Prescrizione Reato e Recidiva: Quando i Termini si Allungano
L’istituto della prescrizione reato rappresenta un caposaldo del nostro ordinamento penale, stabilendo che lo Stato non può perseguire un illecito all’infinito. Tuttavia, il calcolo dei termini non è sempre lineare e può essere influenzato da vari fattori, come la recidiva. Un’ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su come una specifica forma di recidiva possa estendere notevolmente i tempi necessari per l’estinzione di un reato, portando alla dichiarazione di inammissibilità di un ricorso basato su un calcolo errato.
I Fatti di Causa
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato contro la sentenza della Corte di Appello di Bari, che aveva confermato la sua condanna per il reato di sostituzione di persona (art. 494 c.p.), aggravato da recidiva reiterata, specifica e infraquinquennale (art. 99, comma 4, c.p.).
Il ricorrente lamentava, tra i vari motivi, la violazione di legge per l’omessa declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, a suo dire maturata durante il secondo grado di giudizio.
L’Analisi della Cassazione sulla Prescrizione Reato
La Suprema Corte ha giudicato i motivi relativi alla prescrizione reato come manifestamente infondati. Il punto centrale della decisione risiede nel corretto calcolo del termine prescrizionale. Il reato in questione era stato commesso in data 24 maggio 2013. Secondo la difesa, i termini sarebbero scaduti prima della decisione della Corte d’Appello (datata 3 febbraio 2023).
I giudici di legittimità hanno invece chiarito che il calcolo deve tenere conto dell’aumento previsto dall’art. 161, comma 2, del codice penale. Il termine base di sei anni, previsto per il reato contestato, deve essere aumentato di due terzi a causa della contestata recidiva. Tale aggravante, infatti, è qualificata come circostanza a effetto speciale e, se non esclusa dai giudici di merito, rileva pienamente ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere.
Di conseguenza, il termine massimo di prescrizione è stato calcolato in dieci anni (6 anni + 4 anni), con scadenza fissata al 24 maggio 2023. Poiché la sentenza d’appello è stata emessa il 3 febbraio 2023, a quella data il reato non era ancora estinto.
Il Ruolo Decisivo della Recidiva nel Calcolo dei Termini
L’ordinanza ribadisce un principio fondamentale: la recidiva qualificata (reiterata, specifica e infraquinquennale) non è una mera formalità, ma una circostanza con impatti concreti sulla durata del processo. Essa determina un aumento significativo del tempo a disposizione dello Stato per giungere a una condanna definitiva. È irrilevante, ai fini di questo calcolo, il fatto che i giudici di merito abbiano operato un giudizio di equivalenza tra le circostanze aggravanti e quelle attenuanti. Tale bilanciamento non comporta l’esclusione dell’aggravante e, pertanto, non impedisce l’applicazione dell’aumento dei termini di prescrizione previsto dalla legge.
Le Motivazioni della Decisione
La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile perché basato su una denuncia di violazione di legge smentita dagli atti processuali. Il calcolo della prescrizione effettuato dal ricorrente era errato, in quanto non teneva conto dell’effetto estensivo della recidiva contestata. La Corte ha precisato che il termine prescrizionale di dieci anni sarebbe maturato solo in data 24 maggio 2023, data successiva alla pronuncia della sentenza impugnata. Anche il terzo motivo di ricorso, relativo a un presunto vizio di motivazione sulla responsabilità penale, è stato ritenuto manifestamente infondato, poiché la Corte d’Appello aveva adeguatamente argomentato in merito alla malafede dell’imputato.
Le Conclusioni
La decisione in esame offre un importante promemoria sulla necessità di un’analisi attenta di tutte le circostanze del caso di specie nel calcolo della prescrizione reato. La presenza di una recidiva qualificata è un elemento che non può essere trascurato, in quanto allunga i termini processuali in modo sostanziale. La declaratoria di inammissibilità del ricorso, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, conferma la correttezza dell’operato dei giudici di merito e cristallizza la pronuncia di condanna.
Come influisce la recidiva sul calcolo della prescrizione di un reato?
La recidiva reiterata, specifica e infraquinquennale, essendo una circostanza aggravante a effetto speciale, comporta un aumento del termine di prescrizione. In questo caso, ha aumentato il termine base di 6 anni di due terzi, portandolo a un totale di 10 anni.
Cosa accade se la prescrizione matura dopo la sentenza di appello?
Se il termine di prescrizione matura dopo la pronuncia della sentenza di appello, il reato non è considerato estinto in quel grado di giudizio. Come stabilito in questa ordinanza, il momento rilevante per la valutazione è la data della decisione impugnata; se a quella data il termine non è ancora scaduto, il motivo di ricorso sulla prescrizione è infondato.
Un ricorso basato su un errato calcolo della prescrizione è ammissibile?
No, un ricorso che lamenta la violazione di legge per mancata declaratoria di prescrizione, ma che si basa su un calcolo palesemente errato dei termini, viene considerato manifestamente infondato e, di conseguenza, dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 28283 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 28283 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: PILLA EGLE
Data Udienza: 02/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a CERIGNOLA il 12/07/1955
avverso la sentenza del 03/02/2023 della CORTE APPELLO di BARI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
Rilevato che NOME ricorre avverso la sentenza della Corte di Appello di Bari che ha confermato la pronuncia di condanna in ordine al reato di cui all’art. 494, 99, comma 4, cod. pen.;
Considerato che il primo e il secondo motivo di ricorso – che possono essere congiuntamente trattati in quanto in entrambi il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’omessa declaratoria di estinzione del reato per prescrizione intervenuta nel corso del secondo grado di giudizio – è manifestamente infondato perché denunzia violazione di norme smentita dagli atti processuali, in quanto il reato contestato risulta estinto per la intervenuta prescrizione in data 24 maggio 2023, maturata successivamente alla pronunzia della sentenza impugnata (3 febbraio 2023).
La data in cui risulta decorso l’indicato termine prescrizionale risulta così determinata:
il termine massimo di prescrizione della fattispecie in contestazione è pari ad anni Dieci – anni 6 (art. 157 cod. pen., essendo il massimo edittale pari ad anni 1) aumentato di 2/3 ai sensi dell’art. 161, comma 2, cod. pen. – da farsi decorrere dal tempus commissi delicti, collocato, come risulta dal capo di imputazione, in data 24 maggio 2013.
non risultano termini di sospensione della prescrizione.
Invero, la recidiva reiterata specifica infraquinquennale è circostanza aggravante a effetto speciale e rileva ai fini della determinazione del tempo necessario alla prescrizione del reato, salvo che questa non sia stata esclusa dai giudici del merito. Il giudizio di equivalenza tra le circostanze contestate, al contrario, con comporta alcuna esclusione dell’aumento dei termini di 2/3 previsti dall’art. 161, comma 2, cod. pen.;
Considerato che il terzo motivo di ricorso – con cui il ricorrente denunzia vizio di motivazione in ordine alla dichiarazione della penale responsabilità – è manifestamente infondato poiché il vizio censurabile a norma dell’art. 606, comma 1, lett e) cod. proc. pen., è quello che emerge dal contrasto dello sviluppo argomentativo della sentenza con le massime di esperienza o con le altre affermazioni contenute nel provvedimento; la motivazione della sentenza impugnata (cfr. pagg. 3-4) non presenta alcun vizio riconducibile alla nozione delineata nell’art. 606, comma 2, lett. e) cod. proc. pen., avendo la Corte argomentato quanto alla malafede dell’imputato;
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso il 2 luglio 2025
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