Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 27471 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 2 Num. 27471 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 26/06/2025
SECONDA SEZIONE PENALE
NOME COGNOME
NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente
Sul ricorso proposto da:
avverso la sentenza del 19/03/2025 della Corte di Appello di Messina udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
1.NOME COGNOME a mezzo del suo difensore, propone ricorso per cassazione avverso la sentenza del 19 marzo 2025 con la quale la Corte di Appello di Messina, ha confermato la sentenza con cui il Tribunale di Messina, in data 22 febbraio 2024, lo ha condannato alla pena di anni 3 di reclusione ed euro 1.200,00 di multa in relazione ai reati di ricettazione e furto.
3.Il ricorrente, con il secondo motivo di impugnazione, eccepisce violazione degli artt. 125, 533 cod. proc. pen. e 99, 133 e 157 cod. pen. conseguente al mancato riconoscimento dell’estinzione del reato di furto per sopravvenuta prescrizione.
Sent. n. sez. 1244/2025
CC – 26/06/2025
R.G.N. 15571/2025
Il ricorrente, con il terzo motivo di impugnazione, lamenta inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 62bis cod. pen. nonchØ carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
La Corte territoriale avrebbe fondato il diniego esclusivamente sui precedenti penali del ricorrente, senza spiegare se essi, per la loro gravità e specificità fossero idonei a connotare una particolare capacità a delinquere dell’Andronico e senza tenere conto degli elementi prospettati dalla difesa (tempo trascorso dalla commissione dei reati e comportamento tenuto successivamente alla realizzazione dei fatti oggetto di giudizio) favorevoli ad una maggiore mitigazione della pena.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di impugnazione Ł aspecificoin quanto reiterativo di medesime doglianze inerenti alla ricostruzione dei fatti e all’interpretazione del materiale probatorio già espresse in sede di appello ed affrontate in termini precisi e concludenti dalla Corte territoriale.
1.1. Ciò premesso deve essere rimarcato che entrambe le sentenze hanno dato adeguatamente conto delle ragioni che hanno indotto i giudici di merito ad affermare che il ricorrente abbia commesso i reati di furto e ricettazione, a seguito di una valutazione degli elementi probatori che appare rispettosa dei canoni di logica e dei principi di diritto che governano l’apprezzamento delle prove, confutando peraltro tutte le doglianze fattuali e giuridiche prospettate dalla difesa con l’atto di appello.
I giudici di appello, con motivazione esaustiva e conforme alle risultanze processuali, che riprende le argomentazioni del giudice di primo grado come Ł fisiologico in presenza di una doppia conforme, hanno correttamente valutato gli elementi logico-probatori (le attendibili dichiarazioni ed il riconoscimento fotografico effettuato dalla persona offesa) ritenuti idonei a dimostrare la penale responsabilità del ricorrente (vedi pag. 2 della sentenza impugnata e pag. 3 della sentenza di primo grado).
Tale ricostruzione, in nessun modo censurabile sotto il profilo della completezza e della razionalità, Ł fondata su apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa sede.
1.2. Deve essere, peraltro, evidenziato che i giudici di merito hanno correttamente dato seguito al principio di diritto secondo cui il riconoscimento fotografico costituisce una manifestazione riproduttiva di una percezione visiva e rappresenta una specie del piø generale concetto di dichiarazione, sicchØ la sua forza probatoria non discende dalle modalità formali del riconoscimento bensì dal valore della dichiarazione confermativa, alla stessa stregua della deposizione testimoniale (Sez. 5, n. 23090 del 10/07/2020, COGNOME Rv. 279437 -01;Sez. 3, n. 18802 del 10/02/2025, non massimata).
1.3. Il ricorrente, invocando una rilettura di elementi probatori estranea al sindacato di legittimità, chiede a questa Corte di entrare nella valutazione dei fatti e di privilegiare, tra le diverse ricostruzioni, quella a lui piø gradita, senza confrontarsi con quanto motivato dalla Corte territoriale al fine di confutare le censure difensive prospettate in sede di appello e con le emergenze probatorie determinanti per la formazione del convincimento dei giudici di merito con conseguente aspecificità del motivo di ricorso.
L’errore di impostazione nel quale cade il ricorrente Ł quello di far leva su elementi di prova ipotetici e ‘negativi’, su considerazioni, cioŁ, generiche ed astratte; abbandonando il piano dell’esperienza fenomenica per privilegiare ipotesi alternative e ciò all’evidente scopo di tacciare di illogicità manifesta il governo dei fatti positivamente accertati.
Le argomentazioni difensive appaiono palesemente dirette a contestare, attraverso una lettura disarticolata del compendio dimostrativo, la rilevanza dei singoli dati probatori, così proponendo una loro lettura alternativa che, collocandosi nella sfera degli apprezzamenti di merito, fuoriesce completamente dal perimetro del sindacato di legittimità.
La motivazione oggetto di censura Ł fondata, in conclusione, su una valutazione globale e completa in ordine a tutti gli elementi rilevanti acquisiti e si appalesa esente da errori nell’applicazione delle regole della logica come pure da contraddizioni interne tra i diversi momenti di articolazione del giudizio, sottraendosi, pertanto, a rilievi in questa sede.
2. Il terzo motivo Ł generico e dedotto in carenza di interesse.
La Corte territoriale, pur investita della doglianza in punto di mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, non ha provveduto, non risultando dalla sentenza alcuna motivazione al riguardo; questa constatazione, tuttavia, deve esser letta in relazione al contenuto della doglianza oggi proposta, dovendosi apprezzare se la stessa risponda ai richiesti canoni di ammissibilità.
Ebbene, la risposta a tale verifica risulta certamente negativa in considerazione del fatto che il motivo di appello in tema di attenuanti generiche era assolutamente generico e privo dei requisiti prescritti dall’art. 581 cod. proc. pen. che impone la esposizione delle ragioni di fatto e di diritto a sostegno di ogni impugnazione.
Il primo giudice aveva correttamente valorizzato, ai fini del diniego, la gravità dei fatti, l’intensa capacità criminale del ricorrente desumibile dai precedenti penali e dalla mancata collaborazione nel corso del giudizio nonchØ la mancanza di elementi favorevoli alla mitigazione della pena (vedi pag. 5 della sentenza impugnata), elementi con cui l’COGNOME non si Ł in alcun modo confrontato in sede di appello. Ne consegue che l’annullamento della sentenza impugnata per carenza di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche non comporterebbe alcun concreto vantaggio processuale per il ricorrente stantel’assoluta genericità del motivo di appello.
Deve essere, in proposito, ricordato che l’art. 568, comma quarto, cod. proc. pen. pone, come condizione di ammissibilità di qualsiasi impugnazione, la sussistenza di un interesse diretto a rimuovere un effettivo pregiudizio derivato alla parte dal provvedimento impugnato. Le Sezioni Unite hanno chiarito che, nel sistema processuale penale, la nozione di interesse ad impugnare va individuata in una prospettiva utilitaristica, ossia nella finalità negativa perseguita dal soggetto legittimato, di rimuovere una situazione di svantaggio processuale derivante da una decisione giudiziale, e in quella, positiva, del conseguimento di un’utilità, ossia di una decisione piø vantaggiosa rispetto a quella oggetto del gravame, e che risulti logicamente coerente con il sistema normativo (Sez. U, n. 6624 del 27/10/2011, dep. 17/02/2012, COGNOME, Rv. 251693; Sez. 1, n. 8763 del 25/11/2016, COGNOME, Rv. 269199 01).
Deve trattarsi, pertanto, di interesse concreto ed attuale del soggetto impugnante che non può risolversi in una mera ed astratta pretesa alla esattezza teorica del provvedimento impugnato, priva cioŁ di incidenza pratica sull’economia del procedimento.
Il secondo motivo Ł fondato per le ragioni che seguono.
3.1. I giudici dell’appello hanno erroneamente affermato che il termine massimo di prescrizione per il reato di cui all’art. 624-bis cod. pen. non può ritenersi decorso ‘ dovendosi tenere conto della recidiva specifica infraquinquennale indubbiamente esistente ‘.
Tale affermazione non tiene conto del fatto che il primo giudice, in occasione della determinazione della pena, non ha effettuato alcuna valutazione in ordine alla contestata recidiva e quindi, ha di fatto disapplicato tale circostanza.
Ne consegue che la recidiva originariamente contestata non può rilevare in tema di calcolo del termine di prescrizione. Il Collegio intende, infatti, dare seguito al principio di diritto secondo cui quando il giudice abbia escluso, anche implicitamente, la circostanza aggravante della recidiva, la predetta circostanza deve ritenersi ininfluente ai fini del computo del tempo necessario a prescrivere il reato (Sez. 6, n. 54043 del 16/11/2017, Rv. 271714 – 01; Sez. U, n. 20808 del 25/10/2018, COGNOME, Rv. 275319 – 01; da ultimo Sez. 4, n. 21582 del dell’08/05/2025, non massimata).
3.2. L’accesso agli atti, consentito ed anzi necessario in caso di questioni processuali, comprova, infatti, che, in considerazione della data di commissione del reato di cui al capo A (16 marzo 2016) e della sospensione dei termini di prescrizione (pari a 79 giorni) disposta all’udienza dell’11 giugno 2020 per il legittimo impedimento dell’imputato ed all’udienza del 14 luglio 2022 per legittimo impedimento del difensore, il termine massimo di prescrizione si Ł perfezionato in data 04 dicembre 2023 e, quindi, in un momento antecedente all’emissione della sentenza di appello del 19 marzo 2025.
3.3. Alla luce di quanto osservato la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente al delitto di cui all’art. 624-bis cod. pen. perchØ estinto per prescrizione.
L’estinzione di detto reato rende necessario rideterminare la pena. In base all’art. 620, cod. proc. pen., tenuto conto dei criteri indicati nelle sentenze di merito, Ł possibile procedere direttamente ad eliminare l’aumento di pena applicato a titolo di continuazione e rideterminare la pena finale nella misura di anni 2 di reclusione ed euro 1.000,00 di multa in relazione al reato di ricettazione.
P.Q.M
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo a), perchØ estinto per prescrizione, ed elimina il relativo aumento di pena in continuazione nella misura di anni uno di reclusione ed euro duecento di multa. dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Così Ł deciso, 26/06/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME