Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 9945 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 9945 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/02/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
1) PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI ROMA nel procedimento a carico di: COGNOME NOME, nato a Roma il DATA_NASCITA COGNOME NOME, nato nelle Filippine il DATA_NASCITA NOME, nato a Roma il DATA_NASCITA COGNOME NOME, nato a Roma il DATA_NASCITA
COGNOME NOMENOME nato a Roma il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 01/06/2023 della Corte d’appello di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, il quale ha concluso chiedendo: l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata quanto al reato di cui al capo B) dell’imputazione; che il ricorso di COGNOME NOME sia dichiarato inammissibile nel resto;
lette le note per l’udienza dell’AVV_NOTAIO, difensore di COGNOME NOME, il quale, nell’argomentare ulteriormente i motivi di ricorso, ha chiesto l’accoglimento dello stesso e l’annullamento della sentenza impugnata;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 01/06/2023, la Corte d’appello di Roma confermava la sentenza del 11/03/2013 del Tribunale di Roma di condanna di NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME alla pena di un anno di reclusione ed C 300,00 di multa per i reati, commessi in concorso tra loro e unificati dal vincolo della continuazione, di tentata rapina aggravata (dall’essere state la violenza e minaccia commesse da più persone riunite) di cui al capo A) dell’imputazione e di lesioni personali aggravate (dal cosiddetto nesso teleologico) di cui al capo B) dell’imputazione, reati commessi in Roma il 25/03/2011 ai danni di NOME.
Avverso l’indicata sentenza del 01/06/2023 della Corte d’appello di Roma, hanno proposto ricorso per cassazione il AVV_NOTAIO generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Roma e, per il tramite del proprio difensore, NOME COGNOME.
Il ricorso del AVV_NOTAIO generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Roma è affidato a un unico motivo con il quale il ricorrente lamenta che, nel confermare la sentenza del Tribunale di Roma, la Corte d’appello di Roma avrebbe omesso di rilevare la prescrizione del reato di lesioni personali aggravate di cui al capo B) dell’imputazione – la quale sarebbe intervenuta il 25/09/2018, cioè prima dell’emissione della sentenza di appello -, e, conseguentemente, di eliminare la pena di un mese di reclusione ed C 100,00 di multa che era stata irrogata dal Tribunale di Roma per la continuazione con il suddetto reato di lesioni personali.
Il ricorso di NOME COGNOME è affidato a quattro motivi.
4.1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) , cod. proc. pen., la violazione di legge per non avere la Corte d’appello di Roma ritenuto estinti i reati a lui attribuiti ai sensi del combina disposto degli artt. 157, 161, secondo comma, 582 e 628 cod. pen., e, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e) , cod. proc. pen., la mancanza della motivazione «sul punto».
Dopo avere premesso che i reati di lesioni personali e di rapina si prescrivono, rispettivamente, in 6 anni e in 10 anni, il ricorrente rappresenta che, dalla data del 25/03/2011 di commissione dei reati a lui attribuiti alla data del 01/06/2023 di emissione della sentenza di appello, erano decorsi «12 anni e 3 mesi», sicché gli stessi reati si sarebbero prescritti prima di tale emissione.
Il ricorrente deduce ancora che, anche tenendo conto dell’aumento di un quarto del tempo necessario a prescrivere che è previsto dall’art. 161, secondo comma, cod. pen., applicabile in ragione della sussistenza di atti interruttivi del corso della prescrizione, i reati si sarebbero prescritti il 25/09/2023, in ragione de decorso del termine aumentato «di 12 anni e mezzo».
Il COGNOME lamenta ancora che, in sede di conclusioni nel giudizio di appello, aveva chiesto che i reati fossero dichiarati prescritti e che, ciò nonostante, la Corte d’appello di Roma avrebbe omesso di motivare al riguardo.
4.2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.: «errata applicazione dell’art. 628, co. 3 n. 1 C.p. ed errata qualificazione dei fatti contestati ed al riscontro degli elementi costitutivi degli stessi – Vizio di motivazione per carenza o manifesta illogicità».
Dopo avere brevemente illustrato il dolo specifico che connota il reato di rapina e la natura plurioffensiva dello stesso reato, il ricorrente rappresenta che entrambi i giudici di merito sarebbero incorsi in «un vizio di motivazione e falsa applicazione della legge penale in ordine alla qualificazione dei fatti contestati ed al riscontro degli elementi costitutivi degli stessi».
I giudici di merito avrebbero anzitutto «totalmente trascurato di verificare la ricorrenza degli elementi descritti tipici dell’uno, dell’altro o di entrambi i re limitandosi ad un’affermazione, talmente generica, da risultare affetta dal vizio di mera apparenza».
In secondo luogo, dopo avere premesso che, nel concorso di persone nel reato, «la condotta di partecipazione si manifesta in un comportamento esteriore che arrechi un contributo apprezzabile alla commissione del reato», il ricorrente asserisce che, «sia come risulta dagli atti di causa, sia da quanto riportato dal Giudice di prime cure in Sentenza, non emerge alcuna partecipazione del COGNOME tale da contribuire in maniera apprezzabile alla commissione del reato, ma anzi, come emerso sia nella Denunzia querela che nel Verbale di udienza del 3.7.2012 di COGNOME che COGNOME non solo non partecipi ma addirittura inviti gli amici ad allontanarsi e desistere», con la conseguenza che egli non aveva reso alcun cosciente e volontario contributo apprezzabile, materiale o morale, alla commissione del reato, neppure in termini di sostegno e incoraggiamento all’autore materiale. In particolare, nessun testimone avrebbe riferito che egli aveva istigato tale autore materiale, lo aveva agevolato o ne aveva rafforzato il proposito criminoso, neppure assicurandogli un maggior senso di sicurezza palesando adesione alla sua condotta, così come ciò non emergeva da alcuna risultanza processuale. A proposito del proprio concorso nella rapina, entrambi i giudici del merito avrebbero pertanto «errato nella ricostruzione dei fatti, dove in alcuni casi operano una ricostruzione forzata, priva di riscontri probatori e di motivazione logica, al solo fine di giungere alla conclusione del fatto reato (rapina) in modo contraddittorio».
4.3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) , cod. proc. pen.: «errata applicazione dell’art. 56 C.p. – Mancanza della
non equivocità degli atti rispetto alla produzione dell’evento ex art. 628 C.P. e desistenza».
Il ricorrente deduce che gli atti da lui compiuti erano sia inidonei a mettere in pericolo il patrimonio della persona offesa, con la conseguenza si doveva ritenere erroneo applicare gli artt. 56 e 628 cod. pen., sia privi del requisit dell’inequivocità, atteso che gli stessi «erano tutt’altro che esclusivamente rapportabili al solo evento rapina». In ordine a quest’ultimo profilo dell’inequivocità, la motivazione sarebbe mancante.
Il ricorrente deduce altresì che la propria intera condotta sarebbe stata connotata dall’«assenza di volontà nella commissione del reato di rapina», mentre andrebbe rigettata qualsiasi tesi che fosse diretta ad applicare il combinato disposto degli artt. 56 e 628 cod. pen. nel caso di dolo eventuale, attesa l’incompatibilità di tale atteggiamento psicologico con il tentativo.
4.4. Con il quarto motivo, il ricorrente deduce, in relazione, genericamente, all’art. 606 cod. proc. pen., il «travisamento dei fatti dovuto all’errone interpretazione delle risultanze processuali – Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione».
Dopo avere richiamato il principio secondo cui l’imputato deve essere condannato se risulta colpevole «al di là di ogni ragionevole dubbio», il ricorrente sostiene che la Corte d’appello di Roma avrebbe illogicamente ignorato l’ipotesi della propria desistenza dal reato, ai sensi del terzo comma dell’art. 56 cod. pen., la quale sarebbe emersa dal fatto che la persona offesa NOME COGNOME, nella propria denuncia-querela del 26/03/2011, aveva dichiarato «ho sentito il ragazzo italiano che diceva agli altri “lasciamo stare andiamo via”»; il che sarebbe stato confermato dallo NOME nella dichiarazione da lui resa all’udienza del 03/07/2012, là dove egli ebbe ad affermare: «Qualcuno di loro ha detto pure “lascia stare” e poi lui mi ha dato pugno».
Poiché, pertanto, da ciò risulterebbe che egli, prima ancora che si consumasse l’aggressione, aveva esortato i propri amici a non commettere il reato, considerarlo compartecipe dello stesso si tradurrebbe in un vizio di illogicità della motivazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso del AVV_NOTAIO generale presso la Corte d’appello di Roma è fondato.
Il reato di lesioni aggravate dal cosiddetto nesso teleologico (art. 582, 585, primo comma, 576, primo comma, n. 1, cod. pen.) si prescrive in 6 anni.
L’interruzione della prescrizione, in ragione della sussistenza di atti interruttiv del corso di essa, comporta l’aumento di un quarto di tale termine, il quale risulta, quindi, di 7 anni e mezzo.
Rilevato che il reato di lesioni aggravate attribuito al ricorrente è stat commesso il 25/03/2011, esso si è quindi prescritto il 25/09/2018, cioè prima dell’emissione della sentenza di appello.
Ne discende che, ai sensi dell’art. 620, comma 1, lett. a), cod. proc. pen., la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente al suddetto reato di lesioni personali aggravate, per essere lo stesso estinto per prescrizione.
Deve, quindi, essere eliminato il relativo aumento di pena per la continuazione di un mese di reclusione ed C 100,00 di multa, con la conseguenza che la pena irrogata (per il solo reato di tentata rapina) deve essere rideterminata in undici mesi di reclusione ed C 200,00 di multa.
Il ricorso di NOME COGNOME.
2.1. Il primo motivo è fondato nella parte in cui deduce la prescrizione del reato di lesioni personali, per le ragioni che si sono appena esposte in relazione al ricorso del AVV_NOTAIO generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Roma, mentre è manifestamente infondato nella parte in cui deduce la prescrizione del reato di tentata rapina aggravata dall’essere state la violenza o minaccia commesse da più persone riunite.
A tale proposito, si deve anzitutto affermare, in linea con la giurisprudenza assolutamente maggioritaria della Corte di cassazione, che è condivisa dal Collegio, che della suddetta circostanza aggravante a effetto speciale si deve tenere conto ai fini del calcolo del termine di prescrizione del reato ancorché essa, nel giudizio di bilanciamento con le concorrenti circostanze attenuanti generiche, sia stata considerata subvalente (penultima pagina della sentenza di primo grado), atteso che il terzo comma dell’art. 157 cod. pen. esclude espressamente che il giudizio di bilanciamento di cui all’art. 69 cod. pen. abbia incidenza sulla determinazione della pena massima del reato (Sez. 4, n. 38618 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282057-01; Sez. 1, n. 36258 del 07/10/2020, COGNOME, Rv. 28005901; 9Sez. 2, n. 21704 del 17/04/2019, COGNOME, Rv. 275821-01; Sez. 2, n. 4687 del 15/11/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275639-01; Sez. 2, n. 4178 del 05/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 274899-01).
Ciò affermato, il reato di tentata rapina aggravata ai sensi del n. 1) del terzo comma dell’art. 628 cod. pen. si prescrive in 13 anni e 4 mesi (20 anni – pena massima che è prevista, a norma del suddetto terzo comma dell’art. 628 cod. pen. per il reato di rapina consumata aggravata dalla suddetta circostanza aggravante – meno un terzo, diminuzione minima per il tentativo).
Ne consegue che, anche senza considerare gli atti interruttivi del corso della prescrizione, lo stesso reato – che, come si è detto, è stato commesso il 25/03/2011 – si prescriverebbe soltanto il 25/07/2024.
2.2. Il secondo, il terzo e il quarto motivo – i quali, per la loro str connessione, possono essere esaminati congiuntamente – sono manifestamente infondati.
2.2.1. Costituisce un orientamento consolidato della Corte di cassazione quello secondo cui, ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, rico la cosiddetta “doppia conforme” quando la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest’ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale (tra le tante: Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218-01; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595-01; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 2012, NOME, Rv. 25261501).
È parimenti consolidato, nella giurisprudenza di legittimità, il principio secondo cui, nel caso di cosiddetta “doppia conforme”, il vizio di travisamento della prova può essere dedotto con il ricorso per cassazione sia nell’ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, sia quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez. 4, n. 35963 del 03/12/2020, COGNOME, Rv. 280155-01; Sez. 2, n. 5336 del 09/01/2018, L., Rv. 272018-01; Sez. 4, n. 44765 del 22/10/2013, COGNOME, Rv. 256837-01).
Costituisce, ancora, un principio pacificamente accolto dalla Corte di cassazione – e anch’esso, come i precedenti, condiviso dal Collegio – quello secondo cui, in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali a imporre una diversa conclusione del processo, sicché sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti
sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probator del singolo elemento (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 28074701; Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965-01).
2.2.2. Richiamati tal principi, affermati dalla Corte di cassazione, si deve rilevare che le conformi sentenze dei giudici di merito hanno affermato la responsabilità del COGNOME per il reato di tentata rapina aggravata a lui attribuito sulla scorta dei seguenti elementi di prova e argomentazioni: a) le dichiarazioni della persona offesa NOME COGNOME, il quale aveva riferito dell’aggressione da lui subita originata dalla richiesta di denaro che gli era stata rivolta e alla qual avevano partecipato più persone, tra cui egli, dopo che gli stessi aggressori erano stati rintracciati dagli agenti della polizia giudiziaria, aveva riconosciuto COGNOME; b) le dichiarazioni della testimone oculare NOME COGNOME, la quale aveva confermato la suddetta aggressione e che la stessa fu «corale» (quarta pagina della sentenza di primo grado) – nel senso che due degli aggressori colpivano e percuotevano la persona offesa mentre gli altri la insultavano, «così incitando e aderiscono alla condotta dei primi» (quarta pagina della sentenza di primo grado) – e che aveva indicato ai Carabinieri le direzione verso la quale gli aggressori si erano allontanati, descrivendone le fattezze fisiche; c) le dichiarazioni del Carabiniere NOME COGNOME, il quale aveva riferito che, intervenuto sul posto, aveva trovato la persona offesa che presentava segni di percosse, e che, avviatosi nella direzione che gli era stata indicata dalle ragazze che avevano assistito ai fatti, aveva avvistato gli imputati, che corrispondevano alla descrizioni raccolte, e, con l’ausilio di altri agenti di polizia giudiziaria, li aveva bloccati.
Tale motivazione risulta idonea a evidenziare, in modo che non appare né contraddittorio né manifestamente illogico, la sussistenza: a) sia degli elementi costitutivi del reato di tentata rapina, segnatamente, la commissione di atti di violenza alla persona dello NOME per procurarsi i soldi che questi aveva rifiutato di dare, atti che, contrariamente a quanto viene sostenuto dal ricorrente, risultano evidentemente idonei e diretti in modo non equivoco a commettere il delitto di rapina; b) sia del concorso del COGNOME nello stesso reato di tentata rapina, essendo emerso dagli indicati elementi di prova come questi, nel corso dell’aggressione, lungi dal mantenere un comportamento meramente passivo, inidoneo ad apportare alcun contributo alla realizzazione del reato, aveva dato un contributo positivo, partecipando alla stessa aggressione, la quale fu, come riferito anche dalla testimone COGNOME, oltre che dal NOME, «corale», atteso che anche i soggetti che, come il COGNOME, non usarono materialmente violenza, insultavano e incitavano gli altri, così aderendo alla loro condotta.
A fronte di ciò, le doglianze del ricorrente appaiono sostanzialmente dirette a sollecitare una differente valutazione del significato probatorio da attribuire alle
diverse prove o a evidenziare ragioni in fatto, il che non è possibile fare in sede di legittimità.
Quanto, in particolare, all’asserita desistenza, si deve ricordare che la desistenza volontaria ha natura di esimente, con la conseguenza che l’imputato ha l’onere di provare o, almeno, di allegare, le circostanze di fatto in base alle quali essa sarebbe venuta a essere integrata (Sez. 6, n. 16155 del 07/06/1989, COGNOME, Rv. 182607-01).
D’altro canto, secondo la giurisprudenza di legittimità, nell’ipotesi di concorso nel reato plurisoggettivo, il concorrente, per beneficiare della desistenza volontaria, non può limitarsi a interrompere la propria azione criminosa, occorrendo, invece, un quid pluris, consistente nell’annullamento del contributo dato alla realizzazione collettiva e nella eliminazione delle conseguenze dell’azione che fino a quel momento si sono prodotte (Sez. 2, n. 22503 del 24/04/2019, Calabrò, Rv. 275421-01; Sez. 1, n. 9284 del 10/01/2014, COGNOME, Rv. 25925001; Sez. 1, n. 9775 del 10/02/2008, COGNOME, Rv. 239175-01).
Nel caso di specie, il concorrente ricorrente che, come si è detto, partecipò effettivamente all’aggressione, non risulta avere compiuto alcuna azione idonea a elidere il contributo quanto meno morale che aveva fornito alla commissione della tentata rapina.
Pertanto: a) la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente al reato di lesioni personali aggravate di cui al capo B) dell’imputazione, per essere lo stesso estinto per prescrizione, con eliminazione del relativo aumento di pena di un mese di reclusione ed C 100,00 di multa (in conseguenza di tale eliminazione, la pena risulta rideterminata in undici mesi di reclusione ed C 200,00 di multa; b) il ricorso di NOME COGNOME deve essere dichiarato inammissibile nel resto.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente al reato di cui al capo B) per essere lo stesso estinto per prescrizione ed elimina la relativa pena di un mese di reclusione ed euro cento di multa. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso di COGNOME NOME.
Così deciso il 16/02/2024.