Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 184 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 184 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/09/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME nato a FOGGIA il 26/07/1971 NOME COGNOME nato a COGNOME il 01/02/1971 COGNOME nato a BARLETTA il 15/12/1976 COGNOME NOME nato a COGNOME il 11/09/1964
avverso la sentenza del 22/03/2022 della CORTE APPELLO di BARI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, con limitato riferimento ai reati-fine dell’associazione di cui al capo A), perchè estinti pe intervenuta prescrizione, con conseguente rideterminazione delle pene irrogate ai ricorrenti COGNOME COGNOME e COGNOME, il rigetto, nel resto, dei ricorsi dei predet imputati e la declaratoria di inammissibilità di quello di NOME COGNOME;
lette le conclusioni dei difensori dei ricorrenti NOME COGNOME e NOME COGNOME i quali hanno insistito per l’accoglimento del rispettivi ricorsi;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 22 marzo 2022, la Corte di appello di Bari ha confermato quella con cui il Tribunale di Trani, il 13 dicembre 2018, ha, tra l’altro, dichiarato NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME colpevoli, a vario titolo, dei reati di associazione per delinquere, truffa sostituzione di persona e falso, loro ascritti al capo A) della rubrica, e, il primo anche di quello di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina (capo 3), nonché NOME COGNOME responsabile del delitto di GLYPH favoreggiamento dell’immigrazione clandestina (capo 3) ed ha condannato: NOME COGNOME alla pena di sette anni di reclusione e 32.000 euro di multa; NOME COGNOME alla pena di cinque anni di reclusione; NOME COGNOME alla pena di tre anni e otto mesi di reclusione; NOME COGNOME alla pena, condizionalmente sospesa, di dieci mesi di reclusione e 10.000 euro di multa.
Le decisioni testé menzionate sono state rese nell’ambito del procedimento penale promosso nei confronti, tra gli altri, di COGNOME, COGNOME e COGNOME, appartenenti ad una struttura criminale, organizzata in forma associativa e dedita alla commissione di un numero indeterminato di reati di truffa, falso e sostituzione di persona, commessi in danno di istituti di credito e di intermediazione finanziaria, indotti con la frode ad erogare finanziamenti destinati a non essere restituiti.
COGNOME e COGNOME rispondono, poi, di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, reato che si assume commesso promuovendo la presentazione di istanze intese all’emersione del lavoro irregolare nell’interesse di soggetti che, a differenza di quanto indicato, non erano, in quel frangente temporale, presenti sul territorio nazionale.
Tutti gli imputati condannati hanno proposto ricorso per cassazione.
3.1. NOME COGNOME con l’assistenza dell’avv. NOME COGNOME articola due motivi, con i quali deduce, costantemente, violazione di legge e vizio di motivazione.
Con il primo motivo, lamenta che il giudice di appello abbia ingiustificatamente omesso di prendere atto dell’integrale maturazione del termine prescrizionale massimo in relazione ai reati ascrittigli.
Con il secondo, si duole del diniego, da parte di entrambi i giudici di merito, delle circostanze attenuanti generiche, che egli avrebbe meritato perché incensurato e non coinvolto in ulteriori procedimenti penali, per il ruolo vicario
assunto in senso alla compagine associativa, per l’episodicità della condotta illecita e per il positivo contegno serbato post delictum.
3.2. NOME COGNOME svolge, tramite l’avv. NOME COGNOME, quattro motivi di ricorso, con i primi tre dei quali addebita alla Corte di appello, nella prospettiva della violazione di legge e, quindi, del vizio di motivazione, di avere disatteso la richiesta di declaratoria di estinzione dei reati ascrittigli per intervenuta prescrizione a dispetto della precisa indicazione contenuta nella sentenza di primo grado, che aveva fissato all’Il aprile 2011 la cessazione delle condotte illecite.
Con il quarto ed ultimo motivo, lamenta vizio di motivazione per avere i giudici di merito ricondotto l’accertato fenomeno criminale alla fattispecie associativa anziché a quella di concorso di persone nel reato, eventualmente continuato.
3.3. NOME COGNOME, con il ministero degli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME, articola tre motivi, tutti vedenti sul tema dell’omessa declaratoria della prescrizione dei reati ascrittigli, al quale dedica considerazioni critiche analoghe a quelle sviluppate dagli altri ricorrenti, ponendo, ulteriormente, l’accento sulla pacifica estinzione, in epoca precedente alla pronunzia di secondo grado, dei reati-fine della supposta associazione per delinquere.
3.4. NOME COGNOME difeso dall’avv. NOME COGNOME si duole, con l’unico motivo di ricorso e nell’ottica della violazione di legge, dell’omessa riqualificazione del fatto ai sensi dell’art. 12,, comma 5, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, che i giudici di merito avrebbero, a suo modo di vedere, disporre in considerazione del fatto che i soggetti nei cui confronti è stata avviata la pratica di regolarizzazione si trovavano, al tempo della presentazione della dichiarazione di emersione, già in Italia, sicché il suo apporto è stato finalizzato alla permanenza anziché, come ritenuto dai giudici di merito, all’ingresso nel nostro Paese.
Aggiunge, al riguardo, che la corretta qualificazione giuridica della condotta avrebbe dovuto indurre la Corte di appello a pronunciare sentenza di non doversi procedere per essersi il reato estinto per intervenuta prescrizione.
Disposta la trattazione scritta ai sensi dell’ad. 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, il Procuratore generale ha chiesto, il 24 luglio 2023, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, con limitato riferimento ai reati-fine dell’associazione di cui al capo A), perché estinti per intervenuta prescrizione, con conseguente rideterminazione delle pene
irrogate ai ricorrenti COGNOME, COGNOME e COGNOME, il rigetto, nel resto, dei ricors dei predetti imputati e la declaratoria di inammissibilità di quello di NOME COGNOME mentre i ricorrenti NOME COGNOME e NOME COGNOME, con separati atti del 14 settembre 2023, hanno insistito per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi dedotti da COGNOME COGNOME e COGNOME in relazione all’estinzione, per prescrizione, di tutti i reati loro ascritti al cap dell’imputazione sono fondati.
Al capo A) della rubrica sono, per un verso, contestati taluni reati di truffa, falsità materiale in certificazioni e scritture private e sostituzione persona che, secondo quanto accertato in dibattimento (cfr., in specie, pag. 38 della sentenza di primo grado), risulta essere stati commessi in data non successiva al 13 settembre 2010.
Trattandosi di condotte sanzionate dagli art. 477-482, 485, 494 e 640 cod. pen., fattispecie criminose punite con la reclusione in misura inferiore a sei anni di reclusione, il termine prescrizionale massimo applicabile in considerazione della disciplina illo tempore vigente, pari a sette anni e sei mesi di reclusione, era, dunque, già decorso – pure tenendo conto dei periodi di sospensione, ammontanti, nel complesso, a 285 giorni (cfr. sentenza di primo grado, pagg. 47-48) – alla data del 28 dicembre 2018, posteriore a quella della decisione di primo grado ma precedente a quella della sentenza di appello.
Avendo gli imputati chiesto – con i motivi di appello, COGNOME, e nelle conclusioni, tutti – la declaratoria di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, la Corte di appello è pervenuta ad opposte conclusioni sulla base di considerazioni che attengono al solo reato associativo, pure compreso nella contestazione del capo A), e senza spiegare, in relazione ai reati-fine, aventi natura istantanea, le ragioni della decisione.
La manifesta fondatezza del motivo di ricorso articolato, sul punto, da NOME COGNOME impone, pertanto, l’annullamento, limitatamente a questi capi – con estensione, ai sensi dell’art. 587, comma 1, cod. proc. pen., agli altri imputati – della sentenza impugnata.
Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi con riferimento al delitto associativo contestato a COGNOME, COGNOME e COGNOME al capo A).
Il Tribunale, nell’incipit della motivazione della sentenza di primo grado, ha precisato che «alla stregua del costante orientamento della giurisprudenza della )
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Suprema Corte e in base agli atti di indagine acquisiti, la c:ontestazione di cui al capo A) della rubrica, poiché temporalmente riferita “fino a tutto l’anno 2010, attualmente permanente” deve reputarsi estesa sino all’11.4.2011, coincidente con la data in cui è stata intercettata l’ultima conversazione ed è stata effettuata la perquisizione presso lo studio professionale “RAGIONE_SOCIALE” dell’odierno imputato COGNOME.
In tal modo, ha inteso, con ogni evidenza, circoscrivere il tempus commissi delictí, che, altrimenti, sarebbe stato esteso, stante la natura permanente del reato associativo ed in ossequio alla regola processuale enucleata dalla giurisprudenza di legittimità (cfr., tra le tante, Sez. 6, n. 13085 del 03/10/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259482 – 01), sino all’emissione della sentenza di primo grado.
Erra, quindi, la Corte di appello laddove, in palese contrasto con l’univoco tenore della statuizione del Tribunale, deliberatamente e programmaticamente diretta ad individuare la data di cessazione della permanenza del delitto associativo, la degrada al rango di mero obiter dictum, inidoneo ad incidere sull’imputazione e sulla data della contestazione.
Atteso, allora, che il Tribunale, in sentenza, ha inteso «chiudere» sulla base di quanto concretamente emerso in dibattimento – la contestazione associativa, indicando la data di cessazione della condotta illecita, pertinente si rivela il richiamo all’indirizzo ermeneutico secondo cui, in questo caso, «il termine di prescrizione decorre dalla data indicata nell’imputazione e non dalla data di emissione della sentenza di primo grado, potendo le eventuali condotte successive, incidenti sul mantenimento della situazione antigiuridica, essere contestate in altro procedimento» (Sez. 2, n. 55164 del 18/09/2018, COGNOME, Rv. 274298 – 01).
L’applicazione dell’enunciato principio di diritto conduce alla declaratoria di estinzione del reato associativo, nei confronti di tutti i ricorrenti e previo computo dei periodi di sospensione, stante la maturazione, al 22 marzo 2022, data di emissione della sentenza di appello, del termine prescrizionale, decorrente dall’Il aprile 2011 e fissato in sette anni e sei mesi, per il partecipe COGNOME, ed in otto anni e nove mesi, per COGNOME e COGNOME, titolari di ruoli qualificati.
La sentenza impugnata va, dunque, annullata senza rinvio in toto nei riguardi di NOME COGNOME e NOME COGNOME, che rispondono dei soli reati indicati al capo A), e con limitato riferimento ai medesimi reati, nei confronti di NOME COGNOME condannato, nelle fasi di merito, anche
per il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina di cui al capo 3).
A quest’ultimo proposito, va osservato, a fronte della richiesta dell’imputato – invero generica e non assistita da specifica motivazione! – di estendere la declaratoria di prescrizione a detta fattispecie criminosa, sanzionata dall’art. 12, comma 3, lett. d), d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, che il termine prescrizionale minimo, pari a quindici anni, e, a maggior ragione, quello massimo conseguente all’adozione di atti interruttivi, non erano ancora decorsi al momento di emissione della sentenza impugnata (né, va, per completezza«, aggiunto, lo sono alla data odierna).
4. Il residuo motivo articolato da NOME COGNOME verte sulla congruità della motivazione adottata dai giudici di merito per escludere l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche, che l’imputato, si sostiene, avrebbe meritato perché incensurato e non coinvolto in ulteriori procedimenti penali, per il ruolo vicario assunto in senso alla compagine associativa, per l’episodicità della condotta illecita e per il positivo contegno serbato post delictum.
Così facendo, COGNOME invoca, a dispetto di quanto affermato, una diversa e più favorevole interpretazione di circostanze di fatto delle quali i giudici del merito hanno fornito una lettura aliena dall’ipotizzato travisamento della prova.
Premesso che è pacifico, in giurisprudenza, che «In tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione» (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269), va attestato che già il Tribunale (cfr. pag. 39) aveva indicato la gravità e la durata delle condotte perpetrate e la spiccata proclività criminale manifestata nella loro commissione quali fattori preclusivi all’applicazione delle circostanze attenuanti generiche ed aggiunto che la Corte di appello, in replica alle obiezioni difensive, ha ulteriormente valorizzato l’assenza di apprezzabili segnali di concreta resipiscenza, l’ininterrotta protrazione delle attività criminose fino all’intervento della polizia giudiziaria nonché l’atteggiamento processuale dell’imputato, il quale, a dispetto di un quadro probatorio più che corposo, non ha inteso ammettere gli addebiti.
Un iter argomentativo, quello sviluppato dalla Corte di appello, che si mantiene all’interno della fisiologica discrezionalità e che non soffre delle incoerenze segnalate dal ricorrente il quale, va ancora una volta ribadito, sollecita un intervento che il giudice di legittimità non può compiere al cospetto di una motivazione esente da vizi logici e che tiene debitamente conto delle conquiste processuali.
In senso contrario, non vale obiettare, come fa il ricorrente, che la Corte di appello non ha valutato gli elementi indicati di segno contrario indicati nelle conclusioni dell’atto di appello, che ha, quantomeno implicitamente, ritenuto subvalenti nell’ottica dell’art. 62-bis cod. pen..
Al riguardo, pertinente si rivela, del resto, il richiamo al condiviso indirizzo ermeneutico secondo cui «Al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 1:33 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare all’uopo sufficiente» (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269) e «In tema di diniego della concessione delle attenuanti generiche, la “ratio” della disposizione di cui all’art. 62 bis cod. pen. non impone al giudice di merito di esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva, essendo, invece, sufficiente l’indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti» (Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 265826).
Il motivo deve essere, in conclusione, dichiarato inammissibile.
Il ricorso di NOME COGNOME è inammissibile perché vedente su censure manifestamente infondate.
Sostiene, in particolare, il ricorrente che, non essendovi prova che i soggetti per i quali è stata presentata, con il suo consapevole concorso, una fraudolenta e mendace dichiarazione di emersione si trovassero, al tempo di commissione del reato, fuori dall’Italia, il fatto avrebbe dovuto essere qualificato nella meno grave fattispecie disciplinata dall’art. 12, comma 5,. d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ciò che avrebbe dovuto la Corte di appello a pronunziare sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione.
Il motivo di ricorso costituisce mera’ integrale riproposizione della doglianza introdotta con l’atto di appello, che la Corte pugliese ha disatteso sul rilievo, logicamente ineccepibile, che la strettissima prossimità temporale tra il rilascio, risalente al 16 settembre 2009, dei passaporti in favore dei due soggetti favoriti, di nazionalità pakistana, e la decorrenza della loro assunzione, fissata, rispettivamente, per il 24 ed il 25 settembre 2009, induce a ritenere, carente la prova che gli stessi fossero presenti in Italia prima della predisposizione della documentazione falsificata, che l’accertato meccanismo fraudolento sia stato ideato,
organizzato e realizzato al fine di consentire ai cittadini extracomunitari (i quali, all’atto del rilascio del passaporto, si trovavano, con ogni exrdenza, nel paese di origine) di raggiungere, senza averne titolo, il suolo italiano.
La connotazione meramente confutativa della doglianza, che si traduce nella reiterazione di quella che il giudice di merito ha respinto sulla base di una ricostruzione dei fatti di interesse processuale affidata ad argomentazioni non manifestazione illogiche né contraddittorie, impone la declaratoria di inammissibilità del ricorso di NOME COGNOME
Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale, rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in 3.000,00 euro.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME Sebastiano, COGNOME NOME e COGNOME limitatamente ai reati di cui al capo A) perché estinti per prescrizione e ridetermina la pena per il residuo reato in anni cinque di reclusione e euro 30.000,00 di multa nei confronti di COGNOME
Dichiara, inammissibile, nel resto, il ricorso di COGNOME Sebastiano.
Dichiara inammissibile il ricorso di COGNOME NOMECOGNOME che condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 21/09/2023.