Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 47625 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 47625 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 05/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME NOMECOGNOME nata a Montecchio Maggiore il 12/04/1983, avverso la sentenza del 16/02/2023 della Corte di appello di Bologna; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni rassegnate dal Pubblico Ministero, in persona del Sostit Procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibili del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 20 luglio 2021, il Tribunale di Parma condannava NOME COGNOME alla pena di un anno e dieci mesi di reclusione, in quanto ritenuta responsabile del reato di cui all’art. 8 d.lgs. n. 74/2000, avendo costei, quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE al fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto per il periodo di imposta 2012, emesso 25 fatture per operazioni inesistenti, applicando le pene accessorie di legge, concedendo il beneficio della sospensione condizionale della pena principale e delle pene accessorie e disponendo la confisca del profitto del reato, in via diretta nei confronti della società e per equivalente nei confronti dell’imputata.
Con sentenza del 16 febbraio 2023, la Corte di appello di Bologna confermava la sentenza di primo grado.
Avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna, NOME COGNOME tramite il difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando quattro motivi.
2.1 Con il primo motivo, la difesa lamenta, ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen., violazione degli artt. 601 cod. proc. pen., 94, comma 2, d.lgs. 150/2022, 5-duodecies legge di conversione del d.l. n. 162 del 2022, 11 preleggi.
In sintesi, la difesa deduce che la Corte territoriale aveva erroneamente ritenuto che il termine di cui all’art. 601, comma 5, cod. proc. pen., novellato dal d.lgs. n. 150/2022, che aveva sostituito il termine previgente di venti giorni con l’attuale di quaranta giorni, dovesse applicarsi esclusivamente alle impugnazioni proposte con deposito dell’atto di appello dopo la data del primo gennaio 2023, dal momento che la disciplina transitoria, nell’indicare come data di entrata in vigore delle norme, in esame, quella del 01/01/2023, aveva inteso disciplinare tutti i giudizi di appello introdotti ed avviati con i decreti di citazione a giud emessi a far data dal 01/01/2023, indipendentemente dal fatto che avessero ad oggetto appelli presentati avverso sentenze emesse prima o dopo tale data. Rilevava, conseguentemente, che il decreto di citazione emesso dalla Corte di appello di Bologna il 10/01/2023 era stato notificato a mezzo pec sia al difensore, sia all’imputata elettivamente domiciliata presso lo studio del difensore, 1’11/01/2023, ovvero trentasei giorni prima dell’udienza fissata per la discussione e quindi tardivamente rispetto a quanto prescritto dal novellato art. 601 cod proc. pen.
2.2 Con il secondo motivo, la difesa lamenta violazione di legge, ai sensi dell’a rt . 606, lett. e), cod. proc. pen., ovvero mancanza, contraddittorietà e
manifesta illogicità della motivazione della sentenza di appello nella parte in omette di valutare il ruolo dell’imputata nell’amministrazione della società RAGIONE_SOCIALE ed il ruolo assunto dall’acquirente delle quote.
Deduce la ricorrente che era stato evidenziato il ruolo di tale COGNOME, acquirente delle quote sociali ed amministratore unico, custode de lifpri sociali dal marzo 2013, unico soggetto con il quale gli ispettori dell’Ag delle dogane si erano messi in contatto nel 2016 durante l’attività di indag mentre la ricorrente nulla sapeva dell’ispezione. Lamentava, inoltre, che i giu di secondo grado non avevano motivato in ordine alla corrispondenza intercorsa tra l’imputata e il commercialista che teneva la contabilità dell’azienda, ordine all’omesso accertamento circa l’esistenza di capannoni nei quali pote essere stoccata la merce.
2.3 Con il terzo motivo, la difesa lamenta violazione di legge, ai se dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., ovvero mancanza, contraddittor manifesta illogicità della motivazione della sentenza di appello nella parte in omette di valutare le doglianze esposte nel secondo motivo di appello in ordin all’applicata confisca.
In sintesi, la difesa si duole del fatto che il motivo di appello eccepiva di applicazione delle norme tributarie non esaminate dalla Corte di appello, va a dire che la confisca non avrebbe potuto essere disposta sui beni dell’emitte le false fatture per il valore corrispondente al profitto conseguito dall’utili delle medesime, non potendosi ipotizzare un concorso tra l’emittente la fattur chi si avvale della stessa. La Corte di merito si era, invece, limitata a riba correttezza del calcolo matematico compiuto dal giudice di primo grado.
2.4 Con il quarto motivo, la difesa lamenta violazione di legge, ai sen dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in particolare violazione de 62-bis e 133 cod. pen. e contraddittorietà della motivazione in ordine al dini del riconoscimento delle attenuanti generiche all’imputata.
La ricorrente lamenta che la Corte di appello aveva ritenuto non concedibil le circostanze attenuanti generiche, in considerazione della presenza di un dat decreto penale di condanna per il reato di cui all’art. 660 cod. pen. l’assenza di segni di ravvedimento da parte dell’imputata. Osserva, per contro, ricorrente che il decreto penale di condanna è sostanzialmente estinto da an poiché il tempo decorso è ampiamente superiore al biennio previsto dall’art. 46 cod. proc. pen. Inoltre, la ricorrente non era stata avvisata dell’attività i ritrovandosi dopo circa sette anni a doversi difendere senza armi, stant mancanza della documentazione contabile consegnata allo COGNOME e con la consapevolezza che l’attività amministrativa era stata svolta da uno studi commercialisti di Parma.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo è infondato.
Secondo l’informazione provvisoria della decisione adottata dalle Sezioni Unite all’udienza del 27 giugno 2024, la disciplina dell’art. 601, comma 3, cod. proc. pen., introdotta dall’art. 34, comma 1, lett. g), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, che individua in quaranta giorni il termine a comparire nel giudizio di appello, è applicabile agli atti d’impugnazione proposti a far data dal 01/07/2024. Conseguentemente, per gli atti di impugnazione proposti precedentemente al 01/07/2024, il termine a comparire non deve essere inferiore a venti giorni, come prevedeva l’art. 601, comma 3, cod. proc. pen. prima della modifica operata dal richiamato d.lgs. n. 150 del 2022.
Nel caso in esame, pertanto, venendo in considerazione un atto di appello proposto in epoca anteriore al 01/07/2024, la notifica del decreto di citazione per il giudizio di secondo grado, eseguita a mezzo pec in data 11/01/2023, sia al difensore, sia all’imputata elettivamente domiciliata presso lo studio del difensore, è tempestiva, essendo stato garantito un termine libero di trentacinque giorni rispetto all’udienza fissata nel giorno 16/02/2023.
2. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Occorre a tal fine premettere che, nel caso in esame, ricorre la cd. “doppia conforme”, poichè la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado, richiamandosi ad essa e adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con l conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale.
Tanto premesso, i giudici di merito hanno illustrato, senza vizi logici, come la RAGIONE_SOCIALE, nel periodo parmigiano della sua operatività in cui era legalmente rappresentata dalla ricorrente, non aveva avuto la disponibilità di una vera sede operativa o anche solo amministrativa, né la disponibilità di un capannone o di un qualunque altro genere di immobile utilizzabile come magazzino, possedendo una mera domiciliazione presso uno studio professionale. Negli anni 2011 e 2012 la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE aveva utilizzato plafond IVA – formatisi in virtù di cessioni intracomunitarie – in realt inesistenti, senza neanche rientrare, peraltro, nel novero degli operatori abilitati a livello comunitario. Inoltre, tutte le società con le quali la RAGIONE_SOCIALE aveva intrattenuto rapporti economici nel corso dell’anno 2012 erano state adoperate per evadere VIVA e alcune di esse erano state coinvolte in
frodi fiscali riconducibili nello schema delle cosiddette “frodi carosello”. La RAGIONE_SOCIALE non aveva presentato la dichiarazione annuale IVA per l’anno 2012. Le fatture di acquisto e di vendita relativamente all’anno 2012 si riferivano ad operazioni di valore economico ingente, senza essere corredate da documenti commerciali (quali contratti o scambi di corrispondenza riferibili a trattative preliminari), né dai prescritti documenti di trasporto, mentre molte delle società destinatarie delle fatture di vendita erano, nel contempo, anche fornitrici di beni della RAGIONE_SOCIALE per importi anch’essi ingenti. Ancora, non erano stati consegnati agli accertatori i registri IVA dell’anno 2012 e la verifica dell’unico conto corrente bancario, adoperato dalla società nel triennio 20102012, aveva consentito di accertare che una delle società destinatarie delle fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE non aveva pagato nulla, mentre altre due delle società destinatarie delle fatture emesse avevano pagato importi di gran lunga inferiori rispetto all’ammontare delle fatture ricevute.
A fronte delle circostanze esposte, i giudici di merito, con logica linearità, sono pervenuti alla conclusione che la RAGIONE_SOCIALE funzionasse per l’anno contestato in imputazione come una società cartiera priva di reale consistenza aziendale, ricevendo o emettendo fatture relative ad operazioni inesistenti allo scopo di consentire ad altri soggetti di evadere le imposte.
Diversamente da quanto sostenuto in ricorso, i giudici hanno inoltre accertato, per il periodo in cui la società era stata legalmente rappresentata dalla ricorrente, l’inesistenza di capannoni in cui poteva essere stoccata la merce fatturata; né la difesa della ricorrente, che si duole della mancata partecipazione personale alla attività ispettiva della Agenzia delle Dogane, ha poi fornito, nel corso del dibattimento, alcuna spiegazione in ordine alle plurime e gravi anomalie individuate dagli accertatori utile a contrastare l’addebito contestatole in rubrica. Quanto alla figura di NOME COGNOME quest’ultimo, subentrato quale legale rappresentante della società a far data dal 23 marzo 2013, era da ritenersi estraneo alle fatture elencate in imputazione emesse tutte nell’anno di imposta 2012 in cui legale rappresentante della società era la ricorrente.
In definitiva, il motivo di ricorso è generico in quanto non si confronta con gli elementi probatori esposti dai giudici di merito nelle due conformi sentenze di merito.
3. Va osservato a questo punto che, non essendo il primo motivo di ricorso manifestamente infondato, il rapporto processuale deve considerarsi validamente instaurato e la sentenza della Corte di appello di Bologna in data 16/02/2023 va annullata senza rinvio perché il reato è estinto per intervenuta prescrizione.
E’ infatti principio del tutto pacifico che l’obbligo di dichiarazione immediata di una causa di non punibilità determina l’annullamento senza rinvio della sentenza di condanna, ove sia nel frattempo maturato il termine di prescrizione del reato.
In specie, il termine massimo di prescrizione decennale, trattandosi di fatture per operazioni inesistenti relative al medesimo periodo di imposta, decorreva dal 20/12/2012, data dell’ultima fattura, e sarebbe perciò maturato il 20/12/2022. Avuto riguardo a tre periodi di sospensione del dibattimento, determinati in complessivi 184 giorni, l’uno per 64 giorni durante il periodo pandemico dal 09/03/2020 all’11/05/2020, gli altri due di 60 giorni ciascuno a causa dei rinvii delle udienze del 02/03/2021 e del 04/05/2021 per concomitanti impegni professionali del difensore, il termine di prescrizione è definitivamente maturato il 22/06/2023.
In conseguenza, il quarto motivo di ricorso sul trattamento sanzionatorio è da considerarsi assorbito.
4. Rimane da esaminare il terzo motivo di ricorso riguardante la confisca.
Nel caso in esame, la confisca, in relazione ad un profitto stimato in euro 91.495,72, è stata disposta, ai sensi dell’art. 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000, in forma diretta nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, denominazione assunta dalla RAGIONE_SOCIALE a decorrere dal 23 marzo 2013, e, per equivalente, nei confronti della ricorrente.
Secondo GLYPH noti GLYPH principi GLYPH di GLYPH diritto, GLYPH l’estinzione GLYPH del GLYPH reato per prescrizione preclude il mantenimento della confisca per equivalente non potendo la stessa prescindere, per il suo carattere spiccatamente afflittivo e sanzionatorio e diversamente dalla confisca diretta (che ha natura di misura di sicurezza), dall’accertamento pieno della responsabilità dell’imputato (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, COGNOME, Rv. 264434 – 01; Sez. 3, n. 3458 del 18/11/2019, dep. 2020, Viganò, Rv. 278594).
La disposizione dell’art. 578-bis cod. proc. pen., che ha disciplinato la possibilità di mantenere la confisca con la sentenza di proscioglimento per intervenuta prescrizione del reato nel caso in cui sia accertata la responsabilità dell’imputato, è applicabile anche alla confisca tributaria ex art. 12-bis d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, ed ha valenza generale, riguardando tutte le diverse forme di confisca, diretta o per equivalente. Tuttavia, ove la confisca sia stata disposta per equivalente, atteso il suo carattere afflittivo e analogamente a quelle altre forme di confisca che presentino comunque una componente sanzionatoria, l’art. 578-bis cod. proc. pen. ha natura anche sostanziale ed è pertanto inapplicabile in relazione a fatti posti in essere anteriormente alla sua entrata in
vigore (Sez. U, n. 4145 del 29/09/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284209). Viceversa, nei casi in cui essa abbia natura differente, come nell’ipotesi della confisca obbligatoria diretta, è stato affermato che, stante la natura di misura di sicurezza che deve essere riconosciuta a tali ipotesi, il divieto di applicazione retroattiva non opera, sicché la misura può essere disposta anche in presenza di una declaratoria di prescrizione, sempre che vi sia stata condanna in primo grado e si verta in ipotesi di confisca obbligatoria (Sez. 2, n. 17354 del 8/03/2023, COGNOME, in motivazione).
Conseguentemente, deve essere ordinata la revoca della confisca per equivalente, disposta nei confronti della ricorrente, in relazione all’art. 12bis digs. n. 74/2000, per fatti commessi in data 20/12/2012, ovverosia in relazione a fatti antecedenti l’entrata in vigore dell’art. 578-bis cod. proc. pen.
Quanto alla confisca disposta in forma diretta nei confronti della società,-è invece consentito confermare il vincolo, ai sensi dell’art. 578-bis cod. proc. pen., anche se il reato per cui si procede è dichiarato estinto per decorso del termine di prescrizione, qualora vi sia stata condanna in primo grado confermata in appello (Sez. 3, n. 23934 dell’11/04/2024, COGNOME. Rv. 286660).
Deve allora essere esaminata la doglianza della ricorrente in ordine all’omessa risposta al motivo di appello con cui si sosteneva che la confisca non potesse essere disposta sui beni dell’emittente le false fatture per il valore corrispondente al profitto conseguito dall’utilizzatore delle medesime.
Tuttavia, il giudice di primo grado aveva individuato il valore della confisca sulla base del criterio del prezzo del reato, desunto dal saldo attivo ammontante ad euro 91.495,72, registrato sul conto corrente della società alla fine dell’anno 2012, considerandolo quale ammontare, non manifestamente sproporzionato rispetto all’ammontare delle fatture emesse, dei compensi corrisposti dagli utilizzatori delle fatture relative ad operazioni inesistenti. Il giudice di prim grado aveva espressamente escluso di poter stabilire il valore della confisca sulla base dell’entità del profitto conseguito dall’utilizzatore delle false fatture.
La Corte di merito aveva poi ribadito la correttezza del metodo seguito dal primo giudice dell’utilità ricavata dal reato, nonché l’esattezza dei calcoli.
E’ evidente allora come il motivo di ricorso debba considerarsi inammissibile, perché non pone alcun confronto con il criterio seguito nelle sentenze di merito, non attaccando la ratio della decisione, ma limitandosi a ribadire l’inapplicabilità di un criterio di determinazione del valore della confisca espressamente escluso dai giudici di primo e di secondo grado, che invece si sono conformati all’affermato principio secondo cui «qualora manchino elementi per determinare esattamente quale sia stato il “prezzo” del reato di emissione di fatture relative ad operazioni inesistenti, riconducibile al compenso che l’emittente ha pattuito
per tale sua condotta fraudolenta, è legittimo ritenere che esso possa essere costituito, sino al limite della manifesta sproporzione fra questa ed il valore delle fatture emesse, da qualsiasi utilità economica derivante, immediatamente o indirettamente, dalla commissione del reato» (Sez. 3, n. 30059 del 22/03/2024, Canonica; Sez. 3, n. 50310 del 18/09/2014, COGNOME, Rv. 261517).
In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perché il reato è estinto per prescrizione, con revoca della confisca per equivalente; in presenza di accertata responsabilità della ricorrente, va, invece, confermata la confisca diretta del prezzo del reato, stante la diversa natura di misura di sicurezza che può essere mantenuta in caso di prescrizione del reato.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione. Revoca la confisca per equivalente e conferma la confisca diretta. Così deciso il 05/11/2024