Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 31925 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 31925 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 20/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME NOME, nato a Roma il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 12/1/2024 emessa dalla Corte di appello di Roma visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettare il ricorso;
letta la memoria dell’AVV_NOTAIO, il quale conclude per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Roma, riformando la sentenza di condanna emessa in primo grado, dichiarava l’intervenuta prescrizione del reato di rivelazione di
segreti d’ufficio emessa nei confronti del ricorrente.
All’imputato, ufficiale della Guardia di RAGIONE_SOCIALE, si contestava di aver in più occasioni rilevato a NOME COGNOME informazioni concernenti un’indagine in corso di svolgimento nei confronti del padre, NOME COGNOME, Generale della Guardia di RAGIONE_SOCIALE in quiescenza. In particolare, le rilevazioni erano relative all’attività di indagine svolta dalla Guardia RAGIONE_SOCIALE Pescara, nel corso della quale erano state disposte anche intercettazioni telefoniche, coinvolgenti entrambi i predetti soggetti. Le rilevazioni del segreto avvenivano in concomitanza con la sottoposizione dell’imputato all’esame di Diritto amministrativo, sostenuto dall’imputato presso l’RAGIONE_SOCIALE Vergata dinanzi al professor NOME COGNOME, al quale l’imputato riferiva di conoscere il padre – NOME COGNOME – e riferiva circostanze inerenti sia alle indagini concernenti quest’ultimo, sia allo svolgimento del concorso universitario per professore ordinario al quale NOME COGNOME era direttamente interessato.
Avverso tale sentenza, il ricorrente ha formulato un unico articolato motivo di ricorso, per violazione di legge e vizio di motivazione.
Premette il ricorrente di condividere il principio secondo cui in presenza di una causa di estinzione del reato il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129 comma secondo, cod. proc. pen. soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile.
Nel caso di specie, tuttavia, tale principio sarebbe stato violato, posto che dall’istruttoria era emerso che NOME COGNOME era a conoscenza dell’indagine a suo carico e dello svolgimento di intercettazioni telefoniche ben prima che l’imputato ne parlasse con il figlio.
In tal senso, infatti, deponeva chiaramente la testimonianza resa da NOME COGNOME, collaboratore del RAGIONE_SOCIALE, il quale ha riferito di essere stato Convocato a Roma nel dicembre del 2013 e, in quell’occasione, l’ex Generale lo invitava alla cautela nella gestione dei comuni affari, essendo oggetto di indagine da parte della Guardia di RAGIONE_SOCIALE di Pescara.
Tale elemento escluderebbe ictu °cui/ la sussistenza del reato di cui all’art. 326 cod. pen. che riveste natura di reato di pericolo effettivo e non meramente presunto nel senso che la rivelazione del segreto è punibile in quanto suscettibile di produrre nocumento a mezzo della notizia da tenere segreta, con la conseguente impossibilità di ritenere integrato il reato lì dove i destinatari della rivelazione n abbiano già contezza.
Il ricorso è stato trattato in forma cartolare.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato.
Il ricorrente lamenta l’omessa risposta sul motivo di appello volto a far accertare l’insussistenza dell’elemento oggettivo del reato di rivelazione di segreti d’ufficio.
La Corte di appello, invero, si sarebbe limitata ad escludere l’elemento soggettivo del reato che, tuttavia, non era stato oggetto di contestazione.
Il ricorrente omette di considerare che la sentenza impugnata – sia pur con motivazione per relationem ha affermato la sussistenza di elementi idonei a far ritenere la configurabilità del reato, richiamando le testimonianze assunte in primo grado.
La questione che pone il ricorso attiene essenzialmente alla possibilità o meno di ritenere la prevalenza della causa di estinzione del reato a fronte di elementi che, sulla base di una mera constatazione, consentano di escludere la sussistenza del reato.
Si tratta di una problematica ampiamente affrontata dalla Corte di Cassazione, che è giunta ad una soluzione consolidata a seguito della sentenza delle Sezioni unite con la quale si è affermato che, in presenza di una causa di estinzione del reato, il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129 comma secondo, cod. proc. pen. soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di “constatazione”, ossia di percezione “ictu oculi”, che a quello di “apprezzamento” e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento. (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, COGNOME, Rv. 244274).
Tale principio, peraltro, sembrerebbe aver trovato conferma anche nella più recente sentenza resa dalle Sezioni unite il 28 marzo 2024 (di cui si dispone della sola informazione provvisoria), chiamata a valutare se, nel giudizio di appello promosso avverso la sentenza di condanna dell’imputato anche al risarcimento dei danni, il giudice, intervenuta nelle more l’estinzione del reato per prescrizione, possa pronunciare l’assoluzione nel merito, anche a fronte di prove insufficienti o
contraddittorie, sulla base della regola di giudizio processual-penalistica dell’oltre ogni ragionevole dubbio, ovvero debba far prevalere la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, pronunciandosi sulle statuizioni civili secondo la regola processual-civilistica del “più probabile che non”.
Rispondendo al quesito, le Sezioni unite hanno affermato che in coerenza con i principi sanciti dall’art. 27 Cost., dall’art. 6 della Cedu e dagli artt. 48 e 53 de Carta di Nizza, il giudice può pronunciare l’assoluzione nel merito alla stregua di quanto enunciato da Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, COGNOME, Rv. 244273, secondo cui, in caso di contraddittorietà o insufficienza della prova, il proscioglimento nel merito non prevale rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non punibilità, salvo che il giudice sia chiamato a valutare, per la presenza della parte civile, il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili oppure ritenga infondata nel merito l’innpugnazione del P.M. proposta avverso una sentenza di assoluzione in primo grado ai sensi dell’art. 530, comma secondo, cod. proc. pen.
Nel caso di specie, è agevole ritenere che l’aspetto problematico sollevato dal ricorrente non trovi conferma nella motivazione resa nella sentenza di primo grado e richiamata in quella di appello.
A differenza di quanto sostenuto in ricorso, infatti, deve escludersi che sussista qualsivoglia profilo di dubbio in ordine all’avvenuta rivelazione del segreto d’ufficio, stante l’inequivocabile deposizione resa dal teste NOME COGNOME, il quale ha riferito delle plurime e specifiche rivelazione del contenuto di indagini in corso da parte del COGNOME, peraltro dichiaratamente finalizzate ad ottenere l’agevole superamento dell’esame di diritto amministrativo con una motivazione immotivatamente favorevole (30/30 anziché 25/30, come specificato a pg.8).
Rispetto a tale dato, è del tutto irrilevante che il padre di NOME COGNOME potesse essere già a conoscenza dell’indagine dal dicembre 2013, come sostenuto dal teste COGNOME, posto che ciò non esclude la rilevanza penale dell’autonoma rivelazione compiuta nei confronti di NOME COGNOME, con la quale gli riferiva circa il perdurante svolgimento delle attività di indagini, anche in relazione a fatti ulteriori e diversi, riguardanti le presunte condotte illecite commesse nello svolgimento di un concorso universitario cui il predetto era interessato.
Peraltro, anche NOME COGNOME ha dichiarato di aver appreso dell’esistenza dell’indagine dall’imputato. La difesa supera la questione ritenendo inattendibili le dichiarazioni rese da NOME COGNOME senza, tuttavia, prendere atto dell’assenza – a fronte di tali inequivoche dichiarazioni – di elementi che consentano di ritenere ictu ocull l’insussistenza del reato.
4 COGNOME
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Alla luce di tali considerazioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 20 giugno 2024 Il Consigliere estensore COGNOME
Il P+idente