Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 7447 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 7447 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Gallio il 23/01/1956 rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME di fiducia, di fiducia avverso la sentenza del 09/01/2024 della Corte di appello di Venezia, seconda sezione penale
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
preso atto che non è stata richiesta dalle parti la trattazione orale e che, conseguentemente, il procedimento viene trattato con contraddittorio scritto; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni scritte depositate dal sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME con le quali è stato chiesto il rigetto del ricorso;
lette le conclusioni depositate in data 23/12/2024 dal difensore della parte civile, avv. NOME COGNOME che ha chiesto declaratoria di inammissibilità o di rigetto del ricorso;
lette le conclusioni scritte depositate in data 27/12/2024 dal difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME con le quali è stato chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Venezia, in riforma della pronuncia assolutoria nei confronti di NOME per insussistenza del reato di appropriazione indebita emessa in data 21/01/2015 dal Tribunale di Vicenza, impugnata dal Pubblico Ministero e dalla parte civile NOME NOMECOGNOME dichiarava non doversi procedere per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione e condannava l’imputato al risarcimento dei danni in favore della parte civile liquidati in euro 5.000,00 per la componente non patrimoniale e da determinarsi in separata sede civile con riferimento alla componente patrimoniale.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, tramite il difensore fiduciario, articolando i seguenti motivi.
2.1.Con il primo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. b), cod. proc. pen., violazione di legge con riferimento all’art. 646 cod. pen.
Rileva, in primo luogo, il ricorrente che non si configura condotta appropriativa in quanto la persona offesa NOME COGNOME non era proprietario delle somme oggetto del reato ascritto che appartenevano, invece, al padre NOME il quale non ne aveva mai chiesto la restituzione all’imputato. Anche a volere ritenere che lo scopo di quest’ultimo fosse quello di destinare le proprie risorse ai due figli provvedendo alla ripartizione tra gli stessi quando era ancora in vita, non vi era alcun titolo idoneo a trasferirne la proprietà mancando l’atto pubblico richiesto a pena di nullità ai sensi dell’art. 782 cod. civ e sussistendo il divieto posto dall’art. 458 cod. civ. Le somme venivano semplicemente prelevate da un conto cointestato a NOME e al figlio NOME e depositate in quello cointestato allo stesso NOME e al figlio NOME, sicchè non erano uscite dalla sfera di controllo del legittimo proprietario sino alla sua morte. Il passaggio di proprietà del denaro in parola in favore di NOME si realizzava solo al momento dalla successione di NOME COGNOME avvenuta nel 2012, e quindi ben un anno dopo la richiesta di restituzione avanzata all’imputato dal fratello.
Deduce, in secondo luogo, il ricorrente che, in ogni caso, nella specie si configura una intestazione fiduciaria del denaro in capo all’imputato, sicchè deve trovare applicazione il principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui non integra il delitto di appropriazione indebita la condotta dell’intestatario fiduciario di un bene che non ottemperi all’obbligo di ritrasferirlo al fiduciante alla scadenza convenuta, in quanto l’intestazione fiduciaria dà luogo ad una interposizione reale attraverso la quale l’interposto acquista la proprietà dei beni e non la mera detenzione.
La vicenda oggetto di giudizio ha quindi rilievo esclusivamente civilistico.
2.2.Con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. c), cod. proc. pen., la violazione della norma processuale di cui all’art. 578 cod. proc. pen. con conseguente abnormità della sentenza impugnata nella parte in cui ha dichiarato l’estinzione del reato contestato per intervenuta prescrizione in pendenza del giudizio di appello e contestualmente ha condannato l’imputato al risarcimento del danno in favore della parte civile appellante.
Tale statuizione è in aperto contrasto con il disposto dell’art. 578 codice di rito che prevede che il giudice dell’impugnazione, laddove il reato sia estinto per prescrizione, sia investito del potere di decidere in ordine agli interessi civili solo se sia stata pronunciata, in un grado precedente, condanna anche generica alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato de quo.
Poiché il Tribunale non aveva disposto alcunchè in favore della parte civile.in ragione dell’intervenuta pronuncia assolutoria, la Corte di appello avrebbe dovuto limitarsi a dichiarare l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione.
Il ricorrente richiama la diversa pronuncia a Sezioni Unite n. 25083 dell’11/07/2006, Rv. 233918 secondo cui il giudice di appello, nel dichiarare l’estinzione del reato per prescrizione o per amnistia su impugnazione, anche ai soli effetti civili, della sentenza di assoluzione ad opera della parte civile, può condannare l’imputato al risarcimento dei danni in favore di quest’ultima, atteso che l’art. 576 cod. proc. pen. conferisce al giudice dell’impugnazione il potere di decidere sul capo della sentenza anche in mancanza di una precedente statuizione sul punto
Rispetto a tali principi, il ricorrente svolge una serie di argomentazioni (pagg. da 9 a 14 del ricorso) volte ad evidenziare come tale dictum non sia condivisibile e a sollecitare una rivisitazione dello stesso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso va dichiarato inammissibile.
Manifestamente infondato è il primo motivo di ricorso ove si deduce che la persona offesa NOME NOME non era proprietaria della somma oggetto di appropriazione indebita la quale, invece, apparteneva al padre NOME che l’aveva semplicemente trasferita su un altro conto corrente cointestato a lui e all’imputato, così rimanendone proprietario sino alla sua morte, avvenuta ben un anno dopo la pretesa di restituzione vantata dal figlio NOME nei confronti del fratello NOME.
Si tratta di una deduzione che, seppure fatta valere sotto il profilo della violazione di legge, in realtà mira a riproporre al giudice di legittimità una non
consentita lettura alternativa delle emergenze processuali che la Corte di appello ha valutato con motivazione esauriente e priva di manifesta illogicità.
Come si apprezza dalla lettura della sentenza impugnata (pagg. 5 e ss.), i Giudici di secondo grado hanno ritenuto attendibile il portato dichiarativo della persona offesa COGNOME NOME (risentita nel giudizio di appello ai sensi dell’art. 603, comma 3-bis cod. proc. pen.) in quanto intrinsecamente logico e coerente ed anche supportato da plurimi riscontri esterni di natura documentale (gli accertamenti bancari e gli allegati n. 2-4 e 5 alla querela della cui falsità non vi era prova alcuna) e testimoniale (le deposizioni del padre NOME e del funzionario di banca COGNOME NOME). Tale compendio probatorio dimostrava che la somma oggetto della contestata appropriazione era di proprietà esclusiva di Finco NOME (ed erano state trasferite sul conto cointestato al padre e al fratello, odierno imputato, al solo scopo di evitare che la moglie da cui si stava separando potesse accampare pretese ) e che alla richiesta di restituzione avanzata nell’anno 2011 dallo stesso NOME il quale necessitava di liquidità per acquistare una nuova farmacia l’imputato non aveva ottemperato ed aveva trasferito la somma su un proprio conto personale.
Alla luce della ricostruzione fattuale della vicenda, condotta in aderenza alle risultanze istruttorie e, dunque, non rivisitabile in questa sede, la Corte territoriale ha correttamente ravvisato gli elementi costitutivi del reato di appropriazione indebita sia sul piano oggettivo (interversione del possesso) che sotto il profilo soggettivo (dolo generico consistente nella consapevolezza di comportarsi uti dominus sulla cosa altrui).
Non pertinente è il richiamo alla pronuncia di legittimità citata nel ricorso (Sez. 2, Sentenza n. 46102 del 28/10/2015 Rv. 265239, P.C. in proc. COGNOME) che riguarda ipotesi diversa da quella di specie e cioè una interposizione non fittizia, bensì reale con annesso negozio fiduciario di beni immateriali (titoli obbligazionari non rientranti nella nozione penalistica di cosa mobile, così come definita dall’art. 624, comma secondo, cod. pen.) nel cui ambito non era stato ottemperato l’obbligo di ritrasferimento degli stessi al fiduciante alla scadenza convenuta.
Manifestamente infondato è anche il secondo motivo di ricorso con il quale si deduce la abnormità della sentenza impugnata nella parte in cui ha dichiarato l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione e ha contestualmente condannato l’imputato al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile in violazione dell’art. 578 cod. proc. pen.
E’ ben vero che la norma in questione prevede come la decisione sulle restituzioni e sul risarcimento dei danni può essere assunta soltanto nel caso in
cui, nel precedente grado del giudizio, sia stata affermata, con la sentenza di condanna, la responsabilità dell’imputato.
Tuttavia, tale disposizione riguarda unicamente i casi in cui l’impugnazione sia stata proposta dall’imputato stesso o dal pubblico ministero e non trova applicazione nell’ipotesi, quale quella di specie, in cui appellante la parte civile, alla quale l’art. 576 cod. proc. pen., riconosce il diritto ad una decisione incondizionata sul merito della propria domanda e, quindi, attribuisce al giudice dell’impugnazione il potere di decidere sul capo della sentenza, anche in mancanza di una precedente statuizione sul punto (Sez. U, n. 25083 del 11/07/2006, COGNOME Rv. 233918; Sez. 3, n. 3083 del 18/10/2016 Rv. 268894; Sez. 1, n. 26016 del 09/04/2013, Geat, Rv. 255714; Sez. 2, n. 6568 del 26/01/2022, D’Isa c/Protillo, Rv. 282689).
A tali principi (affermati dalla consolidata giurisprudenza di legittimità anche a Sezioni Unite dalla quale non vi è ragione alcuna di discostarsi in quanto pienamente aderenti al dato normativo) la Corte di appello si è conformata, sicchè non si ravvisa alcun profilo di abnormità con riferimento alle disposte statuizioni civili.
Alla inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dell’imputato al pagamento delle spese processuali e, valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000 n. 186), al versamento della somma di euro tremila a favore della Cassa delle ammende, che si ritiene equa considerando che l’impugnazione è stata esperita per ragioni manifestamente infondate.
La liquidazione delle spese processali riferibili alla fase di legittimità richiesta dalla parte civile non è dovuta.
Va richiamato in proposto il principio affermato in due pronunce a Sezioni Unite (Sez. U, n. 5466 del 28/01/2004, Gallo, Rv. 226716 e più recentemente SU n. 877 del 14/07/2022, COGNOME, Rv. 283886) secondo cui nel procedimento che si svolge dinanzi alla Corte di cassazione in camera di consiglio nelle forme previste dagli artt. 610 e 611 cod. proc. peri., ovvero con rito camerale cd. “non partecipato”, quando il ricorso dell’imputato viene dichiarato, per qualsiasi causa, inammissibile, va disposta la condanna al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile, purché, in sede di legittimità, la stessa abbia effettivamente esplicato, nei modi e nei limiti consentiti, un’attività diretta a contrastare la pretesa dell’imputato per la tutela dei propri interessi.
Nel caso in esame la parte civile non ha fornito alcun contributo, essendosi limitata a richiedere nelle conclusioni scritte depositate la dichiarazione
d’inammissibilità del ricorso, od il suo rigetto, con vittoria di spese, senza contrastare specificamente i motivi di impugnazione proposti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Rigetta la richiesta di liquidazione delle spese sostenute nel presente giudizio dalla parte civile RAGIONE_SOCIALE Così deciso il 07/01/2025.