Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 34237 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 34237 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato in MAROCCO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 10/09/2024 della CORTE D’APPELLO DI BRESCIA Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette la requisitoria e le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha chiesto rigettarsi il ricorso
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Brescia, con la sentenza emessa il 10 settembre 2024, riformava parzialmente quella del Tribunale bresciano, che aveva accertato la responsabilità penale di NOME COGNOME in relazione al delitto di furto di 12 quintali di ottone, escludendo l’aggravante del mezzo fraudolento e conseguentemente riducendo la pena, mentre invece veniva confermata la sussistenza dell’aggravante del numero di persone ex art. 625, primo comma, n. 5, cod. pen. Nell’imputazione era anche contestata la recidiva reiterata e specifica, il che rileva ai fini dell’esame del presente ricorso.
Il ricorso per cassazione proposto nell’interesse di NOME COGNOME consta di un unico motivo, enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Il motivo deduce violazione di legge in relazione all’art. 521 cod. proc. pen. in quanto, mentre nell’imputazione viene contestata l’asportazione della refurtiva in un unico giorno, il 28 ottobre 2014, dall’istruttoria e dal testo della sentenza impugnata emerge che il fatto-reato sia stato commesso nel corso di plurime giornate, con conseguente lesione dell’esercizio del diritto di difesa : infatti l’imputato aveva rappresentato rispetto alla contestazione che risolveva il furto in unico giorno – come nel corso del singolo trasporto con la Fiat Punto con a bordo quattro persone non sarebbe stato possibile il trasferimento di una tale quantità di ottone. La modifica del fatto ritenuto in sentenza escludeva la possibilità di modulare la difesa in modo appropriato sul fatto come diversamente valutato.
Il ricorso è stato trattato senza l’intervento delle parti, ai sensi del rinnovato art. 611 cod. proc. pen., come modificato dal d.lgs. n. 150 del 2022 e successive integrazioni.
Le parti hanno concluso come indicato in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è complessivamente infondato e va rigettato.
A ben vedere in primo luogo deve osservare questa Corte come il tema della data di consumazione del furto – e anche della potenziale esclusione della responsabilità dell’imputato per non aver commesso il furto nei giorni precedenti -emerge dall’istruttoria di primo grado e ha consentito alla difesa di formulare un motivo di appello sul punto, a riprova della possibilità di esercitare pienamente il diritto di difesa.
Pertanto, non si incorre nella violazione lamentata dal ricorrente, in quanto, perché possa aversi violazione del combinato disposto degli artt. 516 e ss. e 522 cod. proc. pen. occorre che il fatto contestato assuma le caratteristiche della diversità o di assoluta novità richieste dalle norme del codice di rito che attivano gli obblighi di notifica per consentire l’esercizio dei diritti di cui all’art. 519 cod. proc. pen. Le disposizioni invocate vengono richiamate dalle norme che regolano l’esito del giudi zio: l’art. 521 che impone al giudice di trasmettere gli atti al pubblico ministero se il fatto emerso dall’istruttoria è diverso da quello contestato ; l’art. 522 per il caso in cui la sentenza sia emessa per un fatto diverso e , dunque, in violazione del principio di correlazione fra contestazione e decisione. Tali disposizioni richiedono di valutare se il fatto come emerso dall’istruttoria sia diverso da quello contestato e pertanto soccorre a riguardo l’autorevole principio
che rileva come la diversità debba avere i caratteri della trasformazione radicale. Per aversi mutamento del fatto, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta, nella quale si riassume la ipotesi astratta prevista dalla legge, occorre che si pervenga ad un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, come è per il caso in esame, attraverso l’ iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, COGNOME, Rv. 248051 -01; Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, COGNOME, Rv. 205619 -01). Si è anche affermato che il principio di correlazione tra imputazione e sentenza risulta violato quando nei fatti, rispettivamente descritti e ritenuti, non sia possibile individuare un nucleo comune, con la conseguenza che essi si pongono, tra loro, in rapporto di eterogeneità ed incompatibilità, rendendo impossibile per l’imputato difendersi (Sez. 3, n. 7146 del 04/02/2021, Rv. 281477 -01; conf. n. 16900 del 2004 rv. 228042 – 01, n. 35225 del 2007 rv. 237517 – 01, n. 15655 del 2008 rv. 239866 01, n. 41663 del 2005 rv. 232423 – 01, n. 4497 del 2016 rv. 265946 – 01, n. 33878 del 2017 rv. 271607 – 01, n. 12328 del 2019 rv. 276955 -01).
Tanto premesso questa Corte rileva come sia stata la stessa difesa ad aver introdotto la tesi che il furto fosse avvenuto anche in altra data, perché non era possibile il trasporto di tale quantità di ottone in una unica occasione, quella attribuita all’imputato.
La Corte di appello, però, ha escluso tale evenienza in modo non manifestamente illogico, evidenziando come la ricostruzione difensiva -che non potessero essere spostati 12 quintali di oggetti in ottone in 15 minuti -non si confrontava con la circostanza che la refurtiva era composta da oggetti pesanti ma di piccole dimensioni. Inoltre, l’autovettura era stata vista appesantita nella parte posteriore, a riprova che la refurtiva era stata caricata nel bagagliaio, dove fu trovata piccola parte della stessa, mentre l’imputato fu indicato come presente a bordo dell’autovettura . Inoltre, la strada percorsa dall’auto conduceva solo alla fabbrica nella quale fu perpetrato il furto e, infine, l’auto non si arrestò, nonostante il tentativo di un dipendente di ostacolarne l’allontanamento con la propria autovettura.
Tornando al tema della doglianza, quindi, proprio l’ iter processuale ha consentito alla difesa di fare valere le proprie ragioni e la conclusione della Corte di appello -non manifestamente illogica e non ‘attaccata’ sul punto dal ricorrente – è nel senso che sia provato il furto in unica soluzione. A tale esito, come riporta
la sentenza di appello al fol. 3, giungeva anche il primo giudice, allorché affermava essere «irricevibile la tesi che (..) vuole che i furti siano avvenuti in epoca precedente e che non riguardino il COGNOME e/o l’odierno imputato». Inoltre, la sentenza di appello evidenzia puntualmente come allorché in sentenza di primo grado si legge del l’antecedenza della condotta -valorizzata in chiave difensiva dal ricorso – la stessa sia riferita alla violenza sulle cose (che viene infatti esclusa fin dal primo grado) e non alla commissione del furto. Si tratta di una corretta interpretazione della motivazione di primo grado ove si legge: «non può ritenersi con sicurezza provato che il furto sia stato commesso quella sera con la rottura dell’inferriata». D’altro canto, la lettura della prima sentenza consente di verificare che il Tribunale ebbe a ritenere che «il furto sia avvenuto nel giro di pochi minuti dopo la chiusura dello stabilimento». Pertanto, l’imputato è stato condannato in doppio grado per il delitto commesso nella data indicata nell’imputazione , cosicché, quindi, non si è verificata alcuna lesione del diritto di difesa.
Non di meno, tema più articolato è quello che d’ufficio deve porsi questa Corte, in ordine al verificarsi della estinzione per prescrizione del reato al momento della sentenza di secondo grado. A riguardo deve osservarsi come né in primo né in secondo grado vi sia una motivazione esplicita in ordine alla sussistenza della recidiva reiterata e specifica contestata.
Non di meno la stessa non è stata oggetto di un motivo di appello né del ricorso per cassazione.
3.1 In particolare, nella sentenza di primo grado si rinviene il riferimento all’art. 63, quarto comma, cod. pen. nel senso che viene applicato, per la concorrenza delle due aggravanti ritenute ex art. 625 nn. 2 e 5 cod. pen. solo l’aumento dell’art. 625 , secondo comma, cod. pen., che integra la circostanza più grave, senza aumento facoltativo per la recidiva, essendo la pena base detentiva di anni tre di reclusione, quindi pari al minimo previsto dalla aggravante ad effetto speciale prevalente.
In secondo grado viene esclusa l’aggravante del mezzo fraudolento, residuando solo quella del n. 5 dell’art. 625 cod. pen., il che conduce la Corte territoriale a determinare la pena ai sensi dell’art. 625, primo comma, cod. pen. in anni uno di reclusione ed euro 103,00 di multa, pari al minimo edittale vigente alla data della commissione del reato. Anche in questo caso la sentenza richiama comunque l’art. 64 ( rectius art. 63), quarto comma, cod. pen., senza però operare alcun aumento ulteriore facoltativo.
In sostanza nessun aumento viene operato per la recidiva, e però i richiami all’art. 63 , quarto comma, cod. pen. sia in primo che in secondo grado, in assenza di una censura specifica sul tema della sussistenza della recidiva, conducono a
ritenere che la recidiva contestata sia stata ritenuta sussistente e non sia stata esclusa e che della stessa occorre tener conto ai fini della prescrizione.
Per altro verso, non sfugge a questa Corte quanto affermato dalle Sezioni Unite, per le quali «la contestazione della recidiva, onere dell’organo dell’accusa che intenda farne oggetto di decisione giurisdizionale, non consolida alcunché, dovendosi fare riferimento alle statuizioni adottate dal giudice. La facoltatività della recidiva – ma l’utilizzo di una locuzione ‘tradizionale’ non deve far credere che si compia un giudizio ontologicamente differente da quello che attiene alle altre circostanze del reato – si traduce in un obbligo motivazionale che ove inadempiuto apre all’ipotesi di una violazione di legge o di un vizio di motivazione. Di certo l’avvenuta contestazione non può prendere il posto di una statuizione mancante» (Sez. U, n. 20808 del 25/10/2018, dep. 15/05/2019, Schettino, Rv. 275319 -01, in motivazione al par. 3.4). Ma nel caso in esame, si ribadisce, alcuna deduzione di violazione di legge o vizio di motivazione è stata formulata né con l’appello né con il presente ricorso .
Per altro, le Sezioni Unite hanno anche richiamato Sez. U, n. 5859 del 27/10/2011, Marcianò, Rv. 251690, per le quali «sul giudice del merito incombe uno specifico dovere di motivazione sia quando ritiene sia quando esclude la rilevanza della recidiva», risultando tale dovere insito nei principi affermati nella sentenza n. 192/2007 della Corte costituzionale e in quella n. 35738/2010 delle Sezioni Unite. Tale motivazione, proseguono le Sez. U Schettino al par. 3, può essere assicurata anche in modo implicito, sia per ritenere che per escludere la recidiva. Infatti, «on precipuo riguardo alla recidiva, si afferma che il giudice può adempiere all’onere motivazionale anche implicitamente, ove la sentenza dia conto della ricorrenza di quei requisiti di riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore, che sono alla base dell’aggravamento di pena disposto dal legislatore per effetto della circostanza di cui all’art. 99 cod. pen. (così, Sez. 6, n. 20271 del 27/04/2016, Duse, Rv. 267130); che l’esclusione della recidiva facoltativa contestata richiede uno specifico onere motivazionale da parte del giudice che, tuttavia, può essere adempiuto anche implicitamente ove si sia in concreto apprezzata l’insussistenza dei requisiti di riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore (Sez. 3, n. 4135 del 12/12/2017 – dep. 2018, COGNOME, Rv. 272040; così anche, Sez. 2, n. 39743 del 17/09/2015, COGNOME, Rv. 264533; Sez. 2, n. 40218 del 19/06/2012, COGNOME, Rv. 254341)».
Nel caso in esame la sentenza di primo grado implicitamente motivava -negando le circostanze attenuanti generiche – non sulla base dei precedenti penali, bensì in ragione della circostanza che l’imputato commetteva il furto nel mentre si trovava in detenzione domiciliare o aveva comunque finito di scontare una pena
per fatto analogo, sostanzialmente riconoscendo la maggiore pericolosità espressa dal delitto per il quale si procede in questa Sede.
3.2 Pertanto, si verte in un caso di recidiva ritenuta e non esclusa, pur in assenza di applicazione effettivo dell’aumento di pena ex art. 99 cod. pen. in ragione del dettato dell’art. 63, quarto comma, cod. pen.
Le Sez. U Schettino al par. 9 della citata sentenza confermano che « il giudizio di bilanciamento con altre circostanze concorrenti non determin conseguenze neutralizzanti degli ulteriori effetti della recidiva. Così proprio in tema di prescrizione, dove si è affermato che la recidiva reiterata, quale circostanza aggravante ad effetto speciale, rileva ai fini della determinazione del termine di prescrizione, anche qualora nel giudizio di comparazione con le circostanze attenuanti sia stata considerata equivalente (Sez. 6, n. 39849 del 16/09/2015, COGNOME, Rv. 264483; Sez. 2, n. 35805 del 18/06/2013 COGNOME, Rv. 257298; Sez. 1, n. 26786 del 18/06/2009, COGNOME, Rv. 244656; Sez. 5, n. 37550 del 26/06/2008, COGNOME, Rv. 241945). Si parla in simili casi di sostanziale “applicazione” della recidiva, rilevando che la circostanza aggravante deve ritenersi, oltre che riconosciuta, anche applicata, non solo quando esplichi il suo effetto tipico di aggravamento della pena, ma anche quando produca, nel bilanciamento tra circostanze aggravanti e attenuanti di cui all’art. 69 cod. pen., un altro degli effetti che le sono propri, cioè quello di paralizzare un’attenuante, impedendo a questa di svolgere la sua funzione di concreto alleviamento della pena da irrogare (Sez. 2, n. 2731 del 02/12/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 265729 in tema di prescrizione; Sez. 1, n. 8038 del 18/01/2011, COGNOME, Rv. 249843; Sez. 1, n. 43019 del 14/10/2008, COGNOME, Rv. 241831; Sez. 1, n. 29508 del 14/07/2006, COGNOME, Rv. 234867 in tema di divieto di sospensione dell’esecuzione di pene detentive brevi; Sez. 1, n. 47903 del 25/10/2012, COGNOME, Rv. 253883; Sez. 1, n. 27846 del 13/07/2006, Vicino, Rv. 234717, in materia di detenzione domiciliare)».
Ne consegue che dalla mancata applicazione dell’aumento per la recidiva non può evincersi la disapplicazione della recidiva medesima (così Sez. 5 n. 5759 del 2023, ric. Biscotto, n.m. , fol. 4)
3.3 A fronte di tale evoluzione, deve pertanto affermarsi che ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere, quando la ritenuta recidiva sia meno grave delle altre circostanze concorrenti ex art. 63, quarto comma, cod. pen., deve aversi riguardo all’aumento di pena massimo consentito per il concorso di circostanze della stessa specie, a nulla rilevando che l’aumento previsto da tale disposizione, una volta applicato quello per la circostanza più grave, renda quello per la ritenuta recidiva facoltativo e in concreto non applicato (vedi Sez. 6, n. 23831 del 14/05/2019, Pastore, Rv. 275986 -01; conf.: N. 33871 del 2010 Rv.
248130 – 01, N. 31065 del 2012 Rv. 253525 – 01, N. 47028 del 2013 Rv. 257520 -01).
3.4 Inoltre, la recidiva reiterata, in quanto circostanza a effetto speciale, incide sia sul calcolo del termine prescrizionale minimo del reato, ex art. 157, secondo comma, cod. pen., sia, in presenza di atti interruttivi, su quello del termine massimo, ex art. 161, secondo comma, cod. pen. (Sez.4, n. 44610 del 21/09/2023, Giordano, Rv. 285267 -01 esclude che tale duplice valenza comporti violazione del principio del ne bis in idem sostanziale o dell’art. 4 del Protocollo n. 7 della CEDU, come interpretato dalla sentenza della Corte EDU del 10 febbraio 2009 nel caso Zolotoukhine c. Russia, nel cui ambito di tutela non rientra l’istituto della prescrizione; conf.: N. 13463 del 2016 Rv. 266532 – 01, N. 6152 del 2018 Rv. 272021 – 01, N. 50089 del 2016 Rv. 268214 – 01, N. 5985 del 2018 Rv. 272015 – 01, N. 57755 del 2018 Rv. 274721 – 01, N. 32679 del 2018 Rv. 273490 – 01, N. 50619 del 2017 Rv. 271802 – 01, N. 48954 del 2016 Rv. 268224 -01).
Pertanto, nel caso in esame il termine di prescrizione va calcolato come segue: anni sei ex art. 625, primo comma, cod. pen., aumentato di un terzo ex art. 63, quarto comma, cod. pen. per la recidiva contestata, ad anni otto; a seguito di interruzione trova applicazione il dettato dell’art. 99, quarto comma, seconda parte, cod. pen. che importa l’aumento di due terzi, cosicché il termine finale risulta di anni dieci; a tale termine vanno aggiunti 826 giorni di sospensione (43 giorni per la richiesta di rinvio dei difensori fino all’udienza del 28 giugno 2016; 27 giorni dal 9 gennaio al 5 febbraio 2017 giorni per istanza di rinvio del difensore; 756 giorni dal 19 giugno 2017 al 15 lugli o 2019: per l’ammissione dell’imputato alla messa alla prova ex art. 168ter , primo comma, cod. pen. fino al 9 aprile 2018; da tale data al 2 luglio 2018 su istanza del difensore; da tale data al 17 dicembre 2018 per ulteriore istanza difensiva; da tale ultima data per l’adesione del difensore alla astensione collettiva dalle udienze fino al 15 luglio 2019). Pertanto, il reato commesso in data 28 ottobre 2014 sarebbe stato estinto per prescrizione il 1 febbraio 2027.
Ne consegue il rigetto del ricorso con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 26/09/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME