Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 15064 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 15064 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 24/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOMECOGNOME nata a Casalnuovo di Napoli in data 18/02/1964 NOME NOMECOGNOME nato a Casalnuovo di Napoli in data 04/10/1962 NOMECOGNOME nato ad Andria il 23/01/1956
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Bari del 02/10/2023
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che conclude per l’annullamento con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Bari, limitatamente alla applicabilità della circostanza attenuante prevista dall’art. 73, comma 7, d.P.R. n. 309 del 1990 in relazione ai reati di cui ai capi b) e c), nei confronti di NOME GiuseppeCOGNOME rigetto del ricorso n resto. Chiede il rigetto dei ricorsi proposti da NOME e NOME;
udito l’avv. COGNOME COGNOME in difesa di COGNOME COGNOME che insiste nell’accoglimento del ricorso, associandosi anche alle conclusioni rassegnate dal Proc. Gen;
udito l’avv. COGNOME COGNOME in difesa di COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME che si riporta ricorsi chiedendone l’accoglimento;
udito l’avvocato COGNOME COGNOME in difesa di COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME che si riporta integralmente al contenuto del ricorso chiedendone l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza del 22/10/2013 il Gup del Tribunale di Bari, all’esito di giudizio abbreviato, ha dichiarato NOME COGNOME, NOME NOME, e NOME responsabile di reati loro rispettivamente ascritti, avvinti dal vincolo dell continuazione, e, per l’effetto, concessa a NOME COGNOME la circostanza attenuante di cui all’articolo 74, comma 7, d.P.R. n. 309 del 1990 e a NOME NOME le circostanze attenuanti generiche, applicata a tutti la diminuente del rito, ha condannato NOME COGNOME alla pena di anni 10 di reclusione, NOME NOME alla pena di anni 8 e mesi 8 di reclusione, NOME NOME alla pena di anni 16 di reclusione oltre che al pagamento delle spese processuali e pene accessorie di legge.
2.Gli imputati sono stati condannati poiché ritenuti partecipi di un’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti e psicotrope nonché per avere detenuto, in concorso tra loro, ingenti quantità di cocaina di cui ai capi b) e c) d’imputazione.
Su impugnazione degli imputati, la Corte d’appello, con decisione del 02/10/2023, in parziale riforma della sentenza censurata, riduceva la pena per NOME ad anni 6 di reclusione; per NOME NOME riconosciute le circostanze attenuanti generiche, rideterminava la pena applicata in anni 6 e mesi 6 di reclusione. per NOME, riconosciuta la circostanza attenuante di cui all’art. 74, comma 7, d.P.R. n. 309 del 1990, rideterminava la pena in anni 10 e mesi 8 di reclusione.
Confermava nel resto la sentenza appellata.
Avverso tale ultimo provvedimento, tramite difensore, propongono ricorso per Cassazione gli imputati, affidando l’impugnazione alle seguenti doglianze.
4.11 ricorso presentato dagli avv.ti COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME è articolato nei seguenti motivi.
4.1.Nel primo, relativo al capo a), si lamenta il vizio di violazione di legge i relazione all’art. 157 cod. pen., nella sua formulazione ante legge COGNOME, e all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990; si deduce, altresì, il vizio di motivazione pe illogicità e contraddittorietà della sentenza impugnata nella parte relativa all’individuazione del periodo di cessazione della partecipazione della ricorrente all’associazione in contestazione, contraddittorietà ed illogicità che avrebbero comportato, quale conseguenza, un calcolo errato in ordine ai tempi incidenti sulla prescrizione, con conseguente, erroneo diniego della dichiarazione di
estinzione del reato ai sensi dell’art. 157 cod. pen., applicabile al caso dì specie, nella sua formulazione ante legge COGNOME.
In particolare, si lamenta che la Corte d’appello pugliese abbia erroneamente individuato il dies a quo del decorso del tempo utile ai fini della prescrizione nella data del 01/06/2001, ignorando la circostanza che l’imputata aveva tenuto una condotta incompatibile con la volontà di continuare a far parte dell’associazione di cui in contestazione già dal 16/02/2001.
In proposito si riporta quanto già osservato nello scritto difensivo del 18 settembre 2023, in cui si evidenziava che, dalla lettura della nota della direzione distrettuale antimafia di Lecce del 16 marzo 2023, in cui si dava atto che in data 16 Febbraio 2001 l’ufficio aveva richiesto misure urgenti ai sensi degli art. 11, comma uno, legge n. 82 del 1991 e art. 4, di. 687 del 1994, il collegio territoriale avrebbe dovuto logicamente desumere che l’adozione delle misure urgenti era stata necessariamente preceduta dalla manifestazione formale da parte della NOME della volontà di dissociarsi dal sodalizio onde fornire notizie utili per le indagini; e che dunque la cessazione dell’appartenenza al sodalizio avrebbe dovuto essere collocata proprio in data 16 febbraio 2001, posto che la considerata data del giorno 1 giugno 2001, era stata individuata in ragione della data del verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione, da ritenersi, invece, nella prospettiva difensiva, elemento subvalente rispetto al contenuto della nota della DDA indicata.
L’erronea individuazione del dies a quo avrebbe dunque determinato il censurato diniego della dichiarazione della prescrizione del reato, là dove, invece, una sua corretta individuazione nella data del 16 febbraio 2001 avrebbe consentito alla Corte di rilevare la prescrizione già maturata.
4.2.Nel secondo motivo di ricorso, relativo al capo c), si lamenta il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 157 e 69 comma 2, e 4, cod. pen., e il vizio di motivazione in relazione al diniego della invocata dichiarazione di prescrizione in ordine alla avvenuta prescrizione del capo c) in data 01/07/2022.
Nello specifico, si censura che la Corte barese abbia erroneamente escluso la prescrizione avendo individuato il tempo necessario in anni trenta, alla luce dell’applicazione dell’aggravante ad effetto speciale di cui all’art. 80, secondo comma, d.P.R. n. 309 del 1990, mentre più correttamente avrebbe dovuto computare il tempo della prescrizione in anni 22 e mesi 6 dalla data della commissione del reato, posto che la contestata aggravante ex art. 80, secondo comma, d.P.R. n. 309 del 1990 era da ritenersi implicitamente esclusa in primo grado, non risultando che il Gup avesse comminato, nel trattamento sanzionatorio, il relativo aumento di pena, non avendovi fatto riferimento né nella parte motiva, né nella parte dispositiva.
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In ogni caso, anche a voler ritenere che il Gup abbia applicato l’aggravante speciale, la Corte d’appello avrebbe omesso di considerare che, in ragione del giudizio di prevalenza dell’attenuante del comma 7 dell’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 rispetto a tutte le aggravanti, l’afflittività dell’aggravante ex art. 80 cit sarebbe stata deprivata di concreta afflittività, ragione per la quale, anche in tale evenienza, non avrebbe potuto influire sui tempi della prescrizione.
4.3. Nel terzo motivo di ricorso, relativo al capo c), si lamenta il vizio violazione di legge e di motivazione in relazione all’omessa pronuncia della Corte d’appello in ordine allo specifico tema della sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 80 d.P.R. n. 309 del 1990 introdotto con i motivi nuovi d’appello nonché in sede di discussione orale.
Si osserva altresì, in relazione al reato di cui al capo c), che il dato ponderale della cocaina sequestrata, pari a kg. 1,2 in assenza della prova dell’esame del principio attivo della stessa, non consentiva, comunque, di ritenere sussistenti gli elementi costitutivi dell’aggravante della ingente quantità.
4.4.Nel quarto motivo di ricorso si lamenta il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 132 cod. pen.
Il calcolo interno della pena stabilita per il reato di cui al capo c) sarebbe stat del tutto omesso, con la conseguenza che, sul punto, la decisione non consente di verificare se i sei anni di reclusione comminati per l’aumento di cui all’art. 8 cpv cod. pen. comprendano, o meno, l’aggravante di cui all’art. 80 d.P.R. n. 309 del 1990, omessa motivazione vieppiù rilevante posto che il riconoscimento o meno dell’aggravante speciale rileva ai fini della statuizione della pena e del conseguente tempo utile alla prescrizione.
4.5. Nel quinto motivo di ricorso si lamenta il vizio di violazione di legge e di motivazione in relazione alla commisurazione della pena infitta in misura molto superiore rispetto ai limiti edittali; ad avviso della difesa, il riferimento gravità delle condotte dell’imputata e della importanza del suo ruolo all’interno del sodalizio senza ulteriori esplicitazioni addotti a supporto dell’individuazione della pena base, integrerebbe una motivazione totalmente deficitaria.
Si lamenta, inoltre, la contraddittorietà della motivazione nella parte in cui, da un lato, vi è l’applicazione della attenuante prevista dalla “legge pentiti” nella su massima estensione, dall’altro, l’irrogazione di una pena che si discosta molto dal minimo edittale.
4.6.Nel medesimo motivo, si lamenta altresì, la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche sulla base di una mera formula di stile.
Da ultimo si contesta che il severo aumento disposto per la continuazione con il capo c) non sia stato sorretto da adeguata motivazione, anche e soprattutto alla luce della concessione dell’attenuante della collaborazione nella sua massima estensione.
Le argomentazioni sono ripetute nella memoria di replica depositata in atti.
Il ricorso presentato dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME nell’interesse di COGNOME NOME è articolato nelle seguenti censure.
5.1.Nel primo motivo di ricorso, si lamenta il vizio di violazione di legge in relazione agli art. 157 cod. pen. e art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 e il vizio d motivazione, riproponendo pedissequamente le doglianze proposte nel primo motivo di ricorso presentato nell’interesse di NOME COGNOME
Essendo la posizione del ricorrente completamente ed appiattita rispetto a quella della sorella, anche per il primo si deducono le medesime considerazioni illustrate nel motivo di ricorso della NOME in relazione alla data del cessazione dell’appartenenza all’associazione.
Anche la partecipazione del COGNOME NOME, dunque, sarebbe terminata in data 16/02/2021, con conseguente maturazione dei tempi di prescrizione per il reato di cui al capo a).
5.2.Nel secondo motivo di ricorso si lamenta il vizio di motivazione in relazione agli artt. 110 cod. pen. 74 d.P.R. n. 309 del 1990.
Ad avviso della difesa la motivazione è carente relativamente all’elemento psicologico, la Corte d’appello avrebbe richiamato solo sporadici episodi di condotte materiali a fronte delle plurime dichiarazioni con le quali NOME ha ridimensionato il reale ruolo svolto dal fratello sottolineandone la marginalità.
La Corte d’appello avrebbe omesso, in dispregio degli insegnamenti della giurisprudenza di legittimità, di illustrare quale sia stato l’apporto concreto riconoscibile del ricorrente alla vita dell’associazione con carattere di stabilità “consapevolezza oggettiva”.
5.3.Nel terzo motivo di ricorso, si lamenta il vizio di violazione di legge i relazione agli artt. 80 d.P.R. n. 309 del 1990, e 157 legge ante Cirielli, e 69, comma 2 e 4, cod. pen.
Si lamenta altresì il vizio di motivazione relativamente al motivo afferente alla dichiarazione di prescrizione del capo c).
La Corte d’appello, ad avviso del ricorrente avrebbe erroneamente computato in anni 22 e mesi 6 il tempo utile alla prescrizione in considerazione della contestazione dell’aggravante di cui all’art. 80. Tale aggravante, tuttavia, ad avviso della difesa, sarebbe stata implicitamente disconosciuta dal giudice di primo grado che nulla ha motivato in ordine alla stessa né nella parte dispositiva né nella parte relativa al trattamento sanzionatorio.
In ogni caso, anche qualora fosse stata riconosciuta la contestata aggravante, la prevalenza riconosciuta dal Gup alla attenuante di cui all’art. 74, comma 7, ne avrebbe escluso il rilievo ai fini della prescrizione.
5.4. Nell’ultimo motivo di ricorso si lamenta il vizio di violazione di legge relazione all’art. 80, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990 e art. 24 della Costituzione, in relazione alla mancata esclusione dell’aggravante della ingente quantità.
Si deduce la mancanza di motivazione in ordine calcolo interno della pena stabilita per il reato di cui al capo c), con la conseguenza che, sul punto, l decisione non consente di verificare se i sei anni di reclusione comminati per l’aumento di cui all’art. 81 cpv cod. pen. comprendano, o meno, l’aggravante di cui all’art. 80 d.P.R. n. 309 del 1990, omessa motivazione vieppiù rilevante posto che il riconoscimento o meno dell’aggravante speciale rileva ai fini della statuizione della pena e del conseguente tempo utile alla prescrizione.
Le argomentazioni sono ripetute nella memoria di replica depositata in atti.
6.11 ricorso proposto dall’avv. COGNOME nell’interesse di NOME Giuseppe è articolato nei seguenti motivi.
6.1. Nel primo motivo di ricorso si lamenta l’erronea, illogica motivazione in ordine alla mancata estensione delle circostanze attenuanti generiche di cui all’art. 62 bis cod. pen., riconosciute dal primo giudice in favore del ricorrente per il delitto di cui al capo a), ai delitti di cui ai capi b) e c) d’imputazione.
Detta estensione avrebbe potuto essere possibile in ragione del carattere soggettivo dell’attenuante della collaborazione con la giustizia da parte dell’imputato al fine di eliminare le conseguenze dannose della condotta.
Il riconoscimento dell’art. 62-bis cod. pen. anche per i reati di cui ai capi b) c), in giudizio di prevalenza sulle circostanze aggravanti contestate per detti reati, avrebbe determinato la riduzione del termine di prescrizione dei delitti in contestazione di cui ai capi b) e c) in anni 22 e mesi, con conseguente dichiarazione di estinzione dei suddetti reati per maturata prescrizione.
6.2. Il secondo motivo di ricorso denuncia il vizio di motivazione in ordine alla individuazione del termine di decorrenza del tempo necessario a prescrivere il delitto di cui al capo a).
Si osserva che la Corte d’appello ha omesso di considerare quale dies a quo il 6 giugno 2000, data in cui l’imputato, al momento del suo arresto, aveva iniziato il suo percorso di collaborazione con la giustizia.
Il ricorrente deduce la contraddittorietà della decisione impugnata nella parte in cui, da un lato, non attribuisce alcun effetto all’atteggiamento collaborativo dell’odierno ricorrente al fine di valutarne il recesso dall’associazione di cui a capo a), dall’altro ne riconosce il recesso attivo ai fini della concessione, per capo a), della circostanza attenuante di cui all’articolo 74 comma 7, d.P.R. n. 309 di 1990, proponendo dunque una motivazione contraddittoria, errata e suscettibile di annullamento.
6.3. Nel terzo motivo di ricorso si denuncia il vizio di omessa motivazione in ordine alla mancata concessione dell’attenuante di cui all’articolo 73, comma 7, d.P.R. n. 309 del 1990 per i reati indicati in rubrica ai capi b) e c).
6.4.Nel quarto motivo di ricorso si lamenta il vizio di omessa motivazione in relazione ai criteri logico motivazionali riguardanti i singoli aumenti di pena, pe effetto della continuazione, fra i reati di cui ai capi a), b) e c).
In sostanza si lamenta che pur a fronte alla specifica richiesta in sede l’appello di una accurata definizione della dosimetria sanzionatoria in ordine alle fattispecie delittuose per cui il ricorrente veniva riconosciuto responsabile la Corte d’appello si era limitata prospettare, con motivazione carente, un mero riferimento ai criteri di cui all’articolo 133 cod. pen. e alla equità della p irroganda. Sebbene la Corte d’appello abbia effettivamente accolto in parte le istanze difensive riducendo gli aumenti per la continuazione, anche nella commisurazione dei meno severi aumenti ha omesso del tutto di motivare i criteri a fondamento della loro congruità.
6.5.Nel quinto motivo di ricorso si lamenta il vizio di omessa motivazione in relazione alla mancata individuazione ed indicazione dei criteri logici sottesi alla commisurazione della pena base per il delitto di cui al capo a), individuata in anni 16 di reclusione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME riferit all’avvenuta prescrizione del capo a) d’imputazione, è fondato.
1.1. Appare anzitutto rilevante evidenziare che la contestazione del reato associativo di cui al capo a) è stata operata espressamente in forma aperta.
La questione sottoposta ai giudici del merito è stata, dunque, l’individuazione della data della cessazione della permanenza, quale dies a quo per il computo dei termini di prescrizione.
La Corte d’appello ha escluso il maturarsi della prescrizione, sulla base della coincidenza della cessazione della permanenza del reato associativo con l’emissione della sentenza di primo grado avvenuta nel 2013, non ritenendo rilevante, la circostanza che in data 16/02/2001, la DDA di Lecce aveva richiesto per NOME COGNOME l’adozione di misure urgenti ai sensi dell’art. 11, comma 1, legge n. 82 del 1991 e art. 4 d.l. 687 del 1994, dal momento che il vaglio positivo in ordine ai contenuti delle dichiarazioni rese dall’imputata in data precedente al 16/02/2001, – e quindi sulla sua reale volontà di pendere le distanze dall’associazione – è intervenuto solo dopo il formale avvio del procedimento, ovvero tra il giugno del 2001 e l’aprile del 2002.
Tanto premesso il Collegio ritiene non condivisibile quanto affermato dai giudici di merito.
Giova richiamare l’insegnamento secondo il quale nel caso di reati permanenti in cui la contestazione sia effettuata nella forma cd. “aperta” o a “consumazione in atto”, senza indicazione della data di cessazione della condotta illecita, la regola processuale secondo cui la permanenza si considera cessata con la pronuncia della sentenza di primo grado non equivale a presunzione di colpevolezza fino a quella data, spettando all’accusa l’onere di fornire la prova a carico dell’imputato in ordine al protrarsi della condotta criminosa fino all’indicat ultimo limite processuale e all’imputato l’onere di allegazione di eventuali fatt interruttivi della partecipazione al sodalizio ( Sez. 2, n. 37104 del 13/06/2023, COGNOME, Rv. 285414 – 01).
Dell’enunciato principio non ha fatto corretta applicazione il provvedimento impugnato che, nonostante gli specifici rilievi difensivi formulati dal ricorrent ha fornito una motivazione risultata intrinsecamente illogica nella misura in cui, pur ritenendo pienamente efficace la collaborazione svolta, tanto da concedere l’attenuante di cui al comma 7 dell’art. 74 nella sua massima estensione, non ha ritenuto di considerare, quale data in cui la COGNOME ha manifestato la volontà di prendere le distanze dal sodalizio, quella della richiesta di adozione, da parte della Dda di Lecce delle citate misure urgenti, omettendo di considerare che ai sensi dell’art. 9, comma 3, del d.l. 15 gennaio 1991 n. 8 convertito con modificazioni dalla L. 15 marzo 1991, n. 82, tale richiesta è giustificata solo a fronte di collaborazioni o dichiarazioni rese nel corso del procedimento penale aventi “carattere di intrinseca attendibilità”, che appaiano “di notevole importanza per lo sviluppo delle indagini o ai fini del giudizio ovvero per le attività di investigazione sulle connotazioni strutturali, le dotazioni di ar esplosivi o beni, le articolazioni e i collegamenti interni o internazionali del organizzazioni criminali di tipo mafioso o terroristico-eversivo o sugli obiettivi, finalità e le modalità operative di dette organizzazioni”. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
La valutazione compiuta dalla DDA di Bari, unitamente alla oggettiva efficacia della collaborazione, sono elementi che avrebbero dovuto indurre la Corte d’appello a collocare nei tempi indicati dalla difesa la manifestazione della volontà dissociativa della Cestari, e dunque la decorrenza dei termini di prescrizione.
La fondatezza del motivo consente a questo Collegio di rilevare il decorso dei termini di prescrizione, ragione per la quale va disposto nei confronti di NOME COGNOME, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente al capo a).
1.2. Il secondo motivo di ricorso non è fondato.
Il primo giudice (pag. 46 della sentenza di primo grado) ha affermato la responsabilità della ricorrente, di COGNOME NOME e di NOME, in concorso tra loro, in ordine al reato di cui al capo c) «così come loro ascritto» ritenendo pertanto la configurabilità, come emerge dalla relativa motivazione (pag. 25 ss. della sentenza di primo grado), dell’aggravante dell’ingente quantità, di cui all’art. 80 legge n. 309 del 1990.
Nel calcolare la pena, il primo giudice, avendo affermato la responsabilità della ricorrente anche in ordine al reato associativo (capo a) ha, poi, dichiarato (pag. 101 e 102 della sentenza di primo grado) la prevalenza della diminuente della collaborazione (sull’aggravante del solo reato associativo), tant’è che ha diminuito la pena base per tale ultimo reato della metà (18 anni di reclusione :2= 9 anni di reclusione). Sulla pena determinata per il reato base, il primo giudice ha operato l’aumento (sei anni di reclusione) per la continuazione in relazione al reato di cui al capo c), così come contestato, ossia con l’aggravante dell’art. 80 cit., e ritenuto in sentenza (a pag. 46), ossia con l’aggravante dell’ingente quantità.
Il giudice di secondo grado ha soltanto concesso l’attenuante della collaborazione nella massima estensione, incidendo solo sulla pena del reato associativo, non anche del reato satellite, oggetto di autonoma determinazione in aumento.
Non è dunque fondato l’assunto della ricorrente in forza del quale non sarebbe stato disposto alcun aumento per detta aggravante ex art. 80 d.P.R. n. 309 del 1990, con la conseguenza che non trova applicazione il principio, evocato nel secondo motivo di ricorso, stabilito dalle Sezioni unite Grassi.
1.3. Il terzo e il quarto motivo di ricorso, essendo tra loro collegati, possono essere congiuntamente valutati.
Con il motivo di appello (pag. 5 e 6) e con i motivi aggiunti (pag. 5 n. 2), l ricorrente aveva lamentato violazione di legge sugli aumenti per la continuazione, avendo il primo giudice omesso qualsiasi motivazione a riguardo, e sulla configurabilità dell’aggravante ex art. 80 legge n. 309 del 1990 (doglianza, quest’ultima, meglio approfondita con i motivi aggiunti e, all’evidenza, collegata alla determinazione della pena in relazione alla struttura del reato continuato).
La Corte di merito non ha preso assolutamente in carico la doglianza sulla configurabilità dell’aggravante dell’ingente quantità e neppure ha indicato i criteri che hanno determinato l’aumento per il reato satellite di cui al capo c).
Sebbene quest’ultimo punto della decisione sarà destinato a rimanere assorbito per effetto dello scioglimento del reato continuato, consegue, per effetto dell’omessa motivazione circa la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 80 legge n. 309 del 1990, l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata in relazione al reato di dui al capo c).
Il giudice del rinvio, con logica e adeguata motivazione, accerterà, prioritariamente e con gli stessi poteri che aveva il giudice della sentenza annullata, se sia o meno sussistente l’aggravante di cui all’art. 80 legge n. 309 del 1990, traendo le necessarie conseguenze in tema di prescrizione del reato qualora l’aggravante dovesse ritenersi non configurabile.
Ritenuta invece la configurabilità della suddetta aggravante ovvero non decorso il termine di prescrizione, essendo stata sciolta la continuazione a seguito della declaratoria di estinzione del reato di cui al capo a), il giudice di rinvio proceder alla rideterminazione della pena in ordine al reato di cui al capo c), tenuto anche conto della diminuente del rito e del divieto della reformatio in peius.
Venuti meno i reati satelliti, residuando il solo reato di cui al capo c), la doglianz sull’omessa motivazione circa l’aumento di pena per la continuazione resta assorbita.
1.4. Anche i restanti motivi di ricorso di RAGIONE_SOCIALE restano, allo stato, assorbiti
2.11 primo motivo di ricorso presentato nell’interesse di COGNOME NOME in relazione al capo a) è inammissibile in quanto generico.
2.1.Nel motivo si deduce la dissociazione dell’imputato semplicemente evocando in suo favore, sull’assunto di una sua posizione associativa subordinata, le considerazioni svolte in ordine alla dissociazione della sorella NOME
Tuttavia, nella doglianza non si deduce alcun elemento concreto dal quale desumere la volontà di recedere dal sodalizio e la conseguente necessità di retrodatare il dies a quo per il calcolo del decorso della prescrizione alla data in cui la DDA ha chiesto per la NOME le misure urgenti, posto che per l’odierno ricorrente non risultano essere state richieste le medesime misure.
2.2. Il secondo motivo di ricorso, relativo al capo a) è inammissibile perché manifestamente infondato.
E’ principio affermato da questa Corte in relazione al sodalizio di cui all’art. 74 cit., che la condotta di partecipazione all’associazione deve ritenersi «a forma libera, nel senso che il comportamento del partecipe può realizzarsi in forme e contenuti diversi, purché si traduca in un contributo non marginale ma apprezzabile alla realizzazione degli scopi dell’organismo; in questo modo, infatti, si verifica la lesione degli interessi salvaguardati dalla norma incriminatrice, qualunque sia il ruolo assunto dall’agente nell’ambito dell associazione» (Sez. 3, n. 35975 del 26/05/2021, COGNOME, Rv. 282139 – 01).
Condivisibile è inoltre l’insegnamento secondo cui ai fini dell’integrazione della condotta di partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di stupefacenti di cui all’art. 74, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 è sufficiente anche l’adesione e
l’apporto di un contributo per una fase temporalmente limitata. (Sez. 3, n. 27910 del 27/03/2019, COGNOME, Rv. 276677 – 01).
La Corte ha fatto buon governo di tali principi, fornendo, con motivazione non manifestamente illogica, un’ampia descrizione dell’organizzazione e delle modalità operative dell’associazione dedita al traffico di sostanze stupefacenti e del ruolo ricoperto dal COGNOME, descrivendone l’impegno fiduciario fornito negli episodi accuratamente descritti a pag. 11 della motivazione, in base al contenuto degli interrogatori di NOME del 5/03/2002 e dell’8/03/2001 in cui si è riferito di una partecipazione consapevole e non occasionale del fratello al recupero dei proventi del traffico dello stupefacente e alle conversazioni intercettate richiamate a pag. 79 e seguenti della decisione di primo grado.
2.3. Il terzo motivo – mediante il quale il ricorrente assume essersi verificata la prescrizione del reato perché l’aggravante dell’ingente quantità, di cui all’art 80 d.P.R. n. 309 del 1990, sarebbe stata ritenuta dal primo giudice subvalente non incidendo sul trattamento sanzionatorio – è inammissibile, in quanto nuovo perché non sollevato con i motivi di appello.
In ogni caso, il motivo sarebbe anche manifestamente infondato perché il primo giudice ha stimato comunque equivalenti le attenuanti generiche e, per altro, solo con riferimento al reato associativo (pag. 101 e 102 sentenza di primo grado).
Il giudice d’appello si è limitato a prevedere la prevalenza delle attenuanti generiche ma solo con riferimento al reato associativo, per cui vale quanto in precedenza precisato per la posizione di NOME COGNOME
2.4. Il quarto motivo è invece parzialmente fondato per quanto di ragione.
2.4.1. Va precisato che la doglianza – nella parte in cui deduce l’inconfigurabilità dell’aggravante dell’ingente quantità, di cui all’art. 80 d.P.R. 309 del 1990 – è inammissibile, in quanto la censura non è stata sollevata con i motivi di appello.
Nondimeno, il giudice del rinvio ne dovrà tenere conto, per l’effetto estensivo, in relazione alla delibazione del motivo accolto riguardo alla posizione di NOME (sub 1.3.), trattandosi di un motivo non strettamente personale ed essendo stato il reato di cui al capo c) contestato in concorso.
2.4.2. Con il quarto motivo, inoltre, il ricorrente sostiene che non sarebbe stato motivato l’aumento per la continuazione del reato di cui al capo c) in relazione al reato associativo di cui al apo a).
La doglianza è fondata in parte qua.
Avendo omesso qualsiasi congrua motivazione in proposito, la Corte di merito ha infatti disatteso al principio di diritto secondo il quale, in tema quantificazione della pena a seguito di applicazione della disciplina del reato continuato, tanto in sede di giudizio di cognizione quanto in sede esecutiva, il
giudice – in quanto titolare di un potere discrezionale esercitabile secondo i parametri fissati dagli artt. 132 e 133 cod. pen. – è tenuto a motivare, non solo in ordine all’individuazione della pena-base, ma anche in ordine all’entità dei singoli aumenti per i reati-satellite ex art. 81, comma secondo, cod. pen., in modo da rendere possibile un controllo effettivo del percorso logico e giuridico seguito nella determinazione della pena, non essendo all’uopo sufficiente il semplice rispetto del limite legale del triplo della pena-base (Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, COGNOME in motivazione; Sez. 1, n. 800 del 07/10/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280216 – 01).
Da tutto ciò consegue che il ricorso va dichiarato inammissibile con riferimento al reato di cui al capo a) e la sentenza impugnata va annullata con rinvio in relazione al reato di cui al capo c) nonché per l’eventuale rideterminazione del trattamento sanzionatorio.
Il giudice del rinvio, con logica e adeguata motivazione, accerterà, prioritariamente e con gli stessi poteri che aveva il giudice della sentenza annullata, se sia o meno sussistente l’aggravante di cui all’art. 80 d.P.R. n. 309 del 1990, traendo, sulla base dell’effetto estensivo prodotto dal motivo di ricorso di NOME COGNOME, le necessarie conseguenze in tema di prescrizione del reato qualora l’aggravante dovesse ritenersi non configurabile.
Ritenuta invece la configurabilità della suddetta aggravante ovvero non decorso il termine di prescrizione, non essendo stata sciolta la continuazione a seguito della declaratoria di inammissibilità del ricorso per il reato di cui al cap a), il giudice di rinvio procederà a motivare l’aumento di pena per il reato di cui al capo c), in continuazione con quello di cui al capo a), tenuto anche conto della diminuente del rito.
3.11 secondo motivo di ricorso, proposto da NOME COGNOME in cui si denuncia il vizio di motivazione in ordine alla individuazione del termine di decorrenza del tempo necessario a prescrivere i delitti di cui ai capi a), da analizzare in vi logicamente prioritaria rispetto agli altri inerenti al trattamento sanzionatorio, inammissibile perché manifestamente infondato.
Questa Suprema Corte ha più volte affermato il principio secondo cui nei delitti associativi il momento della privazione della libertà dell’agente a causa dell’intervento coattivo dell’autorità non determina necessariamente l’estromissione della persona dalla associazione o il suo recesso da questa, sicché solo nell’evenienza che possa ritenersi raggiunta la prova circa l’avvenuto verificarsi dell’una o dell’altra di questa condizioni dovrà riconoscersi all’arrest valore di atto interruttivo della permanenza nel reato (e su ciò nessun apporto concreto offre il ricorrente). Per contro, la sentenza, anche non irrevocabile, che accerti la responsabilità dell’imputato, vale a interrompere l’attività, ancorché in
corso, conseguendone che la porzione di condotta illecita successiva alla pronuncia, se pur ontologicamente non disgiungile dalla precedente, sarà perseguibile a titolo di reato autonomo, anche se non si è ancora formato il giudicato sulla responsabilità (Sez. 1, n. 550 del 10/02/1993, P.G. in proc. Sepe ed altro, Rv. 193335; Sez. 3, n. 10075 del 27/01/2009, Lazri, Rv. 243104; si vedano anche: Sez. 2, n. 6252 del 09/02/2006, COGNOME, Rv. 233857; Sez. 3, n. 10075 del 27/01/2009, 243104, Rv. 243104; Sez. 5, n. 31111 del 19/03/2009, NOME, Rv. 244479).
La Corte d’appello ha fatto corretta applicazione di tale principio affermando, con motivazione immune dai vizi logici dedotti, e pertanto non censurabile in questa sede, di non poter valorizzare le dichiarazioni rese dal COGNOME nel corso degli interrogatori perché connotate da profili di reticenza e incompletezza.
Né tale conclusione contrasta, come dedotto dal ricorrente, con la circostanza del riconoscimento, proprio in sede d’appello, della circostanza attenuante di cui all’art. 74, comma 7, d.P.R. n. 309 del 1980, posto che la diminuzione della pena da essa determinata non è stata riconosciuta nella sua massima estensione, proprio in virtù dei suindicati profili di incompletezza.
Correttamente, dunque la decisione impugnata ha escluso, per NOME, il maturarsi della prescrizione per il capo a), alla luce della coincidenza del dies a quo per il calcolo della prescrizione nella data della decisione di prime cure.
3.2. Il primo motivo di ricorso, in cui il ricorrente lamenta la mancata estensione delle circostanze attenuanti generiche di cui all’art. 62 bis cod. pen., riconosciute dal primo giudice in favore del ricorrente per il delitto di cui al ca a) che per i delitti di cui ai capi b) e c) d’imputazione, è fondato e merit accoglimento.
Questo Collegio ribadisce il condivisibile principio secondo cui ritenuta la continuazione tra più reati, il giudice può riconoscere le attenuanti generiche secondo i parametri “oggettivi” o “soggettivi” previsti dall’art. 133 cod. pen. sicché se la concessione richiama elementi di fatto di natura oggettiva l’applicazione sarà riferita allo specifico fatto reato senza estensione del beneficio a tutti i reati avvinti dal vincolo della continuazione, mentre se gli element circostanziali siano riferibili all’imputato, sulla base di elementi di fatto di nat soggettiva, l’applicazione deve essere riferita indistintamente a tutti i reati un dal vincolo della continuazione (Sez. 2, n. 10995 del 13/02/2018, Perez, Rv. 272375 – 01; Sez. 1, n. 20945 del 25/02/2021, Casarano, Rv. 281562 – 01).
La Corte territoriale non ha fatto buon governo di tali principi nonostante I circostanze generiche siano state riconosciute per la condotta collaborativa post delictum tenuta dall’imputato.
Per questa ragione la decisione va annullata sul punto con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello per le conseguenti valutazioni sul punto.
3.3. Il terzo motivo di ricorso denuncia il vizio di omessa motivazione in ordine alla mancata concessione dell’attenuante di cui all’articolo 73, comma 7, d.P.R. n. 309 del 1990 per i reati indicati in rubrica ai capi b) e c) è fondato merita accoglimento.
La Corte distrettuale non ha espresso alcuna valutazione in merito alla sussistenza degli estremi per l’applicabilità della circostanza attenuante prevista dall’art. 73, comma 7, d.P.R. n. 309 del 1990 ai reati di cui ai capi b) e c), nell parte motiva la Corte esplicita le ragioni a fondamento della sussistenza dei presupposti dell’attenuante di cui all’art. 74, comma 7 d.P.R. ma nulla osserva in relazione all’attenuante di cui al comma 3 del medesimo articolo.
La fondatezza della censura impone l’annullamento nei confronti di NOME sul punto, con rinvio per nuovo giudizio alla Corte d’appello di Bari.
3.4. Proseguendo con l’esame del quarto motivo di ricorso proposto da NOME, va innanzitutto chiarito che vale, in relazione al reato di cui al capo c), quanto precisato in relazione alla posizione di NOME NOME sub. 2.4.1. circa la verifica dell’applicazione del principio estensivo dell’impugnazione proposta da NOME COGNOME in ordine alla configurabilità dell’aggravante di cui all’art. 80 d.P. n. 309 del 1990.
Ciò posto il motivo è fondato non avendo la Corte territoriale, in tema di quantificazione della pena a seguito di applicazione della disciplina del reato continuato, motivato adeguatamente in ordine all’entità dei singoli aumenti per i reati-satellite ex art. 81, comma secondo, cod. pen., in modo da rendere possibile un controllo effettivo del percorso logico e giuridico seguito nella determinazione della pena, non essendo all’uopo sufficiente il semplice rispetto del limite legale del triplo della pena-base (Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, COGNOME, cit.; Sez. 1, n. 800 del 07/10/2020, dep. 2021, COGNOME, cit.).
Anche sulla base di ciò la sentenza impugnata va annullata con rinvio per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio in ordine ai reati di cui ai capi b) e c) posti in continuazione con il reato di cui al capo a).
3.5. Manifestamente infondata è la doglianza, in ordine alla determinazione della pena base per il reato associativo, sollevata con il quinto motivo.
E’ vero che la Corte di merito, nel fissare la pena base in anni sedici di reclusione (in conformità a quanto disposto in proposito dal giudice di primo grado e comunque in misura inferiore alla media edittale), si è richiamata al mero criterio della congruità ma occorre considerare che, ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argonnentativo, allorquando i giudici del gravame, come nel caso in esame,
esaminando le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (ex multis, Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595 – 01).
Occorre allora considerare che il Tribunale (pag. 90 sentenza di primo grado) aveva affermato che le corpose e puntuali convergenze investigative emergenti dalle varie indagini a carico del ricorrente, sia sul fronte nazionale sia su quello internazionale, consentivano di ritenere che lo stesso fosse, senza alcun dubbio, il fulcro logistico in Italia dell’organizzazione colombiana facente capo ai narcotrafficanti.
Inoltre, il ricorrente, nell’ambito della predetta organizzazione, si er occupato:
della gestione del principale deposito di stoccaggio di ingenti quantitativi di cocaina provenienti dalla Colombia, custoditi dal predetto nei locali della ditta di import-export RAGIONE_SOCIALE di Andria;
della distribuzione ai vari acquirenti, inviatigli dai suoi referenti colombian del narcotico stoccato e custodito nel suddetto deposito di Andria;
della raccolta dei narco-proventi presso gli emissari colombiani delegati alle vendite e alla gestione dei rapporti con i gruppi acquirenti italiani;
all’inoltro in Colombia dei suddetti narco-proventi attraverso circuiti bancari dei quali aveva la disponibilità avendoli utilizzati con le attività di copertura de predetta ditta di import-export marmi.
E’ di tutta evidenza, allora, come il giudizio di congruità espresso dalla Corte di merito abbia una solida base giuridica nei criteri di cui all’art. 133 cod. pen norma appositamente richiamata nel testo della sentenza impugnata.
Per tutti questi motivi la sentenza deve essere annullata senza rinvio nei confronti di NOME limitatamente al delitto di cui al capo a) perché il reat si è estinto per prescrizione, e con rinvio in ordine al reato di cui al capo c) ad altra sezione della Corte d’appello di Bari. La sentenza impugnata, inoltre, deve essere annullata nei confronti di NOME NOME limitatamente al reato di cui al capo c) e limitatamente alla rideterminazione del trattamento sanzionatorio con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d’appello di Bari. Va dichiarato inammissibile il ricorso di NOME NOME relativamente al reato di cui a capo a). La decisione deve essere altresì annullata nei confronti di NOME limitatamente ai capi b) e c) in relazione all’applicabilità della diminuente di cui all’art. 73, comma 7, d.P.R. n. 309 del 1990 nonché limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d’appello di Bari. Con dichiarazione di inammissibilità per il ricorso di NOME relativamente al reato di cui al capo a).
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di NOME COGNOME limitatamente al delitto di cui al capo a), perchè il reato è estinto p
prescrizione e con rinvio in ordine al reato di cui al capo c) ad altra sezione della
Corte d’appello di Bari. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME
NOME limitatamente al reato di cui al capo c) e limitatamente alla rideterminazione del trattamento sanzionatorio con rinvio per nuovo giudizio ad
altra sezione della Corte d’appello di Bari. Dichiara inammissibile il ricorso di
COGNOME NOME relativamente al reato di cui al capo a). Annulla la sentenza impugnata nei confronti di NOME NOME limitatamente ai reati di cui ai capi b)
e c) e limitatamente alla rideterminazione del trattamento sanzionatorio con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d’appello di Bari. Dichiara
inammissibile il ricorso di NOME relativamente al reato di cui al capo a).
Così deciso in Roma, in data 24/01/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente