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Prescrizione e risarcimento: la decisione in appello

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 27806/2025, ha chiarito un punto cruciale nel rapporto tra prescrizione e risarcimento del danno. Nel caso di un professionista accusato di esercizio abusivo della professione, il cui reato è stato dichiarato estinto per prescrizione in appello, la Suprema Corte ha confermato la condanna al risarcimento dei danni civili. La decisione stabilisce che il giudice d’appello, in presenza di una parte civile, ha il dovere di valutare nel merito la responsabilità dell’imputato ai soli fini civili, anche dopo la maturazione della prescrizione.

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Pubblicato il 26 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Prescrizione e Risarcimento: Obblighi del Giudice d’Appello sulle Richieste Civili

La recente sentenza della Corte di Cassazione Penale, Sezione Sesta, n. 27806 del 2025, affronta un tema di grande rilevanza pratica: il rapporto tra prescrizione e risarcimento del danno nel giudizio di appello. La Corte ha stabilito che, anche quando il reato si estingue per prescrizione, il giudice d’appello deve comunque valutare la responsabilità dell’imputato ai fini delle statuizioni civili, se esiste una condanna in primo grado e la presenza di una parte civile. Questa decisione riafferma un principio fondamentale a tutela delle vittime di reato.

I Fatti del Caso: Esercizio Abusivo della Professione Odontoiatrica

Il caso trae origine da una condanna emessa dal Tribunale di Verona nei confronti di un soggetto per il reato di esercizio abusivo della professione odontoiatrica, previsto dall’art. 348 del codice penale. L’imputato aveva esercitato l’attività senza possedere i titoli abilitativi richiesti in Italia.

In secondo grado, la Corte di Appello di Venezia, pur confermando la responsabilità dell’imputato, ha dovuto dichiarare l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione. Tuttavia, in parziale riforma della prima sentenza, ha mantenuto ferme le statuizioni civili, ovvero la condanna al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

L’imputato ha proposto ricorso per Cassazione basandosi su diversi motivi. I punti centrali della sua difesa erano:
1. Erronea conferma delle statuizioni civili: Secondo il ricorrente, la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione avrebbe dovuto travolgere anche la condanna al risarcimento del danno.
2. Contraddittorietà della motivazione: Il ricorrente lamentava una contraddizione nel mantenere la condanna civile pur dichiarando il reato estinto.
3. Carenza di prova: L’imputato sosteneva di possedere un titolo di studio conseguito in Polonia e l’iscrizione all’ordine professionale in Portogallo, elementi che, a suo dire, avrebbero dovuto legittimare l’esercizio, almeno temporaneo, della professione in Italia.

Prescrizione e Risarcimento: L’Analisi della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo tutte le argomentazioni della difesa. Il cuore della decisione si concentra sull’interpretazione dell’articolo 578 del codice di procedura penale. Questa norma stabilisce che, quando il giudice d’appello o la Cassazione dichiarano il reato estinto per amnistia o prescrizione, devono comunque decidere sull’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili.

Questo significa che la prescrizione e risarcimento possono seguire percorsi diversi. L’estinzione del reato non cancella automaticamente l’obbligo risarcitorio se è già stata pronunciata una condanna, anche generica, in primo grado. Il giudice d’appello, in presenza della parte civile, ha il potere-dovere di procedere a una valutazione del merito della causa, esaminando il compendio probatorio già acquisito per decidere sulla fondatezza della pretesa risarcitoria.

le motivazioni

La Suprema Corte ha basato la sua decisione su consolidati principi espressi anche dalle Sezioni Unite. La pronuncia chiarisce che l’obbligo di immediata declaratoria delle cause di non punibilità (art. 129 c.p.p.) è bilanciato dalla necessità di tutelare i diritti della parte civile. La presenza di quest’ultima nel processo “apre al giudice di appello la porta della cognizione piena”. Di conseguenza, il giudice non può limitarsi a prendere atto della prescrizione, ma deve accertare, nel rispetto del contraddittorio, se sussistono le prove per confermare la responsabilità civile dell’imputato.

Le Sezioni Unite (sent. n. 36208/2024) hanno recentemente ribadito che il giudice d’appello deve valutare la sussistenza dei presupposti per un’eventuale assoluzione nel merito, anche in presenza di prove insufficienti o contraddittorie, prima di confermare la condanna civile. Nel caso di specie, la Corte di Appello ha correttamente applicato questi principi: ha valutato le prove e, ritenendo insussistenti i presupposti per un’assoluzione, ha confermato la condanna al risarcimento pur dichiarando il reato prescritto.

le conclusioni

La sentenza ribadisce con forza un principio di giustizia sostanziale: l’estinzione del reato per prescrizione non deve tradursi in un pregiudizio per la vittima che ha ottenuto una condanna al risarcimento in primo grado. La decisione assicura che il processo penale, anche quando non può concludersi con una condanna penale definitiva, possa comunque fornire una risposta efficace alle legittime pretese risarcitorie della parte civile. Per l’imputato, ciò significa che l’arrivo della prescrizione in appello non è sufficiente a liberarlo dagli obblighi civili derivanti dal fatto illecito commesso.

Se un reato si prescrive in appello, l’imputato deve comunque risarcire il danno alla parte civile?
Sì, se in primo grado era stata pronunciata una condanna, anche generica, al risarcimento dei danni. Il giudice d’appello, pur dichiarando il reato estinto per prescrizione, deve decidere sulle questioni civili e può confermare la condanna al risarcimento.

Perché il giudice d’appello deve decidere sulle questioni civili anche se il reato è estinto?
Lo deve fare in base all’art. 578 del codice di procedura penale. La presenza di una parte civile che ha ottenuto una condanna al risarcimento in primo grado impone al giudice di valutare nuovamente le prove per decidere sulla responsabilità civile, tutelando così i diritti della vittima del reato.

Un titolo di studio conseguito in un paese UE e l’iscrizione a un albo in un altro paese UE abilitano automaticamente all’esercizio della professione in Italia?
No. La sentenza chiarisce che non vi è un riconoscimento automatico. Nel caso specifico, il Ministero della Salute aveva comunicato all’imputato l’inidoneità del suo titolo di studio polacco a esercitare la professione in Italia. L’iscrizione a un albo in un altro stato membro non superava questo ostacolo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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