Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 44793 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 44793 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 17/10/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
COGNOME NOMECOGNOME nato ad Avellino il 28/2/1992
NOME NOMECOGNOME nato a San Paolo Belsito il 2/2/1987
avverso la sentenza del 19/4/2024 della Corte di appello di Napoli.
Visti gli atti, la sentenza impugnata e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale M. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di dichiarare l’inammissibilità dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 19 aprile 2024 la Corte di appello di Napoli ha confermato la pronuncia emessa dal Tribunale di Noia il 13 settembre 2022, con cui NOME COGNOME e NOME COGNOME sono stati condannati alla pena ritenuta di giustizia per i reati loro rispettivamente ascritti. NOME COGNOME è stato ritenuto responsabile dei
reati di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/90 (capi 7 e 8), e NOME COGNOME per il reato di cui all’art. 73 d.P.R. cit. (capo 9).
Avverso la sentenza della Corte di appello hanno proposto ricorsi per cassazione i difensori degli imputati.
Il difensore di NOME COGNOME ha dedotto i motivi di seguito indicati.
3.1. Violazione degli artt. 191 e 178, lettera c, cod. proc. pen., per avere il Giudice di primo grado acquisito illegittimamente ex art. 507 cod. proc. pen. le intercettazioni ambientali, non depositate dal Pubblico ministero e, quindi, non utilizzabili. Le parti non avevano prestato il consenso per l’acquisizione e il Giudicante, nel provvedere ex art. 507 cod. proc. pen., avrebbe violato il diritto di difesa, atteso che le intercettazioni costituivano l’unica fonte di prova a sostegno della condanna, e avrebbe precluso al difensore la possibilità di avere reale contezza del materiale probatorio a carico dell’imputato, inducendolo in concreto ad effettuare un’erronea valutazione degli atti di causa, con conseguente erronea scelta del rito.
3.2. Omessa motivazione in riferimento alla violazione dell’art. 125 cod. proc. pen. La motivazione della sentenza di condanna sarebbe viziata, in quanto fondata su un’unica prova inutilizzabile.
3.3. Erronea applicazione della legge per non avere ricondotto i fatti nell’ambito dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/90, nonostante la condotta dell’imputato rientrasse nell’ipotesi del c.d. piccolo spaccio. Il ricorrente sarebbe un soggetto che, da una parte, risulterebbe avere quasi nessuna disponibilità economica, con conseguente ridotta possibilità di soddisfare un numero elevato di richieste di cessione; dall’altra parte, egli stesso sarebbe assiduo assuntore di sostanza stupefacente, così che la condotta non apparirebbe ricollegabile a un sistema stabile di approvvigionamento, di distribuzione e cessione della droga.
Il difensore di NOME COGNOME ha dedotto violazione di legge, per avere la Corte di appello erroneamente affermato che il corso della prescrizione aveva subito otto sospensioni per impedimento delle parti, mentre non sarebbero da calcolare i rinvii dovuti a incompetenza funzionale del GOT, che aveva rinviato alle udienze del 6 marzo 2018, del primo ottobre 2019 e del 13 novembre 2018. Non considerando tali rinvii, così come quello disposto a seguito dell’istanza di impedimento dell’Avv. COGNOME il termine di prescrizione sarebbe rimasto sospeso solo per 8 mesi e 15 giorni, con conseguente maturazione della prescrizione in data antecedente alla pronuncia della sentenza di appello.
Il 9 ottobre 2024 è pervenuta una memoria nell’interesse di NOME COGNOME con cui si è censurata la violazione del principio secondo cui nel concorso di due impedimenti, l’uno dovuto all’imputato o al suo difensore e l’altro al giudicante, deve darsi prevalenza a quest’ultimo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Entrambi i ricorsi proposti non meritano accoglimento.
Il ricorso di NOME COGNOME deve essere rigettato.
2.1. Il primo e il secondo motivo, concernenti l’acquisizione e l’utilizzazione delle intercettazioni telefoniche, sono infondati.
Non vi è dubbio che il pubblico ministero è tenuto a trasmettere al giudice per le indagini preliminari, ex art. 416, comma 2, cod. proc. pen., l’intera documentazione raccolta nel corso delle indagini e che la violazione di tale obbligo determina l’inutilizzabilità degli atti non trasmessi.
L’art. 526 cod. proc. pen., infatti, sancisce l’utilizzabilità, ai fini della decisio delle prove “legittimamente acquisite” e, poiché i tabulati telefonici rappresentano “prove”, per essere utilizzati a carico o a favore dell’imputato, devono prima entrare nel procedimento attraverso la loro formale (e legittima) acquisizione.
Proprio in tema di tabulati telefonici questa Corte ha affermato che l’inutilizzabilità degli atti, non trasmessi ai sensi dell’art. 416, comma 2, cod. proc. pen., è una sanzione di carattere generale che non è limitata a una sola fase processuale, ma può essere rilevata di ufficio in ogni stato e grado del procedimento (Sez. 5, n. 21475 del 19/04/2021, Cascino, Rv. 281376 – 01; Sez. 4, n. 27370 del 23/02/2005, COGNOME, Rv. 231730 – 01; Sez. 1, n. 5364 del 13/2/1997, P.M. e COGNOME, Rv 207815 – 01).
La deroga allo schema procedimentale sopra descritto non comporta necessariamente la dispersione degli elementi di indagine acquisiti dal pubblico ministero.
La stessa giurisprudenza sopra richiamata (in particolare: n. 5364/1997) ha chiarito che l’inutilizzabilità degli atti non trasmessi al giudice dell’udienz preliminare permane finché gli stessi restano estranei al compendio probatorio, acquisito al dibattimento, e che detti atti possono essere assunti, e conseguentemente utilizzati, dal giudice del dibattimento ex art. 507 cod. proc. pen., attesa la natura sostanziale di tale norma che è diretta alla ricerca della verità, indipendentemente dalle vicende processuali che determinano la decadenza della parte al diritto alla prova.
Nel caso in esame, quindi, l’acquisizione delle intercettazioni, non depositate dal Pubblico ministero, ai sensi dell’art. 507 cod. proc. pen. è avvenuta ritualmente, con la conseguenza che esse ben potevano essere poste a fondamento dell’affermazione della responsabilità del ricorrente.
Peraltro, contrariamente a quanto lamentato dal ricorrente, nessuna violazione del diritto di difesa, con riguardo alla scelta del rito, si è realizzata effetto dell’acquisizione dei tabulati, atteso che tale acquisizione è avvenuta, come detto, nel rispetto delle norme che regolano la fase dibattimentale del procedimento.
D’altro canto, questa Corte ha già avuto modo di affermare che, in tema di istruzione dibattimentale, il potere del giudice di disporre anche di ufficio l’assunzione di nuovi mezzi di prova, ove risulti assolutamente necessario, ai sensi dell’art. 507 cod. proc. pen., non può essere limitato dal principio della cosiddetta “discovery”, che è principio che opera esclusivamente nei rapporti fra le parti (Sez. 6, n. 9909 del 20/05/1994, Papale e altri, Rv. 199450 – 01).
2.2. Anche il terzo motivo del ricorso di NOME COGNOME è infondato.
Va ricordato che, per consolidata giurisprudenza di questa Corte, il reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/90 può essere riconosciuto in ipotesi di minima offensività penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione (mezzi, modalità, circostanze dell’azione), con la conseguenza che, ove uno degli indici, previsti dalla legge, risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio (Sez. U, n. 35737 del 24/06/2010, Rico, Rv. 247911 – 01; Sez. U, n.17 del 21/06/2000, Primavera, Rv. 216668 – 01).
Anche la più recente pronuncia delle Sezioni Unite (n. 51063 del 27/09/2018, COGNOME, Rv. 274076 – 01) ha fatto applicazione di tali principi, avendo affermato che l’accertamento della lieve entità del fatto implica una valutazione complessiva degli elementi della fattispecie concreta, selezionati in relazione a tutti gli indi sintomatici, previsti dalla disposizione.
Nel caso in esame, secondo la Corte di appello, alla riconducibilità della fattispecie nell’alveo del quinto comma dell’art. 73 d.P.R. n. 309/90 ostavano la notevole quantità di droga veicolata dall’imputato (almeno 155 grammi in due circostanze distinte), la tipologia dello stupefacente (cocaina) e il fatto che le prove raccolte avevano consentito «di tratteggiare gli eventi come niente affatto isolati, occasionali e caratterizzati da modalità rudimentali e improvvisate». In particolare, dalle captazioni era risultato che i fatti in esame dovevano inquadrarsi in un più ampio e organizzato contesto criminale, dedito al narcotraffico, il cui dominus era lo zio dell’imputato, persona legata al clan operante nella zona di Marigliano, che
comprendeva numerosi soggetti che con l’imputato avevano avuto reiterati contatti e rapporti connotati da familiarità e comunione di intenti. Le intercettazioni avevano svelato, inoltre, numerose consegne di droga da parte dell’imputato ad acquirenti come NOME COGNOME e NOME COGNOME e, almeno nel caso di quest’ultimo, non si era trattato di cessioni a consumatori finali bensì della dazione di veri e propri provini funzionali a concludere in seguito ben più lucrosi affari e a determinare un’ampia diffusione della droga nel mercato di riferimento.
Alla luce di tali argomentazioni deve precisarsi che la Corte territoriale ha fatto riferimento alla non occasionalità della condotta che, però, non è elemento valorizzabile al fine della corretta qualificazione giuridica della condotta.
Questa Corte, infatti, ha ritenuto che la «ipotesi lieve» non sia incompatibile con lo svolgimento di attività di spaccio di stupefacenti continuativa, come si desume dall’art. 74, comma 6, d.P.R. 309/90, che, ipotizzando l’esistenza dell’associazione costituita per commettere fatti descritti dal comma 5 dell’art. 73 cit., rende evidente l’inconferenza del relativo elemento connesso alla reiterazione della condotta (Sez. 6, n. 39374 del 03/07/2017, COGNOME, Rv. 270849 – 01; Sez. 6, n. 48697 del 26/10/2016 n. m.).
Va rilevato, tuttavia, che la motivazione del provvedimento in disamina, emendata dal menzionato riferimento, si appalesa comunque idonea a sorreggere l’epilogo decisorio.
La Corte territoriale, infatti, ha valorizzato la notevole quantità di droga veicolata dall’imputato, la tipologia dello stupefacente (cocaina) e l’inquadramento dei fatti in un più ampio e organizzato contesto criminale, dedito al narcotraffico, il cui dominus era lo zio, persona legata al clan operante nella zona di Marigliano.
Avendo fatto riferimento a tali dati, può ritenersi operata quella valutazione complessiva degli elementi della fattispecie, selezionati in relazione a tutti gli indici sintomatici, previsti dall’art. 73, comma 5, cit. al fine di determinare la lieve entità del fatto.
Ne discende che la motivazione, come corretta da questa Corte, resiste ai rilievi censori del ricorrente.
3. Il ricorso di NOME COGNOME è inammissibile.
3.1 La censura, formulata dal ricorrente in ordine alla mancata declaratoria dell’estinzione del reato per prescrizione, maturata prima della sentenza di appello, è manifestamente infondata.
In particolare, il ricorrente ha lamentato che la Corte territoriale, al fine de calcolo delle sospensioni del termine di prescrizione del reato, avrebbe errato nel considerare i rinvii disposti alle udienze del 13 novembre 2018, del 6 marzo 2018 e del primo ottobre 2019, oltre a quello dovuto all’impedimento dell’Avv. COGNOME
3.2. Al riguardo giova, in primo luogo, precisare che, come risulta dai verbali delle udienze del giudizio di primo grado e dalla sentenza del Tribunale, che ha ripercorso l’iter del procedimento, il 13 novembre 2018 il GOT ha rinviato l’udienza per la sua incompetenza funzionale, senza disporre la sospensione del termine di prescrizione.
La Corte territoriale non ha ritenuto che tale rinvio incidesse sul calcolo delle sospensioni del termine di prescrizione e, per le ragioni che saranno di seguito indicate, pur prescindendo da esso, non può condividersi il rilievo difensivo sulla prescrizione del reato maturata prima della pronuncia di appello.
3.3. Va ritenuto, poi, che il ricorrente, nel censurare il rinvio disposto per legittimo impedimento dell’Avv. COGNOME abbia fatto riferimento all’udienza del 14 settembre 2021, in cui in effetti è stato dedotto l’impedimento di tale difensore.
Deve però rilevarsi che il ricorrente non solo non ha chiarito le ragioni per cui il rinvio dell’udienza del 14 settembre 2021 non dovesse essere considerato al fine del calcolo della sospensione della prescrizione, ma ha anche trascurato di considerare che il Giudice ha rinviato per il legittimo impedimento sia dell’Avv. COGNOME che dello stesso imputato COGNOME.
Per di più, ove il ricorrente intendesse riferirsi al fatto che l’impedimento non concerneva sé o il suo difensore, potrebbe ribadirsi, come già affermato da questa Corte, che la sospensione del corso della prescrizione si estende a tutti i coimputati del medesimo processo allorché costoro, ove non abbiano dato causa essi stessi al differimento, non si siano opposti al rinvio del dibattimento ovvero non abbiano sollecitato (se praticabile) l’eventuale separazione degli atti a ciascuno di essi riferibili (Sez. 4, n. 50303 del 20/7/2018, M., Rv. 274000 – 01).
Circostanze, queste ultime, che il ricorrente non ha dedotto essersi verificate nella specie.
3.4. Quanto agli ulteriori rinvii, disposti alle udienze del 6 marzo 2018 e del primo ottobre 2019, dai verbali di tali udienze emerge che il GOT ha rinviato per legittimo impedimento dell’imputato NOME COGNOME
Premesso che il ricorrente neppure ha indicato le ragioni per cui il giudice onorario fosse incompetente funzionalmente, giova precisare che, come riconosciuto a più riprese dalla giurisprudenza di legittimità, non vi è dubbio che la sospensione del corso della prescrizione non si verifica quando la causa di sospensione ex art. 159 cod. pen. concorre con altra causa legittimante il rinvio del dibattimento (cfr. ex multis: Sez. 5, n. 36990 del 24/06/2019, Levita, Rv. 277533 – 01). In particolare, in plurime pronunce si è affermato che, in tema di prescrizione del reato, nel caso di concomitante presenza di due fatti legittimanti il rinvio del dibattimento, l’uno riferibile all’imputato o al difensore, l’altr esigenze di acquisizione della prova (art. 304, comma primo, lett. a, cod. proc.
pen.), la predominante valenza di quest’ultima preclude l’operatività del disposto dell’art. 159 cod. pen. e la conseguente sospensione nel corso della prescrizione (cfr., Sez. 6, n. 41557 del 05/10/2005, COGNOME, Rv. 232835 – 01, in fattispecie in cui il rinvio era stato disposto per impedimento dell’imputato e per assenza di un testimone; Sez. 5, n. 49647 del 02/10/2009, COGNOME, Rv. 245823 – 01, nella specie si trattava di rinvio disposto per impedimento del difensore che aveva aderito ad una iniziativa di categoria di astensione dalle udienze e per l’escussione di un teste assente; Sez. 2, n. 11559 del 9/02/2011, COGNOME, Rv. 249909 01: nella fattispecie il dibattimento era stato rinviato per la contemporanea adesione del difensore e del giudice allo sciopero indetto nello stesso giorno dalle rispettive categorie).
Pacifico, quindi, che, nel concorso di due fatti che legittimano il rinvio del dibattimento, l’uno riferibile all’imputato o al difensore e l’altro ad una causa loro estranea, deve accordarsi la prevalenza a quest’ultima e, pertanto, il rinvio non determina la sospensione del corso della prescrizione, deve evidenziarsi, però, che, perché tale principio operi è necessario che effettivamente il rinvio sia stato disposto per entrambe le cause, non rilevando la potenziale esistenza di quella riferibile all’ufficio ma non rilevata in concreto dal giudice, che non l’ha posta a fondamento del provvedimento di rinvio.
Si è già ritenuto, ad es., che è irrilevante che, se il difensore dell’imputato non avesse aderito all’astensione, l’udienza sarebbe stata comunque rinviata per l’omessa citazione della persona offesa, giacché non era stata questa la ragione per cui era stato disposto il rinvio in concreto e correttamente, dunque, il giudice dell’appello aveva tenuto conto della sospensione della prescrizione (Sez. 5, sent. n. 27990 del 2022, non massimata).
Nel caso in esame, i rinvii delle udienze del 6 marzo 2018 e del primo ottobre 2019 sono stati disposti solo per impedimento dell’imputato COGNOME così che, pur a volere aderire alla tesi, prospettata dal ricorrente, dell’impedimento del giudice, di esso non può tenersi conto, in quanto in concreto tale impedimento non è stato rilevato dal giudicante e posto a base dei rinvii.
Peraltro, alle udienze in questione neppure poteva dirsi sussistente un impedimento dell’ufficio, atteso che la partecipazione di un giudice onorario a una udienza del Tribunale, in assenza dei presupposti stabiliti dall’art. 43-bis Ord. giud. (impedimento o mancanza di giudici ordinari), costituisce mera irregolarità, in quanto non è sanzionata da alcuna nullità e non può ricondursi alla previsione dell’art. 178, comma 1, lett. a) cod. proc. pen., non riguardando le condizioni di capacità del giudice o di regolare costituzione del collegio, ma la destinazione agli uffici giudiziari e la formazione del collegio stesso, che, per espressa disposizione dell’art. 33, comma 2, cod. proc. pen., non attengono alle menzionate condizioni
(in questi termini cfr: Sez. 4, n. 41985 del 29/4/2003, P.G. in proc. COGNOME, Rv. 227291 – 01; Sez. 1, n. 12409 del 19/12/2000, dep. 2001, COGNOME, Rv. 218454 – 01).
Alla luce di quanto precede deve affermarsi, quindi, che i rinvii delle udienze del 6 marzo 2018 e del primo ottobre 2019 devono essere considerati al fine del calcolo della sospensione della prescrizione.
3.5. Per di più, la Corte di appello, come si evince dalla lettura della motivazione della sentenza impugnata, non ha menzionato la sospensione determinata dal rinvio disposto dal Giudice di primo grado all’udienza del 28 giugno 2022 per l’adesione dei difensori all’astensione dalle udienze, indetta dalla categoria di appartenenza (2 mesi e 17 giorni).
Contrariamente a quanto affermato dalla Corte territoriale, poi, anche il rinvio disposto per l’emergenza pandemica all’udienza del 20 maggio 2020 ha determinato la sospensione della prescrizione.
Questa Corte, infatti, ha affermato che, in tema di disciplina della prescrizione a seguito dell’emergenza pandemica, per i procedimenti con udienza fissata nel periodo 9 marzo – 11 maggio 2020, la sospensione della prescrizione, prevista dall’art. 83, comnna 4, del d.l. 18 marzo 2020, opera dalla data dell’udienza di cui è stato disposto il rinvio fino all’i maggio 2020, mentre, per i procedimenti la cui udienza era fissata nel periodo 12 maggio-30 giugno 2020 (cd. “seconda fase” dell’emergenza) e rinviati a data successiva, ai sensi del comma 7, lett. g), art. cit., la prescrizione rimane sospesa, ai sensi dell’art. 83, comma 9, del d.l. 18 marzo 2020, dalla data di detta udienza fino al 30 giugno 2020 (Sez. 5, n. 26217 del 13/07/2020, G., Rv. 279598 – 03).
Nel caso in esame, quindi la prescrizione è stata sospesa anche dal 20 maggio 2020 al 30 giugno 2020 (42 giorni).
In definitiva, nel giudizio di primo grado i rinvii, determinanti la sospensione della prescrizione, sono stati disposti alle seguenti udienze: 19 dicembre 2017 (rinvio per impedimento dell’imputato COGNOME: 60 giorni dalla fine dell’impedimento), 6 marzo 2018 (impedimento dell’imputato COGNOME: 60 giorni dalla fine dell’impedimento); 27 marzo 2019 (impedimento dell’imputato COGNOME: 60 giorni dalla fine dell’impedimento); primo ottobre 2019 (impedimento dell’imputato COGNOME: per 60 giorni dalla fine dell’impedimento); 20 maggio 2020 (emergenza Covid: 42 giorni); 10 novembre 2020 (per impedimento del difensore dell’imputato COGNOME: 61 giorni), 14 settembre 2021 (per impedimento dell’imputato COGNOME e Avv. COGNOME: 60 giorni dalla fine dell’impedimento dell’imputato), 26 ottobre 2021 (per impedimento dell’imputato COGNOME: 1 mese e gg. 19), 10 maggio 2022 (impedimento difensore imputato
COGNOME: 1 mese e gg. 19), 28 giugno 2022 (adesione dei difensori all’astensione dalle udienze: 2 mesi e 17 giorni).
Correttamente, quindi, in considerazione dei periodi di sospensione, il reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/90, commesso il 12 luglio 2015, non è stato dichiarato estinto per prescrizione maturata prima della sentenza di appello.
L’inammissibilità del ricorso di NOME COGNOME preclude la possibilità di rilevare l’estinzione eventualmente maturata dopo la sentenza di appello. La giurisprudenza di questa Corte ha, infatti, più volte chiarito che l’inammissibilità del ricorso per cassazione «non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen.» (Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D.L., Rv. 217266 – 01; conformi, Sez. U, n. 23428 del 2/3/2005, COGNOME, Rv. 231164 – 01, e Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, COGNOME, Rv. 266818 – 01).
Ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al rigetto del ricorso di NOME COGNOME consegue la condanna di tale ricorrente al pagamento delle spese processuali, mentre alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso di NOME COGNOME consegue la condanna di quest’ultimo al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo ragioni di esonero, della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso di NOME NOME che condanna al pagamento delle spese processuali. Dichiara inammissibile il ricorso di COGNOME NOME che condanna al pagamento delle spese processuali e di una somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 17 ottobre 2024.