Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 15182 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: COGNOME
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 5 Num. 15182 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Data Udienza: 18/03/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
QUINTA SEZIONE PENALE
Composta da
NOME COGNOME
Presidente –
Sent. n. sez. 354/2025
NOME COGNOME
Relatore –
UP – 18/03/2025
IRENE SCORDAMAGLIA
R.G.N. 39991/2024
NOME COGNOME
NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME nato a CAVA DE’ COGNOME il 03/05/1960 NOME COGNOME nato a CAVA DE’ TIRRENI il 17/01/1936 NOME COGNOME nato a CAVA DE’ COGNOME il 16/05/1942 NOME COGNOME (cl.’34) nato a CAVA DE’ COGNOME il 01/04/1934 NOME COGNOME (cl.’71) nato a CAVA DE’ TIRRENI il 29/09/1971 NOME nato a PAGANI il 29/11/1960
avverso la sentenza del 02/07/2024 della CORTE d’APPELLO di SALERNO Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che, riportandosi alla memoria depositata ha chiesto rigettarsi i ricorsi;
uditi gli avvocati NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME, NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME (cl. ’71), NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME, NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME
Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Firmato Da: NOME COGNOME Emesso Da: TRUSTPRO QUALIFIED CA 1 Serial#: 208fd89dbf9eae42 – Firmato Da: NOME COGNOME Emesso Da: TRUSTPRO QUALIFIED CA 1 Serial#: 340242aac01b804f
Firmato Da: NOME COGNOME Emesso Da: TRUSTPRO QUALIFIED CA 1 Serial#: 24db4a81d8f2880d
COGNOMENOME (cl. ’34), che hanno illustrato i rispettivi ricorsi chiedendone l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Salerno, con la sentenza emessa il 2 luglio 2024, riformava quella del Tribunale salernitano con la quale NOME COGNOME veniva assolto dai reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale a lui contestati ai capi a) e b) perché il fatto non sussiste, con declaratoria di non doversi procedere quanto al reato di bancarotta semplice, così riqualificata l’ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale contestata al capo a), perché estinto per intervenuta prescrizione, mentre NOME COGNOME (classe ’71), COGNOME NOME, NOME COGNOME , NOME COGNOME (classe ’34) e NOME COGNOME venivano mandati assolti dal reato loro ascritto al capo b) perché il fatto non sussiste.
La Corte territoriale ribaltava la decisione di primo grado, accogliendo parzialmente l’appello del Pubblico ministero: confermava l’assoluzione di COGNOME dalle bancarotte per distrazione sub capo a) della somma di euro 135.200,00, quale prestito erogato negli anni 2007 e 2008 a COGNOME NOME e a COGNOME Vincenzo, e della quota di partecipazione nel capitale sociale della società RAGIONE_SOCIALE; dichiarava COGNOME responsabile delle ulteriori condotte di bancarotta fraudolenta distrattiva societaria e documentale generica sub capo a), nonché per la bancarotta fraudolenta distrattiva contestata al capo b), reato del quale venivano anche ritenuti responsabili gli altri imputati.
Per la migliore comprensione dei ricorsi val bene ricapitolare da subito quale sono le condotte per i quali è stata accertata la responsabilità dei ricorrenti.
Quanto a COGNOME, in ordine al capo a) risponde nella qualità di socio dal 24.09.10, di presidente del consiglio di amministrazione sino al 09.06.10 e successivamente di liquidatore della S.p.aRAGIONE_SOCIALE dichiarata fallita dal Tribunale di Salerno in data 07.04.11, per aver distratto: 1) la somma di euro 475.000.00, quale quota parte incassata degli assegni per complessivi euro 1.750.000,00, negoziati sul conto corrente nr.10533 acceso presso la Banca della Campania ed intestato alla società fallita (euro 200.000,00 in data 20.01.10 e 275.000,00 in data 18.02.10), emessi dalla società fallita, in epoca in cui si trovava già in stato di insolvenza (iniziato nell’anno 2009), in favore di COGNOME NOME Giuseppe a titolo di caparra per l’acquisto al prezzo complessivo di euro 7.800.000,00 delle quote pari al 70% della società immobiliare RAGIONE_SOCIALE di cui al contratto preliminare di compravendita di quote societarie stipulato con scrittura privata del 18.01.10, prive di data certa, al quale
non faceva seguito l’effettiva acquisizione di dette quote societarie in favore della società fallita; 2) distraeva la somma complessiva di euro 141.552,61 -indicata in contabilità quale somma erogata a titolo di acconto per ferie non godute ai dipendenti, i quali hanno disconosciuto di aver ricevuto somme a tale titolo -e che non ha trovato riscontro nelle scritture obbligatone previste dalla normativa sul lavoro (buste paga e libro unico del lavoro); 3) tramite la cessione in data 05.08.10 a Capasso NOME e COGNOME Lucio al prezzo di euro 100.000,00 il 100% delle quote sociali detenute dalla società fallita nella RAGIONE_SOCIALE in liquidazione (cessione successivamente revocata dal curatore) società operante nel settore immobiliare (attraverso la quale la società fallita controllava anche la RAGIONE_SOCIALE ed a sua volta fallita in data 08.11.10, con un valore di beni immobili acquisiti nell’ambito del fallimento pari ad euro 34.130.276,00, di cui la RAGIONE_SOCIALE è creditrice per euro 288.465,58 (quale cliente) e per euro 9.576.500,00 per finanziamenti verso impresa collegata.
Inoltre, COGNOME rispondeva anche della condotta di bancarotta fraudolenta documentale di tipo generico -sempre contestata al capo a), nelle qualità indicate -per aver registrato l’erogazione in favore dei dipendenti della predetta somma complessiva di euro 141.552,61 a titolo di acconto per ferie non godute, in realtà mai corrisposta, di cui euro 87.158,00 senza l’indicazione del dipendente beneficiario; per non aver rilevato i deficit patrimoniali risultanti in alcuni bilanci di società controllate ed in tal modo sopravvalutando il risultato di esercizio ed il patrimonio netto della società fallita al 31.12.2009 per euro 27.900.000,00, di cui 27.800.000,00 derivanti dal deficit patrimoniale accumulato dalla partecipata S.p.aRAGIONE_SOCIALE per non aver rilevato nell’anno 2010 le ulteriori perdite accumulate per complessivi 34.100.000,00 dalle società controllate RAGIONE_SOCIALE in tal modo sopravvalutando il bilancio straordinario al 30.04.10 e precedente alla messa in liquidazione della società fallita in data 09.06.10, non rilevando, inoltre, la cessione delle azioni della RAGIONE_SOCIALE invece indicandole nel bilancio fallimentare depositato in cancelleria in data 18.04.11 (cedute in data 05.08.10).
Quanto al capo b), sempre relativamente alle condotte distrattive inerenti al falli mento della RAGIONE_SOCIALE , ne sono stato ritenuti responsabili, i seguenti imputati nelle seguenti qualità: NOME COGNOME nelle qualità indicate al capo a), nonché di amministratore unico sino al 30.07.10 e successivamente di liquidatore della RAGIONE_SOCIALE quest’ultima società socia al 20% nel capitale sociale della società fallita e della RAGIONE_SOCIALE sino al 24.09.10; NOME COGNOME nella qualità di socio al 20% nel capitale sociale della società
fallita dal 10.02.11 e di amministratore unico sino al 28.09.10 e successivamente di liquidatore della RAGIONE_SOCIALE società socia al 20% nel capitale sociale della società fallita e della RAGIONE_SOCIALE sino al 24.09.10, nonché di socio per la stessa quota in quest’ultima società dal 10.02.11; NOME COGNOME nella qualità di socio al 20% del capitale sociale delle società fallita dal 10.02.11 e di amministratore unico sino al 28/09/10 e successivamente di liquidatore della RAGIONE_SOCIALE società socia al 20% nel capitale sociale della società fallita e della RAGIONE_SOCIALE sino al 24.09.10, nonché di socio per la stessa quota in quest’ultima società dal 10.02.11; NOME COGNOME (cl. ‘ 71) nella qualità di amministratore unico dal 19.12.06 al 03.08.10 e successivamente di amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE; NOME COGNOME (cl. ’34) nella qualità di socio al 20% dal 10.02.11 nel capitale sociale della società fallita e della RAGIONE_SOCIALE; NOME COGNOME nella qualità di socio al 98% dal 24.09.10 ed al 20% dal 10.02.11 nel capitale sociale della società fallita e della RAGIONE_SOCIALE
In particolare, le condotte loro attribuite consistevano nella distrazione -in epoca in cui la società fallita si trovava già in stato di insolvenza (iniziato nell’anno 2009) -della somma complessiva di euro 657.500,00, quale finanziamento concesso dalla società fallita nel periodo dal 04.01.10 al 02.04.10 alla RAGIONE_SOCIALE società non facente parte del gruppo RAGIONE_SOCIALE e le cui quote di partecipazioni erano detenute dalle famiglie COGNOME e COGNOME, inizialmente attraverso le società RAGIONE_SOCIALE NOME e NOME e successivamente attraverso l’intestazione personale, e da NOME NOME, per terminare l’operazione di costruzione di immobili in Napoli, somma non restituita alla data della sentenza di fallimento.
I ricorsi per cassazione proposti nell’interesse di NOME COGNOME, NOME COGNOME (cl. ’71), NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME constano di plurimi motivi che saranno enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è articolato in cinque motivi, oltre a un motivo aggiunto.
4.1 Il primo motivo lamenta violazione di legge penale e vizio di motivazione in ordine alla distrazione riferita all’acquisto delle quote della RAGIONE_SOCIALE (capo a).
Il ricorrente rappresenta che la sentenza impugnata abbia fondato erroneamente la natura fraudolenta della bancarotta sulla situazione di insolvenza
manifestatasi all’atto della operazione , nonché sulla circostanza che alcuna azione fu tesa al recupero della somma versata o ad ottenere il trasferimento delle quote.
A tal riguardo, non corretta risulterebbe la valorizzazione del solo stato di insolvenza quale indice di fraudolenza, non confrontandosi, la sentenza impugnata, con la natura imprudente dell’operazione, adeguata a integrare la bancarotta semplice; tanto più che la stessa sentenza attribuisce alla iniziativa imprenditoriale il carattere di ‘ operazione gravemente imprudente ‘ , in una fase nella quale la società non poteva ‘avventurarsi in una speculazione immobiliare’ . Rileva il ricorrente come la stessa Corte di appello abbia dato atto che la società RAGIONE_SOCIALE fosse florida, che COGNOME nei verbali del consiglio di amministrazione sollecitasse l’impegno di tutti i soci per uscire dalla crisi, che , dunque, l’operazione fosse funzionale agli interessi della società, non essendo emersa dalla sentenza impugnata una finalità tesa ad avvantaggiare le ragioni di terzi, né dei soci personalmente.
4.2 Il secondo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla contestata cessione a Capasso e Stabile del 100% delle quote sociali della RAGIONE_SOCIALE nella RAGIONE_SOCIALE S.p.a.
Lamenta il ricorrente l’incertezza ritenuta in primo grado -non dipanata dalla sentenza di appello -riguardo alla natura simulata o reale della operazione, anche in questo caso valorizzando la Corte di appello la situazione di insolvenza e il mancato recupero del prezzo, aggirando però il tema della congruità dello stesso, decisivo perché sia integrata la distrazione; inoltre, la sentenza sarebbe viziata per difetto di motivazione rafforzata, tenuto conto che in primo grado la ragione dell’assoluzione risultava essere stata proprio la valutazione pari a zero del valore delle quote cedute.
Né il riferimento della Corte di appello al rilevantissimo patrimonio immobiliare della società RAGIONE_SOCIALE risulterebbe decisivo ad attribuire alle quote valore, in considerazione del fallimento della RAGIONE_SOCIALE intervenuto poco dopo, con conseguente giudizio penale, del quale il ricorrente allega la sentenza di appello che dava atto che l’attivo era pari alla metà circa del passivo accertato.
Anche il ridotto tempo trascorso fra la cessione delle quote e il fallimento della Trade -circa tre mesi -vanificherebbe l’argomento dell’inerzia fraudolent a o colpevole, come anche non rispondente al vero risulterebbe l’esistenza di un pactum de non petendo contenuto del contratto di cessione.
4.3 Il terzo motivo lamenta vizio di motivazione quanto alla distrazione delle somme versate ai dipendenti a titolo di acconto ferie, sempre nell’ambito del capo a). La Corte di appello ha limitato la distrazione a 25mila euro rispetto ai 141.552,61 in origine contestati. Lamenta il ricorrente che le argomentazioni difensive contenute in memoria non sono state valutate dalla Corte territoriale: la
versione dei fatti offerta da COGNOME veniva ritenuta non credibile, a differenza di quelle dei dipendenti che negavano di avere beneficiato delle somme. La sentenza sarebbe affetta da contraddizione illogica quando attribuisce valore al manoscritto di NOME COGNOME, che indicava le somme assegnate a titolo di ferie non godute, non credendo invece all’imputato quando spiega la destinazione dei 25mila euro. Tanto più che i testi-dipendenti, in parte confermano la versione di NOME COGNOME, in parte non ricordano.
4.4. Il quarto motivo lamenta violazione di legge in relazione alla bancarotta documentale contestata al capo a).
La sentenza impugnata, che ha ritenuto sussistere la bancarotta fraudolenta documentale, riqualificata in bancarotta semplice in primo grado, ritiene integrata la fattispecie in ragione della omessa indicazione nei bilanci delle gravi perdite, ricorrendo al più la bancarotta da falso in bilancio, mai però contestata, né sussistendo i relativi presupposti. Deduce altresì che oggetto della bancarotta documentale non possono essere le condotte relative ai bilanci.
Il ricorrente lamenta che le ragioni espresse con il terzo motivo si ripercuotono anche sulla falsa contabilizzazione dei 25mila euro destinati ai dipendenti per ferie non godute.
4.5 Il quinto motivo lamenta violazione di legge penale in relazione alla bancarotta distrattiva contestata al capo b).
Lamenta il ricorrente che la Corte di appello abbia ritenuto integrato il delitto, pur dando a tto che l’operazione di finanziamento della RAGIONE_SOCIALE fosse appieno coerente con l’oggetto sociale della fallita, solo perché RAGIONE_SOCIALE non era appartenente dal gruppo RAGIONE_SOCIALE. La Corte di appello avrebbe sopravvalutato la circostanza che non vi fosse il controllo da parte di RAGIONE_SOCIALE su RAGIONE_SOCIALE, senza però considerare che nozione di direzione coordinamento è di natura economico imprenditoriale ex art. 2497 e ss. cod. civ., cosicché Value risultava finanziata in ragione del coordinamento di HDC sulla stessa e del rispetto dell’oggetto sociale della finanziatrice.
Inoltre, la natura distrattiva -affermata in relazione alla vendita delle quote di partecipazione in Value delle cinque società, con riacquisto da parte delle persone fisiche -non vede fra gli acquirenti COGNOME.
Anche la affermata correlazione fra l’ operazione di erogazione e lo stato di insolvenza della finanziatrice, quindi in un arco temporale troppo dilatato fra l’una e l’altro , non tiene cont o che la stipula del finanziamento intervenne nell’aprile 2009 e non nel primo semestre 2010. È dunque alla prima data che va correlata la verifica della natura distrattiva dell’operazione, ovvero un atto gestorio al più imprudente.
4.6 Il motivo aggiunto lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alle circostanze attenuanti generiche negate all’imputato.
5 . Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME cl. 71 è articolato in tre motivi.
5.1 Il primo motivo lamenta violazione di legge processuale, deducendo l’inammissibilità dell’appello del Pubblico ministero.
Il ricorso denuncia assenza dei motivi di appello del pubblico ministero rispetto alla posizione del COGNOME per il quale il Tribunale aveva escluso la responsabilità in ordine al capo b), sia in ordine al dubbio correlato alla natura distrattiva dell’operazione di finanziamento, sia anche in relazione al ruolo di amministratore di f atto dell’imputato, dopo la cessazione dalla carica in Value, non attestato da ulteriori atti gestori.
A fronte di ciò il motivo di appello si limitava a prospettare la natura distrattiva sulla base delle indicazioni provenienti dal curatore, fondando sulla assenza della garanzia per la fallita quanto al finanziamento e della richiesta di restituzione e su lla circostanza che la finanziata Value non fosse parte del ‘gruppo’. Nessun profilo quanto alla qualità di extraneus del COGNOME spendeva il motivo di a ppello.
5 .2 Il secondo motivo lamenta violazione di legge in relazione all’art. 216 l. fall.
In particolare, la Corte di appello non avrebbe dato conto del richiesto dolo per l’ extraneus nel delitto di bancarotta distrattiva, non risultando comprovato un accordo collusivo fra l’imputato e COGNOME.
Inoltre, COGNOME avrebbe concorso nella distrazione per aver richiesto il finanziamento nella qualità di amministratore della Value, ma sarebbe poi cessato dall’incarico subito dopo senza alcun beneficio c onseguente al finanziamento -a differenza degli altri coimputati che risultavano ricevere le quote della Value -e senza che la Corte di appello abbia dato conto di atti gestori integranti la qualità di amministratore di fatto, desumendosi la prova del dolo esclusivamente dalla affermazione -non comprovata -che l’imputato farebbe parte della famiglia COGNOME, alla quale appartenevano i nuovi soci di Value dopo la cessione delle quote.
5.3 Il terzo motivo lamenta vizio di motivazione, in quanto la Corte di appello non avrebbe valutato che RAGIONE_SOCIALE non era parte del gruppo RAGIONE_SOCIALE, che il finanziamento fu richiesto e concesso un anno prima del fallimento di RAGIONE_SOCIALE, che il finanziamento era effettivo in quanto era necessario per completare un complesso residenziale in Napoli, i cui immobili furono venduti alcuni mesi dopo il finanziamento medesimo -intervenuto dal 4 gennaio al 2 aprile 2010 -quando ormai l’imputato si era già dimesso dal 3 agosto 2010, non mantenendo quote vendute ai soci. Secondo il ricorrente la Corte di appello avrebbe dapprima escluso
l’appartenenza di COGNOME alla compagine familiare COGNOME –COGNOME, salvo affermarla contraddittoriamente in altra parte della sentenza.
Il ruolo limitato di COGNOME alla sola richiesta di finanziamento, lo renderebbero del tutto estraneo alle condotte successive.
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è articolato in un due motivi.
6.1 Con il primo lamenta vizio di motivazione in ordine alla condotta distrattiva sub capo b), quanto all’elemento oggettivo e soggettivo.
In ordine al primo profilo la Corte non avrebbe offerto, in sede di motivazione, la doverosa argomentazione ‘ rafforzata ‘ , quanto al valore delle quote Value cedute a COGNOME, valore che risultava essere pari a zero. Difetterebbe una motivazione adeguata anche quanto al dolo di COGNOME, senza considerare che COGNOME al momento del finanziamento di RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE non era ancora socio, come anche risulterebbe illogico l’aver r itenuto RAGIONE_SOCIALE appartenente al gruppo RAGIONE_SOCIALE. Inoltre, sussisterebbe un contrasto di giudicati per COGNOME assolto in altri processi per i reati fallimentari relativi alle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, in precedenza socie di RAGIONE_SOCIALE
6.2 Con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla dosimetria della pena e al rigetto delle circostanze attenuanti generiche, negate con riferimento ad un precedente penale antecedente di 14 anni.
Il ri corso proposto nell’interesse di NOME, NOME e NOME (Cl. 34) COGNOME è articolato in due motivi.
7.1 Il primo motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione.
La Corte di appello avrebbe escluso che RAGIONE_SOCIALE fosse parte del Gruppo RAGIONE_SOCIALE, omettendo di tener conto della relazione COGNOME, depositata dagli imputati. Comunque, al momento in cui fu stipulato il finanziamento da RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE non era comprovato il dissesto, tanto che la sentenza di fallimento sarebbe intervenuta due anni dopo.
Il finanziamento era rispondente all’oggetto sociale della HDC e inoltre consisteva in una operazione conveniente per la stessa HDC, stante la circostanza che Value ultimava gli immobili in Napoli alcuni dei quali furono poi venduti, come risultava in altro procedimento.
Deducono i ricorrenti il vantaggio compensativo, come anche il difetto di motivazione quanto alla prova del dolo, che non può non confrontarsi con le sentenze che hanno mandato assolti i tre imputati in relazione alle società del
Gruppo delle quali erano rispettivamente amministratori (NOME per COGNOME, NOME per COGNOME, NOME per Artica).
NOME, inoltre, assume la qualità di socio il 10 febbraio 2011 e pertanto non gli può essere attribuita alcuna condotta in relazione al finanziamento stipulato in data 16 aprile 2009.
In sostanza, la sentenza impugnata non risponde ai requisiti propri della ‘motivazione rafforzata’.
7.2 Il secondo motivo lamenta violazione di legge per le negate circostanze attenuanti generiche.
I ricorsi sono stati trattati con l’ intervento delle parti, ai sensi del rinnovato art. 611 cod. proc. pen., come modificato dal d.lgs. n. 150 del 2022 e successive integrazioni.
Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME ha depositato requisitoria e conclusioni scritte, con le quali ha chiesto rigettarsi i ricorsi.
10 . L’avvocato COGNOME, nell’interesse di NOME COGNOME cl. ’71, nonché gli avvocati COGNOME per COGNOME, nonché l’avvocato COGNOME per NOMECOGNOME NOME e NOME COGNOME, hanno depositato memorie -l’avv. COGNOME allegando sentenze -in replica alle conclusioni della Procura generale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono fondati nei termini che seguono.
Va premesso che il primo motivo del ricorso nell’interesse di NOME COGNOME cl. 71 è manifestamente infondato. L ‘appello del Pubblico ministero , infatti, risulta tutt’altro che generico, in quanto l’impugnazione si confronta in modo specifico con le ragioni che avevano condotto all’assoluzione dell’imputato in primo grado.
Il Tribunale valutava la posizione del ricorrente, quanto alla condotta attribuitagli di concorso in bancarotta fraudolenta distrattiva, consistita nel finanziamento in favore della società RAGIONE_SOCIALE. Di tale delitto era chiamato a rispondere NOME COGNOME nella qualità di amministratore unico dal 19 dicembre 2006 al 03 agosto 2010 e successivamente di amministratore di fatto, escludendo la sentenza di primo grado tale ultima qualità.
Per il resto, per tutti gli imputati coinvolti, compreso il NOME COGNOME, il Tribunale escludeva del tutto la natura distrattiva delle operazioni, fra le quali quella di finanziamento, nonché la sussistenza del dolo.
Rispetto a tale motivazione l’appello del Pubblico ministero, anche se non individualizza la doglianza rispetto al COGNOME, non di meno ‘attacca’ il profilo della sussistenza oggettiva del delitto e del coefficiente soggettivo richiesto, tanto più che COGNOME risultava essere amministratore di diritto nell’arco temporale oggetto del finanziamento, cosicché non risulta va aspecifico l’appello nella parte in cui non si confrontava con una frazione marginale dell’imputazione e dell’assoluzione, quella relativa alla esclusa qualità di amministratore di fatto.
Pertanto, l’appello del Pubblico ministero non incorre nel vizio di genericità, in quanto può dirsi inammissibile l’atto di impugnazione quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata, fermo restando che tale onere di specificità, a carico dell’impugnante, è direttamente proporzionale alla specificità con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato (Sez. U, Sentenza n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822). Pertanto, manifestamente infondata è la doglianza esaminata.
3.Va premesso, poi, che i ricorsi tutti, ad eccezione di quello nell’interesse NOME COGNOME cl. ’71 , fanno richiamo alla necessità della motivazione ‘rafforzata’, vertendosi in tema di overturning sfavorevole agli imputati. Non di meno per il menzionato NOME COGNOME, vertendosi in tema afferente questioni non personali, trova applicazione l’estensio ne dei motivi di impugnazione ex art. 587 cod. proc. pen.
Riguardo all’onere di motivazione rafforzata, va qui richiamato quanto osservavano le Sez. Unite Dasgupta, in ordine alla necessità della stessa nel caso di ribaltamento sfavorevole all’imputato de lla sentenza di primo grado, con argomenti a sua volta confermati dalle Sez. Unite Troise.
A ben vedere, fermo restando che nel caso in esame correttamente la Corte di appello ha provveduto alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in conseguenza d ell’appello del pubblico ministero, l’onere che deve sostenere il ribaltamento, oltre a quello rinnovatorio dell’istruttoria in caso di motivi attinenti alla valutazione delle prove (art. 603, comma 3bis , cod. proc. pen.), è anche quello di confrontarsi con la sentenza assolutoria di primo grado, che nel caso in esame rilevava l’insussistenza dei fatti contestati .
A tal proposito, le Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267491 -01, ai parr. 7.1 e ss., chiarivano come già autorevolmente era stato fatto riferimento al particolare dovere di motivazione che incombe sul giudice di appello
che affermi la responsabilità dell’imputato già prosciolto in primo grado (Sez. U, n. 45276 del 30/10/2003, COGNOME, Rv. 226093).
Il principio era stato anche ulteriormente ribadito e precisato, affermandosi che il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, COGNOME, Rv. 231679). In tale direzione si era anche confermato che il giudice di appello, in caso di ribaltamento sfavorevole, deve confutare specificamente, pena altrimenti il vizio di motivazione, le ragioni poste dal primo giudice a sostegno della decisione assolutoria, «dimostrando puntualmente l’insostenibilità sul piano logico e giuridico degli argomenti più rilevanti della sentenza di primo grado, anche avuto riguardo ai contributi eventualmente offerti dalla difesa nel giudizio di appello, e deve quindi corredarsi di una motivazione che, sovrapponendosi pienamente a quella della decisione riformata, dia ragione delle scelte operate e della maggiore considerazione accordata ad elementi di prova diversi o diversamente valutati» (Sez. 6, n. 6221 del 20/04/2005, dep. 2006, COGNOME, Rv. 233083).
Tali principi ancor più acquisivano rilievo, secondo le Sez. Unite Dasgupta, per effetto dell’introduzione del principio del «al di là di ogni ragionevole dubbio», al quale prima dell’inserimento nel comma 1 dell’art. 533 cod. proc. pen. ( ex l. 20 febbraio 2006, n. 46), già si rifaceva quale inderogabile regola di giudizio Sez. U, n. 30328 del 10/07/2002, COGNOME, Rv. 222139.
Da tale argomentare si consolidava, quindi, il principio che nel giudizio di appello, per la riforma di una sentenza assolutoria, non basta, in mancanza di elementi sopravvenuti, una mera diversa valutazione del materiale probatorio già acquisito in primo grado ed ivi ritenuto inidoneo a giustificare una pronuncia di colpevolezza, occorrendo una “forza persuasiva superiore”, tale da far venire meno “ogni ragionevole dubbio”, in quanto la condanna presuppone la certezza della colpevolezza, mentre l’assoluzione non presuppone la certezza dell’innocenza ma la mera non certezza della colpevolezza.
In questo quadro ricostruttivo dei valori sottesi al processo penale -osservavano le Sez. U. Dasgupta -il dovere di motivazione rafforzata da parte del giudice della impugnazione, in caso di dissenso rispetto alla decisione di primo grado, il canone dell’ “al di là di ogni ragionevole dubbio”, il dovere di rinnovazione della istruzione dibattimentale e i limiti alla reformatio in pejus si saldano sul medesimo asse cognitivo e decisionale.
I principi fin qui richiamati, venivano poi ulteriormente precisati da Sez. U Troise, an che per distinguere l’onere di motivazione richiesto a seconda dell’esito del giudizio di appello, se sfavorevole o favorevole all’imputato.
Difatti, «presunzione di innocenza e ragionevole dubbio impongono soglie probatorie asimmetriche in relazione alla diversa tipologia dell’epilogo decisorio: la certezza della colpevolezza per la condanna, il dubbio processualmente plausibile per l’assoluzione. Analoghe le conseguenze sulla estensione dell’obbligo di motivazione, che, in caso di totale riforma in grado di appello, si atteggia diversamente a seconda che si verta nell’ipotesi di sovvertimento della sentenza assolutoria ovvero in quella della totale riforma di una sentenza di condanna. Mentre nel primo caso, infatti, al giudice d’appello si impone l’obbligo di argomentare circa la plausibilità del diverso apprezzamento come l’unico ricostruibile al di là di ogni ragionevole dubbio, in ragione di evidenti vizi logici o inadeguatezze probatorie che abbiano inficiato la permanente sostenibilità del primo giudizio, per il ribaltamento della sentenza di condanna, al contrario, il giudice d’appello può limitarsi a giustificare la perdurante sostenibilità di ricostruzioni alternative del fatto, sulla base di un’operazione di tipo essenzialmente demolitivo».
Ebbene, non risultano manifestamente infondati i motivi di ricorso sul punto, a fronte della parte motiva della sentenza impugnata dal par. 7, in quanto non del tutto evidente è lo specifico confronto con le argomentazioni della sentenza di primo grado, emergendo una ricostruzione accurata e puntuale fondata sulle fonti di prova oggetto della rinnovazione istruttoria. In sostanza non è evidente la maggiore ‘persuasività’ della sentenza di appello rispetto a quella di primo grado, il che rende non manifestamente infondate le doglianze difensive sul punto.
4. Anche altre doglianze appaiono non manifestamente infondate. A titolo esemplificativo, in tema di bancarotta documentale, in particolare relativamente alla ritenuta bancarotta documentale, occorrerebbe confrontarsi -anche per verificarne gli effetti sulla ‘tenuta’ della motivazione impugnata -con il principio per cui il bilancio non può es sere annoverato fra le scritture e i libri di cui all’art. 216, comma 1, n. 2 legge fall. (Sez. 5, n. 42568 del 19/06/2018, E., Rv. 273925 -03; Sez. 5, n. 47683 del 04/10/2016, COGNOME Rv. 268503 -01).
Anche occorrerebbe confrontarsi con il principio per cui in tema di reati fallimentari la consumazione del patrimonio in operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti integra il delitto di bancarotta semplice, nel caso in cui tali operazioni si inquadrino nell’ambito di condotte tenute comunque nell’interesse dell’impresa, come prospettato dalle difese, configurandosi, invece, il delitto di bancarotta fraudolenta nel caso in cui l’agente abbia dolosamente
perseguito un interesse proprio o di terzi estranei all’impresa (Sez. 5, n. 7417 del 01/02/2023, Vecchio, Rv. 284230 -02; Conf.: Sez. 5, n. 15850 del 1990, Rv. 185886-01).
Ciò conduce questa Corte a dover rilevare come, in assenza di ragioni di inammissibilità dei ricorsi, debba essere dichiarata ex art. 129 cod. proc. pen. l’intervenuta estinzione dei reati per prescrizione per tutti gli imputati.
A riguardo, deve infatti osservarsi come secondo la consolidata giurisprudenza della Corte di legittimità, solo l’inammissibilità del ricorso per cassazione per manifesta infondatezza dei motivi, o per altre ragioni diverse dalla rinuncia, impedisce il formarsi di un valido rapporto processuale e preclude pertanto la possibilità di rilevare e dichiarare l’estinzione del reato per prescrizione a norma dell’art. 129 cod. proc. pen. ( Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, COGNOME, Rv. 217266; Sez. U, n. 33542 del 27/06/2001, COGNOME, Rv. 219531; Sez. U. n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, COGNOME; Sez. U n. 6903 del 27/05/2016, dep. 2017, COGNOME).
Nel caso in esame, non emergono, alla luce della sentenza impugnata, elementi che debbano comportare, ex art. 129, comma 2, cod. proc. pen., il proscioglimento nel merito degli imputati.
Al riguardo, occorre osservare che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in presenza di una causa di estinzione del reato il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen., soltanto nei casi in cui le circostanze idonee a escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di “constatazione”, ossia di percezione ictu oculi , che a quello di “apprezzamento” e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (Sez. U., n. 35490 del 28/05/2009, COGNOME, Rv. 244274).
Nel caso di specie, le doglianze dei ricorrenti, lungi dall’evidenziare elementi di per sé stessi direttamente indicativi della insussistenza del reato addebitato, risultano in grado di condurre, al più, ad annullare con rinvio la sentenza impugnata, rinvio, tuttavia, inibito, poiché, in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l’obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, COGNOME, Rv. 244275).
Pertanto, occorre prendere atto che il termine di prescrizione per i reati contestati è scaduto.
Infatti, tenuto in conto che la Corte di appello ha escluso la recidiva per gli imputati in ordine ai quali era contestata, il termine di prescrizione per interruzione va a scadere il 7 ottobre 2023 (anni dodici e mesi sei dalla sentenza dichiarativa del fallimento, del 7 novembre 2011).
Anche tenendo in conto le sospensioni dei termini di prescrizione, le cui cause si sono verificate in primo grado, pari a 370 giorni (rinvio dal 22 marzo 2017 al 21 giugno 2017 per astensione dei difensori, per 90 giorni; rinvio dal 14 marzo 2018 al 19 settembre 2018 per astensione dei difensori per 188 giorni; rinvio dall’11 marzo 2020 al 1 luglio 2020 per l’emergenza pandemica per 64 giorni; rinvio dal 24 novembre 2021 al 1 dicembre 2021, su richiesta per 7 giorni; rinvio dal 1 dicembre 2021 al 22 dicembre 2021 per legittimo impedimento di 21 giorni), il termine di prescrizione è scaduto in data 11 ottobre 2024.
Diversamente da quanto indicato nella scheda ex art. 165bis disp. att. cod. proc. pen. non deve tenersi conto di due ulteriori cause di sospensione ritenute dalla Corte di appello.
In primo luogo, il rinvio dal 14 marzo 2014 al 26 maggio 2014 risulta necessitato dalla rinnovazione della notifica dell’atto di citazione ad uno degli imputati, e solo in subordine l’istanza di riunione ad altro procedimento fu accolta dal Tribunale con trasmissione al presidente del tribunale.
Certamente è vero che in caso di rinvio dell’udienza, disposto in accoglimento di un’istanza difensiva di riunione ad altro processo pendente nello stesso stato e grado dinanzi al medesimo giudice, il corso della prescrizione è sospeso per tutta la durata del differimento, discrezionalmente determinato dal giudice avuto riguardo alle esigenze organizzative dell’ufficio giudiziario, ai diritti e alle facoltà delle parti coinvolte nel processo e ai principi costituzionali di ragionevole durata del processo e di efficienza della giurisdizione (Sez. 3, n. 43913 del 13/10/2021, Morris, Rv. 282100 -01, conf. N. 29885 del 2015 Rv. 264433 -01).
È altrettanto vero, però, che in caso di differimento del processo per rinnovare la citazione dell’imputato a causa della violazione del termine a comparire e di concomitante istanza difensiva di rinvio, da qualsiasi causa determinata, non opera, per tutto il tempo del differimento, la sospensione della prescrizione, in quanto il rinvio deve essere ascritto alla prioritaria esigenza di assicurare la regolarità del contraddittorio (Sez. 2, n. 11039 del 03/12/2019, dep. 01/04/2020, COGNOME, Rv. 278523 -01; conf. N. 36990 del 2019 Rv. 277533 -01).
Ne conseg ue la non computabilità del periodo conseguente all’esaminato rinvio dal 14 marzo 2014.
Va invece computato il rinvio dal 19 febbraio 2016 al 1 aprile 2016 per 41 giorni, conseguente alla richiesta delle difese per formulare eventuale istanza di ricusazione ed acquisire il provvedimento emesso dal presidente del Collegio in
sede di riesame. Infatti, non si trattava di un rinvio necessitato, in quanto non essendo ancora nota la sussistenza della causa di potenziale ricusazione comunque alle parti sarebbe stato consentito procedere ex art. 38 cod. proc. pen. nei tre giorni seguenti a formulare l’istanza , senza dover sollecitare il differimento dell’udienza .
Pertanto, il termine ultimo di prescrizione è andato a scadere in data 21 novembre 2024, pervenendo il ricorso presso questa Corte in data 29 novembre 2024 , il che non muta l’esito della presente decisione.
Ne consegue che per tutti gli imputati, in ordine ai capi loro rispettivamente ascritti ai capi a) e b), la sentenza va annullata senza rinvio per intervenuta estinzione dei reati a seguito di prescrizione.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché i reati sono estinti per prescrizione.
Così deciso il 18/03/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente
NOME COGNOME