Prescrizione Reato Aggravato: La Cassazione sulla Violenza sulle Cose
La recente ordinanza della Corte di Cassazione, n. 18671/2024, offre un importante chiarimento sul calcolo della prescrizione per un reato aggravato, in particolare quando è presente una circostanza a effetto speciale. La decisione sottolinea come la violenza sulle cose nel reato di furto incida direttamente sulla determinazione del tempo necessario a estinguere il reato, respingendo la tesi difensiva basata su un calcolo errato.
I Fatti di Causa: Dal Tribunale alla Cassazione
Il caso ha origine dalla condanna di un individuo per il reato di furto, aggravato ai sensi degli articoli 624 bis e 625, comma 1, n. 2 del codice penale. La condanna, emessa in primo grado dal Tribunale di Ragusa nel 2019, era stata confermata dalla Corte di Appello di Catania nel 2023.
L’imputato ha proposto ricorso per cassazione, basando la sua difesa su un unico motivo: l’avvenuta estinzione del reato per decorso del termine massimo di prescrizione. Secondo il ricorrente, tale termine sarebbe maturato prima della pronuncia della sentenza di secondo grado.
Il Calcolo della Prescrizione per il Reato Aggravato
Il punto cruciale della controversia risiede nel corretto calcolo del termine di prescrizione. Il ricorrente aveva omesso di considerare un elemento fondamentale: la contestazione e la ritenuta sussistenza della circostanza aggravante della violenza sulle cose.
Questa aggravante, prevista dall’art. 625 c.p., è qualificata come “a effetto speciale”. Ciò significa che, ai fini del calcolo della prescrizione (secondo l’art. 157 c.p.), non si deve guardare alla pena base del reato, ma alla pena massima prevista per la fattispecie aggravata. Nel caso del furto in abitazione commesso con violenza sulle cose, la pena massima edittale, all’epoca dei fatti (2012), era di dieci anni di reclusione.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza. I giudici hanno evidenziato l’errore del ricorrente nel trascurare l’impatto della circostanza aggravante a effetto speciale. Considerando una pena massima di dieci anni e tenendo conto degli atti interruttivi del processo, il termine massimo di prescrizione, come disciplinato dagli articoli 160 e 161 del codice penale, non era affatto scaduto alla data della sentenza d’appello.
La Corte ha quindi ribadito un principio consolidato: nel calcolo del tempo necessario a prescrivere, le circostanze aggravanti a effetto speciale modificano il quadro sanzionatorio di riferimento, estendendo di conseguenza i termini. L’analisi del ricorrente è stata giudicata superficiale e non conforme alla normativa vigente.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Decisione
Questa ordinanza serve da monito sull’importanza di un’analisi completa di tutti gli elementi del capo di imputazione quando si valuta la prescrizione di un reato aggravato. La presenza di aggravanti, specialmente quelle a effetto speciale, può alterare significativamente i tempi processuali.
La conseguenza diretta per il ricorrente è stata non solo la conferma della condanna, ma anche l’obbligo, sancito dall’art. 616 c.p.p., di pagare le spese processuali e una somma di 3.000 euro alla cassa delle ammende. La Corte ha infatti ritenuto che l’evidente inammissibilità del ricorso fosse imputabile a colpa del ricorrente stesso, il quale ha azionato un’impugnazione priva di fondamento giuridico.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto manifestamente infondato perché basato su un calcolo errato della prescrizione, che non teneva conto dell’aumento della pena massima dovuto alla presenza di una circostanza aggravante a effetto speciale.
In che modo la circostanza aggravante ha influito sulla prescrizione del reato?
La circostanza aggravante della violenza sulle cose (art. 625, co. 1, n. 2, c.p.), essendo a effetto speciale, ha innalzato la pena massima di riferimento per il calcolo della prescrizione a dieci anni. Questo ha comportato un allungamento del termine necessario per l’estinzione del reato, che non era ancora maturato al momento della sentenza d’appello.
Quali sono le conseguenze della dichiarazione di inammissibilità per il ricorrente?
A seguito della dichiarazione di inammissibilità del ricorso, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di 3.000 euro in favore della cassa delle ammende, data la sua colpa nel proporre un’impugnazione priva di fondamento.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 18671 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 18671 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/12/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a VITTORIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 10/05/2023 della CORTE APPELLO di CATANIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
FATTO E DIRITTO
Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di C:atania confermava la sentenza con cui il tribunale di Ragusa, in data 13.6.2019, aveva condannato COGNOME NOME alla pena ritenuta di giustizia, in relazione al reato ex artt. 624 bis e 625, co. 1, n. 2), in rubrica ascrittogli.
Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l’annullamento, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato eccependo la mancata dichiarazione di non doversi procedere nei confronti del COGNOME, per essere il reato per cui si procede estinto per decorso del termine massimo di prescrizione, maturato prima della pronuncia della sentenza di secondo grado.
Il ricorso va dichiarato inammissibile, perché sorretto da un motivo manifestamente infondato, in quanto il ricorrente trascura che, essendo stata contestata in fatto e ritenuta dal tribunale la circostanza aggravante di cui all’art. 625, co. 1, n. 2), c.p., dell’aver commesso il fatto con violenza sulle cose, il massimo della pena edittale da prendere in considerazione ai fini del calcolo della prescrizione, ai sensi dell’art. 157, c.p., trattandosi di circostanza aggravante a effetto speciale, è pari a dieci anni di reclusione, giusta la previsione dell’art. 624 bis, co. 3, c.p., vigente all’epoca di consumazione del reato, con la conseguenza che, trattandosi di reato commesso il 14.2.2012 e tenuto conto degli intervenuti atti interruttivi del relativo decorso, il termine di prescrizione, ai sensi del combinato disposto degli artt. 160 e 161, c.p., nella sua estensione massima non era perento alla data di pronuncia della sentenza di appello (10.5.2023)
Alla dichiarazione di inammissibilità, segue la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 3000,00 a favore della cassa delle ammende, tenuto conto della circostanza che l’evidente inammissibilità dei motivi di impugnazione, non consente di ritenere quest’ultimo immune da colpa nella determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibililtà (cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000).
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 13.12.2023.