Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 2629 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 2629 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 29/09/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a RUSSELSHEIM( GERMANIA) il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 04/04/2023 della CORTE APPELLO di CATANZARO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso;
Procedimento a trattazione scritta.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Catanzaro confermava la decisione emessa in data 12 novembre 2020, con la quale il Tribunale di Cosenza aveva condannato NOME COGNOME alla pena di un mese e dieci giorni di arresto per il reato di cui all’art. 20, comma 2, I. n. 110/1975 commesso in data 1° ottobre 2017.
Per quanto qui rileva, la Corte distrettuale osservava che, a differenza di quanto sostenuto dal Procuratore generale e dalla difesa, il reato contestato non poteva reputarsi prescritto, dal momento che al termine massimo di cinque anni, previsto per i reati contravvenzionali, andava aggiunto il periodo di sospensione, nella misura massima di un anno e sei mesi, contemplato dall’art. 159 cod. pen. nella formulazione vigente all’epoca dei fatti (c.d. riforma Orlando), norma da intendersi come più favorevole rispetto a quella, introdotta con la I. n. 3/2019 (c.d. riforma Bonafede), che aveva sancito la sospensione sine die dopo la pronuncia di primo grado.
Pertanto, il termine di prescrizione, tenuto conto del suddetto periodo di sospensione, sarebbe maturato solo in data 10 aprile 2024.
Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del difensore di fiducia AVV_NOTAIO, deducendo violazione di legge in relazione agli artt. 157, comma 2, e 161, secondo comma, cod. pen., per avere la Corte di appello omesso di dichiarare l’estinzione del reato per prescrizione maturata anteriormente alla pronuncia di secondo grado.
Nella sua requisitoria, fatta pervenire in forma scritta ai sensi dell’art. 23, comma 8, dl. 28 ottobre 2020, n. 137, e succ. mod., il Procuratore generale presso questa Corte ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso, in quanto aspecifico.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato in diritto e va, pertanto, rigettato.
La questione sottoposta all’odierno vaglio di legittimità involge il tema della successione delle leggi penali del tempo, con particolare riguardo alle disposizioni che si sono succedute, negli ultimi anni, in materia di sospensione del corso della prescrizione (art. 159 cod. pen.).
2.1. Si rammenta, schematicamente, che, l’art. 1, comma 11, lett. b), legge 23 giugno 2017 (c.d. riforma Orlando) aveva inserito, dopo il primo comma dell’art. 159 cod. pen., i seguenti:
«Il corso della prescrizione rimane altresì sospeso nei seguenti casi:
dal termine previsto dall’articolo 544 del codice di procedura penale per il deposito della motivazione della sentenza di condanna di primo grado, anche se emessa in sede di rinvio, sino alla pronuncia del dispositivo della sentenza che
definisce il grado successivo di giudizio, per un tempo comunque non superiore a un anno e sei mesi;
2) dal termine previsto dall’articolo 544 del codice di procedura penale per il deposito della motivazione della sentenza di condanna di secondo grado, anche se emessa in sede di rinvio, sino alla pronuncia del dispositivo della sentenza definitiva, per un tempo comunque non superiore a un anno e sei mesi.
I periodi di sospensione di cui al secondo comma sono computati ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere dopo che la sentenza del grado successivo ha prosciolto l’imputato ovvero ha annullato la sentenza di condanna nella parte relativa all’accertamento della responsabilità o ne ha dichiarato la nullità ai sensi dell’articolo 604, commi 1, 4 e 5 bis, del codice di procedura penale.
Se durante i termini di sospensione di cui al secondo comma si verifica un’ulteriore causa di sospensione di cui al primo comma, i termini sono prolungati per il periodo corrispondente».
Il successivo comma 15 dell’art. 1 richiamato aveva previsto che «Le disposizioni di cui ai commi da 10 a 14 si applicassero ai fatti commessi dopo la data di entrata in vigore della presente legge», coincidente, come noto, con il 3 agosto 2017.
2.2. Con l’art. 1, comma 1, lett. e), legge 9 gennaio 2019 n. 3 (c.d. riforma Bonafede) il legislatore ha profondamente modificato il regime della sospensione del corso della prescrizione prevedendo che questo, oltre che per le cause espressamente previste dall’art. 159, comma primo, cod. pen., rimanesse sospeso «…dalla pronuncia della sentenza di primo grado o del decreto di condanna fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o dell’irrevocabilità del decreto di condanna».
Il comma 2 dell’articolo citato ha differito al 1° gennaio 2020 l’entrata in vigore delle disposizioni di cui al comma 1, lettere d), e) e f).
2.3. Infine, è intervenuta sulla disciplina, sia della sospensione che dell’interruzione del corso della prescrizione, la legge 27 settembre 2021, n. 134 (c.d. riforma Cartabia).
Per quanto attiene alla sospensione della prescrizione, l’art. 2, comma 1, lett. a), ha abrogato il secondo e quarto comma dell’art. 159 cod. pen.
All’abrogazione del secondo comma, come detto introdotto dalla legge n. 3 del 2019 (a sua volta sostitutivo della disposizione introdotta dalla legge “Orlando”), si è accompagnata l’introduzione dell’art. 161-bis cod. pen., in forza del quale la pronuncia della sentenza di primo grado – sia essa di condanna o di assoluzione comporta, non la sospensione, ma la definitiva cessazione del corso della prescrizione.
Coerentemente con tale impostazione, il secondo comma dell’art. 161-bis cod. pen. ha previsto che se la sentenza di primo grado viene annullata con
regressione del procedimento al primo grado o ad una fase anteriore, la prescrizione riprende il suo corso dalla data della sentenza di annullamento.
Come osservato in dottrina, la regressione del procedimento per effetto dell’annullamento della sentenza di primo grado non determina, dunque, un azzeramento del “timer” della prescrizione, ma segna il momento a partire dal quale la prescrizione ricomincia a decorrere, dal punto in cui, con l’emissione della sentenza di primo grado, si era fermato.
2.4. È noto che, a differenza dell’istituto dell’improcedibilità, la legge in commento non ha previsto una specifica disciplina transitoria relativa alle modifiche in tema di prescrizione del reato.
In linea generale, l’art. 2, comma 3, prevede che le disposizioni in materia di improcedibilità si applicano solo nei procedimenti di impugnazione che hanno ad oggetto reati commessi a partire dal 1° gennaio 2020, ovvero, dalla data di entrata in vigore della legge n. 3 del 2019 che aveva, appunto, previsto la sospensione della prescrizione dalla pronuncia della sentenza di primo grado o dell’emissione del decreto penale di condanna per tutta la durata del giudizio di impugnazione.
Manca, però, un’analoga disposizione relativa alle norme in tema di prescrizione, sicché va definito il loro regime temporale di applicabilità.
2.5. Sul punto, occorre, innanzitutto premettere che, secondo la costante giurisprudenza della Corte costituzionale, la prescrizione del reato, «pur potendo assumere una valenza anche processuale» (sentenza n. 265 del 2017), costituisce un istituto di natura «sostanziale» che incide sulla punibilità della persona, riconnettendo al decorso del tempo l’effetto di impedire l’applicazione della pena «concorrendo a realizzare la garanzia della ragionevole durata del processo (art. 111, secondo comma, Cost.)» (sentenza n. 143 del 2014) sicché essa «rientra nell’alveo costituzionale del principio di legalità penale sostanziale enunciato dall’art. 25, secondo comma, Cost. con formula di particolare ampiezza» (si vedano, tra le tante, le sentenze n. 278 del 2020 e n. 115 del 2018, nonché l’ordinanza n. 24 del 2017).
In particolare, con la sentenza n. 278 del 2020 la Corte costituzionale ha posto l’accento sul duplice profilo, sostanziale e processuale, della “dimensione diacronica della punibilità” che, da un lato, concerne «la definizione “tabellare” del tempo di prescrizione dei reati», e, dall’altro, è, comunque, influenzata dalle vicende e da singoli atti del processo e può risentire indirettamente delle vicende e di singoli atti di quest’ultimo, previsti dal legislatore come cause di sospensione o di interruzione del decorso del tempo di prescrizione dei reati.
Nel medesimo arresto la Corte costituzionale ha chiaramente delineato lo statuto costituzionale della prescrizione quale effetto della sua soggezione al principio di legalità sostanziale di cui all’art. 25 Cost., in forza del quale la sua disciplina dev necessariamente rispondere ai seguenti parametri:
sufficiente determinatezza della durata del tempo di prescrizione del reato (tale, ad esempio, non è stata considerata, dalla sentenza n. 115 del 2018, la ,
cosiddetta «regola Taricco» di derivazione dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’unione Europea);
irretroattività della norma di legge che, fissando la durata del tempo di prescrizione dei reati, ne allunghi il decorso ampliando in peius la perseguibilità del fatto commesso;
retroattività, quale norma più favorevole ai sensi dell’art. 2 cod. pen., della norma che, invece, riduca la durata del tempo di prescrizione.
Il giudice delle leggi ha, inoltre, ricompreso nell’ambito di operatività del principio di legalità, cui è soggetto l’istituto della prescrizione, anche la discipli relativa alla decorrenza, alla sospensione ed alla interruzione del suo corso, in quanto anch’essa concorre a determinare la durata del tempo il cui decorso estingue il reato per prescrizione.
Va detto che la natura sostanziale della prescrizione è riconosciuta in modo incontroverso anche dalla giurisprudenza di legittimità (tra molte, Sez. 3, n. 26795 del 23/2/2023, COGNOME, n.m.; Sez. 6, n. 31877 del 16/5/2017, B., Rv. 270629).
Seguendo le coordinate ermeneutiche tracciate dalla giurisprudenza della Corte costituzionale e di questa Corte, si ritiene di poter individuare il dies a quo di applicabilità dell’istituto della cessazione del corso della prescrizione, introdotto all’art. 161-bis, primo periodo, cod. pen., considerandone il rapporto di continuità normativa con l’omologa causa di sospensione legata alla sola pronuncia della sentenza di primo grado, prevista dall’art. 159, comma secondo, cod. pen. (disposizione introdotta dalla legge n. 3 del 2019 a far data dal 1° gennaio 2020).
A fronte, infatti, dell’impropria dizione normativa quale causa di sospensione del corso della prescrizione – in realtà destinato a non riprendere più nell’ulteriore prosieguo del procedimento – entrambi gli istituti contemplano una causa di blocco tendenzialmente definitivo (salva l’ipotesi dell’annullamento con rinvio) del decorso del tempo rilevante ai fini della prescrizione del reato.
Partendo, dunque, da tale premessa ermeneutica e dalla identità strutturale dei due istituti, si reputa coerente ritenere che l’istituto della cessazione del corso della prescrizione, previsto dall’art. 161-bis cod. pen., debba trovare applicazione, non dalla data di entrata in vigore della legge in commento, bensì, al pari della omologa causa di sospensione, in relazione ai reati commessi dal 1° gennaio 2020.
Alla luce della ricostruzione che precede, rilevato:
che la disciplina della sospensione prevista dalla legge “Orlando” al secondo comma dell’art. 159 cod. pen. – che solo qui interessa – è entrata in vigore in data 3 agosto 2017 ed è stata, successivamente, abrogata dalla legge n. 3/2019, in vigore dal 10 gennaio 2020, a sua volta abrogata dalla I. n. 134/2021, il cui dies a quo è stato individuato, come detto, sempre nella data del 10 gennaio 2020;
b) che il secondo comma dell’art. 159 cod. pen., nella versione della legge “Orlando” n. 103/2017, ha avuto, perciò, vigenza dal 3 agosto 2017 al 31 dicembre
2019, forbice temporale all’interno della quale si colloca il reato ascritto all’odierno ricorrente, in quanto commesso in data 10 ottobre 2017;
che la disposizione in commento è certamente più favorevole di quelle successive che l’hanno abrogata, perché prevede un allungamento dei termini di prescrizione a fronte di una sua definitiva cessazione alla data della sentenza di primo grado;
che, pertanto, è la disciplina della sospensione del corso della prescrizione prevista dalla legge “Orlando” che va applicata al caso di specie, deve concludersi, come correttamente ritenuto dalla Corte di merito, che al termine massimo di cinque anni previsto per i reati contravvenzionali, come quello ascritto al COGNOME (che sarebbe già maturato il 1° ottobre 2022), debba aggiungersi un ulteriore periodo (di sospensione) di un anno e sei mesi, dal che deriva che il termine di prescrizione del reato de quo andrebbe a spirare solo in data 10 aprile 2024.
Il ricorso, in conclusione, deve essere rigettato, con la conseguente condanna ex lege del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 29 settembre 2023
Il Consigliere estensore
Il Presidente