Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 12511 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 12511 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/02/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
Palermo Salvatore, nato a Randazzo il 27/02/1953 NOMECOGNOME nata in Bulgaria il 21/09/1985
avverso la sentenza del 23/10/2023 della Corte di appello di Bari visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché i reati sono estinti per intervenuta prescrizione.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 23/10/2023, la Corte di appello di Bari, in riforma della sentenza in data 21/01/2022 del Tribunale Bari – che aveva dichiarato NOME e NOME NOME responsabili del reato di cui all’art. 9 I.n.376/2000 e condannati alla pena di mesi sei di reclusione ed euro 3.000,00 di multa ciascuno – riqualificava le condotte ascritte ai sensi degli artt. 56-586bis cod.pen. e confermava nel resto.
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione Palermo Salvatore e NOME COGNOME a mezzo del difensore di fiducia, articolando, con distinti ricorsi, tre motivi di seguito enunciati.
Con il primo motivo deducono violazione dell’art. 521 cod.proc.pen., lamentando che il Tribunale aveva ritenuto integrato il reato contestato in relazione alla condotta di detenzione a fini di cessione a terzi di una confezione di 1 Kg di Lidocaina Cloridato, mentre la Corte di appello aveva riqualificato il fatto quale tentativo del reato di cui all’art. 586-bis, comma 7, cod.pen., reato che si differenzia da quello di cui al comma 1, sia per l’elemento oggettivo che per quello soggettivo; da tante consegue la violazione del principio di correlazione tra imputazione e sentenza e la nullità della sentenza impugnata.
Con il secondo motivo deducono violazione dell’art. 530, comma 2, cod.pen. e vizio di motivazione, lamentando che la Corte di appello non aveva motivato in ordine alla configurabilità della condotta di commercio di sostanze stupefacenti, contraddistinta da specifici requisiti (organizzazione professionale, abitualità delle cessioni, profitto derivante dall’attività di commercio).
Con il terzo motivo deducono manifesta illogicità della motivazione lamentando che la Corte di appello aveva errato nel ritenere integrato il tentativo del reato di cui all’art. 586bis cod.pen., trattandosi di reato di mera condotta e di pericolo.
Chiedono, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Deve anzitutto rilevarsi che, per quanto emerge dagli atti, il reato contestato, consumatosi in data 20.02.2017, si è estinto per prescrizione in data 23.10.2024, ai sensi del combinato disposto degli artt. 157, 160 e 161 cod. pen., considerato il termine prescrizionale massimo pari ad anni sette e mesi sei ed il periodo di sospensione del corso della prescrizione (gg 64 per sospensione “covid”).
Per procedere all’applicazione dell’art. 129 cod. proc. pen., comma 1, peraltro, deve considerarsi l’insegnamento della consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte per cui può condurre alla dichiarazione di prescrizione, anche d’ufficio ai sensi dell’art. 609, comma 2, cod. proc. pen, solo il ricorso idoneo a instaurare un valido rapporto di impugnazione, vale a dire non affetto da inammissibilità (Sez. U n. 21 del 11 novembre 1994, dep.11 febbraio 1995, COGNOME; Sez. U n. 11493 del 3 novembre 1998, COGNOME; Sez. U n. 23428 del 22 giugno 2005, COGNOME; Sez U n. 12602 del 17.12.2015, dep. 25.3.2016, COGNOME).
Per quanto appena osservato in ordine alla maturazione della prescrizione, allora, deve darsi atto che il secondo motivo di ricorso non risulta manifestamente infondato.
Secondo l’orientamento di questa Corte, integra il delitto di commercio di anabolizzanti di cui all’art. 9, comma 7, legge 14 dicembre 2000, n. 376, e oggi di cui all’art. 586-bis, settimo comma, cod. pen., qualsiasi attività – purché svolta in forma continuativa e con il supporto di un’organizzazione anche elementare – di predisposizione e tenuta di canali di commercio sovrapponibili e alternativi a quelli costituiti dalle farmacie e dispensari autorizzati, unici centri di vendita all’interno dei quali il commercio non deve ritenersi clandestino (cfr., nella vigenza dell’art. 586-bis, settimo comma, cod. pen., Sez. 3, n. 26289 del 14/05/2019, COGNOME mass. per altro, nonché, in precedenza, tra le tante: Sez. 3, n. 19198 del 28/02/2017, COGNOME, Rv. 269935 – 01; Sez. 3, n. 46246 del 23/10/2013, COGNOME, Rv. 257857 – 01; Sez. 6, n. 17322 del 20/02/2003, Frisinghelli, Rv. 224957 – 01). Va poi evidenziato che è costante anche l’indirizzo ermeneutico secondo cui il delitto di commercio di anabolizzanti di cui all’art. 9, comma 7, legge 14 dicembre 2000, n. 376, e oggi di cui all’art. 586-bis, settimo comma, cod. pen., si configura con la mera immissione della merce sul mercato, sia pure tramite canali riservati o pubblicizzati con specifici accorgimenti, e non presuppone l’individuazione di specifici acquirenti, non essendo richiesto, ai fini del perfezionamento del delitto, la vendita dei medicinali in questione, che costituisce solo un posterius rispetto alla fattispecie incriminatrice (così Sez. 3, n. 26289 del 14/05/2019, COGNOME, Rv. 276083 – 01, e Sez. 2, n. 7081 del 09/10/2003, dep. 2005, COGNOME, Rv. 230790 – 01, quest’ultima relativa a fattispecie di sequestro di una notevole quantità di sostanze proibite all’interno dell’autovettura dell’imputato e nella sua abitazione, circostanze che lasciavano configurare la predisposizione di un’attività nella prospettiva di una offerta al pubblico destinata a durare nel tempo e che i prodotti fossero a disposizione di un pubblico, ancorché non avessero formato oggetto di un negozio di compravendita). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Nella specie, la pur succinta la motivazione della sentenza impugnata ha evidenziato gli elementi costitutivi del reato, in linea con i principi affermati da questa Corte, risultando infondato il motivo di ricorso.
La non manifesta infondatezza della doglianza dei ricorrenti conduce, quindi, essendosi instaurato validamente il presente grado giurisdizionale, e non emergendo dal testo del provvedimento impugnato elementi che possano giustificare l’applicazione dell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen. (cfr Sez.6,n.48461 del 28/11/2013,Rv.258169; Sez.6,n.27944 del 12/06/2008, Rv.240955), alla dichiarazione, ex art. 129 comma 1, cod. proc. pen., della estinzione del reato contestato per maturata prescrizione, con conseguente annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il reato è estinto per prescrizione.
Così deciso il 12/02/2025