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Prescrizione reati tributari: appello inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso del Procuratore Generale contro una sentenza di prescrizione per un reato tributario. La decisione si fonda sulla sopravvenuta carenza di interesse, poiché, anche accogliendo la tesi del ricorrente sul calcolo dei termini, il reato si sarebbe comunque prescritto nelle more del giudizio di legittimità. L’impugnazione deve perseguire un risultato pratico e favorevole, non solo teoricamente corretto.

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Pubblicato il 11 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Prescrizione Reati Tributari: L’Appello è Inammissibile se Manca un Vantaggio Pratico

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 47620/2024, offre un importante chiarimento sui principi procedurali che governano le impugnazioni, in particolare riguardo alla prescrizione reati tributari. Il caso evidenzia come un ricorso, pur basato su argomentazioni giuridiche potenzialmente corrette, possa essere dichiarato inammissibile se, nel frattempo, il reato si è comunque estinto per il decorso del tempo. La Suprema Corte ribadisce un principio cardine: un’impugnazione deve mirare a un risultato concreto e favorevole, non solo a una correzione teorica della decisione precedente.

I Fatti di Causa

Il Tribunale di Gorizia aveva dichiarato il non doversi procedere nei confronti di un imputato per un reato previsto dall’art. 2 del D.Lgs. 74/2000, commesso nel settembre del 2013. Il giudice di primo grado aveva ritenuto il reato estinto per intervenuta prescrizione. Contro questa decisione, il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Trieste ha proposto ricorso per cassazione, sostenendo che il Tribunale avesse errato nel calcolo dei termini di prescrizione.

La questione sulla prescrizione reati tributari

Il fulcro del ricorso del Procuratore Generale riguardava l’interpretazione dell’art. 17, comma 1-bis, del D.Lgs. 74/2000. Questa norma prevede un aumento di un terzo dei termini di prescrizione per specifici reati fiscali. Secondo il ricorrente, tale aumento non doveva applicarsi solo al termine base, ma anche al termine massimo di prescrizione, comprensivo degli atti interruttivi (stabilito dall’art. 161, comma 2, c.p.).

In pratica, il Pubblico Ministero sosteneva che l’estensione massima della prescrizione, in caso di interruzioni, non dovesse essere di un quarto del termine base (due anni su otto), ma di un terzo (due anni e otto mesi). Se questa tesi fosse stata accolta, il reato non si sarebbe prescritto alla data della sentenza di primo grado.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione, tuttavia, non è entrata nel merito della questione interpretativa sollevata dal Procuratore. Ha invece dichiarato il ricorso inammissibile per una ragione puramente processuale: la sopravvenuta carenza di interesse.

I giudici hanno osservato che, anche seguendo il calcolo proposto dal ricorrente, il termine di prescrizione massimo (dieci anni e otto mesi) sarebbe comunque scaduto nel maggio 2024. Poiché la decisione della Cassazione è stata presa nel settembre 2024, il reato era ormai estinto a prescindere da quale delle due tesi interpretative fosse corretta.

La Corte ha richiamato il suo consolidato orientamento secondo cui l’interesse a impugnare deve essere concreto e attuale. L’obiettivo di un’impugnazione non può essere la mera affermazione di un principio di diritto teoricamente corretto, ma deve essere il conseguimento di un risultato pratico favorevole per la parte che ricorre. In questo caso, anche un’eventuale annullamento della sentenza impugnata non avrebbe potuto portare a un risultato utile per l’accusa, dato che il reato era comunque prescritto. Di conseguenza, è venuto a mancare l’interesse stesso a proseguire il giudizio.

Conclusioni

La sentenza in commento è emblematica perché sottolinea l’importanza del principio di economia processuale e della concretezza nel sistema delle impugnazioni penali. Un ricorso non può essere utilizzato per risolvere questioni di diritto astratte se la loro soluzione non ha alcun impatto pratico sull’esito del procedimento. Per gli operatori del diritto, questa decisione è un monito a valutare non solo la fondatezza giuridica di un’impugnazione, ma anche la sua effettiva utilità pratica al momento della decisione. La prescrizione, estinguendo il reato, può vanificare l’interesse ad agire, rendendo l’impugnazione, di fatto, un esercizio sterile.

Perché il ricorso del Pubblico Ministero è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse. Anche se la tesi del ricorrente sul calcolo della prescrizione fosse stata accolta, il reato si sarebbe comunque estinto per il decorso del tempo prima della decisione della Corte di Cassazione, rendendo inutile una pronuncia nel merito.

Cosa si intende per ‘carenza di interesse ad impugnare’?
Significa che la parte che ha proposto l’impugnazione non otterrebbe alcun risultato pratico e favorevole da un eventuale accoglimento del suo ricorso. L’impugnazione deve perseguire un vantaggio concreto, non solo una correzione giuridica teorica.

La Corte di Cassazione si è pronunciata su come calcolare la prescrizione per i reati tributari?
No, la Corte non è entrata nel merito della questione. Ha ritenuto che l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse impedisse di esaminare la questione di diritto relativa al calcolo dei termini di prescrizione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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