Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 18415 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 2 Num. 18415 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 16/04/2025
SECONDA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME
R.G.N. 40495/2024
NOME COGNOME
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a CARONIA il 02/01/1965 avverso la sentenza del 09/10/2024 della Corte d’appello di Messina udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’appello di Messina ha confermato la sentenza del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto che, in data 17/10/2023, aveva riconosciuto NOME COGNOME responsabile dei reati di truffa e minaccia in danno di tale NOME COGNOME e, ritenuto tra le diverse violazioni di legge il vincolo della continuazione, l’aveva condannato alla pena finale di anni 1 e mesi 5 di reclusione ed euro 450 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali ed al risarcimento dei danni patiti dalla costituita parte civile.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME a mezzo del difensore di fiducia che deduce:
2.1 erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 99, 157, 640 cod. pen., 521 e 597 cod. proc. pen.: illogicità della motivazione: rileva che la Corte d’appello ha disatteso l’eccezione di prescrizione del delitto di truffa invocando la sussistenza della recidiva reiterata che, tuttavia, non era stata contestata sul capo b) ma solo su quello di minaccia; sottolinea che il Tribunale, per questa ragione, non aveva applicato la recidiva sul delitto di truffa, avendo erroneamente la Corte d’appello sostenuto che l’omesso aumento di pena era stato dovuto ad una mera ‘svista’; osserva che, in ogni caso, laddove la recidiva fosse ritenuta correttamente contestata anche sulla truffa, si dovrebbe comunque concludere nel senso della sua esclusione ad opera del primo giudice;
2.2 erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 157, 158 e 640 cod. pen.: segnala che la Corte d’appello ha sostenuto che, pur non tenendo conto della recidiva, il termine di prescrizione del delitto di truffa non era comunque decorso considerata una sospensione del termine pari a giorni 232 da aggiungere a quello massimo di sette anni e sei mesi; sottolinea che il
delitto di truffa si consuma con il conseguimento dell’ingiusto profitto da parte dell’agente con il correlativo danno patrimoniale per la persona offesa spiegando che, nel caso di specie, si era di fronte a plurimi episodi di truffa, caratterizzati ciascuno da una consegna di denaro non rilevando, perciò, la data del 24/10/2016 erroneamente individuata dalla Corte ma riferita alla commissione del delitto di minaccia; sottolinea che l’analisi dei singoli episodi consente di collocare il conseguimento delle somme ricevute dall’imputato in vari momenti l’ultimo dei quali risalente al 25/05/2016, con la conseguenza per cui il termine di prescrizione sarebbe perciò maturato al 13/08/2024; segnala che la persona offesa aveva collocato nel luglio del 2016 la consegna di denaro per l’avvio delle pratiche di risarcimento del danno conseguenti al presunto incendio del 16/06/2016 e lo stesso era avvenuto per i lavori di idraulica, con conseguente prescrizione per tali episodi comunque maturata in data antecedente la sentenza d’appello.
La Procura Generale ha trasmesso la requisitoria scritta concludendo per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł inammissibile.
I motivi articolati dalla difesa riguardano entrambi la prescrizione che, secondo la difesa, sarebbe maturata sul delitto di truffa in data antecedente la sentenza d’appello, non potendosi ritenere, così come invece sostenuto dalla Corte territoriale, che il delitto fosse ‘aggravato’ dalla recidiva qualificata che era stata contestata al COGNOME esclusivamente sul capo a) e, per quanto di sØguito specificato, sono generici perchØ non si confrontano con il complesso della motivazione.
Le considerazioni svolte dalla difesa nel primo motivo di ricorso sono corrette.
1.1 L’odierno ricorrente era stato tratto a giudizio e riconosciuto responsabile del delitto di minaccia di cui al capo a), e del delitto di truffa di cui al capo b), entrambi in danno di tale NOME COGNOME.
Il Tribunale (cfr., pag. 23 della sentenza di primo grado) aveva calcolato la pena partendo, per l’appunto, dal delitto di truffa ritenuto il piø grave tra quelli contestati ed avvinti dal vincolo della continuazione: aveva, pertanto, considerato equa la pena, per il capo B), di anni 1 di reclusione ed euro 300,00 di multa ‘… con uno scostamento dal minimo edittale giustificato dalla pluralità e dal carattere variegato dei raggiri elaborati dal COGNOME …’ (cfr., ivi), che aveva aumentato ad anni 1 e mesi 4 di reclusione ed euro 400,00 di multa per effetto del riconoscimento dell’aggravante di cui all’art. 61, comma primo, n. 7, cod. pen., in ragione del danno patrimoniale arrecato alla persona offesa.
Nessun accenno era stato fatto alla recidiva che, al contrario, era stata considerata (cfr., ivi, ancora, pagg. 23-24) per individuare la pena per il delitto di minaccia in relazione al quale era stato operato un aumento per la continuazione (‘… pena congrua al disvalore dei fatti sarebbe stata quella di mesi tre di reclusione, aumentata per la ritenuta recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale’).
La circostanza che la sentenza di primo grado non avesse fatto cenno alcuno alla recidiva quanto al delitto di truffa nØ, inoltre, applicato l’aumento di pena su quello che era stato correttamente considerato il reato piø grave su cui individuare la pena base, equivale in realtà ad un suo ‘non riconoscimento’ ovvero, alla sua esclusione atteso che, come piø volte chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte, la recidiva va non solo contestata, ma anche riconosciuta nei relativi presupposti e, infine, applicata con il tipico effetto di aggravamento della pena (cfr., Sez. U, n. 19415, 27/10/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284481, che, in motivazione, hanno ribadito che ‘il mancato incremento di pena per la recidiva da parte della sentenza impugnata ha implicato la sua
esclusione’; cfr., anche, Sez. U, n. 20808 del 25/10/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275319 – 01; Sez. U, n. 5859 del 27/10/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 251690 – 01; Sez. U, n. 20798 del 24/02/2011, Indelicato, Rv. 249664 – 01; Sez. U, n. 35738 del 27/05/2010, CalibØ, Rv. 247838 01).
A questa considerazione, di per sØ decisiva, deve aggiungersi il rilievo secondo cui, mentre nel capo a), oltre al formale richiamo all’art. 99, comma quarto, cod. pen., era stato specificata la contestazione dell’aggravante ‘… della recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale’, nel capo b) non era intervenuta alcuna simile precisazione essendo presente solo il riferimento normativo sopra indicato.
Di qui, insomma, l’erroneità dell’affermazione della Corte d’appello secondo cui il giudice di primo grado non aveva tenuto conto della recidiva per una mera ‘svista’ (cfr., pag. 10 della sentenza d’appello).
1.2 Il secondo motivo Ł manifestamente infondato ovvero articolato in termini non consentiti.
La Corte d’appello, in realtà, ha spiegato che ‘pur escludendo l’aumento per la recidiva, il termine massimo non sarebbe comunque decorso, posto che il termine di sette anni e sei mesi risulta maturato in data 24 aprile 2024 ma allo stesso devono aggiungersi gg. 232 per la sospensione della prescrizione disposta per l’intero periodo all’udienza del 7.7.2021 sino al 24.2.2022’ di modo che ‘il reato si estinguerebbe, pertanto, per prescrizione (ove non si tenesse conto della recidiva) solo alla data del 12 dicembre 2024’ (cfr., pag. 10 della sentenza impugnata).
La difesa deduce, in questa sede, che il reato contestato al capo b) si era in realtà articolato in una serie di condotte truffaldine che, anche ai fini della decorrenza del termine di prescrizione, avrebbero dovuto essere considerate autonomamente, con la conseguente individuazione, per ciascuna, del momento di consumazione del reato legato alla acquisizione, da parte del ricorrente, del denaro di volta in volta consegnatogli dalla persona offesa.
In tal modo, tuttavia, la difesa finisce per prospettare una ricostruzione della vicenda truffaldina del tutto nuova rispetto a quella descritta nel capo di imputazione e la cui considerazione, per altro verso, implica un diretto esame delle risultanze istruttorie non a caso, pressochØ integralmente allegate al ricorso introduttivo e la cui (ri)valutazione non Ł tuttavia evidentemente consentita in questa sede.
Va detto, peraltro, che la doglianza sulla intervenuta prescrizione del reato una volta esclusa la recidiva, era stata formulata già con il quarto motivo d’appello, ma in termini del tutto generici laddove, invece, era proprio quella la sede per sollecitare il giudice di merito ad esplorare quella diversa ricostruzione del fatto solo oggi, invece, prospettata.
D’altra parte, Ł consolidato, nella giurisprudenza di questa Corte, il principio per cui, in tema di prescrizione, grava sull’imputato, che voglia giovarsi di tale causa estintiva del reato, l’onere di allegare gli elementi in suo possesso dai quali poter desumere la data di inizio del decorso del termine, diversa da quella risultante dagli atti (cfr., in tal senso, tra le altre, Sez. 3, n. 27061 del 05/03/2014, Laiso, Rv. 259181 – 01; Sez. 3, n. 19082 del 24/03/2009, Cusati, Rv. 243765 – 01).
Ne consegue che il carattere assolutamente generico della censura articolata con l’atto d’appello non consentiva, comunque, di articolare, in sede di legittimità, una doglianza del tutto inedita e, come già accennato, tale da imporre una completa ricostruzione dei fatti mediante un diretto accesso alle prove, non consentito in questa sede.
Si Ł a tal proposito chiarito che il ricorrente che invochi nel giudizio di cassazione la intervenuta prescrizione del reato, assumendo per la prima volta in questa sede che la data di consumazione Ł antecedente rispetto a quella contestata, ha il preciso onere di riscontrare le sue affermazioni fornendo elementi incontrovertibili, idonei da soli – e senza necessità di accesso agli atti processuali
– a confermare che il reato Ł stato consumato in data anteriore a quella contestata, e non smentiti nØ smentibili da altri elementi di prova acquisiti al processo, essendoprecluso in sede di legittimità un accertamento fattuale e di merito anche in ordine altempus commissi delicti (cfr., in tal senso, Sez. 4, n. 47744 del 10/09/2015, COGNOME, Rv.265330; Sez. 5, n. 46481 del 20/06/2014, COGNOME, Rv. 261525; Sez. 3, n.27061 del 05/03/2014, COGNOME, Rv. 259181; Sez. 3, n. 19082 del 24/03/2009,COGNOME, Rv. 243765; conf., tra le non massimate, Sez. 2, Sentenza n. 16729 del 14.1.2021, COGNOME)
Non essendo perciò possibile seguire la prospettazione difensiva, va solo precisato che il dies a quo, da cui far decorrere il termine di sette anni e sei mesi, cui aggiungere il periodo di (incontestata) sospensione, Ł quello del 10/10/2016 che, in ogni caso, non avrebbe consentito di ritenere maturata la causa estintiva in data antecedente la sentenza d’appello.
L’inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., della somma – che si stima equa – di euro 3.000 in favore della Cassa delle Ammende non ravvisandosi elementi di esclusione di profili di colpa nell’attivare l’impugnazione.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 16/04/2025.
Il Presidente NOME COGNOME