Sentenza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 219 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 7 Num. 219 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a BARANO D’ISCHIA il 23/01/1990
avverso la sentenza del 10/04/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
La Corte d’appello di Napoli, in riforma della sentenza di primo grado, che aveva assolto l’imputato dal delitto ascrittogli, ha invece affermato la responsabilità di NOME COGNOME per il delitto di ricettazione di un telefono cellular e lo ha condannato alla pena di anni 2 di reclusione ed euro 516,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali;
ricorre per cassazione NOME COGNOME a mezzo del difensore che deduce:
2.1 violazione di legge con riferimento agli artt. 603 cod. proc. pen. e 23bis del DL 176 del 2020, rilevando che il processo era stato celebrato in appello con rito cartolare pur avendo la Corte ritenuto di dover procedere alla rinnovazione dell’istruttoria;
2.2 vizio di motivazione in punto di mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen..
La sentenza impugnata va annullata senza rinvio poiché il reato ascritto al Farina è estinto per intervenuta prescrizione.
A tal fine, deve escludersi che, nel caso di specie, si sia in presenza di un ricorso radicalmente inammissibile, come tale inidoneo a instaurare il rapporto processuale innanzi alla Corte, con conseguente definitività della sentenza impugnata alla data della sua adozione (cfr., Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D. Rv. 217266 – 01).
Si è evidenziato che, anche sotto questo non certo irrilevante profilo, la qualificazione del ricorso come inammissibile perché, ad esempio, “manifestamente” infondato, finisce con l’assumere una decisiva rilevanza e, per questa ragione, la giurisprudenza di questa Corte ha fornito delle linee direttive per chiarire quando si possa ritenere essersi in presenza di una infondatezza “manifesta” e, perciò, di un ricorso inidoneo a fondare un valido rapporto processuale in sede di impugnazione (cfr., in tal senso, Sez. 2, 19.12.2017 n. 9486, COGNOME).
Si è chiarito, infatti, che il ricorso deve ritenersi inammissibile quando sia attinto da una diagnosi di manifesta infondatezza che, nel vigore del codice di rito previgente, si era ritenuta sussistente – ex art. 524, u.c., “… non solo quando sia palesemente erroneo in diritto, ma anche quando affermi, sul fatto, sullo svolgimento del processo, sulla sentenza impugnata, censure o critiche sostanzialmente vuote di significato in quanto manifestamente contrastate dagli atti processuali. Tale è il caso, in particolare, del motivo di ricorso che attribuisc alla motivazione della decisione impugnata un contenuto letterale, logico e critico
radicalmente diverso dal contenuto reale” (cfr., in tal senso, Sez. 2, n. 1828 del 21/03/1973, dep. 1974, Rv. 126313); quando, inoltre, “… il motivo di ricorso per cassazione con cui si propone ancora una volta una questione già costantemente decisa dal Supremo collegio in senso opposto a quello sostenuto dal ricorrente …” (Sez. 2, n. 10871 del 04/07/1975, Rv. 131225 e, in particolare, sotto il vigore del codice previgente, Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D.L. che, in motivazione, chiarirono che l’attributo “manifesta” evoca “… la significazione di palese inconsistenza delle censure” e che la manifesta infondatezza “… si traduce nella proposizione di censure caratterizzate da evidenti errori di diritto nell’interpretazione della norma posta a sostegno del ricorso, il più delle volte contrastata da una giurisprudenza costante e senza addurre motivi nuovi o diversi per sostenere l’opposta tesi, ovvero invocando una norma inesistente nell’ordinamento, solo per indicare le più frequenti ipotesi di applicazione dell’art. 606, comma 3, secondo periodo. Fino a profilare – sul piano funzionale – come costante la pretestuosità del gravame, non importa se conosciuta o no dallo stesso ricorrente”.
Si è allora affermato che il giudice di legittimità, ai fini della declaratoria inammissibilità del ricorso, non è chiamato ad una delibazione del tutto discrezionale quanto alla infondatezza (mera o manifesta) dei motivi, ma è tenuto ad operare una valutazione che valorizzi e tenga conto dei motivi che deducano inosservanza od erronea applicazione di leggi e la circostanza che essi risultino, o meno, caratterizzati da evidenti errori di diritto nell’interpretazione della norma posta a sostegno del ricorso; il che, come pure si è detto, accade, ad esempio, nei casi in cui: – si invochi una norma inesistente nell’ordinamento – si pretenda di disconoscere l’esistenza o il senso assolutamente univoco di una determinata disposizione di legge; – si riproponga una questione già costantemente decisa dalla giurisprudenza di legittimità in senso opposto a quello sostenuto dal ricorrente, senza addurre motivi nuovi o diversi per sostenere l’opposta tesi; per altro verso, qualora, con riferimento ai motivi che deducano vizi di motivazione valorizzando la circostanza che essi muovano, o meno, sul fatto, sullo svolgimento del processo o sulla sentenza impugnata, censure o critiche sostanzialmente vuote di significato in quanto manifestamente contrastate dagli atti processuali il che accade, ad esempio, nel caso in cui il motivo di ricorso attribuisca alla motivazione della decisione impugnata un contenuto letterale, logico e critico radicalmente diverso da quello reale.
Tanto premesso, va rilevato, infatti, che il presente ricorso non può ritenersi inammissibile, ovvero manifestamente infondato, laddove, per l’appunto, denuncia il vizio processuale consistente nella celebrazione del processo in appello
nonostante la Corte – come esplicitamente affermato nell’ordinanza del 23.9.2023 – abbia inteso procedere alla rinnovazione dell’istruttoria ai sensi dell’art. 603, comma 3, cod. proc. pen..
Tanto basta per ritenere che, con la proposizione del ricorso, si sia instaurato il rapporto processuale e, correlativamente, il termine di prescrizione abbia continuato a decorrere sino ad essere, a tutt’oggi, completamente ed interamente maturato.
P.Q.M.
annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.
Così deciso in Roma, il 3/12/2024
Il Consigliere COGNOME