Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 25200 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 25200 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOMECOGNOME nato a San Vincenzo Valle Roveto il 27/01/1950
avverso la sentenza emessa in data 27/11/2024 dalla Corte di appello di Roma;
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto di rigettare il ricorso; udite le conclusioni dell’avvocato NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Roma, con sentenza emessa Roma in data 15 luglio 2020, ha condannato NOME COGNOME, brigadiere della Guardia di Finanza presso il Reparto tecnico logistico amministrativo per i reparti speciali, alla pena di sei anni
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e tre mesi di reclusione per i delitti di corruzione per atto contrario ai doveri ufficio, rivelazione di segreti di ufficio e possesso di identificazione falsi, commess in Roma dal maggio all’ottobre del 2013.
Il Tribunale ha, altresì., applicato all’imputato le pene accessorie dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici e della degradazione, ai sensi dell’ar 33 n. 1 del codice penale militare di pace, e ha disposto:
ai sensi dell’art. 322-ter, comma 1, cod. pen., la confisca diretta della somma di 30.000 euro in contanti rinvenuta nella cassaforte dell’imputato e ritenuta profitto (recte: prezzo) dei reati di corruzioni accertati;
ai sensi dell’art. 240-bis cod. pen., la confisca c.d. allargata della somma di euro 294.207 euro, rinvenuta nella disponibilità dell’imputato, in quanto ritenuta sproporzionata rispetto al proprio reddito e di provenienza non giustificata.
Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Roma, in riforma della pronuncia di primo grado, appellata dall’imputato, ha dichiarato di non doversi procedere in ordine ai reati al medesimo contestati perché estinti per intervenuta prescrizione, ha revocato le pene accessorie e ha confermato le confische disposte.
L’avvocato NOME COGNOME difensore di NOME COGNOME ha proposto ricorso avverso questa sentenza e ne ha chiesto l’annullamento.
Con unico motivo di ricorso, il difensore ha dedotto l’erronea applicazione dell’art. 578-bis cod. proc. pen., in violazione del principio di irretroattività dell legge penale sfavorevole, sancito dall’art. 25, secondo comma, della Costituzione.
La Corte di appello ha, infatti, illegittimamente confermato la confisca disposta dal giudice di primo grado per reati di corruzione posti in essere nel 2013, e, dunque, anteriori all’entrata in vigore dell’art. 578-bis cod. proc. pen.
Il difensore ha eccepito che le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno statuito l’irretroattività di questa norma (Sez. U, n. 4145 del 29/09/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284209 – 01), nella parte in cui si riferisce alla confisca per equivalente, che ha natura sanzionatoria.
Le statuizioni della Corte di appello di Roma, che ha confermato, nonostante la declaratoria di prescrizione dei reati ascritti all’imputato, la confisca della somma di 30.000 euro disposta ai sensi dell’art. 322-ter cod. pen. e la confisca «per equivalente» della somma di 294.207 euro ai sensi dell’art. 240-bis cod. pen., dunque, dovrebbero essere annullate senza rinvio.
In data 15 maggio 2025 l’avvocato COGNOME ha chiesto la trattazione orale del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere accolto nei limiti che di seguito si precisano.
Il difensore, proponendo un unico motivo di ricorso, ha dedotto l’erronea applicazione dell’art. 578-bis cod. proc. pen., in quanto le condotte di corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio contestate all’imputato sono state commesse nel 2013 e dichiarate prescritte in grado di appello.
Il difensore, richiamando i principi di diritto affermati dalle Sezioni unite nel sentenza COGNOME (Sez. U, n. 4145 del 29/09/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284209 – 01), ha, dunque, censurato l’errata applicazione retroattiva e in malam partem del disposto dell’art. 578-bis cod. proc. pen. a reati commessi prima della sua entrata in vigore.
Il motivo è solo parzialmente fondato.
3.1. Per delibare adeguatamente le censure devolute all’esame della Corte, è necessario muovere da una, pur sommaria, ricognizione delle complesse vicende normative che hanno connotato l’introduzione dell’art. 578-bis cod. proc. pen. e, più in generale, la disciplina della confisca senza condanna nel giudizio di impugnazione nell’ultimo decennio.
3.2. L’art. 578-bis è stato introdotto nella trama sistematica del codice di rito dall’art. 6 del d. Igs. 1 marzo 2018, n. 21, concernente «Disposizioni di attuazione del principio di delega della riserva di codice nella materia penale a norma dell’art. 1, comma 85, lettera q), della legge 23 giugno 2017, n. 103», con decorrenza dal 6 aprile 2018.
Nella formulazione originaria questa disposizione sanciva che «Quando è stata ordinata la confisca in casi particolari prevista dal primo comma dell’articolo 240-bis del codice penale e da altre disposizioni di legge, il giudice di appello o la corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto per prescrizione o per amnistia, decidono sull’impugnazione ai soli effetti della confisca, previo accertamento della responsabilità dell’imputato».
Con questa disposizione, il legislatore, al fine di restituire centralità al codi rispetto alla legislazione speciale, ha trasferito, con alcuni adattamenti, nel codice di procedura penale il comma 4-septies dell’art. 12-sexies del d.l. 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, e, al contempo, ha abrogato tale ultima disposizione con l’art. 7, comma 1, lett. I), del d.lgs. n. 21 del 2018.
Il comma 4-septies dell’art. 12-sexies del dl. 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, è stato introdotto
dall’articolo 31, comma 1, lett. f), della I. 17 ottobre 2017, n. 161 e sanciva che «Le disposizioni di cui ai commi precedenti, ad eccezione del comma 2-ter, si applicano quando, pronunziata sentenza di condanna in uno dei gradi di giudizio, il giudice di appello o la Corte di cassazione dichiarano estinto il reato per prescrizione o per amnistia, decidendo sull’impugnazione ai soli effetti della confisca, previo accertamento della responsabilità dell’imputato».
Questa disposizione, dunque, consentiva di applicare nel giudizio di impugnazione, anche in caso di estinzione del reato per prescrizione, la disciplina della confisca c.d. allargata, ovvero quella concernente i beni di cui il condannato non possa giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona, risulti essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato proprio reddito, salvo che nella parte relativa alla confisca per equivalente («ad eccezione del comma 2-ter»).
L’art. 578-bis cod. proc. pen., modellato sulla disciplina dettata dall’art. 578 cod. proc. pen. per la decisione sugli effetti civili in caso di prescrizione del rea ha, dunque, inteso evitare che l’interesse pubblico alla confisca fosse vanificato dalla dichiarazione di prescrizione del reato, consentendo al giudice dell’impugnazione di disporre, «previo accertamento della responsabilità dell’imputato», la confisca per sproporzione e la confisca «prevista da altre disposizioni di legge».
La disposizione ha, dunque, recepito sul piano legislativo l’assetto della giurisprudenza consolidatosi in quegli anni sull’ammissibilità della confisca senza condanna ovvero dell’ablazione disposta in una sentenza dichiarativa della prescrizione del reato.
3.3. La Corte EDU, nella sentenza del 29 settembre 2013 nel caso RAGIONE_SOCIALE, ha ritenuto violato il principio di legalità in materia penale, sancito dal 7 della Convenzione e, di conseguenza, compromesso anche il diritto di proprietà garantito dall’art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 alla Convenzione, per effetto della confisca urbanistica disposta da una sentenza di proscioglimento per intervenuta prescrizione.
La Corte EDU, in questa pronuncia, ha ribadito la natura penale della confisca urbanistica (già affermata nella sentenza Corte EDU, 20 gennaio 2009, caso Sud Fondi c. Italia) e ha rilevato che non potrebbe essere concepito un sistema in cui una persona dichiarata innocente, o, comunque, senza alcun grado di responsabilità penale accertata in una sentenza di colpevolezza, subisca una pena.
Secondo la Corte EDU, infatti, «la logica della pena e della punizione e la nozione di guilty (nella versione inglese) e la corrispondente nozione di personne coupable (nella versione francese) depongono a favore di un’interpretazione dell’art. 7 che esige, per punire, una dichiarazione di responsabilità da parte dei
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giudici nazionali, che possa permettere di addebitare il reato e di comminare la pena al suo autore».
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 49 del 2015, ha, tuttavia, dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4 comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, sollevate in riferimento agli artt. 2, 9, 32, 41, 42 e 117 Cost., nella parte in cui, proprio in forza dell’interpretazione della Cort Europea dei diritti dell’uomo nella sentenza Varvara c. Italia, tale disposizione «non può applicarsi nel caso di dichiarazione di prescrizione del reato anche qualora la responsabilità penale sia stata accertata in tutti i suoi elementi».
La Corte costituzionale ha ribadito – in conformità a precedenti decisioni relative al tema della confisca urbanistica – che «nel nostro ordinamento, l’accertamento ben può essere contenuto in una sentenza penale di proscioglimento dovuto a prescrizione del reato, la quale, pur non avendo condannato l’imputato, abbia comunque adeguatamente motivato in ordine alla responsabilità personale di chi è soggetto alla misura ablativa, sia esso l’autore del fatto, ovvero il terzo in mala fede acquirente del bene».
Secondo la Corte costituzionale, infatti, «nell’ordinamento giuridico italiano la sentenza che accerta la prescrizione del reato non denuncia alcuna incompatibilità logica o giuridica con un pieno accertamento di responsabilità».
Non risulterebbe, dunque, di per sé «escluso che il proscioglimento per prescrizione possa accompagnarsi alla più ampia motivazione sulla responsabilità, ai soli fini della confisca del bene lottizzato»; motivazione che non costituirebbe una facoltà del giudice, «ma un obbligo dal cui assolvimento dipende la legalità della confisca».
Questa GLYPH interpretazione GLYPH «costituzionalmente GLYPH e GLYPH convenzionalmente conforme», secondo la Corte costituzionale, consente di superare il contrasto con l’art. 7 della CEDU, in quanto la sentenza Varvara proprio questo accertamento di responsabilità ha in sostanza richiesto al giudice italiano.
Le Sezioni unite della Corte di cassazione, muovendo dai rilievi della Corte costituzionale, hanno statuito che al giudice, nel dichiarare l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione, è consentito disporre, a norma dell’art. 240, comma 2, n. 1, cod. pen., la confisca del prezzo ed, ai sensi dell’art. 322-ter cod. pen., confisca diretta del prezzo o del profitto del reato, a condizione che vi fosse stata una precedente pronuncia di condanna e che l’accertamento relativo alla sussistenza del reato, alla penale responsabilità dell’imputato ed alla qualificazione del bene da confiscare come prezzo o profitto rimanga inalterata nel merito nei successivi gradi di giudizio. Il giudice, tuttavia, non può disporre la confisca pe equivalente delle cose che ne costituiscono il prezzo o il profitto, stante il caratter
afflittivo e sanzionatorio di questa forma di ablazione (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, COGNOME, Rv. 264435 – 01).
La Corte EDU, da ultimo, ha condiviso la linea interpretativa della Corte costituzionale con riferimento all’accertamento incidentale della sussistenza del reato.
Con riguardo ad una fattispecie nella quale i giudici italiani hanno dichiarato estinto per prescrizione il reato di lottizzazione abusiva, disponendo la confisca dei terreni e delle aree abusivamente lottizzate ex art. 44, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, la Corte EDU ha ritenuto che l’accertamento incidentale della sussistenza del reato, propedeutico alla statuizione sulla confisca, pur accedendo formalmente ad una sentenza di proscioglimento, può essere equiparato alla «condanna» richiesta dall’art. 7 CEDU (Corte EDU, Grande Chambre, 28 giugno 2018, caso RAGIONE_SOCIALE c. Italia).
In questa sentenza i giudici di Strasburgo hanno rilevato che, per verificare se vi sia o meno contrasto dell’art. 7 CEDU con la pronuncia di una confisca in assenza di condanna, «sia necessario guardare oltre le apparenze e il linguaggio adoperato e concentrarsi sulla realtà della situazione» e come, pertanto, «la Corte sia legittimata a guardare oltre il dispositivo del provvedimento, e tenere conto della sostanza, essendo la motivazione una parte integrante della sentenza».
3.4. La formulazione dell’art. 578-bis cod. proc. pen. è, tuttavia, stata successivamente modificata dall’art. 1 comma 4, lett. f), della I. 9 gennaio 2019 n. 3, «Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici».
Nella nuova formulazione la disposizione prevede che «Quando è stata ordinata la confisca in casi particolari prevista dal primo comma dell’articolo 240bis del codice penale e da altre disposizioni di legge o la confisca prevista dall’articolo 322-ter del codice penale, il giudice di appello o la corte di cassazione nel dichiarare il reato estinto per prescrizione o per amnistia, decidono sull’impugnazione ai soli effetti della confisca, previo accertamento della responsabilità dell’imputato».
Il legislatore della riforma, dunque, in discontinuità con il pregresso assetto giurisprudenziale, ha sancito che anche nei casi di confisca c.d. per equivalente, prevista dall’art. 322-ter cod. pen., il giudice dell’impugnazione, nel dichiarare reato estinto per prescrizione o per amnistia, deve operare un accertamento incidentale di responsabilità, valido “ai soli effetti della confisca”, al fi verificare se disporla o meno.
3.5. Le Sezioni unite della Corte di cassazione sono, inoltre, reiteratamente intervenute a chiarire l’ambito applicativo dell’art. 578-bis cod. proc. pen.
Con la sentenza n. 6141/19 del 25/10/2018, Milanesi, Rv. 274627, le Sezioni Unite hanno affermato, anche se in via incidentale, che nel testo dell’art. 578-bis cod. proc. pen. la locuzione «altre disposizioni di legge» si riferisce alle «plurime forme di confisca previste dalle leggi penali speciali» e; dunque, non è limitata alla sola confisca per sproporzione di cui all’art. 240-bis cod. pen. e alle fattispeci omologhe previste dalla legislazione speciale.
In una successiva sentenza le Sezioni unite hanno ribadito che al richiamo contenuto nell’art. 578-bis cod. proc. pen. alla confisca «prevista da altre disposizioni di legge», formulato senza ulteriori specificazioni, deve riconoscersi «una valenza di carattere generale, capace di ricomprendere… anche le confische disposte da fonti normative poste al di fuori del codice penale» (Sez. U, n. 13539 del 30/01/2020, COGNOME, Rv. 278870 – 01, con riferimento alla confisca per il reato di lottizzazione abusiva).
La nuova formulazione dell’art. 578-bis cod. proc. pen. ha, inoltre, determinato un contrasto nella giurisprudenza di legittimità in ordine alla possibilità per il giudice dell’impugnazione, nel dichiarare il reato estinto p prescrizione, di applicare la confisca per equivalente in relazione a fatti di reat commessi prima del 6 aprile 2018, data di entrata in vigore della disposizione.
Secondo un primo orientamento, la disposizione avrebbe natura processuale e sarebbe soggetta al principio tempus regit actum, in quanto non introduce nuovi casi di confisca, ma si limita a definire la cornice procedimentale entro cui può essere disposta la c.d. ablazione senza condanna (Sez. 2, n. 19645 del 02/04/2021, Consentino, Rv. 281421 – 02; Sez. 3, n. 8785 del 29/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278256 – 01); secondo altre sentenze, invece, la norma, consentendo l’irrogazione di una «pena» (la confisca c.d. per equivalente di cui all’art. 322-ter cod. pen., che ha natura sanzionatoria) avrebbe natura sostanziale (Sez. 3, n. 7882 del 21/02/2022, COGNOME, Rv. 282836 – 01; Sez. 3, n. 20973 del 18/03/2021, COGNOME, Rv. 281342 – 01) e, conseguentemente, non potrebbe avere efficacia retroattiva.
Le Sezioni unite hanno statuito che l’art. 578-bis cod. proc. pen., con riguardo alla confisca per equivalente e alle forme di confisca che presentino comunque una componente sanzionatoria, ha natura anche sostanziale e, pertanto, è inapplicabile in relazione ai fatti posti in essere prima della sua entrat in vigore (Sez. U, n. 4145 del 29/09/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284209 – 01).
Secondo le Sezioni unite, dunque, la disposizione di cui all’art. 578-bis cod. proc. pen. ha natura mista (processuale e sostanziale), in quanto non è una norma meramente ricognitiva di un principio esistente nell’ordinamento, sebbene non codificato, ma ha natura costitutiva in parte qua, perché attribuisce il potere, in precedenza precluso al giudice, di mantenere in vita una pena (la confisca per
equivalente) che anteriormente alla sua introduzione, non poteva, secondo il diritto vivente, in alcun modo essere applicata nel caso di declaratoria di estinzione del reato per prescrizione.
L’art. 578-bis cod. proc. pen. consente, dunque, in caso di estinzione del · reato per amnistia o per prescrizione, al giudice di appello o alla Corte di cassazione di disporre la confisca diretta del prezzo o del profitto del reato, previo accertamento della responsabilità dell’imputato, anche per reati commessi anteriormente all’entrata in vigore di questa disposizione, ma non già di disporre la confisca per equivalente, stante la propria natura sanzionatoria.
3.6. I principi di diritto enunciati dalle Sezioni unite nella sentenza COGNOME e il loro ambito applicativo devono, tuttavia, essere riconsiderati per effetto dell statuizioni dalle Sezioni unite nella pronuncia COGNOME.
In questa sentenza le Sezioni unite, nell’escludere l’ammissibilità del regime della solidarietà in materia di confisca tra concorrenti di un reato plurisoggettivo hanno dettato innovativi principi di diritto in ordine al discrimine tra confisc diretta e per equivalente del danaro e in ordine alla natura punitiva della confisca per equivalente.
3.7. Per un decennio, infatti, le Sezioni unite di questa Corte, nonostante la diffusa contraria opinione della dottrina, hanno qualificato l’ablazione delle somme di denaro a titolo di profitto o di prezzo del reato quale confisca diretta, e non pe equivalente, in ragione della natura fungibile del bene.
Le Sezioni unite, infatti, chiamate a dirimere il contrasto insorto in ordine all’ammissibilità, in tema di reati tributari commessi dal legale rappresentante di una persona giuridica, del sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente previsto dagli artt. 1, comma 143, della I. n. 244 del 2007 e 322-ter cod. pen., hanno statuito che «la confisca del profitto, quando si tratta di denaro o di beni fungibili, non è confisca per equivalente, ma confisca diretta» (Sez. U, n. 10561 del 30/01/2014, COGNOME Rv. 258646 – 01).
Questo orientamento è stato ribadito dalle Sezioni unite in due pronunce successive.
Nella sentenza COGNOME, infatti, le Sezioni unite hanno statuito, che qualora il prezzo o il profitto c.d. accrescitivo derivante dal reato sia costituito da denaro, l confisca delle somme depositate su conto corrente bancario, di cui il soggetto abbia la disponibilità, deve essere qualificata come confisca diretta e, in considerazione della natura del bene, non necessita della prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della ablazione e il reato (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, COGNOME Rv. 264437 – 01).
Nella pronuncia COGNOME, le Sezioni unite hanno, inoltre, ribadito che la confisca del denaro costituente profitto o prezzo del reato, comunque rinvenuto
nel patrimonio dell’autore della condotta, e che rappresenti l’effettivo accrescimento patrimoniale monetario conseguito, va sempre qualificata come diretta, e non per equivalente, in considerazione della natura fungibile del bene, con la conseguenza che non è ostativa alla sua adozione l’allegazione o la prova dell’origine lecita della specifica somma di denaro oggetto di apprensione (Sez. U, n. 42415 del 27/05/2021, C., Rv. 282037 – 01).
Questo consolidato assetto giurisprudenziale è stato superato dalle Sezioni unite nella sentenza COGNOME.
In questa pronuncia le Sezioni unite, hanno, infatti, statuito che la confisca di somme di danaro ha natura diretta soltanto in presenza della prova della derivazione causale del bene rispetto al reato, mentre, qualora tale nesso di pertinenzialità non sussista, la stessa deve essere considerata come confisca per equivalente, non potendosi far discendere la qualificazione dell’ablazione dalla natura del bene che ne costituisce l’oggetto (Sez. U, n. 13783 del 26/09/2024, dep. 2025, COGNOME, Rv. 287756 – 02).
La confisca di una somma di danaro, dunque, non è più indefettibilmente una confisca diretta, in ragione della natura fungibile del danaro, ma potrà essere diretta o per equivalente a seconda della sussistenza o meno di un nesso di derivazione causale del bene rispetto al reato.
3.8. Le Sezioni unite, nella pronuncia COGNOME, hanno, inoltre, incrinato il presupposto del principio di diritto enunciato dalla pronuncia delle Sezioni unite COGNOME e, segnatamente, l’affermazione del carattere «eminentemente sanzionatorio» della confisca per equivalente.
Secondo le Sezioni unite COGNOME, la confisca per equivalente, consistendo in una «forma di prelievo pubblico a compensazione di prelievi illeciti», assume «un carattere preminentemente sanzionatorio» (Sez. U, n. 41936 del 25/10/2005, COGNOME, in motivazione); questa qualificazione è stata ribadito dalle Sezioni unite nella sentenza COGNOME (Sez. U, n. 18374 del 31/01/2013, COGNOME, Rv. 255037) e nelle successive pronunce COGNOME, COGNOME ed COGNOME.
Analogamente la Corte costituzionale ha rilevato che la mancanza di pericolosità dei beni che sono oggetto della confisca per equivalente, unitamente all’assenza di un «rapporto di pertinenzialità» (inteso come nesso diretto, attuale e strumentale) tra il reato e detti beni, conferiscono alla confisca per equivalente «una connotazione prevalentemente afflittiva», attribuendole così una natura «eminentemente sanzionatoria» (Corte cost., sent. n. 97 del 2009).
Questi principi sono stati ribaditi con l’ordinanza n. 301 del 2009 (sempre in materia di confisca di valore prevista per i reati tributari) e sono stati estesi, su base del ritenuto carattere sanzionatorio della misura, sia ad altre tipologie di confisca (come, con la sentenza n. 196 del 2010, in materia di confisca di veicoli
prevista dall’art. 186 del codice della strada) e sia ad analoghe fattispecie di confisca per equivalente previste in materia di sanzioni amministrative (C. cost., sent. n. 68 del 2017).
Dall’affermazione della natura sanzionatoria della confisca per equivalente è coerentemente derivato il divieto di una sua applicazione retroattiva, in ossequio al principio di irretroattività della pena sancito dall’art. 25, secondo comma, Cost. (Sez. U, n. 18374 del 31/01/2013, COGNOME, Rv. 255037; Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, COGNOME, Rv. 264435 – 01).
La Corte EDU, nella pronuncia RAGIONE_SOCIALE e Bassani RAGIONE_SOCIALE, ha, tuttavia, rilevato che la confisca per equivalente prevista dall’ordinamento italiano «è caratterizzata da alcuni elementi che la rendono più paragonabile alla restituzione di un arricchimento ingiustificato ai sensi del diritto civile, che a una multa ai sen del diritto penale» (Corte EDU, 19 dicembre 2024, Episcopo e RAGIONE_SOCIALE, § 74).
Questa forma di confisca è, infatti, «rivolta a beni derivanti direttamente dalla commissione di un reato, e non può pertanto eccedere l’effettivo arricchimento dell’autore del reato» e prescinde dal livello di colpevolezza dell’autore del reato ai fini della determinazione dell’importo dei beni da confiscare, diversamente dalle sanzioni pecuniarie di natura penale.
La Corte EDU, peraltro, ha rilevato che la confisca per equivalente è disposta in aggiunta alle sanzioni penali e non se ne tiene conto nella determinazione della loro durata o del loro importo, né può essere convertita in una misura che comporti la privazione della libertà, come è, invece, previsto per le sanzioni pecuniarie penali.
La GLYPH Corte GLYPH costituzionale GLYPH nella GLYPH sentenza RAGIONE_SOCIALE n. GLYPH 7 GLYPH del GLYPH 2025 GLYPH ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2641, secondo comma, cod. civ. nella parte in cui prevede la confisca obbligatoria di una somma di denaro o beni di valore equivalente a quelli utilizzati per commettere il reato e, in v consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimit costituzionale dell’art. 2641, primo comma, cod. civ., limitatamente alle parole «e dei beni utilizzati per commetterlo» (C. cost., sent. 4 febbraio 2025, n. 7).
In questa pronuncia la Corte ha rilevato, «come già sottolineato nella sentenza n. 112 del 2019, la confisca del “profitto” di un illecito ha «mera funzione ripristinatoria della situazione patrimoniale precedente» alla commissione del fatto in capo all’autore (nello stesso senso, ora, Corte EDU, sentenza 19 dicembre 2024, Episcopo e Bassani contro Italia, paragrafo 74)».
«La finalità essenziale della misura risiede nel sottrarre al reo l’utili economica acquisita mediante la violazione della legge penale, e che egli non ha
il diritto di trattenere, proprio in ragione della sua origine radicalmente illecita. che esclude quell’effetto peggiorativo della sua situazione patrimoniale preesistente, che necessariamente inerisce alle sanzioni dal contenuto “punitivo”».
Le Sezioni unite di questa Corte, nella sentenza COGNOME,.richiamandosi anche a queste pronunce, hanno inoltre, statuito che la confisca per equivalente del profitto del reato assolve, così come la confisca diretta, ad una funzione recuperatoria e ha funzione sanzionatoria in quanto avente ad oggetto beni privi del rapporto di derivazione dal reato, potendo assumere funzione punitiva solo qualora sottragga al destinatario beni di valore eccedente il vantaggio economico che lo stesso ha tratto dall’illecito (Sez. U, n. 13783 del 26/09/2024, dep. 2025, COGNOME, Rv. 287756 – 03).
3.9. Muovendo da tali premesse, deve rilevarsi che la legittimità della confisca disposta nei confronti del ricorrente della somma di 30.000 euro, quale prezzo dei delitti di corruzione accertati, necessita di essere riconsiderata alla luce dei principi di diritto affermati dalle Sezioni unite COGNOME.
Nella pronuncia impugnata e nella sentenza di primo grado questa confisca è, infatti, stata qualificata come diretta del profitto (recte: del prezzo) del reato, ai sensi dell’art. 322-ter, primo comma, cod. pen., in quanto ha ad oggetto somme di danaro rinvenute in contanti nella cassaforte dell’imputato.
La Corte di appello ha, inoltre, aggiunto che questa somma di danaro «era pervenuta nella disponibilità del Rossi per effetto dei delitti di corruzione contestat ai capi C) e D) della rubrica», ma senza alcuna dimostrazione, anche perché ultronea secondo il precedente orientamento giurisprudenziale, che la somma confiscata fosse «proprio “quella” derivata dal reato», secondo i principi affermati dalle Sezioni unite COGNOME.
Il mutato criterio discretivo tra confisca diretta e per equivalente delineato dalle Sezioni unite impone, dunque, una verifica della corretta qualificazione dell’ablazione disposta, al fine di accertare, nel giudizio di rinvio, sulla base del risultanze probatorie dei giudizi di merito, se sussista o meno un nesso di derivazione causale del bene rispetto al reato.
La corretta applicazione di questi principi di diritto, postula, tuttav accertamenti di fatto, preclusi nel giudizio di legittimità, e impone sul punt l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Roma.
Ove il giudice del rinvio ritenga comprovato il predetto nesso di pertinenzialità, declinato secondo le indicazioni delineate dalle Sezioni unite, la confisca disposta dovrà essere essere considerata come diretta e, dunque, dovrà essere confermata ai sensi dell’art. 578-bis cod. proc. pen.
Ove, invece, il nesso di derivazione causale tra reato e danaro non sia ritenuto dimostrato, la confisca dovrà essere considerata per equivalente; in tal caso, tuttavia, il giudice del rinvio dovrà disporre la restituzione della somma in favore del ricorrente, facendo ancora applicazione dei principi di diritto enunciati dalle Sezioni unite COGNOME.
Il superamento, pur non integrale, dell’affermazione del carattere sanzionatorio della confisca per equivalente, operato dalle Sezioni unite COGNOME, schiude, infatti, la prospettiva dell’applicazione retroattiva anche di tale forma d ablazione, ove, come nella specie, non ecceda il valore del vantaggio economico che l’autore ha tratto dal reato, in radicale difformità con i principi di diritto Sezioni unite COGNOME e con l’assetto anteriore della giurisprudenza.
L’applicazione retroattiva del disposto dell’art. 578-bis cod. proc. pen. a una confisca per equivalente, pur non più ritenuta punitiva, ma meramente ripristinatoria, tuttavia, non è prospettabile nel caso di specie, in quant concreterebbe un overruling sfavorevole e, dunque, violerebbe il principio di prevedibilità del diritto.
3.10. La giurisprudenza di legittimità non ha ancora raggiunto approdi consolidati sul tema del diritto fondamentale dell’imputato alla prevedibilità del diritto giurisprudenziale in ambito penale.
La Corte costituzionale nella sentenza n. 98 del 2021, ha rammentato che spetta «al solo legislatore compito di tracciare i confini tra condotte penalment rilevanti e irrilevanti» e che «l’ausilio interpretativo del giudice penale non è c un posterius incaricato di scrutare nelle eventuali zone d’ombra, individuando il significato corretto della disposizione nell’arco delle sole opzioni che il test autorizza e che la persona può raffigurarsi leggendolo» (sentenza n. 115 del 2018). La garanzia soggettiva che la determinatezza della legge penale mira ad assicurare sarebbe, in effetti, anch’essa svuotata, laddove al giudice penale fosse consentito assegnare al testo un significato ulteriore e distinto da quello che il consociato possa desumere dalla sua immediata lettura» (C. Cost, sent. 14 maggio 2021).
L’interpretazione del giudice, tuttavia, anche in materia penale, non ha carattere meramente dichiarativo.
Le Sezioni unite di questa Corte hanno in proposito rilevato che «deve riconoscersi ai giudici un margine di discrezionalità, che comporta una componente limitatamente “creativa” della interpretazione, la quale, senza varcare la “linea di rottura” col dato positivo ed evadere da questo, assume un ruolo centrale nella precisazione del contenuto e della latitudine applicativa della norma e assolve sostanzialmente una funzione integrativa della medesima» (Sez. U, n. 18288 del 21/01/2010, COGNOME, Rv. 246651 – 01).
La giurisprudenza, dunque, non si limita a disvelare il significato, univoco e immutabile, impresso dal legislatore all’enunciato normativo, ma ne ricostruisce, nel limite della compatibilità con la sua formulazione letterale, una pluralità significati, non di rado storicamente mutevoli; una pluralità di norme, a .fronte della medesima disposizione, secondo il lessico della Corte costituzionale.
La Corte costituzionale, nella sentenza n. 203 del 2024, ha rilevato che «il tendenziale rispetto dei propri precedenti – unitamente alla coerenza dell’interpretazione con il testo delle norme interpretate e alla persuasività dell motivazioni – è, per le giurisdizioni superiori, condizione essenziale dell’autorevolezza delle loro decisioni, assicurando che i criteri di giudizio utilizz restino almeno relativamente stabili nel tempo, e non mutino costantemente in relazione alla variabile composizione della corte» (C. cost., sent. 17 dicembre 2024, n. 203).
A queste giurisdizioni, tuttavia, «non è preclusa la possibilità di rimeditare propri orientamenti, e se del caso di modificarli», per effetto dell’inconciliabilità precedenti con il successivo sviluppo della stessa giurisprudenza, anche della Corte costituzionale e delle Corti europee, del mutato contesto sociale o ordinamentale nel quale si colloca la nuova decisione, del sopravvenire di circostanze, di natura fattuale o normativa, non considerate in precedenza, della maturata consapevolezza o delle conseguenze indesiderabili prodotte dalla giurisprudenza pregressa (C. cost., sent. 17 dicembre 2024, n. 203; cfr. per considerazioni analoghe, Corte EDU, Grande Camera, 17 settembre 2009, Scoppola contro Italia, n. 2, § 29 104; Sez. U civ. n. 23675 del 6/11/2014, n. 23675, punto 1 del Ritenuto in diritto).
Tuttavia, ha rilevato le Corte costituzionale, «ogni revirement scuote gli affidamenti che la precedente giurisprudenza ha creato. Soprattutto a fronte di una giurisprudenza costante e risalente nel tempo, alla quale il legislatore si è nel frattempo conformato» (C. cost., sent. 17 dicembre 2024, n. 203).
Un improvviso revirement della giurisprudenza di legittimità penale può, peraltro, ledere i diritti fondamentali dell’imputato (quali la libertà personale o proprietà, ad esempio) in forme non meno incisive dell’intervento del legislatore che aggravi il trattamento penale retroattivamente in violazione dell’art. 25, secondo comma, Cost.
Il mutamento giurisprudenziale interviene, infatti, retroattivamente in quanto l’interpretazione giudiziale, per lo meno in ambito penale, è strutturalmente rivolta a fatti commessi nel passato.
Il mutamento giurisprudenziale, inoltre, non conoscendo forme di pubblicazione ufficiale, quali quelle previste per la legge e per le sentenze della Corte costituzionale, non sempre è percepibile nitidamente.
La tutela dell’imputato a fronte dell’overruling sfavorevole non è, inoltre, garantita dalla disciplina della successione di leggi penali nel tempo.
La Corte costituzionale, nella sentenza n. 230 del 2012, ha rilevato, pur riferendosi al principio di retroattività della normativa penale più favorevole, che la disciplina della successione di leggi, non può essere estesa ai mutamenti giurisprudenziali; in virtù dei principi di riserva di legge in materia penale e separazione dei poteri, nell’ordinamento italiano l’abrogazione delle norme penali, al pari della loro creazione, può discendere solo da un atto di volontà del legislatore.
La violazione del principio di irretroattività della legge penale sfavorevole può, inoltre, essere dichiarata dalla Corte costituzionale, laddove l’overruling sfavorevole non è di per sé censurabile nel giudizio di costituzionalità, salvo che questa interpretazione della disposizione non si sia consolidata in un vero e proprio diritto vivente incostituzionale.
3.11. La giurisprudenza di legittimità sino ad ora ha limitato l’efficacia retroattiva e sfavorevole dell’overruling giurisprudenziale, ricorrendo all’argine costituito dall’art. 5 cod. pen., interpretato secondo i principi enunciati dal sentenza della Corte costituzionale n. 364 del 1988.
In questa pronuncia la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 cod. pen. nella parte in cui non esclude dall’inescusabilità dell’ignoranza della legge penale l’ignoranza inevitabile e ha attribuito rilevanza scusante al «gravemente caotico atteggiamento interpretativo degli organi giudiziari».
In forza di questa interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 5 cod. pen., la mancata conoscenza della nuova interpretazione giurisprudenziale sfavorevole è scusata, in quanto errore inevitabile e, quindi, incolpevole.
Una recente sentenze di questa Sezione, ad esempio, ha rilevato che costituisce causa di esclusione della colpevolezza il mutamento di giurisprudenza in malam partem, nel caso in cui l’imputato, al momento del fatto, poteva fare affidamento su una regola stabilizzata, enunciata dalle Sezioni unite, che escludeva la rilevanza penale della condotta e non vi erano segnali, concreti e specifici, che inducessero a prevedere che, in futuro, le Sezioni unite avrebbero attribuito rilievo a quella condotta, rivedendo il precedente orientamento in senso peggiorativo (Sez. 6, n. 28594 del 26/03/2024, COGNOME, Rv. 286770 – 01, fattispecie relativa al delitto di accesso abusivo a sistema informatico o telematico, in cui la Corte ha annullato senza rinvio la decisione di condanna emessa in relazione a un fatto commesso successivamente a Sez. Unite, n. 4694 del 2011, dep. 2012, COGNOME, la quale, ai fini della configurabilità del reato, aveva escluso la rilevanza delle finalità dell’accesso al sistema, ed
antecedentemente a Sez. Unite, n. 41210 del 2017, COGNOME che ha richiesto, invece, che tale finalità non fosse compresa tra quelle per cui è attribuita la facoltà di accesso).
L’art. 5 cod. pen. non può; tuttavia, essere utilmente invocato nel caso di specie per precludere l’efficacia retroattiva in danno del ricorrente dell’imprevedibile mutamento giurisprudenziale sfavorevole.
L’applicazione della confisca, infatti, pur postulando la commissione di un reato, integro in tutti i suoi elementi costitutivi (e, dunque, anche del colpevolezza dell’agente), non richiede la verifica dell’elemento soggettivo dell’imputato con riferimento all’ablazione.
Nel caso di specie, dunque, non viene in rilievo il tema della conoscibilità o meno per l’imputato della fattispecie di reato, quanto la questione, radicalmente diversa, della base legale, così come definita anche dal diritto vivente, del potere del giudice penale di disporre la confisca per equivalente in assenza di condanna; potere che si rivela suscettivo di ampliamento, in via postuma rispetto al momento della commissione del fatto, solo per effetto di una mutata interpretazione giurisprudenziale.
3.12. Ritiene il Collegio che nel caso di specie il rimedio per garantire la prevedibilità delle conseguenze sanzionatorie per l’imputato, a fronte del mutamento giurisprudenziale sfavorevole e ragionevolmente imprevedibile, sia costituito da un’interpretazione dell’art. 578-bis cod. proc. pen. conforme all’art. 7 CEDU e all’art. 1 Prot. 1 CEDU.
I principi contenuti nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, come definiti nella giurisprudenza consolidata della Corte EDU, infatti, pur non traducendosi in norme direttamente applicabili nell’ordinamento nazionale, costituiscono criteri di interpretazione convenzionalmente orientata – ai quali il giudice nazionale è tenuto a ispirarsi nell’applicazione delle norme interne (Sez. U, n. 27260 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267486 – 01).
La giurisprudenza della Corte di Strasburgo costantemente ribadisce che la nozione di «diritto» («law»), utilizzata nell’art. 7 CEDU, deve considerarsi comprensiva tanto del diritto di produzione legislativa che del diritto di formazione giurisprudenziale (tra le altre, Corte EDU, 8 dicembre 2009, COGNOME contro Italia; Corte EDU, Grande Camera, 17 settembre 2009, Scoppola contro Italia; Corte EDU, 20 gennaio 2009, RAGIONE_SOCIALE ed altri contro Italia; Corte EDU, Grande Camera, 24 aprile 1990, Kruslin contro Francia).
L’interpretazione giudiziale, negli ordinamenti di common law, come in quelli di civil law, fornisce un rilevante apporto all’individuazione dell’esatta portata e all’evoluzione del diritto penale (Corte EDU, Grande Camera, sent. 12 febbraio
2008, COGNOME c. Cipro, § 141; Corte – EDU, 22 marzo 2061, COGNOME, COGNOME e COGNOME c. Germania) e serve proprio a dissipare i dubbi che potrebbero sorgere sull’interpretazione delle norme (Corte EDU, Grande Camera, COGNOME c. Cipro, § 141).
Lo sviluppo progressivo del diritto penale attraverso l’attività giudiziaria è, dunque, una parte ben consolidata e necessaria della tradizione giuridica degli Stati della Convenzione (cfr. Corte EDU, 24 aprile 1990, Kruslin v. France, 24 aprile 1990, § 29).
L’art. 7 della Convenzione EDU non vieta, dunque, il graduale chiarimento delle norme penali attraverso un’interpretazione giudiziale, svolta caso per caso, a condizione che il suo sviluppo sia coerente con l’essenza del reato e possa ragionevolmente essere previsto (Corte EDU, 22 novembre 1995, § 36; Corte EDU, 22 novembre 1995, C.R. c. Regno unito, § 34; Corte EDU, 22 marzo 2001, COGNOME, COGNOME and COGNOME, § 50).
La giurisprudenza della Corte di Strasburgo, in plurime sentenze, ha, dunque, ritenuto violato l’art. 7 CEDU da provvedimenti di condanna che sono stati pronunciati sulla base di interpretazioni «ragionevolmente imprevedibili» alla luce degli stessi precedenti giurisprudenziali e quando il ricorrente non avrebbe potuto rappresentarsi l’illiceità della propria azione neanche ricorrendo all’ausilio di un legale (Corte EDU, 7 ottobre 2017, Navalnyye c. Russia, § 81 e ss.; Corte EDU, 14 aprile 2015, Contrada c. Italia, § 60 e SS.; Corte EDU, 11 aprile 2013, Vyerentsov c. Ucraina, § 60 e ss.; Corte EDU 14 marzo 2013, COGNOME e COGNOME c. Russia, § 76 e ss.; Corte EDU, 10 ottobre 2006, Pessino c. Francia, § 18 e ss.).
La prevedibilità dell’interpretazione giurisprudenziale riguarda, inoltre, sia gl elementi costitutivi del reato (Corte EDU, 10 ottobre 2006, Pessino c. Francia, §§ 35-36; Corte EDU, 24 maggio 2007, COGNOME e COGNOME c. Romania, §§ 43-47; Corte EDU, 11 febbraio 2006, Dallas c. Regno Unito, §§ 72-77) che la pena applicabile (Corte EDU, Grande Camera, 21 ottobre 2013, COGNOME c. Spagna, §§ 111-117; Corte EDU, 7 febbraio 2012, COGNOME c. Albania, §§ 154162; Corte Edu, 22 gennaio 2013, RAGIONE_SOCIALE c. Malta).
La Corte di Strasburgo, in attuazione di questi principi, verifica, con riguardo alla disciplina penale applicabile al momento in cui i reati sono stati commessi (Corte EDU, Grande Camera, 21 ottobre 2013, Del Rio Prada c. Spagna, §§ 94), se l’interpretazione giudiziaria si sia limitata a seguire una evidente tendenza nell’evoluzione della giurisprudenza (Corte EDU, 22 novembre 1995, S.W. c. Regno Unito e C.R. c. Regno Unito,) o se i giudici nazionali abbiano operato un capovolgimento giurisprudenziale che la persona interessata non poteva prevedere (Corte EDU, 10 ottobre 2006, Pessino c. Francia, § 36; COGNOME e
RAGIONE_SOCIALE c. Romania, § 44; Corte EDU, Grande Camera, 21 ottobre 2013, Del Rìo Prada c. Spagna, §§ 111-117).
Parimenti, con riferimento alla protezione del diritto di proprietà, la giurisprudenza della Corte Edu ha rilevato che perché una misura limitativa o privativa della proprietà, come la confisca, sia convenzionalmente legittima e conforme all’art. 1 Prot. 1 CEDU, occorre che vi sia un’adeguata «base legale»; la conformità del potere esercitato nel caso di specie alla base legale comprende tanto il diritto di origine legislativa, quanto quello giurisprudenziale, che de esprimere regole «accessibili» e «precise», che consentano al singolo di prevendere le conseguenze del proprio comportamento (ex plurimis: Corte EDU, 28 giugno 2018, G.I.E.RAGIONE_SOCIALE e altri c. Italia, § 242 e § 246M; Corte EDU, 20 maggio 2010, Lelas c. Croazia, § 76-78; Corte EDU, 30 maggio 2005, RAGIONE_SOCIALE, § 57; Corte EDU, 5 gennaio 2000, COGNOME c. Italia, § 109).
La giurisprudenza di legittimità, in adesione a queste pronunce, ha precisato che l’art. 7 della Convenzione EDU – così come conformemente interpretato dalla giurisprudenza della Corte EDU – non consente l’applicazione retroattiva dell’interpretazione giurisprudenziale di una norma penale, allorquando il risultato interpretativo non era ragionevolmente prevedibile nel momento in cui la violazione è stata commessa (Sez. 2, n. 21596 del 18/02/2016, COGNOME, Rv. 267164 – 01; Sez. F, n. 35729 del 01/08/2013, Agrama, Rv. 256584 – 01).
3.13. Sulla base di questi principi, deve, dunque, rilevarsi che l’interpretazione dell’art. 578-bis cod. proc. pen., in senso conforme all’art. 7 CEDU e all’art. 1 Prot. 1 CEDU, impone di escludere l’efficacia retroattiva in malam partem del mutamento giurisprudenziale intervenuto con riferimento alla natura della confisca per equivalente, ove, come nella specie, la stessa non ecceda il valore del vantaggio economico che l’autore ha tratto dal reato.
Il superamento del pregresso consolidato assetto giurisprudenziale era, infatti, obiettivamente imprevedibile quando i reati di corruzione sono stati commessi (e, dunque, nel 2013), in ragione delle numerose pronunce della Corte di cassazione, anche a Sezioni unite, e della Corte costituzionale, che in quell’epoca hanno affermato la natura «eminentemente sanzionatoria» della confisca per equivalente.
Il motivo di ricorso è, invece, infondato, quanto alla confisca per sproporzione disposta dalla Corte di appello di Roma.
4.1. Il difensore del ricorrente ha incidentalmente qualificato la confisca della somma di 294.207 euro, disposta ai sensi dell’art. 240-bis cod. pen., quale
confisca «per equivalente», al fine di farne conseguire la natura punitiva e, dunque, l’irretroattività.
4.2. Questa censura è, tuttavia, infondata.
La confisca della somma di 294.207 euro è, ·infatti, stata disposta dal Tribunale di Roma e confermata dalla Corte di appello di Roma quale confisca disposta ai sensi del primo e non già del secondo comma dell’art. 240-bis cod. pen.
La confisca per equivalente di cui al secondo comma dell’art. 240-bis cod. pen. è applicabile solo ove non sia più possibile confiscare lo specifico bene o cespite in relazione al quale sia stato accertato il carattere sproporzionato dell’acquisto; l’oggetto di questa forma di confisca per equivalente è, infatti costituito dal valore equivalente di tutti i beni di valore sproporzionato che non possono più essere direttamente sottratti, in quanto dispersi, nascosti o alienati.
Nel caso di specie, tuttavia, la somma di danaro predetta è stata confiscata in via diretta, e non già per equivalente, in quanto rinvenuta nella disponibilità dell’imputato e ritenuta essa stessa dai giudici di merito, con motivazione congrua, sproporzionata rispetto al proprio reddito e di provenienza non giustificata.
4.3. Nessuna violazione del principio di irretroattività della legge penale sfavorevole è, peraltro, ravvisabile sul punto.
Le Sezioni unite di questa Corte hanno statuito che la disposizione di cui all’art. 578-bis cod. proc. pen., nella parte in cui consente al giudice dell’impugnazione di disporre la confisca per sproporzione in caso di prescrizione è una norma ricognitiva di un principio esistente nell’ordinamento, sebbene non codificato (Sez. U, n. 4145 del 29/09/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284209 01).
I delitti di corruzione sono, peraltro, contemplati quali delitti presupposto della confisca allargata prevista dall’art. 12-sexies del d.l. 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356 per effetto dall’art. 1, comma 220, lett. a), della legge 27 dicembre 2006, n. 296 e, dunque, da epoca ampiamente antecedente alle condotte di reato accertate dalle sentenze di merito.
La giurisprudenza di legittimità ha, del resto, rilevato che la disposizione di cui all’art. 578-bis cod. proc. pen., che ha previsto la possibilità di disporre la confisca allargata di cui all’art. 240-bis cod. pen. con sentenza di proscioglimento per intervenuta prescrizione del reato, può essere applicata retroattivamente a tale confisca, che, avendo natura di misura di sicurezza atipica, è sottratta all’operatività del divieto di retroattività delle norme di sfavore (Sez. 2, n. 17 del 11/07/2024, dep. 2025, Ronca, Rv. 287500 – 01).
4.4. Questa interpretazione, peraltro, non comporta alcuna lesione del canone della prevedibilità, in quanto è conforme a quanto la giurisprudenza di
legittimità ha affermato costantemente, anche prima dell’introduzione del comma 4-septies dell’art. 12-sexies del d.l. 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356.
Anche prima .dell’introduzione di questa disposizione, Fa giurisprudenza di legittimità ha, infatti, statuito che in caso di estinzione del reato, il giu disponeva di poteri di accertamento sul fatto-reato onde ordinare la confisca non solo delle cose oggettivamente criminose per loro intrinseca natura (art. 240, comma secondo, n. 2, cod. pen.), ma anche di quelle che sono considerate tali dal legislatore per il loro collegamento con uno specifico fatto-reato (ad es., nei casi di cui agli artt. 240, comma secondo, n. 1, cod. pen., e 12-sexies legge n. 356 del 1992) (Sez. 2, n. 32273 del 25/05/2010, Pastore, Rv. 248409 – 01).
La confisca ex art. 12 sexies d.l. 8 giugno 1992, n. 306, convertito in legge 7 agosto 1992, n. 356, permaneva anche qualora il giudizio di impugnazione si fosse concluso con la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, sempre che vi fosse stata in precedenza una sentenza di condanna e l’accertamento relativo alla sussistenza del reato ed alla penale responsabilità dell’imputato fosse rimasto inalterato (Sez. 5, n. 1012 del 29/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 271923 – 01).
Proprio questa pronuncia ha rilevato che «nell’individuazione della natura giuridica della confisca ex art. 12 sexies cit. operata dalle Sezioni unite di questa Corte, è consolidato il riferimento ad una «misura di sicurezza atipica con funzione anche dissuasiva” (Sez. U, n. 920 del 17/12/2003 – dep. 2004, Montella), profilo, quest’ultimo, che «si fonde con la funzione di ostacolo preventivo teso ad evitare il proliferare di ricchezza di provenienza non giustificata, immessa nel circuito di realtà economiche a forte influenza criminale» (Sez. U, n. 29022 del 30/05/2001, Derouach).
La Corte in questa sentenza ha, inoltre, aggiunto che «nella prospettiva che riconosce alla confisca in esame natura di misura di sicurezza, sia pure atipica, il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità ritiene la confisca ex art. 12 sexies cit. non soggetta al principio di irretroattività della norma penale, ma alla disposizione di cui all’art. 200 cod. pen. alla quale fa rinvio l’art. 236 co pen. (Sez. 1, n. 44534 del 24/10/2012, Ascone, Rv. 254698, che sottolinea come tale interpretazione non si ponga in contrasto con l’art. 7 CEDU; conf., ex plurimis: Sez. 6, n. 25096 del 06/03/2009, Nobis, Rv. 244355; Sez. 1, n. 8404 del 15/01/2009, B., Rv. 242862)» (Sez. 5, n. 1012 del 29/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 271923 – 01).
4.5. La confisca per sproporzione della somma di euro 294.207 euro è, dunque, stata legittimamente disposta dalla Corte di appello di Roma.
5. Alla stregua di tali rilievi, la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente alla confisca avente ad oggetto la somma di 30.000 euro con rinvio
per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Roma, che deciderà nuovamente sul• punto, uniformandosi ai principi di diritto statuiti da
questa Corte. Il ricorso, quanto alla residua censura, deve essere rigettato.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla confisca avente ad oggetto la somma di 30.000 euro con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione
della Corte di appello di Roma. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso il 18/06/2025.