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Prescrizione reato permanente: Cassazione inammissibile

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato condannato per abusi edilizi in area protetta. La sentenza ribadisce che la prescrizione del reato permanente decorre non dall’inizio dell’attività illecita, ma dalla sua cessazione, correttamente individuata nel momento del sequestro. Viene confermata la legittimità sia del diniego della particolare tenuità del fatto, data la pluralità delle violazioni, sia della subordinazione della pena sospesa alla demolizione delle opere.

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Pubblicato il 6 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Prescrizione reato permanente e abusi edilizi: la Cassazione fa chiarezza

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 30063/2024, torna a pronunciarsi su un tema cruciale in materia di abusi edilizi: la decorrenza della prescrizione del reato permanente. La decisione ribadisce principi consolidati, dichiarando inammissibile il ricorso di un cittadino condannato per aver realizzato opere abusive in un’area di pregio paesaggistico e sismico. Questa pronuncia offre spunti fondamentali per comprendere quando un illecito edilizio si considera ‘cessato’ ai fini del calcolo dei termini per l’estinzione.

I Fatti del Caso

Il ricorrente era stato condannato in primo e secondo grado per una serie di reati legati alla costruzione di un manufatto edilizio e altre opere accessorie (una pista sterrata, movimenti terra e una cisterna interrata) senza alcun titolo abilitativo. La vicenda era aggravata dal fatto che le opere erano state realizzate all’interno del Parco Nazionale del Cilento e del Vallo di Diano, un’area sottoposta a stringenti vincoli paesaggistici, ambientali e sismici. Le accuse spaziavano dalla violazione delle norme edilizie e antisismiche a quelle sulla tutela del paesaggio, fino all’alterazione delle bellezze naturali e all’occupazione di terreno demaniale.

I Motivi del Ricorso: il nodo della prescrizione del reato permanente

L’imputato, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso in Cassazione lamentando diversi vizi della sentenza d’appello. Il motivo principale riguardava l’errata applicazione della prescrizione del reato permanente. Secondo la difesa, i giudici avrebbero sbagliato a calcolare il termine di prescrizione, sostenendo che l’attività abusiva fosse iniziata in un’epoca molto precedente a quella considerata in sentenza. Invocando il principio del favor rei, la difesa chiedeva di retrodatare la consumazione del reato, il che avrebbe portato alla sua estinzione. Altri motivi includevano l’errata valutazione della responsabilità, il diniego della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.) e la presunta illegalità della pena inflitta.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha respinto tutte le argomentazioni difensive, dichiarando il ricorso manifestamente infondato e, quindi, inammissibile.

In primo luogo, i giudici hanno chiarito che l’appello era stato limitato solo ad alcuni dei reati contestati, pertanto per tutte le altre accuse (incluse quelle edilizie e paesaggistiche principali) la condanna era già diventata definitiva (passata in giudicato).

Sul punto centrale della prescrizione del reato permanente, la Corte ha ribadito un principio cardine: nei reati come l’abuso edilizio, la cui condotta illecita si protrae nel tempo, il termine di prescrizione (dies a quo) non inizia a decorrere dal momento di avvio dei lavori, ma da quello della cessazione della condotta. Tale cessazione può coincidere con il completamento dell’opera, con una sospensione volontaria dei lavori o, come nel caso di specie, con un atto dell’autorità giudiziaria che impedisce la prosecuzione dell’illecito, quale il sequestro. Poiché nel caso esaminato il sequestro era avvenuto il 16 giugno 2018, quella era la data certa da cui far partire il calcolo della prescrizione. La Corte ha sottolineato che il principio del favor rei non può essere invocato per creare incertezza sulla data del reato, ma si applica solo quando tale incertezza emerge oggettivamente dagli atti. Era onere del ricorrente fornire una prova rigorosa di una cessazione anteriore dell’attività, prova che non è stata fornita. Di conseguenza, tenendo conto anche dei periodi di sospensione del processo, il reato non era ancora prescritto al momento della decisione d’appello.

La Corte ha inoltre ritenuto corretta la decisione dei giudici di merito di negare l’applicazione dell’art. 131-bis c.p. (particolare tenuità del fatto), data la pluralità e la gravità delle violazioni commesse in un contesto di eccezionale valore ambientale. Infine, è stata confermata la legittimità della subordinazione della sospensione condizionale della pena all’ordine di demolizione, considerata una scelta discrezionale del giudice e ampiamente motivata dal comportamento pregresso dell’imputato, che non aveva ottemperato a precedenti ordini di ripristino.

Conclusioni

La sentenza in esame consolida l’orientamento giurisprudenziale sulla prescrizione del reato permanente in materia edilizia. Stabilisce con chiarezza che, in assenza di prove contrarie fornite dall’imputato, il momento del sequestro costituisce un riferimento certo per individuare la cessazione dell’attività illecita e, di conseguenza, il dies a quo per il calcolo della prescrizione. Questa decisione riafferma la severità dell’ordinamento nei confronti degli abusi commessi in aree protette, riconoscendo ai giudici ampi poteri discrezionali per assicurare il ripristino dei luoghi violati, anche attraverso la subordinazione dei benefici di legge, come la sospensione della pena, alla demolizione delle opere illegali.

Quando inizia a decorrere la prescrizione per un reato permanente come l’abuso edilizio?
La prescrizione non decorre dall’inizio dei lavori, ma dal momento in cui cessa la condotta illecita. Secondo la sentenza, questo momento può coincidere con l’ultimazione dell’opera, la sospensione dei lavori o un provvedimento dell’autorità come il sequestro, che cristallizza la data di cessazione.

È possibile invocare il principio del ‘favor rei’ per stabilire una data di commissione del reato più favorevole all’imputato in tema di prescrizione?
No. La Corte ha chiarito che il principio del ‘favor rei’ (la scelta dell’interpretazione più favorevole all’imputato) non si applica per determinare la data di commissione del reato quando questa è incerta. Presuppone un’incertezza oggettiva che, nel caso di specie, non sussisteva, essendo stata individuata una data certa (quella del sequestro) per la cessazione della permanenza. Spetta all’imputato dimostrare rigorosamente una data di cessazione anteriore.

Perché la Cassazione ha ritenuto corretta la subordinazione della sospensione condizionale della pena alla demolizione dell’opera?
La Corte ha stabilito che subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena alla demolizione dell’opera abusiva rientra nel potere discrezionale del giudice. In questo caso, la decisione è stata considerata ben motivata e legittima, in quanto basata sul comportamento pregresso dell’imputato, il quale aveva già ignorato due precedenti ordini di demolizione emessi dal Comune e dall’Ente Parco.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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