Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 45543 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 45543 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 08/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME nato a Caserta il 27/11/1957
avverso la sentenza del 30/04/2024 della Corte di appello di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procurat generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso; lette le conclusioni del difensore di parte civile, avvocato NOME COGNOME ch chiesto la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto del ricorso, e il favo
spese di lite del grado;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza 17 luglio 2019 il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, nel giudizio instaurato a seguito di opposizione a decreto penale di condanna, dichiarava NOME COGNOME colpevole del reato di cui all’art. 660 cod. pen., per avere telefonicamente molestato la cognata, NOME COGNOME e lo condannava alla pena, condizionalmente sospesa, di un mese di arresto, nonché ,al risarcimento del danno in favore della parte civile, liquidato in 1.000 euro.
Avverso tale decisione l’imputato interponeva gravame, sul quale la Corte di appello di Napoli pronunciava con la sentenza in epigrafe indicata.
La Corte di appello dichiarava non doversi procedere, per essere il reato a Cristiani ascritto estinto per prescrizione, medio tempore maturata, confermando la sentenza gravata ai fini civili in dichiarata applicazione del canone di giudizio del «più probabile che non».
L’imputato ricorre per cassazione avverso la decisione di secondo grado, con il ministero del suo difensore di fiducia.
4.1. Con il primo motivo il ricorrente reitera l’eccezione di nullità del decreto penale di condanna, in quanto privo dell’avviso della facoltà dell’imputato di richiedere, con l’atto di opposizione, la sospensione del procedimento con messa alla prova.
A sanare la nullità, che inficerebbe l’ulteriore sviluppo del giudizio, non sarebbe stata sufficiente la rimessione in temini per la proposizione dell’istanza di messa alla prova, disposta dal Tribunale, giacché l’imputato non avrebbe potuto essere sottratto al giudice naturale competente per tale tipo di procedimento, che sarebbe esclusivamente il g.i.p.
4.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce vizio della motivazione in ordine alla conferma delle statuizioni civili.
A tale esito il giudice di appello sarebbe potuto giungere solo previa compiuta valutazione della fondatezza dell’accusa «oltre ogni ragionevole dubbio».
A tale canone valutativo il giudice stesso non si sarebbe attenuto, alla luce dei precisi elementi che lasciavano ritenere che l’autrice delle condotte moleste fosse piuttosto la moglie dell’imputato, NOME COGNOME che si era autoaccusata di averle tenuto e aveva un più diretto movente.
5. Il giudizio di cassazione si è svolto a trattazione scritta, ai sensi dell’art 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv. dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è infondato.
La giurisprudenza di questa Corte è concorde (non essendo dunque necessario l’intervento delle Sezioni Unite) nel ritenere che il decreto penale di condanna, una volta fatto oggetto di opposizione, debba intendersi per ciò solo caducato; venuta meno la sua funzione di condanna anticipata e senza contraddittorio, esso resta il mero presupposto per dare ingresso al giudizio immediato sulla penale responsabilità dell’imputato, fatta salva l’esperibilità dei riti speciali, tra cui la sospensione del procedimento con messa alla prova (Sez. 4, n. 39160 del 12/10/2022, COGNOME, Rv. 283698-01; Sez. 1, n. 26016 del 13/07/2020, confl. comp. In proc. COGNOME, Rv. 280350-02; Sez. 1, n. 22710 del 05/12/2012, dep. 2013, confl. comp. in proc. COGNOME, Rv. 256538-01).
Le eventuali nullità del decreto penale perdono, così, di rilievo a seguito della proposta opposizione; né è consentita, in giudizio, la regressione del procedimento, per una tale causa, ad una fase anteriore (Sez. 3, n. 20261 del 18/03/2014, COGNOME, Rv. 259648-01), soccorrendo -se del caso- la rimessione in termini dell’imputato ai fini dell’accesso ai riti speciali, la cui tempesti celebrazione sia stata, per l’effetto, compromessa (in termini, con specifico riferimento alla messa alla prova, Sez. 4, n. 44180 del 03/10/2019, COGNOME, Rv. 277693-01).
Il secondo motivo è parimenti infondato, nei termini di seguito precisati.
La Corte di appello, nel prendere atto dell’intervenuta estinzione del reato, per il quale era già intervenuta in primo grado la condanna dell’imputato al risarcimento del danno in favore della parte civile, ha ritenuto di dover limitare la sua cognizione al rilievo dell’esistenza di un fatto ingiusto pregiudizievole, ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., che fosse all’imputato riferibile; fatto da accertare secondo la Corte stessa, sulla base del criterio della «probabilità prevalente» (altrimenti detto «del più probabile che non»).
Quest’ultimo assunto non è invero condivisibile.
Esso prende le mosse dalla sentenza n. 182 del 2021 della Corte costituzionale, che – chiamata a valutare la legittimità costituzionale dell’art. 578
cod. proc. pen. con riferimento agli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., avend a parametri interposti l’art. 6, § 2, CEDU, gli artt. 3 e 4 della diretti 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, su l rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritt presenziare al processo nei procedimenti penali, nonché l’art. 48 CDFUE – ha i effetti stabilito che il giudice dell’impugnazione penale, a seguito declaratoria di estinzione del reato per sopravvenuta prescrizione, deve so provvedere a regolare gli effetti civili dell’impugnazione stessa, compiendo accertamento incentrato sugli elementi costitutivi dell’illecito civile, senza affermare, neppure incidenter tantum, la responsabilità penale dell’imputato in ordine al reato estinto.
E’ in tale contesto che la Corte costituzionale, al § 14.1 del Considerato in diritto, cala l’affermazione secondo cui, in casi del genere, il giudi dell’impugnazione «non accerta la causalità penalistica che lega la condot (azione od omissione) all’evento in base alla regola dell'”alto grado di probabi logica” (Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 10 lugliosettembre 2002, n. 30328)», valendo piuttosto «il criterio del “più probabile c non” o della “probabilità prevalente” che consente di ritenere adeguatament dimostrata (e dunque processualmente provata) una determinata ipotesi fattuale se essa, avuto riguardo ai complessivi risultati delle prove dichiarativ e documentali, appare più probabile di ogni altra ipotesi e in particolare dell’ip contraria (in tal senso è la giurisprudenza a partire da Corte di cassazi sezioni unite civili, sentenze 11 gennaio 2008, n. 576, n. 581, n. 582 e n. 584
5. Ciò posto, è evidente che – pur rimanendo nel perimetro della cognizione suggerito dalla Corte costituzionale nella menzionata pronuncia n. 182 del 2021 – non è accettabile l’impostazione seguita dalla sentenza impugnata nel ricognizione dell’avvenuta consumazione dell’illecito aquíliano.
In tema di responsabilità civile ex art. 2043 cod. civ., la diversità di s probatorio riguarda, infatti, il solo tema della causalità. E’ la pron costituzionale stessa, n. 182 del 2021, che lo ricorda.
Come chiaramente precisato dalle sentenze delle Sezioni Unite civili, richiamate dal giudice delle leggi, all’interno della serie causale adeguata produzione dell’evento civilisticamente dannoso occorre dare rilievo solo a queg accadimenti che non appaiano ex ante del tutto inverosimili e, nel fare ciò, in ragione dei differenti valori sottesi ai due processi, per la selezione di tali e l’accertamento del nesso eziologico vige nel processo civile la regola de «preponderanza dell’evidenza» o del «più probabile che non», mentr -nel processo penale vige la regola della prova «oltre il ragionevole dubbio».
Il criterio della superiore probabilità rappresenta, dunque, non già una regola epistemologica generale del processo civile, ma un criterio direttivo che governa la ricostruzione dei soli processi di derivazione causale, a fronte della non compiuta conoscenza delle leggi scientifiche di copertura, o anche solo di un’incertezza insuperabile riguardante l’accertamento della serie storica degli accadimenti rilevanti nella produzione di un determinato evento.
Fuori della materia della causalità, e in particolare per stabilire, come nel caso di specie, se il fatto dannoso sia attribuibile al suo preteso autore, le regole probatorie sostanzialmente non divergono, dal punto di vista esaminato, tra processo penale e processo civile. In entrambi, l’identificazione del responsabile della condotta necessita, se controversa, di compiuta e appagante dimostrazione, eventualmente anche per via indiziaria (secondo i prescritti requisiti di gravità, precisione e concordanza: artt. 192, comma 2, cod. proc. pen., e 2729, primo comma, cod. civ.), non essendo sufficiente in proposito – di per sé solo – il rilievo dell’assenza di alternative più convincenti.
6. Non può, in ogni caso, non rilevarsi che sulla corretta esegesi dell’art. 578 cod. proc. pen. si sono pronunciate, da ultimo, le Sezioni Unite penali di questa Corte.
Nella sentenza n. 36208 del 28/03/2024, Calpitano, Rv. 286880-01, il massimo organo della nomofilachia ha rammentato che lo scopo generale della normativa sovranazionale a tutela della presunzione di innocenza, nella sua prospettiva ultraprocessuale, è quello di impedire che le persone che hanno beneficiato di un proscioglimento siano trattate da agenti o autorità pubbliche, in procedure ulteriori e connesse, come se fossero in realtà colpevoli del reato loro imputato (è citata, a conforto, Corte EDU, 12/07/2013, COGNOME c. Regno Unito, § 94).
Osserva la sentenza Calpitano che sarebbe effettivamente distonico, rispetto a tale finalità, posta a protezione e garanzia dell’imputato, imporre al giudice nazionale – che ancora conosce, in sede penale, di effetti connessi alla perpetrazione del reato – l’obbligo di applicazione della causa estintiva, che presuppone il reato esistente e all’imputato addebitabile, con prevalenza rispetto alla pronuncia liberatoria di assoluzione piena che l’ordinamento interno dovesse viceversa ammettere, in quanto conforme ai criteri generali informatori del regime probatorio in materia penale.
Tali criteri erano stati già enunciati da Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, COGNOME, Rv. 244273-01 – chiamate a dirimere il contrasto circa la prevalenza o meno del proscioglimento nel merito rispetto alla dichiarazione immediata di
una causa di non punibilità nel caso di contraddittorietà o insufficienza d prova – nel momento in cui esse avevano statuito che «all’esito del giudizio proscioglimento nel merito, in caso di contraddittorietà o insufficienza de prova, non prevale rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di no punibilità, salvo che, in sede di appello, sopravvenuta una causa estintiva reato, il giudice sia chiamato a valutare, per la presenza della parte civ compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili».
Secondo la pronuncia COGNOME è proprio l’enunciato dell’art. 578 cod proc. pen. che dischiude, in presenza della parte civile, al giu dell’impugnazione la porta della “cognizione piena”, conducendo ad affermare la regola, favorevole all’imputato, della prevalenza, in tal caso, del proscioglim nel merito secondo la regola dettata dall’art. 530, commi 1 e 2, cod. proc. p sulle esigenze di speditezza delle quali è espressione la declaratoria ai dell’art. 129 cod. proc. pen.
Sez. U, n. 36208 del 2024, COGNOME, hanno ribadito la persistent vigenza e la piena operatività di tali principi.
Nella giurisprudenza sovranazionale non si rinvengono – osservano le Sezioni unite, testé citate – affermazioni di carattere generale dalle quali si desumere il divieto di accordare prevalenza, rispetto all’applicazione di una ca estintiva del reato, alla più favorevole pronuncia assolutoria all’intern medesimo processo penale, di cui dovessero ricorrere i presupposti secondo lo statuto probatorio proprio del processo penale stesso.
Ritengono ancora le Sezioni Unite, Calpitano, che la protezione giuridica’ offerta al diritto di difesa dell’imputato dalla pronuncia COGNOME, si pon diversa e complementare prospettiva rispetto alle garanzie che la Convenzione EDU e le fonti del diritto eurounitario riconoscono in funzione della tutela d presunzione d’innocenza. Tale protezione costituisce, infatti, esplicazione potere riconosciuto, dagli organi sovranazionali di giurisdizione agli Stati part accordare ai diritti e alle libertà garantiti dai rispettivi ordinamenti una giuridica maggiore di quella che si attua in sede sovranazionale (Corte EDU, 18/11/2021, COGNOME c. Italia; Corte EDU, 25/03/2021, COGNOME e COGNOME c. Italia, § 39).
Il principio di diritto conclusivo, affermato da Sez. U, Calpitano, che de essere ribadito anche con riferimento al caso di specie, è quello secondo c «(n)el giudizio di appello avverso la sentenza di condanna dell’imputato anche risarcimento dei danni, il giudice, intervenuta nelle more l’estinzione del r per prescrizione, non può limitarsi a prendere atto della causa estint
adottando le conseguenti statuizioni civili fondate sui criteri enunciati sentenza della Corte Costituzionale n. 182 del 2021, ma è comunque tenuto, stante la presenza della parte civile, a valutare, anche a fronte di insufficienti o contraddittorie, la sussistenza dei presupposti per l’assoluzion merito».
10. Dalla ribadita affermazione di questo principio non derivano, tuttavia, effetti concretamente favorevoli al ricorrente.
La sentenza impugnata, pur se ha incongruamente richiamato il criterio di giudizio del «più probabile che non», ha nei fatti rivalutato la responsabilità c dell’imputato mediante un apprezzamento del materiale probatorio rispondente ai criteri enunciati dalle pronunce delle Sezioni unite COGNOME e COGNOME.
La sentenza impugnata ha infatti puntualmente indicato, con apprezzamenti logici ed esaustivi, contro cui si infrangono le reiterative censure oggett secondo motivo di ricorso, gli elementi dimostrativi della paternità delle condot moleste, rivelata – oltre ogni ragionevole dubbio – dall’intestazione all’impu delle utenze telefoniche da cui le condotte originavano, dalle modalità tempora della loro effettuazione e dall’inattendibilità delle dichiarazioni auto-incrimi provenienti dalla signora NOME Rivetti.
Il compendio probatorio, posto dalla Corte di appello a sostegno della reiezione, agli effetti civili, dell’impugnazione dinanzi ad essa proposta, è dunque oggetto di una rivisitazione che, risultando pienamente coerente con lo standard probatorio al riguardo richiesto, non presenta profili di criticità s profilo dell’insufficienza o della contraddittorietà dimostrativa.
11. Segue la reiezione del ricorso.
Il ricorrente deve essere pertanto condannato, ai sensi dell’art. 616 c proc. pen., al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle sp sostenute nel grado dalla costituita parte civile, che, tenuto conto dell’imp defensionale profuso, si liquidano come da dispositivo.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spe processuali.
Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile COGNOME NOME, liquida in complessivi euro 3.800,00, oltre accessori di legge.
Così deciso 1’08/10/2024