Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 1749 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 1749 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Barletta il 12/12/1964
avverso la sentenza del 07/07/2023 della Corte d’appello di Bari visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio per essere il reato estinto per prescrizione.
– COGNOME:
1
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 7 luglio 2023 la Corte d’appello di Bari, in parziale riforma della sentenza del 24 settembre 2020 del Tribunale di Trani, con la quale NOME COGNOME era stato dichiarato responsabile del reato di cui all’art. 10-quater d.lgs. n. 74 del 2000 (ascrittogli per aver effettuato, quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, indebite compensazioni del debito IVA di tale società relativo all’anno di imposta 2012, per un ammontare complessivo pari a euro 55.479,00), ha riconosciuto all’imputato le circostanze attenuanti generiche, dichiarandole equivalenti alla recidiva contestata, rideterminando la pena in nove mesi di reclusione e confermando nel resto la sentenza impugnata.
Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, mediante l’Avvocato NOME COGNOME che lo ha affidato a quattro motivi.
2.1 Con il primo motivo ha eccepito, ai sensi dell’art. 606, primo comma, lett. e), cod. proc. pen., l’omessa motivazione su un punto decisivo, costituito dalla mancata acquisizione, in dibattimento, dei modelli F24 mediante i quali erano state realizzate le compensazioni, con la conseguente impossibilità per il giudice di compiere qualsiasi verifica in ordine all’inesistenza o alla non spettanza dei crediti compensati.
In particolare, il ricorrente ha censurato l’illogicità della motivazione nella parte in cui si ricava la prova dell’inesistenza dei crediti portati in compensazione dalla mancata dimostrazione della loro certezza.
Ad avviso del ricorrente, in assenza dei modelli F24, difetterebbe la prova di un elemento costitutivo del reato, che non potrebbe essere desunta facendo ricorso alle presunzioni operanti in sede di accertamento tributario – e segnatamente dalla mancata allegazione da parte del ricorrente dei visti di conformità -, stante l’autonomia del processo penale rispetto a quello tributario.
Con il medesimo motivo, infine, ha denunciato l’illogicità della motivazione nella parte in cui, affermando che il ricorrente resta onerato dell’obbligo di vigilanza sull’operato del professionista delegato, confonderebbe l’omesso controllo, e quindi la colpa del contribuente nell’assolvimento dell’obbligo di controllo sull’operato del professionista, con il dolo richiesto dal reato di cui all’ar 10-quater d.lgs. n. 74 del 2000, costituito dalla volontà e coscienza di utilizzare in compensazione crediti inesistenti o non spettanti.
2.2 Con il secondo motivo ha denunciato, ai sensi dell’art. 606, primo comma, lett. b) cod. proc. pen., l’inosservanza degli artt. 157 e 161, secondo comma cod. pen., per non avere la Corte d’appello rilevato la prescrizione del reato ascrittogli, già maturata nel corso del processo di appello.
Il ricorrente, sul punto, ha sottolineato che, in presenza di una contestazione generica circa il momento consumativo del reato nell’arco dell’anno 2013, e alla luce del principio del favor rei, il tempus commissi delicti deve individuarsi nella data più favorevole all’imputato, sicché, nel caso di specie, il reato dovrebbe ritenersi consumato il primo gennaio 2013 e, individuato in 10 anni il termine di prescrizione, il reato si sarebbe estinto il primo gennaio 2023, quindi in data anteriore alla pronuncia della Corte di appello di Bari.
2.3 Con il terzo motivo ha lamentato, ai sensi dell’art. 606, primo comma, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l’inosservanza degli artt. 99 e 106 cod. pen., nonché il difetto di motivazione sull’omessa esclusione della recidiva reiterata infraquinquennale, per aver il giudice di merito valorizzato al riguardo precedenti penali di cui non si sarebbe potuto tener conto, nonché per aver dato rilievo dirimente a precedenti penali non specifici e risalenti.
In particolare, il ricorrente, esamina alcune delle condanne a suo carico riportate nel certificato del casellario giudiziale che lo riguarda, deducendo l’impossibilità di tener conto, ai fini del riconoscimento della recidiva, dell condanna sub 1), in quanto il relativo reato è stato oggetto di abolitio criminis; delle condanne sub 3) e 4), in quanto intervenute per reati contravvenzionali; nonché delle condanne sub 6) e 7), in quanto riferite a decreti penali di condanna relativi a reati estinti ai sensi dell’art. 460, quinto comma, cod. proc. pen. Ciò che residuerebbe, pertanto, sono solo le condanne sub 2) e 5), le quali, tuttavia, risalgono a un periodo di tempo maggiore al quinquennio precedente la condanna impugnata in questa sede – e segnatamente la condanna sub 2), intervenuta per il reato di ricettazione commesso nel 2002, e la condanna sub 5) intervenuta per il reato di cui all’art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000 commesso nel 2007.
2.4 Con il quarto motivo ha lamentato, ai sensi dell’art. 606, primo comma, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l’inosservanza degli artt. 58 I. n. 689 del 1981 e 133 cod. pen., nonché il difetto di motivazione in relazione al diniego della conversione della pena detentiva in pena pecuniaria. In particolare, si lamenta l’illogicità della motivazione nella parte in cui fonda tale diniego esclusivamente sui precedenti penali, senza considerare i criteri oggettivi di cui al primo comma dell’art. 133 cod. pen. e, segnatamente, il lieve superamento della soglia di punibilità.
Il Procuratore Generale ha concluso sollecitando l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione anteriormente alla pronuncia della sentenza impugnata.
Con memoria del 5 novembre 2024 il ricorrente ha dichiarato di aderire a tale richiesta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il secondo motivo di ricorso è fondato e assorbente.
Occorre, preliminarmente, esaminare il secondo motivo di ricorso, relativo al mancato rilievo della prescrizione, unitamente al terzo motivo di ricorso, relativo alla mancata esclusione della recidiva, alla luce dello stretto collegamento logico tra tali due motivi. L’eventuale esclusione della recidiva, infatti, inciderebbe sul tempo necessario a prescrivere, stante il disposto dell’art. 161, secondo comma, cod. pen., a mente del quale gli atti interruttivi della prescrizione non possono comportare l’aumento di più di un quarto del tempo necessario a prescrivere, della metà in caso di recidiva aggravata ex art. 99, secondo comma, cod. pen., e di due terzi in caso di recidiva specifica infraquinquennale ex art. 99, quarto comma, cod. pen.
Occorre, pertanto, esaminare preliminarmente le censure in ordine alla applicabilità della recidiva, formulate con il terzo motivo di ricorso, in quanto incidenti sul termine massimo di prescrizione del reato addebitato al ricorrente, di cui questi ha lamentato l’errato computo.
Il terzo motivo di ricorso è, però, inammissibile per genericità e manifesta infondatezza.
Il ricorrente, al fine di escludere la configurabilità della recidiva specific infraquinquennale, esamina alcune delle condanne a suo carico riportate nel certificato del casellario giudiziale che lo riguarda – e segnatamente quelle di cui ai numeri da 1 a 7, in quanto le altre riguardano fatti posteriori a quelli oggetto del presente giudizio -, escludendo il loro rilievo alla luce dell’intervenuta abolitio criminis (reato sub 1), della loro natura contravvenzionale (reati sub 3 e 4), nonché dell’intervenuta dichiarazione di estinzione del reato ai sensi dell’art. 460, quinto comma, cod. proc. pen. (reati sub 6 e 7).
Ciò che residuerebbe, allora, sarebbero esclusivamente i reati sub 2) e 5) del certificato, i quali, però, risalirebbero a un periodo di tempo eccedente il quinquennio.
Tale motivo, così come articolato, risulta, però, generico, poiché il ricorrente non ha allegato né il certificato del casellario giudiziale – onde consentire una puntuale analisi delle sue asserzioni – né, tantomeno, ha specificato e contestualizzato analiticamente la natura dei propri precedenti penali né le relative vicende estintive, limitandosi a richiamare e commentare genericamente i propri precedenti penali, con la conseguente impossibilità di esaminare ed apprezzare tale doglianza e valutarne l’eventuale fondatezza.
Altra causa di inammissibilità di tale motivo di ricorso deriva dalla inammissibilità del corrispondente motivo di appello, conseguente alla sua genericità. Il secondo motivo di appello, con il quale si chiedeva l’esclusione della recidiva reiterata e il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, infatti, non prospettava, come il ricorso per cassazione, una specifica argomentazione sulla possibilità di tener conto solo di taluni precedenti penali ai fini d riconoscimento della recidiva, ma si limitava a giustificare l’esclusione della stessa in considerazione della scarsa intensità del dolo, nonché della modesta offensività della condotta. Le argomentazioni addotte per giustificare l’esclusione della recidiva, pertanto, risultavano apodittiche, nonché generiche e non pertinenti rispetto alla richiesta di esclusione della recidiva formulata con il ricorso per cassazione, che si fonda su presupposti diversi dall’intensità del dolo e dell’offensività della condotta.
Va, dunque, ricordato che il difetto di motivazione della sentenza di appello in ordine a motivi generici, proposti in concorso con altri motivi specifici non può formare oggetto di ricorso per cassazione, poiché i motivi generici restano viziati da inammissibilità originaria, quand’anche il giudice dell’impugnazione non abbia pronunciato in concreto tale sanzione (Sez. 5, n. 44201 del 29/09/2022, Testa, Rv. 283808; Sez. 3, n. 10709 del 25/11/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262700).
Il ricorrente, nel caso di specie, lamenta la omessa motivazione sulla mancata esclusione della recidiva, che però era stata dedotta in modo generico con l’atto d’appello, con la conseguente genericità anche del relativo motivo di ricorso per cassazione.
4. In ogni caso, comunque, il motivo risulta manifestamente infondato.
Ed infatti, dall’esame del certificato del casellario giudiziale in atti, si evince, primo luogo, che, con riferimento alla condanna sub 1), non è intervenuta una aboliti° criminis. Tale condanna, infatti, riguarda il reato di violazione del divieto di emissione di assegni bancari, previsto originariamente dall’art. 7 I. n. 386 del 1990, successivamente modificato dall’art. 32 d.lgs. 30 dicembre 1999, n. 507; la nuova disciplina relativa all’inosservanza delle sanzioni amministrative accessorie, introdotta dal d.lgs. 30 dicembre 1999, n. 507, non ha depenalizzato le violazioni dei divieti commesse nella vigenza della normativa antecedente, atteso che l’art. 7 della legge 15 dicembre 1990, n. 386, come sostituito dall’art. 32 del citato d.lgs., conserva immutata la sua “ratio” in relazione al permanere della previsione di illiceità penale della medesima condotta, consistente nella inottemperanza al divieto temporaneo di emettere assegni (Sez. 6, n. 44733 del 24/09/2003, COGNOME, Rv. 226903).
In secondo luogo, le condanne riportate sub 3) e 4) sono entrambe intervenute, non già per reati contravvenzionali, come dedotto dal ricorrente,
bensì per il delitto di omesso versamento IVA di cui all’art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000.
Infine, per quanto attiene alle condanne sub 6) e 7), il ricorrente sostiene l’impossibilità di tenerne conto ai fini della recidiva in forza dell’intervenut dichiarazione di estinzione dei relativi reati ai sensi dell’art. 460, quinto comma, cod. proc. pen. Tale dichiarazione, tuttavia, è intervenuta solo con riguardo alla condanna sub 6), in relazione alla quale è stata dichiarata, con ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Firenze del 10 marzo 2015, la estinzione della pena e di ogni altro effetto penale per esito positivo dell’affidamento in prova, a norma dell’art. 460, quinto comma, cod. proc. pen.; analoga dichiarazione di estinzione della pena e degli effetti penali, tuttavia, non è intervenuta anche per la condanna sub 7), rispetto alla quale, invece, è intervenuto un provvedimento di indulto ai sensi della I. n. 241 del 2006.
A differenza della dichiarazione di estinzione del reato ex art. 460, quinto comma, cod. proc. pen., l’art. 174 cod. pen. prevede espressamente che l’indulto e la grazia non estinguono anche gli effetti penali della condanna, salvo che sia diversamente previsto dalla legge; la conseguenza è che si potrà tener conto di tale condanna agli effetti della recidiva, senza violare il disposto dell’art. 106 secondo comma, cod. pen., a mente del quale, ai fini della recidiva, non si tiene conto solo delle condanne per le quali è intervenuta una causa di estinzione del reato o della pena, quando la causa estingue anche gli effetti penali.
Ne consegue che il ricorrente erra nell’affermare che la Corte d’appello ha preso in considerazione precedenti di cui non poteva tener conto in violazione dell’art. 161, secondo comma, cod. pen. e, altresì, nell’individuare il tempo di riferimento del quinquennio rilevante ai sensi dell’art. 99, secondo e quarto comma, cod. pen.
Secondo il ricorrente, infatti, le uniche condanne legittimamente valorizzabili ai fini della recidiva sarebbero quelle sub 2) e 5), le quali, però, risalirebbero a un periodo di tempo maggiore di un quinquennio, sicché non avrebbero potuto fondare il riconoscimento della recidiva specifica infraquinquennale. L’argomentazione del ricorrente, tuttavia, risulta errata nella parte in cui computa la decorrenza del quinquennio indicato ex art. 99, secondo comma, cod. pen., dalla data di commissione del fatto.
Ai sensi dell’art. 99, secondo comma, n. 2), cod. pen. la recidiva infraquinquennale è integrata nel caso in cui il reo ponga in essere un nuovo delitto non colposo nei cinque anni dalla condanna precedente; il dies a quo per computare il quinquennio rilevante per la recidiva è dunque il giorno in cui diviene definitiva la precedente condanna. Pertanto, mentre la condanna sub 2) risale effettivamente a un periodo maggiore di un quinquennio (essendo divenuta irrevocabile il 13 gennaio 2007, mentre i fatti oggetto di causa risalgono al primo gennaio 2013), tanto non si può dire per la condanna sub 5), la quale è divenuta
esecutiva il 25 novembre 2012, quindi ampiamente nel quinquennio di riferimento per i fatti oggetto di causa.
Dato atto della inammissibilità del terzo motivo, relativo alla recidiva, e della correttezza della sua applicazione, è possibile esaminare il secondo motivo di ricorso, relativo alla prescrizione, che risulta, invece, fondato.
Il ricorrente individua correttamente il tempus commissi delicti nella data del primo gennaio 2013, stante la genericità della contestazione e alla luce del principio del favor rei, in forza del quale, quando in tema di prescrizione vi sia la assoluta incertezza circa il tempo di consumazione del reato, il termine di decorrenza va computato secondo il maggior vantaggio per l’imputato (Sez. 3, n. 7245 del 12/01/2024, COGNOME, Rv. 285953; Sez. 3, n. 4139 del 13/12/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272076; Sez. 3, n. 46467 del 16/06/2017, V., Rv. 271146).
Il corretto calcolo del tempo necessario a prescrivere impone i seguenti passaggi: il termine ordinario di prescrizione del reato di cui all’art. 10-quater d.lgs. n. 74 del 2000, applicabile ratione temporis, è di sei anni; tale termine va prorogato, tenendo conto degli atti interruttivi e della recidiva, nella misura di due terzi, ai sensi dell’art. 161, secondo comma, cod. pen., con la conseguenza che il tempo necessario a prescrivere, nel caso di specie, è di dieci anni.
Pertanto, individuando la data di commissione del reato nel primo gennaio 2013, e considerando che dagli atti emerge un rinvio rilevante per la sospensione dei termini di prescrizione di 54 giorni (per astensione del difensore dal 6 dicembre 2019 al 30 gennaio 2020), il termine finale di prescrizione risulta scaduto il 24 febbraio 2023, ossia anteriormente alla pronuncia emessa dalla Corte di appello, che avrebbe, quindi, dovuto rilevarla e dichiararla.
La sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata senza rinvio per essere il reato estinto per prescrizione, non emergendo cause evidenti di proscioglimento, richiedendo gli altri motivi di ricorso una indagine che è preclusa dall’avvenuto decorso del termine di prescrizione.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il reato è estinto per prescrizione.
Così deciso il 19/11/2024