) NOME COGNOME nato a TARANTO il 06/11/1961, 3) NOME COGNOME nato a TARANTO il 27/10/1987, avverso la sentenza del 05/04/2024 della CORTE APPELLO DI LECCE, SEZ.DIST. di TARANTO visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi; letta la memoria con conclusioni e nota spese del Comune di Taranto in data
05/02/2025;
RITENUTO IN FATI -0
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Lecce, Sezione Distaccata di Taranto, parzialmente riformando la sentenza del Tribunale di Taranto, emessa l’8 aprile 2022, ha dichiarato di non doversi procedere nei confronti di COGNOME
NOME e COGNOME NOME in ordine al reato di truffa aggravata di cui al capo A, eliminando le statuizioni civili in favore del Comune di Taranto e revocando la confisca dell’immobile in giudiziale sequestro con la consequenziale restituzione ai legittimi proprietari.
Inoltre, la sentenza ha dichiarato inammissibile l’appello proposto nell’interesse della società RAGIONE_SOCIALE – condannata in primo grado per l’illecito amministrativo di cui all’art. 24, commi 1 e 2, d.l.vo 8 giugno 2001 n. 231 in relazione all’art. 640 cod.pen. – disponendo l’esecuzione della sentenza di primo grado e confermando le statuizioni civili.
Il Tribunale, a sua volta, aveva già dichiarato l’intervenuta prescrizione del reato ex art. 388 cod.pen. di cui al capo B (mancata esecuzione dolosa di provvedimenti del giudice), in allora contestato ad entrambi gli imputati.
Secondo le imputazioni, la società RAGIONE_SOCIALE, amministrata dall’imputato COGNOME NOME a decorrere dall’ottobre del 2006, aveva tratto in inganno il Comune di Taranto stipulando un contratto per l’acquisizione di un terreno a titolo oneroso per la successiva costruzione di un canile municipale, senza mettere al corrente il Comune del fatto che il terreno apparteneva allo stesso imputato ed alla di lui madre NOME ed era stato solo ceduto in comodato gratuito alla RAGIONE_SOCIALE, in allora amministrata da COGNOME NOME.
Inoltre, si imputava ai ricorrenti di avere realizzato una struttura diversa da quella concordata e di non aver informato il Comune di una procedura esecutiva nei confronti di COGNOME NOME che aveva portato all’aggiudicazione di parte dell’area alla RAGIONE_SOCIALE, società amministrata dall’imputato COGNOME NOME (figlio di NOME), che aveva omesso di comunicare di essere locatario della restante parte dell’area, così privando di fatto il Comune della titolarità del bene che, invece, sulla base del contratto, avrebbe dovuto essere ceduto al Comune al termine della sua realizzazione e della gestione decennale in capo alla RAGIONE_SOCIALE; il tutto, con atti simulati e fraudolenti, lumeggiandosi l’esistenza di un “gruppo RAGIONE_SOCIALE“.
Ricorrono per cassazione, da una parte, gli imputati COGNOME Pietro e COGNOME NOME e, dall’altra, la parte civile Comune di Taranto.
NOME COGNOME e NOME COGNOME con unico atto, deducono violazione di legge e vizio di motivazione per non avere la Corte di appello assolto gli imputati con ampia formula liberatoria, dagli atti processuali risultando evidente la loro innocenza, secondo quanto era stato dedotto con i motivi di appello.
In particolare, la sentenza impugnata avrebbe ritenuto la responsabilità di COGNOME Pietro in ordine al reato di truffa di cui al capo A senza considerare, in primo luogo, che, alla data di stipula del contratto con il Comune di Taranto, il 28 gennaio 2003, egli non era amministratore della RAGIONE_SOCIALE, carica assunta
solo a partire dal 17 ottobre 2006 e, pertanto, non avrebbe potuto porre in essere alcun artificio o raggiro ai danni della parte civile in relazione alla indicazione delle spese necessarie per l’acquisto del terreno su cui sarebbe stato edificato il canile, fermo restando che la effettiva titolarità dell’immobile sarebbe stata facilmente riscontrabile da parte del Comune “mediante delle semplici ricerche al catasto immobiliare e/o presso gli Uffici Tributari” (fg. 9 del ricorso).
In secondo luogo, la stessa Corte di appello ha escluso che sussistessero artifici e raggiri legati alla realizzazione del canile in modo differente e sottodimensionato rispetto a quanto contrattualmente stabilito, dal momento che tali evenienze erano note al Comune di Taranto.
Quanto al reato di cui al capo B, già dichiarato prescritto dal Tribunale, sarebbe evidente la sua insussistenza in relazione alla tempistica della vicenda, laddove la mancata esecuzione dolosa del provvedimento del giudice non poteva avere avuto luogo all’epoca in cui era stata aggiudicata parte dell’area alla società RAGIONE_SOCIALE in seguito ad esecuzione forzata.
Il Comune di Taranto, parte civile, dopo aver premesso di avere interesse ad impugnare avuto riguardo alla declaratoria di prescrizione ed al mancato accertamento della responsabilità amministrativa della persona giuridica, non travolta dalla prescrizione, deduce:
violazione di legge in ordine alla declaratoria di prescrizione dei reati.
La Corte avrebbe ingiustamente retrodatato la data di commissione dei reati facendo riferimento ad una fitta corrispondenza tra il Comune e la società RAGIONE_SOCIALE aggiudicataria dell’appalto, senza tenere conto che la documentazione correlata alla corrispondenza era proprio quella oggetto delle manovre truffaldine degli imputati finalizzate a non restituire alla stazione appaltante il terreno e le strutture alla scadenza decennale.
La Corte ha fatto riferimento ad una “piena conoscenza di fatto” da parte del Comune, un assunto impreciso e congetturale, dal momento che l’ultimo atto dannoso integrativo del reato di truffa (“a tutt’oggi permanente”, come si dice a fg. 4 del ricorso) doveva essere riconnesso alla omessa consegna dell’immobile al Comune da parte degli imputati alla scadenza decennale che maturava nel dicembre 2013, circostanza che aveva costretto la parte civile a chiedere ed ottenere dal Giudice per le indagini preliminari un decreto di sequestro preventivo degli immobili emesso il 21 ottobre 2015 ed il cui contenuto il ricorso parzialmente riproduce;
2) violazione di legge e vizio della motivazione in ordine alla revoca della confisca dell’immobile, alla quale la Corte non poteva dar luogo avendo dichiarato inammissibile l’appello della RAGIONE_SOCIALE, circostanza dalla quale sarebbe dovuta discendere l’irrevocabilità del reato di cui al capo C contestato alla società
e la consequenziale esecuzione delle statuizioni civili ad esso relative, indipendentemente dalla intervenuta prescrizione dei reati a carico degli imputati ma non dell’illecito ammnistrativo commesso dalla società;
violazione di legge per non avere la Corte accertato autonomamente, al di là della declaratoria di prescrizione dei reati contestati agli imputati, la responsabilità dell’ente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili perché proposti per motivi manifestamente infondati. 1. Quanto al ricorso proposto dagli imputati, deve ricordarsi il principio di diritto, neanche contestato dai ricorrenti, secondo cui, in presenza di una causa di estinzione del reato, il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129 comma secondo, cod. proc. pen. soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di “constatazione”, ossia di percezione “ictu oculi”, che a quello di “apprezzamento” e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, COGNOME, Rv. 244274-01; Sez. 6, n. 10284 del 22/01/2014, COGNOME, Rv. 259445-01).
La Corte di appello ha escluso che dagli atti risultasse la prova evidente della innocenza degli imputati.
In questo senso, la lettura della sentenza di primo grado conferma la correttezza della decisione assunta, dal momento che il Tribunale aveva ampiamente sottolineato come l’imputato COGNOME COGNOME per sua stessa ammissione oltre che in ragione di altre risultanze, gestisse di fatto la società RAGIONE_SOCIALE fin dalla data della sua costituzione, avvenuta, come è ovvio, antecedentemente alla stipula del contratto tra questa compagine ed il Comune di Taranto, avvenuta il 28 gennaio 2003, sicché a lui erano ascrivibili le operazioni fraudolente connesse al momento della esecuzione del contratto, che la Corte ed il Tribunale hanno ricondotto al silenzio maliziosamente serbato in ordine a circostanze decisive che, se conosciute dal Comune, ne avrebbero modificato in senso decisivo gli intendimenti.
Sotto questo profilo, non ha alcuna rilevanza il fatto che la persona giuridica offesa dal reato avrebbe potuto accertare, attraverso facili verifiche, di chi fosse realmente la proprietà del bene.
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Infatti, è bene ricordare che, secondo la pacifica giurisprudenza di legittimità, condivisa dal Collegio, ai fini della sussistenza del delitto di truffa, non ha rilievo la mancanza di diligenza da parte della persona offesa, dal momento che tale circostanza non esclude l’idoneità del mezzo, risolvendosi in una mera deficienza di attenzione determinata dalla fiducia ottenuta con artifici e raggiri (Sez.2, n. 51538 del 20/11/2019, C., Rv. 278230-01; Sez.2, n. 42941 del 25/09/2014, Selmi, Rv. 260476-01).
Inoltre, la sentenza del Tribunale ha rappresentato l’esistenza di un complesso disegno criminoso ordito fin dall’inizio dai ricorrenti, ricomprendente anche le vicende che avevano portato al trasferimento del bene alla RAGIONE_SOCIALE proprio al fine di raggiungere l’obiettivo di non restituire al Comune di Taranto il terreno e la struttura ivi realizzata, dal che l’evidente compromissione degli imputati anche nell’illecito descritto al capo B, dichiarato prescritto fin dal primo grado di giudizio.
Quanto al ricorso della parte civile, deve precisarsi, in primo luogo, che la censura inerente all’errata declaratoria di prescrizione, di cui al primo motivo di ricorso, inerisce soltanto al reato di truffa descritto al capo A, dal momento che il reato di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice, indicato al capo B, come detto dichiarato prescritto dal Tribunale, non è oggetto di censura.
In secondo luogo e quanto al reato di truffa, va puntualizzato che la data di sua consumazione è indicata, nel capo di imputazione, come avvenuta in Taranto, fino al 6 febbraio 2004.
Non si è, pertanto, in presenza di un reato permanente ad oltranza, come si paventa in ricorso.
Inoltre, la data indicata nella imputazione è quella della presentazione della querela, ma la Corte di appello, con valutazioni specifiche che traggono spunto dalla lettura in fatto delle emergenze processuali non più rivedibile in questa sede, ha retrodatato tale condotta al massimo al 25 novembre 2013, così rilevando, con calcolo corretto e non contestato sotto il profilo aritmetico, l’intervenuta prescrizione del reato prima della sentenza del Tribunale, anche tenuto conto delle sospensioni intervenute nel giudizio di primo grado (cfr. fgg. 13 e 14 della sentenza impugnata).
Sul punto, ad essere generiche e calate nel merito sono le deduzioni difensive. 2. In ordine al secondo motivo, inerente alla revoca della confisca, occorre rifarsi alla decisiva circostanza, sottolineata a fg. 15 della sentenza impugnata, che la Corte di appello ha revocato il provvedimento ablativo inerente all’immobile (terreno con annesso canile) non ritenendo che esso potesse configurarsi come profitto del reato di truffa.
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L’assunto, peraltro convincente, rimane impregiudicato dal ricorso, che sorvola del tutto su tale precisazione, la quale giustifica la revoca della confisca a monte del rilievo inerente alla riferibilità di esso agli imputati persone fisiche o alla RAGIONE_SOCIALE (per quest’ultima, ai sensi dell’art. 19 d.i.vo 8 giugno 2001 n. 231), posto che, in entrambi i casi, il presupposto della confisca non cambia ed è proprio quello che la sentenza impugnata ha escluso.
Quanto al terzo motivo di ricorso e richiamando ciò che si è appena detto a proposito del motivo precedente, deve rilevarsi la mancanza di interesse della parte civile a dolersi delle statuizioni inerenti alla società RAGIONE_SOCIALE definitivamente condannata con la sentenza di primo grado, a seguito della declaratoria di inammissibilità dell’appello, per l’illecito amministrativo descritto al capo C della imputazione.
4.Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila alla Cassa delle Ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa degli stessi ricorrenti nella determinazione della causa di inammissibilità.
Nulla si liquida alla parte civile ricorrente Comune di Taranto in ragione della sua soccombenza.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso, il 13/02/2025.