Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 5222 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 5222 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 10/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME nato a Sesto San Giovanni il 22/05/1969
avverso la sentenza del 05/02/2024 della Corte di appello di Roma visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato
inammissibile;
lette le conclusioni del difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Roma, in sede di rinvio dopo l’annullamento della Corte di cassazione, riformava parzialmente la sentenza del Tribunale di Roma del 24 gennaio 2020, che aveva condannato l’imputato NOME COGNOME per i reati di cui agli artt. 81, 640 e 56, 640 cod. pen.
Secondo l’imputazione, COGNOME, quale broker assicurativo, aveva fatto presente falsamente ad un cliente, che si era rivolto a lui per ottenere una fideiussione per costruire degli immobili, di essere in possesso di una fideiussione della Sace BT s.p.a. e che dietro compenso poteva attivarla, così inducendo in errore sia il cliente, che versava la somma richiesta, sia la stessa Sace, non riuscendo per quest’ultima a conseguire il profitto.
La Corte di cassazione, con sentenza n. 38640 dell’Il luglio 2023, aveva annullato la sentenza della Corte di appello del 18 novembre 2022, che aveva confermato la sentenza di primo grado, grado, rilevando che per la truffa consumata difettava la querela, mentre per quella tentata ai danni della Sace BT s.p.a. era necessario un nuovo giudizio.
A tal ultimo riguardo, la Suprema Corte aveva ritenuto erronea la valutazione della Corte di appello della questione, sollevata dalla difesa e rilevante per il reato di tentata truffa, riguardante la mancata audizione in primo grado del teste a difesa COGNOME
La Corte di appello, in sede rinvio, ha rilevato la prescrizione di quest’ultimo reato, dichiarando non doversi procedere perché il reato era estinto e confermando nel resto.
Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, denunciando i motivi di annullamento, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 627 cod. proc. pen. per aver omesso di attenersi al decisum della Suprema Corte e ai criteri dell’oltre ogni ragionevole dubbio e del principio di non colpevolezza.
La difesa aveva chiesto con memoria nel giudizio di rinvio la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale per l’assunzione del teste COGNOME rilevante per pervenire ad una pronuncia liberatoria nel merito dall’accusa di tentata truffa (così da revocare anche le statuizioni civili) e in subordine la declaratoria di prescrizione.
La Corte di appello invece ha in primo luogo rilevato la prescrizione del reato e si è spogliata della cognizione sulla responsabilità penale dell’imputato e ai fini civili ha ritenuto di non essere obbligata alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale.
In tal modo la Corte territoriale non si è uniformata a quanto disposto dalla Suprema Corte e ha fatto non corretta applicazione della giurisprudenza di legittimità sulla cognizione del giudice di appello in caso di prescrizione del reato (Sez. 4, n. 14893 del 2024; Sezioni Unite )COGNOME).
Disposta la trattazione scritta del procedimento, in mancanza di richiesta nei termini ivi previsti di discussione orale, il Procuratore generale e la difesa del ricorrente hanno depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato per le ragioni di seguito illustrate.
Le Sezioni Unite con un recente arresto hanno affrontato la questione interpretativa riguardante il sindacato del giudice dell’appello nel caso di impugnazione avverso la sentenza di condanna dell’imputato anche al risarcimento dei danni e della intervenuta prescrizione del reato nelle more del giudizio (non oggetto di rinuncia da parte dell’imputato) (Sez. U, n. 36208 del 28/03/2024, Calpitano, Rv. 286880).
2.1. Il nodo interpretativo si era posto a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 182 del 2021, che, secondo un orientamento di legittimità (Sez. 2, n. 11808 del 14/01/2022, Rv. 283377), aveva rivisitato i principi affermati della giurisprudenza di legittimità, a far data dalla sentenza delle Sezioni Unite Tettamanti (Sez. U, n. 35490 del 15/09/2009, Rv. 244273).
In particolare con tale arresto, le Sezioni Unite avevano stabilito che «all’esito del giudizio, il proscioglimento nel merito, in caso di contraddittorietà o insufficienza della prova, non prevale rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non punibilità, salvo che, in sede di appello, sopravvenuta una causa estintiva del reato, il giudice sia chiamato a valutare, per la presenza della parte civile, il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili».
Le Sezioni Unite hanno osservato che l’enunciato dell’art. 578 cod. proc. pen. dischiude, in presenza della parte civile, al giudice di appello la porta della “cognizione piena”: divenendo recessiva l’esigenza di speditezza del processo, pur in presenza della causa estintiva e in assenza di rinuncia dell’imputato ad avvalersi della stessa, riemerge l’imperativo di assolvere l’imputato non solo a fronte dell’evidenza dell’innocenza, come espressamente previsto dall’art. 129, comma 2, cod. proc. pen., ma anche nel caso in cui, pur essendovi alcuni elementi probatori a carico, essi siano inidonei a fondare una dichiarazione di responsabilità penale secondo la regola di giudizio di cui al secondo comma dell’art. 530 del codice di rito. In altri termini, il giudice dell’appello, nel prendere atto di una caus estintiva del reato verificatasi nelle more del giudizio di secondo grado, è tenuto a pronunciarsi, ai sensi dell’art. 578 cod. proc. pen., sull’azione civile e deve necessariamente compiere una valutazione approfondita dell’acquisito compendio probatorio, senza essere legato ai canoni di economia processuale che impongqno
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la declaratoria della causa di estinzione del reato quando la prova della innocenza non risulti ictu ocu/i.
2.2. Con la citata pronuncia, la Corte costituzionale, nel rigettare la questione di costituzionalità dell’art. 578 cod. proc. pen., ha fornito una interpretazione della norma secondo cui il giudice dell’impugnazione penale, a seguito della declaratoria di estinzione del reato per sopravvenuta prescrizione, deve comunque provvedere, in applicazione dell’art. 578 cod. proc. pen., sull’impugnazione ai soli effetti civili compiendo un accertamento incentrato sugli elementi costitutivi dell’illecito civile, senza poter conoscere, sia pure incidenter tantum, la responsabilità penale dell’imputato per il reato estinto.
Secondo un filone interpretativo, questa sentenza avrebbe sottratto al giudice penale quella cognitio piena sulla responsabilità dell’imputato, indicata dalle Sezioni Unite, COGNOME, affidando l’accertamento sulle statuizioni civili alle regole di giudizio proprie dell’illecito civile.
2.3. Le Sezioni Unite, Calpitano, nel comporre questo contrasto interpretativo, hanno affermato che, nel giudizio di appello avverso la sentenza di condanna dell’imputato anche al risarcimento dei danni, il giudice, intervenuta nelle more l’estinzione del reato per prescrizione, non può limitarsi a prendere atto della causa estintiva, adottando le conseguenti statuizioni civili fondate sui criteri enunciati dalla sentenza della Corte costituzionale n. 182 del 2021, ma è comunque tenuto, stante la presenza della parte civile, a valutare, anche a fronte di prove insufficienti o contraddittorie, la sussistenza dei presupposti per l’assoluzione nel merito.
Le Sezioni Unite hanno dunque chiarito che l’unico vincolo nascente dalla citata sentenza della Corte costituzionale riguardava l’impossibilità di interpretare l’art. 578 cod. proc. pen. nel senso che l’accertamento della responsabilità civile da parte del giudice di appello penale, esaurita la vicenda penale con la declaratoria di prescrizione del reato, equivalga ad affermazione, sia pur incidenter tantum, di responsabilità penale.
Per il resto, doveva ritenersi ancora valido il principio fissato dalle Sezioni Unite, COGNOME, quanto alla cognizione del giudice penale in presenza della prescrizione del reato ed in particolare la possibilità per il giudice penale di privilegiare l’assoluzione nel merito dall’accusa penale sulla declaratoria di prescrizione, con parallela revoca delle statuizioni civili.
Fatta questa premessa, va rilevato che nel caso in esame la Corte di appello, nel pronunciarsi sulle statuizioni civili ai sensi dell’art. 578 cod. proc. pen., ha fatto applicazione di quell’orientamento di legittimità, che aveva ritenuto oramai superati i principi fissati dalle Sezioni Unite, COGNOME.
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La sentenza impugnata, constatata la prescrizione del reato, si è infatti limitata ad accertare soltanto la sussistenza della fattispecie civilistica dell’illeci aquiliano.
Stante l’error in judicando, si impone pertanto l’annullamento della sentenza impugnata.
4. Resta da stabilire quale sia il giudice del rinvio.
Evidentemente, avendo l’imputato proposto l’impugnazione ai fini penali, chiedendo l’assoluzione nel merito, il rinvio al giudice civile, che verrebbe ad adottare una decisione secondo le regole della responsabilità civile, non avrebbe alcun senso (come anche lo stesso annullamento).
Il Collegio ritiene pertanto di dar seguito a quanto di recente affermato da questa Corte in caso di illegittima negazione del giudizio di appello «a cognizione piena»: tale vizio non può che comportare l’annullamento con rinvio al giudice penale, avendo in primis l’imputato interesse a ottenere il proscioglimento nel merito (Sez. 4, n. 29156 del 26/06/2024, Rv. 286861; Sez. 2, n 8327 del 24/11/2021, dep. 2022, Rv. 282815; Sez. 5, n. 46780 del 20/09/ 2021, Rv. 282380).
Come già osservato da questi arresti, questa conclusione non si pone in contrasto con la sentenza delle Sezioni Unite n. 40109 del 18/07/2013, COGNOME, Rv. 256087, secondo cui «nel caso in cui il giudice di appello dichiari non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato (o per intervenuta amnistia) senza motivare in ordine alla responsabilità dell’imputato ai fini delle statuizioni civili, l’eventuale accoglimento del ricorso per cassazione proposto dall’imputato impone l’annullamento della sentenza con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello, a norma dell’art. 622 cod. proc. pen.».
Detta decisione riguardava, infatti, un caso nel quale l’imputato aveva proposto ricorso ai soli effetti civili (avendo, con un unico motivo, dedotto la violazione degli artt. 578 e 125, comma 3, cod. proc. pen., ed impugnato la sentenza della Corte di appello «nei capi e nei punti in cui è stata affermata, sia pure a fini risarcitori, la responsabilità dell’imputato per i fatti di reato contestat così la sentenza COGNOME a f. 2), ed ha esaminato la questione (non oggetto della sentenza COGNOME) «relativa all’individuazione del giudice di rinvio in caso di vizi di motivazione sulla responsabilità civile in presenza di una declaratoria di estinzione del reato» (così inequivocabilmente la sentenza COGNOME a f. 7).
Quindi ipotesi diverse da quelle in rassegna in cui l’impugnazione ha investito direttamente il capo penale.
Come hanno in seguito chiarito le Sezioni Unite, COGNOME (Sez. U, n. 22065 del 28/01/2021, in motivazione), l’incipit dell’art. 622 cod. proc. pen., “fermi gli
effetti penali della sentenza”, sta a significare che tutto ciò che riguarda il versante penale del fatto non può più essere posto in discussione e la cognizione delle questioni di natura civilistica passa, quando occorre, al giudice civile competente per valore in grado di appello, come emerge dal testo della norma.
La ratio dell’art. 622 va ravvisata, cioè, in linea con la richiamata autonomia e separatezza dell’azione civile, nella volontà di escludere la perdurante attrazione delle pretese civili nel processo penale, una volta che siano definitive le statuizioni di carattere penale.
Solo con l’esaurimento della fase penale, essendo ormai intervenuto un giudicato agli effetti penali ed essendo venuta meno la ragione stessa dell’attrazione dell’illecito civile nell’ambito della competenza del giudice penale, la domanda risarcitoria deve essere esaminata secondo le regole dell’illecito aquiliano, dirette alla individuazione del soggetto responsabile ai fini civili su cui far gravare le conseguenze risarcitorie del danno verificatosi nella sfera della vittima.
In altri termini, deve essere riconosciuta ai diritti dell’imputato una proiezione che va oltre il verdetto di proscioglimento, non potendosi ritenere effettivamente conclusa la vicenda penale devoluta alla cognizione del giudice penale nella sua integralità, condizione questa indispensabile per configurare quella dissoluzione del collegamento tra la pretesa risarcitoria del privato e l’accertamento del fattoreato come operato nel processo penale che giustifica il trasferimento della cognizione sui residui aspetti civilistici della vicenda.
Il rinvio al giudice penale anziché a quello civile costituisce una garanzia del diritto di tutte le parti a non vedere stravolte, alla fine del processo, le regol probatorie e quelle logiche sulla responsabilità che lo hanno governato fino a quel momento, determinandone il progressivo posizionamento.
L’orientamento che si intende seguire trova tra l’altro conforto nella sentenza n. 111 del 2022 della Corte costituzionale, là dove ha ritenuto non sacrificabile il diritto dell’imputato all’emersione di eventuali ragioni di proscioglimento nel merito (compromesso da un processo senza contraddittorio) per le esigenze di ragionevole durata sottese all’operatività della disciplina della immediata declaratoria delle cause di non punibilità di cui all’art. 129 cod. proc. pen., in quanto un processo non “giusto”, perché carente sotto il profilo delle garanzie, non è conforme al modello costituzionale, quale che sia la sua durata.
E’ appena il caso di rilevare che nella stessa sentenza delle Sezioni Unite, Calpitano, la Suprema Corte ha espressamente richiamato l’orientamento in esame quale corollario e ulteriore sviluppo del “diritto vivente” affermato dalle Sezioni Unite, COGNOME.
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D’altra parte, le Sezioni Unite, Calpitano, hanno evidenziato il vulnus per la difesa dell’imputato di non vedere valutati i presupposti per l’assoluzione nel merito, in adesione alla pronuncia costituzionale, in quanto potrebbe aver scelto di non rinunciare alla causa estintiva confidando nel «diritto vivente».
In tal modo, replicando all’osservazione delle Sezioni Unite, COGNOME, che avevano ritenuto tutelabili le aspettative dell’imputato a un pieno accertamento della sua innocenza, anche ai fini della responsabilità civile, soltanto attraverso l’opzione di rinuncia alla prescrizione.
Si impone quindi l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello che dovrà nuovamente pronunciarsi sull’appello dell’imputato in ordine al reato di tentata truffa attenendosi ai principi di diritto sopra indicati.
Va a tal riguardo ribadito che la cognizione piena del giudice penale implica che il giudizio prosegua applicando le regole e le garanzie del processo penale (Sez. 2, n. 28959 del 10/05/2017, Rv. 270364).
P.Q.M.
Annullala sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello Così deciso il 0/12/20i4.