Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 18742 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 18742 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 25/03/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME nata a Castelguglielmo il 08/09/1959 COGNOME NOME, nato a Riposto il 09/06/1950
avverso la sentenza del 04/04/2024 della Corte di appello di Catania visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni dell’avvocato NOME COGNOME difensore e procuratore speciale della parte civile Distretto Socio Sanitario n. 16 di Catania, che ha chiesto che i ricorsi vengano rigettati lette le conclusioni dell’avvocato NOME COGNOME, difensore di NOME e di COGNOME NOME, che ha chiesto l’accoglimento dei ricorsi;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che i ricorso vengano dichiarati inammissibili;
udito l’avvocato NOME COGNOME difensore di NOMECOGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;
udito l’avvocato NOME COGNOME difensore di COGNOME NOME, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 28 maggio 2019 il Tribunale di Catania dichiarava NOME COGNOME e NOME COGNOME responsabili dei reati di peculato di cui ai capi 3C, 4M e C e le condannava al risarcimento dei danni cagionati alle parti civili Comune di Catania e Distretto socio-sanitario 16- Catania, danni da liquidarsi in sede civile.
In parziale riforma di questa sentenza la Corte di appello: a) assolveva NOME COGNOME dai reati di cui ai capi C e 4M, revocando nei suoi confronti le statuizioni civili della sentenza di primo grado, e dichiarava non doversi procedere in ordine al restante reato a lei ascritto per intervenuta prescrizione; b) dichiarava non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME in ordine a tutti i reati a lei ha ascritti per essere estinti per intervenuta prescrizione e revocava le statuizioni civili della sentenza di primo grado nei suoi confronti.
Avverso la suddetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione, a mezzo dei propri difensori, NOME COGNOME e NOME COGNOME denunciando i motivi di annullamento, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Ricorso di NOME COGNOME
Viene proposto un unico motivo di ricorso per violazione di legge, in quanto la Corte di appello, pur avendo riconosciuto la nullità della sentenza di primo grado per omessa citazione a giudizio dell’imputata, ha fatto prevalere sulla dichiarazione di nullità la declaratoria di estinzione dei reati per intervenuta prescrizione, salvo poi, dare rilievo alla nullità, per la mancata instaurazione di un valido rapporto processuale, ai fini della revoca delle statuizioni civili.
Rileva la difesa che l’imputata è stata sottoposta alla misura cautelare degli arresti domiciliari nel presente procedimento e che la pronuncia di prescrizione del reato non le consente di chiedere la riparazione per ingiusta detenzione, e ciò sorregge l’interesse a impugnare al fine di ottenere, in sede di rinvio, una pronuncia assolutoria nel merito.
Infine, viene censurata l’omessa assoluzione nel merito sulla base delle prove raccolte in un processo a cui l’imputata non ha potuto partecipare.
2.2. Ricorso di NOME COGNOME
Nell’interesse di NOME COGNOME vengono dedotti due motivi di ricorso:
2.2.1. Mancata assunzione di prove decisive e difetto di motivazione, in quanto la Corte di appello si è limitata a disporre il nuovo esame del teste di polizia giudiziaria, già escusso in primo grado, senza ammettere gli altri testi richiesti ai sensi dell’art. 603 cod. proc. pen. e indicati a prova contraria, i quali avrebbero potuto fornire elementi utili ad attestare l’attività svolta dalla ricorrente in se alla commissione.
2.2.2. Difetto di motivazione, in quanto il mancato rinvenimento della documentazione relativa all’attività svolta dalla commissione è frutto della incompletezza delle indagini e non può essere posto a fondamento della responsabilità della ricorrente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso di NOME COGNOME è manifestamente infondato.
L’art. 129 cod. proc. pen. stabilisce, al primo comma, che ” In ogni stato e grado del processo, il giudice, il quale riconosce che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato ovvero che il reato è estinto o che manca una condizione di procedibilità, lo dichiara d’ufficio con sentenza», mentre il successivo comma 2 prevede che «Quando ricorre una causa di estinzione del reato ma dagli atti risulta evidente che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o non è previsto dalla legge come reato, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione o di non luogo a procedere con la formula prescritta».
Tale disposizione, che introduce il principio dell’immediata operatività della causa estintiva, opera con carattere di pregiudizialità nel corso dell’intero iter processuale, e cioè nei giudizi di primo grado, di appello e di cassazione e impone che, qualora ricorrano contestualmente una causa estintiva del reato e una nullità processuale assoluta e insanabile, sia data prevalenza alla prima (Sez. U, Sentenza n. 17179 del 27/02/2002, Conti, Rv. 221403 – 01).
Del resto, l’interesse dell’imputato a vedere dichiarata la nullità, per proseguire l’attività processuale in vista di un auspicato proscioglimento con formula liberatoria di merito, può essere sempre perseguito attraverso la rinuncia alla prescrizione.
Le Sezioni unite sopra citate hanno affrontato specificatamente il caso della sentenza di merito, affetta da nullità processuale assoluta ed insanabile, che ha deciso non solo in ordine al reato, per il quale è sopravvenuta la prescrizione, ma anche in ordine alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato, precisando che «in questo caso, la nullità, anche se non funzionale alla operatività della prescrizione, deve essere comunque rilevata e dichiarata in sede di
legittimità, perché si riverbera sulla validità delle statuizioni civili Se la n travolge sia il giudizio di secondo grado che quello di primo grado, le relative sentenze vanno annullate senza rinvio».
Dalla sentenza impugnata emerge che NOME COGNOME non è stata correttamente citata nel giudizio di primo grado, con conseguente nullità della dichiarazione di contumacia e di tutti gli atti successivi, fino alla sentenza di primo grado, che è stata, pertanto, ritenuta nulla.
Sulla dichiarazione di nullità la Corte di appello ha ritenuto di dover far prevalere la declaratoria di estinzione dei reati, essendo per tutti decorsi i relativ termini. Ha, altresì, escluso la possibilità di emettere sentenza assolutoria nel merito, difettando il requisito dell’evidenza richiesto dall’art. 129, comma 2, citato.
Infine, stante la mancata costituzione del contraddittorio, ha revocato le statuizioni civili.
Tali statuizioni costituiscono corretta applicazione del principio di immediata declaratoria delle cause di estinzione di cui all’art. 129 cod. proc. pen., nei termini specificati dalle Sezioni unite e sopra riportati.
Né rileva la dedotta impossibilità dell’imputata, a fronte di una sentenza di prescrizione, di richiedere la riparazione per ingiusta detenzione, trattandosi di interesse che poteva essere perseguito solo attraverso la prosecuzione de giudizio, rimessa alla scelta di rinunciare alla prescrizione, che nel caso di specie non vi è stata.
Anche il ricorso di NOME COGNOME non supera il vaglio di ammissibilità.
Il primo motivo è formulato in termini del tutto generici ed è, in ogni caso, manifestamente infondato in quanto, in appello, la parte non ha un diritto alla rinnovazione dell’istruttoria che viene disposta, fuori dai casi di cui all’art. 60 comma 3-ter- cod. proc. pen., solo se il giudice non è in grado di decidere allo stato egli atti (art. 603, comma 1 cod. proc. pen.).
4. Il secondo motivo ricorso è manifestamente infondato.
È opportuno premettere che nel giudizio di appello avverso la sentenza di condanna dell’imputato anche al risarcimento dei danni, il giudice, intervenuta nelle more l’estinzione del reato per prescrizione, non può limitarsi a prendere atto della causa estintiva, adottando le conseguenti statuizioni civili, ma è comunque tenuto, stante la presenza della parte civile, a valutare, anche a fronte di prove insufficienti o contraddittorie, la sussistenza dei presupposti per l’assoluzione nel merito (Sez. U, n. 36208 del 28/03/2024, Calpitano, Rv. 2868809.
La Corte di appello, richiamata tale pronuncia, ha esaminato la sussistenza dei presupposti per l’assoluzione nel merito, tanto che ha emesso sentenza di
cui ai capi assoluzione per i reati
di
4M
e C, giungendo a diverse conclusioni in relazione al capo 3C.
In riferimento a tale ultimo reato nella sentenza impugnata si è ritenuto dimostrato, al di là di ogni ragionevole dubbio, che la ricorrente e gli altri corre
abbiano percepito un compenso indebito per un’attività lavorativa mai svolta; in particolare, le risultanze dell’istruttoria dibattimentale sul punto sono stat
valutate come certe ed univoche nel senso che i compiti della commissione di cui l’imputata faceva parte consistevano non solo nell’esecuzione di sopralluoghi per
verificare l’espletamento dei progetti finanziati con i fondi della legge n. 285 del
1987 ma, anche e soprattutto, nell’attività di valutazione, monitoraggio e rendicontazione dei risultati acquisiti. Nessuna documentazione di tali attività è
stata rinvenuta; né gli uffici, ripetutamente richiesti, hanno prodotto alcunché al riguardo, mentre i testimoni addotti dalle difese hanno reso testimonianze
generiche e, in generale, concordi nel precisare che nessun verbale era mai stato sottoscritto o stilato. Pertanto, con motivazione pienamente adeguata, la Corte di appello ha ritenuto che nessuna attività sia stata realmente svolta dalla commissione e che i compensi per essa percepiti fossero indebiti.
In conclusione i ricorsi vanno dichiarati inammissibili, con conseguente condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
L’imputata NOME COGNOME va, inoltre, condannata alla rifusione delle spese sostenute nel presente giudizio dalle parti civili Comune di Catania e Distretto socio sanitario n.16, che vengono liquidate per ciascuna in complessivi euro 3167, oltre accessori di legge, come richiesto.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, COGNOME NOME alla rifusione delle spese sostenute nel presente giudizio dalle parti civili Comune di Catania e Distretto socio sanitario n.16, che liquida per ciascuna in complessivi euro 3,167, oltre accessori di legge.