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Prescrizione reato: onere della prova e inammissibilità

Un individuo, condannato per truffa e minacce, ricorre in Cassazione sostenendo l’avvenuta prescrizione del reato. La Corte, pur concordando sulla non applicabilità di un’aggravante, dichiara il ricorso inammissibile. Si stabilisce che l’onere della prova per dimostrare una data di commissione del reato anteriore, ai fini della prescrizione, grava sull’imputato, il quale non può introdurre nuove ricostruzioni fattuali in sede di legittimità. La condanna diventa così definitiva.

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Pubblicato il 21 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Prescrizione Reato: Chi Deve Provare la Data del Fatto?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18415/2025, offre importanti chiarimenti sui limiti del ricorso e sull’onere della prova in materia di prescrizione reato. La pronuncia analizza il caso di un imputato che, per evitare la condanna definitiva per truffa, ha tentato di retrodatare la consumazione del delitto. Vediamo come i giudici hanno risolto la questione.

Il Caso in Analisi: Truffa e Ricorso in Cassazione

Un soggetto veniva condannato in primo e secondo grado per i reati di truffa e minaccia. Giunto dinanzi alla Corte di Cassazione, il suo difensore sollevava due questioni principali, entrambe mirate a far dichiarare l’estinzione del reato di truffa per intervenuta prescrizione.

In primo luogo, si contestava l’erronea applicazione da parte della Corte d’Appello dell’aggravante della recidiva, che estende i tempi di prescrizione, sostenendo che tale aggravante non era stata riconosciuta dal giudice di primo grado per il reato di truffa. In secondo luogo, si introduceva una nuova ricostruzione dei fatti, affermando che la truffa si fosse consumata attraverso plurimi episodi, l’ultimo dei quali risalente a una data anteriore a quella considerata dai giudici di merito, tale da rendere comunque maturata la prescrizione.

La Decisione della Corte sulla Prescrizione del Reato

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, pur accogliendo una delle argomentazioni difensive. La decisione si fonda su due pilastri fondamentali.

La Questione della Recidiva

Sul primo punto, la Corte ha dato ragione al ricorrente. I giudici hanno confermato un principio consolidato: se il giudice di primo grado, pur avendo la recidiva contestata, non applica il relativo aumento di pena, l’aggravante deve considerarsi di fatto esclusa. Non si tratta di una mera ‘svista’, come erroneamente sostenuto dalla Corte d’Appello, ma di un ‘non riconoscimento’ giuridicamente rilevante. Di conseguenza, il calcolo della prescrizione non poteva tenere conto dell’effetto estensivo della recidiva.

L’Onere della Prova e la Data del Reato

Nonostante l’accoglimento del primo motivo, il ricorso è stato comunque respinto. La Corte d’Appello aveva infatti calcolato che, anche senza recidiva, il termine di prescrizione non sarebbe decorso prima di una certa data, successiva alla sentenza, a causa di un periodo di sospensione. La difesa ha tentato di superare questo ostacolo proponendo una diversa data di consumazione del reato. La Cassazione ha ritenuto questa argomentazione inammissibile, poiché introduceva una nuova valutazione dei fatti che non è consentita in sede di legittimità. I giudici hanno ribadito che grava sull’imputato che invoca la prescrizione reato l’onere di allegare e provare, con elementi incontrovertibili, una data di commissione del reato diversa e anteriore rispetto a quella risultante dagli atti processuali. Tale prova non era stata fornita nelle sedi opportune (primo grado e appello).

Le Motivazioni della Sentenza

La motivazione della Corte si basa sulla netta distinzione tra il giudizio di merito e quello di legittimità. La Corte di Cassazione non può riesaminare i fatti o valutare nuovamente le prove, ma solo controllare la corretta applicazione della legge. L’imputato avrebbe dovuto sollevare la questione della diversa datazione del reato in modo specifico e dettagliato nel giudizio d’appello, consentendo al giudice di merito di effettuare le necessarie verifiche. Presentare questa tesi per la prima volta in Cassazione, in modo generico e senza prove decisive, equivale a chiedere un inammissibile terzo grado di giudizio sul fatto. Pertanto, in assenza di prove contrarie fornite tempestivamente, la Corte ha dovuto basarsi sulla data di consumazione del reato così come accertata nei precedenti gradi di giudizio.

Le Conclusioni

Questa sentenza ribadisce due principi procedurali cruciali. Primo, il mancato aumento di pena per la recidiva equivale alla sua esclusione. Secondo, e più importante, chi intende beneficiare della prescrizione sostenendo che il reato è stato commesso prima di quanto contestato, ha l’onere di dimostrarlo in modo inequivocabile durante i processi di merito. Non è possibile attendere il giudizio in Cassazione per proporre nuove e diverse ricostruzioni fattuali. La condanna dell’imputato è stata quindi confermata, con l’aggiunta delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria per l’inammissibilità del ricorso.

Se un giudice di primo grado non applica l’aumento di pena per la recidiva, questa si considera esclusa?
Sì, la sentenza chiarisce che il mancato aumento di pena per la recidiva, pur formalmente contestata, equivale a una sua esclusione di fatto e non può essere considerata una semplice ‘svista’ dal giudice d’appello.

A chi spetta dimostrare che un reato si è consumato in una data diversa da quella contestata per far valere la prescrizione del reato?
L’onere di allegare gli elementi e fornire le prove per dimostrare una data di inizio della prescrizione diversa (e più favorevole) da quella risultante dagli atti spetta all’imputato che vuole beneficiare della causa di estinzione del reato.

È possibile presentare per la prima volta in Cassazione una ricostruzione dei fatti diversa per sostenere la prescrizione del reato?
No, non è possibile. La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile una doglianza di questo tipo, poiché comporta una completa ricostruzione dei fatti e un diretto accesso alle prove, attività non consentite nel giudizio di legittimità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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