Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 26040 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 26040 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 16/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a TAVIANO il 24/01/1937
avverso la sentenza del 20/05/2024 della CORTE di APPELLO di LECCE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona delb t Sostituto, Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso; udito l’Avv. NOME COGNOME in qualità di sostituto processuale dell’Avv. NOME COGNOME per la parte civile COGNOME che ha chiesto emettersi declaratoria di inammissibilità del ricorso, associandosi alle conclusioni del Procuratore Generale e depositando conclusioni scritte con nota spese; udito l’Avv. NOME COGNOME anche in sostituzione dell’Avv. NOME COGNOME per il ricorrente, che si riporta ai motivi chiedendone l’accoglimento; eccepisce inoltre la nullità del procedimento per violazione dell’art. 521 cod. proc. pen.;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza resa in data 20 maggio 2024 la Corte d’Appello di Lecce, in parziale riforma della sentenza emessa il 10 febbraio 2020 dal Tribunale di
Lecce nei confronti dell’imputato NOME COGNOME confermava, per quel che qui interessa, il giudizio di responsabilità dell’imputato in ordine a due reati di usura, così contestati:
il primo, per avere ricevuto da NOME COGNOME (che le aveva ottenute da COGNOME NOME) dodici – tredici cambiali dell’importo di euro 5.000,00 ciascuna con scadenza mensile, pretendendo per la loro restituzione interessi pari a euro 550,00 per ogni titolo al mese (tasso di interesse annuale pari al 241,7%);
il secondo, per avere concesso a COGNOME NOME, nel maggio – giugno 2003, un prestito di euro 51.000,00 pretendendo in garanzia una procura irrevocabile semestrale a vendere le quote sociali della “RAGIONE_SOCIALE” ed esercitandola in favore della propria moglie NOME alla quale cedeva la suddetta azienda per un prezzo di euro 51.000,00 a fronte di un valore dei beni aziendali pari a euro 105.158,28, così applicando un tasso di interesse annuo del 212,39%.
Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del proprio difensore, chiedendone l’annullamento e articolando quattro motivi di doglianza.
Con il primo motivo deduceva mancanza e manifesta illogicità della motivazione nonché erronea applicazione dell’art. 644 cod. pen. in relazione al primo dei due fatti di usura sopra richiamati.
Assumeva che la Corte territoriale non aveva adeguatamente motivato in punto di credibilità del denunciante COGNOME e del teste COGNOME COGNOME che quest’ultimo non aveva saputo riferire dell’entità delle somme erogate dal COGNOME al Maggio e dei tempi della restituzione delle stesse, entrambi elementi fondamentali per il calcolo dell’interesse applicato all’operazione, e che al riguardo il Maggio aveva reso dichiarazioni contraddittorie.
Con il secondo motivo deduceva mancanza e manifesta illogicità della motivazione, nonché violazione dell’art. 125 cod. proc. pen. in relazione al secondo dei due fatti di usura sopra richiamati.
Assumeva, in particolare, che la Corte territoriale aveva motivato per relationem affermando in maniera apodittica che le dichiarazioni rese dalla parte offesa COGNOME NOME erano attendibili, senza confrontarsi con le specifiche censure dedotte in proposito con l’atto di appello.
Precisava che il COGNOME aveva reso dichiarazioni contraddittorie nell’affermare dapprima che il corrispettivo versato dal COGNOME per la cessione dell’azienda era stato di euro 51.000,00, e successivamente che in realtà era stato pari a euro 43.000,00, e che lo stesso COGNOME aveva prodotto agli atti la copia degli assegni versati all’imputato solo dopo tredici anni dall’operazione, in tal modo impedendo di fatto al COGNOME di produrre i relativi estratti conto, che come noto, le banche conservavano solo per dieci anni.
Assumeva inoltre che le stime dei beni aziendali effettuate dal COGNOME non erano corrette, avuto riguardo in particolare all’esistenza di debiti di notevole consistenza dell’azienda ceduta, taciuti alla società cessionaria.
Con il terzo motivo deduceva violazione degli artt. 158 e 644 cod. pen. con riguardo alla decorrenza del termine di prescrizione del reato di usura commesso in danno di COGNOME NOMECOGNOME
Contestava, in particolare, la decorrenza del detto termine come individuato dalla Corte d’Appello nel 17 maggio 2018, data in cui si sarebbe consumato il reato e coincidente con quella di emissione della sentenza civile conclusiva del giudizio instaurato dalla società cessionaria della suddetta azienda e avente ad oggetto la declaratoria di nullità dei contratti di compravendita ei1 di tre automezzi aziendali che il COGNOME aveva acquistato quale persona fisica successivamente alla cessione dell’azienda, data che secondo l’opinione della Corte d’Appello coincideva con la consumazione del reato in quanto data di realizzazione coattiva del credito usurario.
Osservava sul punto che tale data non poteva coincidere con quella della realizzazione del credito usurario, considerato che il citato giudizio civile vedeva quale attore non l’imputato bensì la società che aveva acquistato l’azienda del Ma n n i.
Con il quarto motivo deduceva motivazione insufficiente e contraddittoria e violazione dell’art. 62 bis cod. pen. con riferimento al trattamento sanzionatorio e alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, assumendo che la Corte territoriale non aveva motivato adeguatamente su tali punti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo è manifestamente infondato e pertanto inammissibile.
La Corte d’Appello ha, invero, reso una motivazione immune da vizi in relazione alla ritenuta credibilità del denunciante COGNOME e del teste COGNOME COGNOME (v. pag. 5 e 6 della sentenza di secondo grado), nonostante il rapporto di amicizia di quest’ultimo con la parte offesa COGNOME evidenziando che le dichiarazioni del COGNOME avevano consentito al consulente del pubblico ministero di ricostruire i rapporti di dare e avere fra l’imputato e la parte offesa e, in particolare, il tasso di interesse praticato.
Peraltro la dedotta necessità di meglio valutare le dichiarazioni della parte offesa Maggio costituisce una allegazione della difesa del tutto generica.
In ogni caso, quanto alla attendibilità delle dichiarazioni del Maggio, i giudici di merito hanno evidenziato che lo stesso, nel corso del processo, aveva revocato la propria costituzione di parte civile, che le sue dichiarazioni erano risultate coerenti e prive di illogicità e che inoltre risultavano adeguatamente riscontrate, oltre che dalle prove documentali, dalle dichiarazioni del teste COGNOME il quale non si era mai costituito parte civile nei confronti del COGNOME e pertanto aveva mostrato disinteresse per la vicenda da un punto di vista economico (v. pag. 6 e 7 della sentenza di primo grado le cui motivazioni sono state richiamate a pag. 3 della sentenza di appello, trattandosi di “doppia conforme” in punto di responsabilità per le due ipotesi di usura qui in trattazione).
Parimenti inammissibile, in quanto manifestamente infondato, è il secondo motivo.
La Corte d’Appello ha reso una motivazione immune da vizi in relazione alla valutazione delle dichiarazioni del teste COGNOME che sono state valutate sia per relationem, con riferimento alla sentenza di primo grado, che in maniera autonoma, con particolare riguardo alla díscrasia nell’indicazione delle somme oggetto del prestito, ritenendo, con richiamo alla valutazione effettuata sul punto dal giudice di primo grado, osservando sul punto che il teste aveva “fornito anche una convincente spiegazione al Tribunale del contrasto sulla somma ricevuta dal NOME per il prestito concessogli tra le dichiarazioni da lui rese nel corso delle indagini (51.000 euro) e quelle rese al dibattimento (43.000 euro)” (v. pag. 7 della sentenza impugnata).
In particolare, il teste COGNOME aveva affermato in proposito che il suo ricordo era di un importo di euro 51.000,00 e che solo dopo aver consultato gli assegni, fornitigli dalla banca, dopo diversi mesi dalla sua richiesta, aveva accertato che
in realtà la somma era di euro 43.000,00 (v. pag. 17 della sentenza di primo grado).
Di poi, la doglianza relativa alla assunta omessa considerazione da parte della Corte di merito delle specifiche censure dedotte con l’atto di appello appare del tutto generica, come pure priva di specificità appare l’ulteriore doglianza relativa al valore dell’azienda ceduta, che fa riferimento genericamente a procedimenti penali in corso (v. pag. 11 del ricorso).
Il terzo motivo, con il quale il ricorrente deduce che il reato di usura commesso in danno di COGNOME NOME sarebbe estinto per prescrizione, è fondato.
Secondo il consolidato orientamento del Giudice di legittimità, condiviso da questo Collegio, in tema di usura, la riscossione che ai sensi dell’art. 644 ter cod. pen. costituisce il momento ultimo dal quale decorre la prescrizione del reato deve essere intesa riferita al momento del pagamento da parte del debitore di tutto o parte del capitale o degli interessi usurari, ovvero della rinnovazione dei titoli o della realizzazione del credito in sede esecutiva o il ricorso a procedure esecutive che determinano un vincolo, anche parziale, sul patrimonio del debitore (v., ex multis, Sez. 2, n. 11839 del 06/03/2018, Catania e altri, Rv. 272351 – 01; in motivazione la Corte ha precisato che esula, invece, dal concetto di riscossione la semplice proposizione di richieste informali di pagamento all’indirizzo del debitore).
Nel caso di specie la Corte d’Appello ha fatto decorrere il termine di prescrizione del reato di usura commesso in danno di COGNOME dal 17 maggio 2018, data coincidente con quella di emissione della sentenza civile conclusiva del giudizio instaurato dalla società cessionaria della “RAGIONE_SOCIALE” e avente ad oggetto la declaratoria di nullità dei contratti di compravendita aventi ad oggetto tre automezzi aziendali che il COGNOME aveva acquistato quale persona fisica successivamente alla cessione dell’azienda, data che, secondo l’opinione della Corte di merito coincide con la consumazione del reato in quanto momento di realizzazione coattiva del credito usurario.
In realtà tale data coincide con quella di formazione del titolo esecutivo in forza del quale (eventualmente) agire in sede esecutiva per ottenere i tre automezzi aziendali precedentemente sottratti alla cessione dell’azienda mediante la stipula di precedenti compravendite, dovendosi ritenere che la data di realizzazione coattiva del credito usurario coincida con l’effettiva apprensione dei detti automezzi all’azienda, momento coincidente con la conclusione del
procedimento di esecuzione per consegna e rilascio avente ad oggetto i medesimi.
Di tale avvenuta realizzazione coattiva del credito usurario, tuttavia, non si ha alcuna notizia, così che al fine di individuare il momento di decorrenza del termine di prescrizione deve farsi riferimento al dicembre 2003, data in cui l’azienda è stata ceduta (v. pag. 7 della sentenza impugnata) e coincidente con l’ultima riscossione del credito usurario.
Considerato che il termine di prescrizione prorogato del reato di usura è pari ad anni diciotto e mesi quattro, il reato si è estinto per intervenuta prescrizione nel mese di aprile 2022, dunque anteriormente alla sentenza di appello, che risale al 20 maggio 2024.
Segue alla pronuncia di prescrizione la conferma delle statuizioni civili e il rinvio per la determinazione della pena in relazione la residua imputazione in danno di Maggio Claudio ad altra sezione della Corte d’Appello di Lecce.
Il quarto motivo è manifestamente infondato e pertanto inammissibile.
Deve, invero, ritenersi che la Corte d’Appello abbia reso una motivazione immune dai vizi denunciati, avendo effettuato, a giustificazione del diniego delle invocate circostanze attenuanti generiche, un congruo richiamo alla gravità e alla pluralità dei fatti contestati, oltre che alla spregiudicatezza e alla ingegnosità della condotta, “curando di creare dei paraventi documentali legali (puramente formali) per celare operazioni di prestito penalmente illecite” (v. pag. 8 della sentenza impugnata) (cfr., ex multis, Sez. 1, n. 33506 del 07/07/2010, COGNOME, Rv. 247959 – 01, secondo cui la concessione delle circostanze attenuanti generiche non impone che siano esaminati tutti i parametri di cui all’art. 133 cod. pen. essendo sufficiente che si specifichi a quale di esso si sia inteso fare riferimento; la sentenza tratta di una fattispecie in cui la mancata concessione delle attenuanti generiche era stata motivata con riferimento alla gravità del fatto e alla personalità dell’imputato come desumibile dalle condanne riportate).
Alla stregua di tali rilievi la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente al reato inerente alla quarta operazione in danno di COGNOME NOME, perché estinto per prescrizione, con conferma delle statuizioni civili. Nel resto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con rinvio, per la determinazione della pena per la residua imputazione in danno di NOME ad altra sezione della Corte d’Appello di Lecce; deve essere dichiarato definitivo l’accertamento di responsabilità per tale ultimo reato. Infine
l’imputato deve essere condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile COGNOME NOME che
liquida in complessivi euro 3686, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente al reato inerente alla quarta operazione in danno di COGNOME NOMECOGNOME perché estinto per prescrizione,
con conferma delle statuizioni civili. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso e rinvia, per la determinazione della pena per la residua imputazione in danno di
Maggio Claudio ad altra sezione della Corte d’Appello di Lecce. Dichiara definitivo l’accertamento di responsabilità per tale ultimo reato. Condanna,
inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile COGNOME che liquida in complessivi
euro 3686, oltre accessori di legge.
Così deciso il 16/04/2025