Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 19438 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 19438 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 15/01/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da NOME NOMECOGNOME nato a Urbino il 04-08-1962, NOMECOGNOME nato a San Giorgio Piacentino il 12-05-1954 avverso la sentenza del 30-04-2024 della Corte di appello di Ancona; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Presidente COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi; udito l’avvocato NOME COGNOME difensore di fiducia dell’imputato COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso; ucia dell’imputato COGNOME che ha udito l’avvocato NOME COGNOME difensore di fid concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 30 aprile 2024, la Corte di appello di Ancona confermava la pronuncia emessa dal Tribunale di Pesaro il 29 aprile 2022, con la quale erano stati dichiarati estinti per prescrizione, nei confronti di vari imputati, tra cui NOME COGNOME e NOME COGNOME i reati, sia consumati che tentati, di frode in commercio e di commercio di sostanze alimentari nocive; fatti commessi in diversi luoghi delle Marche e dell’Emilia Romagna fino al 16 maggio 2013.
Avverso la sentenza della Corte di appello marchigiana, COGNOME e COGNOME tramite i rispettivi difensori, hanno proposto distinti ricorsi per cassazione.
2.1. COGNOME mediante l’avvocato COGNOME, ha sollevato cinque motivi.
Con il primo, la difesa contesta, rispetto ai capi E (dal n. 1 al n. 4) e G bis (dal n. 1 al n. 5), riguardanti l’importazione di merce da aziende indiane, l ‘ affermazione secondo cui tutte le condotte di reato giudicate prescritte in primo grado fossero collegate alla condotta associativa stralciata dalla sentenza di primo grado, non essendovi prova di tale collegamento formale e sostanziale, a ciò aggiungendosi che nei capi A e B non vi è alcun riferimento all’India e alle aziend e NOME COGNOME, Geofresh e RAGIONE_SOCIALE di cui ai capi E e G bis , per cui quanto affermato dalla Corte di appello costituirebbe un’indebita modifica processuale dei capi di imputazione.
Con il secondo motivo, le critiche difensive investono il mancato proscioglimento dell’imputato dal reato di cui al capo G, n. 1 -3, che anch’esso non sarebbe collegato ai reati associativi di cui ai capi A e B, tanto più ove si consideri che il capo G è contestato solo a COGNOME, fermo restando che la contestazione in fatto di cui ai capi A e B non riguarda affatto il commercio di sostanze alimentari nocive, ma concerne una presunta associazione costituita per commettere una serie di frodi di commercio, essendo invero i reati di cui agli art. 444 e 515 cod. pen. ben differenti tra loro rispetto alla condotta e al bene giuridico tutelato.
Con il terzo motivo, si censura il mancato proscioglimento dell’imputato dai reati di cui ai capo C, n. 1-5 e D e G, n. 1-3, ribadendosi che il Collegio di appello non ha mai invitato le parti a esprimere il proprio parere in ordine all’eventuale riunione dei fatti contestati nel giudizio con le vicende di cui ai capi A e B, né comunque sono state ascritte a COGNOME condotte ex art. 416 cod. pen.
Con il quarto motivo, sono stati dedotti il vizio di motivazione e la violazione di legge rispetto all ‘omessa valutazione dei motivi di appello da parte della Corte territoriale, che si sarebbe limitata a dare per scontato, senza esaminare le censure difensive, che tutte le condotte contestate come reati-fine, a prescindere dall’analisi dell’addebito ex art. 416 cod. pen., potessero /dovessero naturalisticamente e in diritto qualificarsi come reato.
Con il quinto motivo, oggetto di doglianza è la violazione degli art. 165 bis disp. att. cod. proc. pen. e 190, 192, 234, 238 bis , 495, 515, 598, 602 e 602 cod. proc. pen., rilevandosi che il Tribunale ha indebitamente trasmesso alla Corte di appello due sottofascicoli inconferenti con l’oggetto dell’impugnazione, ossia uno contenente la pronuncia di assoluzione degli imputati e degli enti dal delitto associativo e dagli addebiti formulati ai sensi del d. lgs. n. 231 del 2001 con l’atto di appello del P.M. , e l’altro contenente le prove di notifica degli avvisi di deposito fuori termine della predetta sentenza, atti questi non pertinenti con i fatti di causa, che sono stati illegittimamente utilizzati dalla Corte di appello, che eventualmente avrebbe dovuto interloquire con le parti prima di acquisire i due sottofascicoli, contenenti una sentenza non irrevocabile, peraltro con l’appel lo del P.M.
2.1 .1. Con memoria trasmessa il 30 dicembre 2024, l’avvocato NOME COGNOME nel replicare alla requisitoria del Procuratore generale, ha insistito nell’accoglimento del ricorso, rimarcando in primo luogo l’interesse a ricorrere di COGNOME, amministratore della RAGIONE_SOCIALE, società destinataria nel 2016 di avvisi di accertamento aventi ad oggetto la contestazione della indeducibilità dei costi da reato con riguardo ai reati di cui agli art. 416 e 515 cod. pen., con richiesta di versamento di un importo complessivo pari a circa 5 milioni di euro, il che determinerebbe l’inevitabile fallimento della società amministrata da RAGIONE_SOCIALE Ciò posto, si osserva che, alla luce delle produzioni documentali in atti, richiamate nell’atto di appello, il Tribunale, già a fronte della sola narrazione delle condotte naturalistiche contestate, avrebbe dovuto assolvere tutti gli imputati perché tutte le condotte non integravano affatto il delitto ex art. 515 cod. pen., che presuppone un fatto diverso da quelli contestati, ossia la consegna di un aliud pro alio .
2.2. Romani, tramite l’avvocato COGNOME, ha sollevato un unico motivo, con il quale la difesa deduce l’inosservanza degli art. 515 cod. pen. e 129 e 531 cod. proc. pen., nonché la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione rispetto al mancato apprezzamento delle condizioni di evidenza determinanti il prevalere della formula assolutoria perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, ovvero perché il fatto non costituisce reato. Si premette al riguardo che l’interesse a ricorrere di COGNOME è insito nel fatto che il mero esercizio dell’azione penale in ordine al reato ex art. 515 cod. pen. ha avuto l’effetto di legittimare l’applicazione dell’indeducibilità dei costi da reato ai sensi dell’art. 14, comma 4 bis , della legge n. 537 del 1993, avendo la pretesa tributaria, ammontante a oltre 50 milioni di euro, determinato l’inevitabile fallimento della società RAGIONE_SOCIALE Ciò posto, rileva la difesa che la mera lettura delle contestazioni di cui ai capi M1, M2, M3, M4, M5, N, O, P, Q, R1 rende evidente l’assoluta inidoneità dei fatti descritti ad assumere rilevanza penale, incentrandosi il disvalore della condotta sulla con segna all’acquirente di un bene nel contesto di una vera e propria
compravendita, mentre le condotte ascritte a Romani riguardano la mera importazione di prodotti la cui natura biologica è contestata, per cui vi sarebbe una palese distanza tra il fatto tipizzato dalla norma incriminatrice e il fatto storico accertato, con la conseguenza che sarebbe bastata una mera attività di constatazione per verificare ictu oculi l’irrilevanza penale del fatto contestato .
2.2.1. Con memoria trasmessa il 7 gennaio 2025, l ‘avvocato NOME COGNOME nel replicare alla requisitoria del Procuratore generale, ha insistito nell’accoglimento del ricorso, ribadendone gli argomenti e rilevando che il ‘ dies commissi delicti ‘ non solo evidenziato nella contestazione, ma correlativam ente assunto dalle stesse sentenze di merito del Tribunale prima e della Corte d’Appello poi per calcolare il termine di prescrizione dei reati in esame, coincide con l’ultima delle fatture di acquisto dei prodotti da parte della RAGIONE_SOCIALE, e non già con la data delle eventuali successive «consegne» agli acquirenti: dimostrazione palese ed evidente di quanto il fatto in contestazione, ben prima che ‘prescritto’, non costituisca e/o non sia previsto dalla legge come reato .
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono infondati.
Premesso che le doglianze sollevate dai ricorrenti sono suscettibili di trattazione unitaria perché tra loro sostanzialmente sovrapponibili, occorre evidenziare che , pur ravvisandosi l’interesse a ricorrere degli imputati, tuttavia la decisione impugnata non presta il fianco alle censure difensive.
In proposito, occorre innanzitutto evidenziare da un lato, che gli imputati COGNOME e COGNOME non hanno rinunciato alla prescrizione e, dall’altro, che i l Tribunale, nell’operare la declaratoria di estinzione per prescrizione dei vari episodi di frode in commercio ascritti ai ricorrenti, ha rimarcato (pag. 9 della sentenza di primo grado) l’insussistenza di elementi probatori idonei a giustificarne il pros cioglimento nel merito, sulla base della parziale istruttoria espletata, con particolare riguardo alla documentazione cartacea e informatica relativa alle singole transazioni commerciali contestate, valutata in relazione agli esiti delle analisi chimiche sui prodotti, al tenore delle intercettazioni a alle dichiarazioni dei testi esaminati.
Ciò posto, la Corte di appello ha respinto le richieste di assoluzione nel merito di COGNOME e COGNOME, osservando (cfr. pag. 3-4 della sentenza impugnata) che non era immediatamente rilevabile una situazione che avrebbe imposto una formula di proscioglimento più favorevole rispetto a quella adottata dal Tribunale, posto che l’originaria imputazione contemplava anche due capi iniziali, ovvero i capi A e B, aventi ad oggetto due distinte associazioni a delinquere (di cui facevano parte anche i due ricorrenti) che rappresentavano ‘il collante’ con le singol e imputazioni
di cui agli art. 444 e 515 cod. pen., costituenti i reati-scopo dei gruppi criminali che, secondo la prospettazione accusatoria, erano finalizzati a commettere una serie indefinita di frodi in commercio importando dall’estero prodotti alimentari poi immessi sul mercato del cosiddetto ‘biologico’, pur in difetto dei req uisiti imposti per tale qualificazione. Ora, le due imputazioni associative, per le quali era stato disposto il rinvio in giudizio in unione con tutti i reati-scopo, sono state stralciate dal giudice di primo grado e trattate autonomamente, scelta questa che, per quanto ritenuta ‘discutibile’ dai giudici di appello, non consentiva però di considerare i reati-fine isolatamente, dovendo gli stessi essere necessariamente correlati alle fattispecie associative, costituenti la chiave di lettura della vicenda, ci ò a riprova di un contesto processuale ostativo all’adozione di formule liberatorie più favorevoli della declaratoria di prescrizione operata dal Collegio di primo grado.
Orbene, l’impostazione della Corte territoriale, pur nell’estrema sintesi del percorso argomentativo della sentenza gravata, si sottrae alle obiezioni difensive, in quanto in linea con le coordinate interpretative che regolano la materia.
Ed invero, ribadito che i ricorrenti non hanno rinunciato alla prescrizione, occorre richiamare l’affermazione delle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 35490 del 28/05/2009, Rv. 244274, ricorrente COGNOME), secondo cui, in presenza di una causa di estinzione del reato, il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell ‘ art. 129 comma secondo, cod. proc. pen. soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l ‘ esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell ‘ imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di ‘ constatazione ‘ , ossia di percezione ‘ ictu oculi ‘ , che a quello di ‘ apprezzamento ‘ e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento. Anche nella successiva evoluzione giurisprudenziale, è stato evidenziato (cfr. Sez. 6, n. 10284 del 22/01/2014, Rv. 259445 e Sez. 1, n. 43853 del 24/09/2013, Rv. 258441) che la formula di proscioglimento nel merito prevale sulla dichiarazione di improcedibilità per intervenuta prescrizione soltanto nel caso in cui sia rilevabile, con una mera attività ricognitiva, l ‘ assoluta assenza della prova di colpevolezza a carico dell ‘i mputato ovvero la prova positiva della sua innocenza, e non anche nel caso di mera contraddittorietà o insufficienza della prova che richiede un apprezzamento ponderato tra opposte risultanze, essendosi in particolare precisato (cfr. Sez. 6, n. 27725 del 22/03/2018, Rv. 273679) che, in presenza di una causa di estinzione del reato, non può il giudice d ‘ appello, al fine di pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell ‘ art. 129, comma 2, cod. proc. pen., compiere attività ulteriori rispetto alla mera constatazione di circostanze emergenti ‘ ictu oculi ‘ dagli atti – idonee ad escludere l ‘ esistenza del fatto, la sua
commissione da parte dell ‘ imputato ovvero la sua rilevanza penale, neppure quando una tal causa di estinzione sia maturata con riferimento a un reato oggetto di riqualificazione da parte del giudice di primo grado ed il giudice di appello sia investito contemporaneamente della questione relativa alla legittimità di siffatta riqualificazione e di quella relativa alla fondatezza nel merito dell ‘ accusa.
2.1. Alla stregua di tali condivise premesse interpretative, le doglianze difensive non possono trovare accoglimento, in quanto volte a suggerire differenti valutazioni sul merito e sulla qualificazione giuridica dei fatti contestati, aspetti questi che esulano dal perimetro del presente giudizio di legittimità, a fronte dei concisi ma pertinenti rilievi dei giudici di merito circa la non immediata evidenza della dedotta insussistenza dei reati ascritti ai ricorrenti, restando solo da precisare che il richiamo della Corte territoriale ai capi di imputazione stralciati, intesi quale chiave di lettura delle singole contestazioni residuate, non può essere ritenuto illegittimo, in quanto riferito al quadro iniziale delle imputazioni, desumibili per tabulas , non essendo stato operato nella motivazione della sentenza alcun cenno contenutistico a pronunce diverse da quella oggetto degli appelli trattati.
Ne consegue che i ricorsi di COGNOME e COGNOME devono essere disattesi, con conseguente onere per i ricorren ti, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 15.01.2025