Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 26935 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 26935 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 03/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME NOME, nato a Napoli il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 14/04/2023 della Corte di appello di Napoli;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; udito il difensore del ricorrente, AVV_NOTAIO, che ha concluso l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Attraverso i propri difensori, NOME COGNOME impugna la sentenza della Co di appello di Napoli del 14 aprile 2023, che, riformando quella del Tribunale stessa città del 14 ottobre 2021, con cui era stato condannato per due re induzione indebita ex art. 319 -quater, cod. pen., ha riqualificato le condotte come reati di millantato credito, consumato e tentato, dichiarandone l’estinzio prescrizione.
Con il proprio ricorso, COGNOME, magistrato, deduce anzitutto di avere interesse ad impugnare, trovandosi tutt’ora sottoposto a procedimento disciplinare per gli stessi fatti oggetto del presente processo e, perciò, potendo a lui derivare, nell’àmbito di quel diverso giudizio, effetti deteriori dalla ricostruzione dei f contenuta in sentenza e che egli contesta. Cita, a proprio sostegno, precedenti di questa Corte.
2.1. Con il primo motivo denuncia violazione di legge processuale e vizi della motivazione, per non essere stato posto in condizione d’interloquire sulla prescrizione dei reati, essendo stata quest’ultima dichiarata in sentenza soltanto in seguito alla riqualificazione del fatto ed all’esclusione di un’aggravante ad effett speciale. Richiamando giurisprudenza della Corte EDU, deduce dunque che tale situazione non possa tradursi in un pregiudizio per l’imputato in eventuali procedimenti extrapenali o per la sua reputazione.
2.2. Il secondo motivo consiste nella violazione di legge e nel vizio della motivazione con riferimento alla valutazione della testimonianza di NOME COGNOME.
La Corte d’appello ha compiuto una valutazione frazionata delle dichiarazioni di costui, illogicamente ritenendo inattendibili solo quelle in cui ha negato coinvolgimento di esso ricorrente nella vicenda oggetto del capo A) dell’imputazione; ha quindi giustificato tale valutazione con interessi economici del COGNOME, che però non ha specificato.
Di contro, quei giudici hanno trascurato plurimi elementi a sostegno dell’attendibilità di quel testimone, riconosciuta e sperimentata in numerosi processi, in cui ha confessato gravissimi reati, per i quali si trova sottoposto ad ergastolo definitivo, ed ha chiamato in correità pericolosi esponenti della criminalità organizzata, ponendo a repentaglio la propria vita e quella dei propri parenti. Inoltre, COGNOME ha reso dichiarazioni in un unico contesto e su fat causalmente riconducibili a quello oggetto d’addebito (l’intervento in suo favore, cioè, millantato dal ricorrente, per il condizionamento di un procedimento presso il Consiglio di Stato,) e le sue affermazioni risultano confortate anche dai documenti prodotti in giudizio dalla Pubblica accusa.
2.3. Il terzo motivo di ricorso denuncia i medesimi vizi, sempre con riferimento ai fatti di cui al capo A) dell’imputazione, ma relativamente ad altre testimonianze, erroneamente ritenute dirette e non de relato.
In particolare, ciò vale per quella di tale COGNOME, smentita, sul punto delle millanterie di COGNOME verso il già citato COGNOME, dalle dichiarazioni della stessa person offesa, la cui attendibilità intrinseca è sufficiente, per giurisprudenza consolidata per ritenere accertata la verità del fatto da essa riferito. Peraltro, la COGNOME mentito in giudizio, affermando di essere imputata solo per corruzione e tacendo
di esserlo anche per il delitto di turbata libertà degli incanti, peraltro aggravato sensi dell’art. 7, legge n. 203 del 1991, nonché qualificandosi come collaboratrice di giustizia senza esserlo effettivamente.
2.4. Con l’ultimo motivo, violazione di legge e vizi di motivazione vengono dedotti relativamente all’imputazione di cui al capo C), riguardante un’offerta di mediazione illecita compiuta dal COGNOME nei confronti di tale COGNOME, che la Corte d’appello ha ritenuto integrare un tentativo di millantato credito.
Obietta la difesa ricorrente che l’accordo tra i due era sottoposto alla condizione «che si fosse concluso qualche lavoro», tuttavia mai avveratasi, rimanendo perciò la condotta delittuosa confinata nella fase puramente ideativa e, come tale, penalmente irrilevante.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Va riconosciuto l’interesse ad impugnare dell’imputato.
Proprio in tema di procedimento disciplinare dei magistrati, le Sezioni unite di questa Corte hanno statuito che l’accertamento dei fatti contenuto nella sentenza penale di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, pur non essendo vincolante, deve essere necessariamente valorizzato dal giudice disciplinare, quando le pronunce rese in sede penale siano giunte a conclusioni conformi in ordine alla prova delle condotte contestate all’incolpato (Sez. U, n. 18923 del 05/07/2021, Rv. 661655).
Da tanto consegue indiscutibilmente l’interesse dell’imputato, prosciolto per l’estinzione del reato contestatogli, a contestare il merito dell’accusa rivoltagl nella prospettiva della possibile rilevanza di quei fatti nel giudizio disciplinare a s carico.
Vanno tuttavia riaffermati, per altro verso, i limiti della cognizione de giudice penale in presenza di una causa di estinzione del reato: ovvero che l’assoluzione, a norma dell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen., può pronunciarsi soltanto nel caso in cui le circostanze idonee ad escludere la rilevanza penale della condotta emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di “constatazione”, ossia di percezione ictu ocu/i, che a quello di “apprezzamento” e sia, quindi, incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, COGNOME, Rv. 244274).
Passando, quindi, alla disamina dei motivi di ricorso, va detto subito che nessuno di essi può essere ammesso.
Il primo, con il quale l’imputato lamenta di non essere stato in condizione di poter rinunciare alla prescrizione, è manifestamente infondato.
La difesa evoca a proprio sostegno la sentenza n. 32899 dell’8 gennaio 2021 di questa Corte (ric. Castaldo, Rv. 281997), nella parte in cui avrebbe affermato che, ove la prescrizione dipenda da valutazioni operate soltanto in sentenza, debba essere garantita all’imputato l’effettività del diritto di rinunzia.
In realtà, tale precedente non è conferente, riguardando l’ipotesi di una rinuncia alla prescrizione comunque effettuata dall’imputato, ancorché successivamente allo spirare del relativo termine, tuttavia determinato per effetto di valutazioni giuridiche operate solo con la sentenza intervenuta in momento seguente.
Anche la sentenza citata dal ricorrente, dunque, si colloca nel solco della costante giurisprudenza di legittimità, secondo la quale la rinuncia alla prescrizione deve comunque essere formulata dall’imputato, dovendo egli altrimenti dedurre, a pena d’inammissibilità dell’impugnazione, specifici motivi a sostegno della ravvisabilità in atti, in modo evidente e non contestabile, di elementi idonei ad escludere la sussistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte sua e la configurabilità dell’elemento soggettivo del reato, affinché possa immediatamente pronunciarsi sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen. (così, fra altre, Sez. 4, n. 8135 del 31/01/2019, Pintilie, Rv. 275219; Sez. 3, n. 46050 del 28/03/2018, M., Rv. 274200).
NOME, invece, non ha mai rinunciato alla prescrizione, nemmeno dinanzi a questa Corte nel giudizio di legittimità.
Il secondo ed il terzo motivo di ricorso possono essere trattati congiuntamente, presentando il medesimo vizio che ne determina l’inammissibilità.
Attraverso di essi, infatti, il ricorso sostanzialmente invoca una diversa valutazione delle prove dichiarative acquisite nel giudizio di merito, riproponendo le censure già rassegnate alla Corte d’appello, senza tuttavia misurarsi criticamente con le ragioni che hanno condotto quei giudici a disattenderle ed a concludere per l’attendibilità o meno dei vari soggetti escussi (pagg. 32-34, sent.). Quello richiesto a questa Corte, dunque, non è il controllo, ad essa spettante, sulla completezza e la coerenza logica della motivazione, ma un tipico giudizio di fatto, che non le compete.
Peraltro, nemmeno il ricorso si spinge a dedurre che la valutazione asseritannente erronea delle risultanze probatorie compiuta dai giudici d’appello sia di tal evidenza da poter essere colta attraverso un’opera non di rivalutazione
bensì di pura percezione, come invece sarebbe necessario – giusta quanto detto dianzi – in presenza di una declaratoria di prescrizione. Già solo per questo, dunque, la doglianza non sarebbe consentita.
Anche l’ultimo motivo, infine, con cui si contesta la configurabilità del ritenuto tentativo di millantato credito nei fatti di cui al capo C) dell’imputazion è inammissibile per manifesta infondatezza.
L’accordo dell’imputato con l’imprenditore COGNOME, per una remunerazione in cambio di una «protezione» e di favori per la sua azienda in ambito giudiziario e con le forze dell’ordine, con l’impegno che, se avesse ottenuto l’aggiudicazione di qualche appalto, COGNOME avrebbe dovuto riconoscere a COGNOME una «provvigione», è stato espressamente confermato dallo stesso imprenditore e da altro testimone de relato (amplius, pagg. 62 s., sent. appello).
È ragionevole concludere, dunque, come fa la sentenza impugnata, che quel patto fosse serio ed effettivo, tanto da aver ingenerato delle aspettative nel COGNOME, non potendosi perciò revocare in dubbio l’idoneità, la direzione e l’univocità della “millanteria” di COGNOME, e ‘ quindi la configurabilità del ritenuto tentativo di millantato credito c.d. “oneroso”, condotta ancora oggi punita come una delle ipotesi del traffico di influenze illecite di cui all’art. 346-bis, comma, cod. pen..
L’inammissibilità del ricorso comporta obbligatoriamente – ai sensi dell’art. 616, cod. proc. pen. – la condanna del proponente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi una sua assenza di colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità (vds. Corte Cost., sent. n. 186 del 13 giugno 2000). Detta somma, considerando la manifesta assenza di pregio degli argomenti addotti, va fissata in tremila euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 3 aprile 2024.