Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 301 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 301 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Orta di Atella il 06/08/1958;
avverso la sentenza del 05/02/2024 emessa dalla Corte di appello di Napoli;
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Napoli, con sentenza emessa in data 8 gennaio 2019, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME, maresciallo dei carabinieri presso la Compagnia di Giugliano, in quanti sono estinti per prescrizione il reato di cui agli artt. 110, 319, 321, 81, secondo comma, cod. pen., art. 7 I. 203 del 1991, commesso in Giugliano nell’anno 2000 (capo D), e il reato
di cui agli artt. 61 n. 9, 110, 332 cod. pen., art. 7 legge n. 203 del 1991, commesso in Giugliano nel giugno 1999 (capo F).
Con la pronuncia impugnata la Corte d’appello di Napoli ha confermato la sentenza di primo grado appellata dall’imputato, che ha condannato al pagamento delle spese del grado.
L’avvocato NOME COGNOME nell’interesse di COGNOME, ha impugnato questa sentenza e ne ha chiesto l’annullamento.
Con un unico motivo, il difensore deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 129 cod. proc. pen., in quanto la Corte di appello non ha escluso la circostanza aggravante dell’agevolazione mafiosa di cui all’art. 7 d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modifiche, in legge 12 luglio 1991, n. 203 (ora art. 416 bis.1 cod. pen.), nonostante l’acquisizione agli atti del processo dell’ordinanza del Tribunale del Riesame di Napoli, non impugnata, che ha ritenuto non integrata la suddetta aggravante per carenza di gravità indiziaria.
Il difensore premette che il ricorrente ha interesse a contestare la sussistenza di questa aggravante per il pregiudizio che ne deriva in sede extrapenale e, segnatamente, nel procedimento disciplinare pendente a carico del suo assistito.
Il ricorrente rileva, inoltre, che la Corte di appello ha rigettato la richiesta escludere l’aggravante, in quanto la valutazione incidentale del Tribunale del riesame non può assumere alcun rilievo sulle determinazioni del giudice di merito; la difesa, peraltro, non avrebbe indicato i motivi che consentirebbero di apprezzare ictu ()culi l’evidenza della prova dell’innocenza dell’imputato allo stato degli atti, tanto più in considerazione del fatto che l’assunzione dibattimentale delle prove non era completa.
Il difensore eccepisce, tuttavia, che, ferma restando l’esclusione di ogni automatismo di legge, la Corte di appello, nel procedere al sindacato di cui all’art. 129 cod. proc. pen., non si sarebbe confrontata con le argomentazioni del Tribunale del riesame in ordine all’insussistenza di tale aggravante.
L’ordinanza del Tribunale del riesame, una volta entrata a far parte degli atti acquisiti al dibattimento, dovrebbe, infatti, costituire «elemento probatorio» che il giudice della cognizione deve tenere in adeguato conto, unitamente agli altri elementi acquisiti nel corso dell’istruttoria già espletata, dal quale evincere l’insussistenza dell’aggravante contestata.
D’altra parte, se è vero che i giudici della cognizione non hanno avuto a disposizione l’intero compendio probatorio raccolto dal pubblico ministero a
fondamento delle ipotesi delittuose contestate, lo stesso era nella disponibilità del Tribunale del riesame.
All’esito del dibattimento, inoltre, non sarebbero stati acquisiti ulterior elementi probatori idonei a mutare il quadro indiziario già valutato nel procedimento incidentale e già ritenuto insufficiente a integrare il quadro di gravità indiziaria rispetto all’aggravante contestata.
L’assoluzione nel merito, del resto, non potrebbe essere preclusa dal mancato esaurimento dell’istruttoria dibattimentale, in quanto, altrimenti, si introdurrebbe un’indebita preclusione all’applicabilità dell’art. 129 cod. proc. pen., confidandola alle sole ipotesi di prescrizione intervenuta all’esito del dibattimento.
Non essendo stata richiesta la trattazione orale, il ricorso è stato trattato in forme cartolari.
Con la requisitoria e le conclusioni scritte depositate in data 16 ottobre 2024, il Procuratore generale NOME COGNOME ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
Con note difensive e conclusioni depositate in data 1 novembre 2024 l’avvocato NOME COGNOME ha insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Con un unico motivo, il difensore deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 129 cod. proc. pen., in quanto la Corte di appello non ha escluso la circostanza aggravante dell’agevolazione mafiosa di cui all’art. 7 d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modifiche, in legge 12 luglio 1991, n. 203 (ora art. 416 bis.1 cod. pen.), nonostante si stata acquista agli atti del processo dell’ordinanza del Tribunale del Riesame di Napoli, non impugnata, che ha ritenuto non integrata la suddetta aggravante per carenza di gravità indiziaria.
3. Il motivo è inammissibile.
3.1. Secondo le Sezioni unite COGNOME, in presenza di una causa di estinzione del reato il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129 comma secondo, cod. proc. pen. soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di “constatazione”, ossia di
percezione ictu ()culi, che a quello di “apprezzamento” e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, COGNOME, Rv. 244274 – 01).
I principi affermati dalle Sezioni unite COGNOME sono stati recentemente “confermati” dalle Sezioni unite Calpitano, intervenute sul parametro di giudizio che, dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 182 del 2021, deve adottare la corte di appello in caso di condanna in primo grado dell’imputato anche al risarcimento del danno e di prescrizione del reato nel corso del giudizio di appello (Sez. U, n. 36208 del 28/03/2024, Calpitano, Rv. 286880 – 01).
Le sezioni unite COGNOME, richiamando la “regola” espressa dalle sezioni unite COGNOME, hanno statuito che «la pronuncia, muovendo dal criterio di bilanciamento espresso dalla Corte costituzionale (sentenze n. 175 del 1971 e n. 275 del 1990, ordinanze nn. 300 e 362 del 1991) per cui l’equilibrio del sistema è garantito dalla possibilità per l’imputato di rinunciare alle cause estintive del reat (amnistia o prescrizione), ha confermato la prevalenza dell’obbligo di immediata declaratoria delle cause di non punibilità, dovendosi privilegiare in linea di principio le esigenze di speditezza sottese al disposto dell’art. 129 cod. proc. pen».
Ove la causa estintiva, come nella specie, emerga in fase istruttoria, l’esclusione del reato deve, dunque, essere valutata alla stregua del parametro dell’evidenza della prova, salva la rinuncia alla prescrizione da parte dell’imputato.
3.2. Muovendo da tali principi, il motivo proposto dal ricorrente è inammissibile per aspecificità.
Il ricorrente nell’atto di appello si è, infatti, limitato a rilevare che il Trib di Napoli avrebbe dovuto escludere l’aggravante dell’agevolazione mafiosa, in quanto «vi era in atti la pronuncia del Tribunale del riesame di Napoli, passata in giudicato, nella quale si esclude che l’imputato abbia agito al fine di agevolare un’associazione di stampo camorristico, pervenendo all’esclusione dell’aggravante prevista dall’art. 7 I. 203/91. Né all’esito del dibattimento sono stati acquisi elementi ulteriori, idonei a mutare il quadro indiziario già valutato e ritenuto de tutto inidoneo a fondare l’accusa».
Il difensore ha rilevato che «si tratta con tutta evidenza, di un caso nel quale l’insussistenza dell’ipotesi accusatoria emergeva positivamente agli atti processuali, non necessitando di alcun ulteriore accertamento dibattimentale ».
A fronte di questa censura, la Corte di appello ha legittimamente rilevato che la valutazione operata in sede cautelare dal Tribunale del riesame non assume alcuna efficacia pregiudiziale in ordine alle valutazioni del giudizio di merito e ha rigettato l’appello.
La Corte di appello ha, infatti, correttamente rilevato che il c.d. giudicato cautelare, anche nel caso in cui l’ordinanza del Tribunale del riesame sia stata
acquisita agli atti, non esplica alcun effetto sul processo di cognizione, in quanto si fonda su risultanze investigative, diverse dalle prove assunte in dibattimento.
Il difensore nel ricorso per cassazione ha sostenuto che, ferma restando l’esclusione di ogni automatismo sul punto, la Corte di appello, nel procedere al sindacato di cui all’art. 129 cod. proc. pen., avrebbe dovuto confrontarsi con le argomentazioni del Tribunale del riesame in ordine all’insussistenza di tale aggravante.
Il ricorrente, tuttavia, né nell’atto di appello, né nel ricorso per cassazion ha precisato le ragioni per le quali gli argomenti della pronuncia del Tribunale del riesame siano tali da integrare, non ratione imperii, sed imperio rationis, quell’evidenza della prova dell’insussistenza del fatto idonea a far prevalere l’assoluzione nel merito dell’imputato sulla declaratoria di prescrizione del reato.
Il ricorrente, in particolare, non ha indicato, in concreto, gli element probatori dai quali risulterebbe ictu ocull percepibile l’insussistenza della circostanza aggravante dell’agevolazione mafiosa.
Questa carenza rende il ricorso aspecifico.
A fronte di una sentenza di appello confermativa della declaratoria di prescrizione, il ricorso per cassazione che deduca la mancata adozione di una pronuncia di proscioglimento nel merito, ai sensi dell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen., deve, infatti, individuare i motivi che permettano di apprezzare ictu oculi, con una mera attività di “constatazione”, l’«evidenza» della prova di innocenza dell’imputato, idonea ad escludere l’esistenza del fatto, la sua commissione da parte di lui, ovvero la sua rilevanza penale (Sez. 6, n. 33030 del 24/05/2023, COGNOME Rv. 285091 – 01).
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, del resto, i motivi del ricorso per cassazione devono ritenersi generici non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (ex plurimis: Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425 – 01; Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, COGNOME, Rv. 255568 – 01).
Alla stregua di tali rilievi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso siano stato presentato senza «versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 05/11/2024.