Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 19126 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 19126 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOMECOGNOME nata a Torano Castello il 20/07/1970 avverso la sentenza del 20/05/2024 della Corte di appello di Catanzaro visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso; lette le conclusioni della difesa della ricorrente, Avvocato NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
lette le conclusioni della difesa della parte civile NOME COGNOME Avvocata NOME COGNOME che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME per il tramite del difensore, impugna la sentenza della Corte di appello di Catanzaro che, in riforma della sentenza del Tribunale di Cosenza che aveva condannato l’imputata alla pena sospesa di euro 300 di multa in ordine all’accusa di ragion fatta ex art. 392 cod. pen., ha dichiarato non doversi procedere per prescrizione nei confronti della medesima, confermando le statuizioni civili.
Secondo la originaria accusa, NOME COGNOME pur potendo adire l’autorità giudiziaria, rimuoveva dei paletti che NOME COGNOME, proprietario di un terreno che aveva ricevuto in eredità, aveva apposto per il tramite di un tecnico incaricato a delimitazione della proprietà del fondo.
La Corte di appello, confutata la questione preliminare in ordine alla dedotta discrasia tra contestazione e sentenza, preso atto dell’intervenuta prescrizione, confermava le statuizioni civili ritenendo la ricorrente autrice dello svellimento dei picchetti posti a presidio della esatta consistenza della proprietà.
2. NOME COGNOME deduce:
vizi di motivazione e violazione di norme processuali stabilite a pena di nullità ex art. 521, 522 e 604, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen., là dove la Corte di appello non ha fornito adeguata risposta in merito alla contestata discrasia tra i fatti contestati nell’imputazione e quelli ritenuti sentenza che facevano, invece, riferimento ad eventi successivi oggetto di distinta denuncia ad opera della persona offesa;
vizi di motivazione in ordine alla ritenuta dimostrazione della responsabilità in capo alla Russo in violazione dell’art. 192, comma 2, e 533 cod. proc. pen. ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile in quanto manifestamente infondato, generico e declinato in fatto.
In ragione dell’impugnazione della sentenza che, avendo dichiarato la prescrizione del reato, ha ritenuto di confermare le sole statuizioni civili, deve rilevarsi l’indeducibilità di questioni meramente processuali.
In presenza di una causa di estinzione del reato, infatti, la dedotta nullità non è rilevabile nel giudizio di legittimità, perché l’inevitabile rinvio al giudice de merito è incompatibile con il principio dell’immediata applicabilità della causa estintiva (Sez. U, n. 1021 del 28/11/2001, dep. 2002, Cremonese, Rv. 220511 01; Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, COGNOME, Rv. 244273 – 01).
In disparte la corretta motivazione sul punto fornita dalla Corte di appello che ha ben evidenziato come la sentenza di condanna avesse analizzato la condotta della ricorrente in ordine ai fatti accaduti nell’ottobre del 2016, distinguendo gli stessi da quelli evidentemente successivi, afferenti ad analoga condotta tesa a rimuovere la rudimentale recinzione tesa a circoscrivere il perimetro dell’immobile di proprietà, si osserva come la dedotta nullità, che si
assume di portata tale da riverberare i suoi effetti sul mantenimento delle disposte statuizioni civili, risulta deduzione che reitera una questione adeguatamente confutata dalla Corte di appello e non idonea, invero, a precludere l’immediata declaratoria di estinzione del reato ai fini penali (Sez. 4, n. 42461 del 09/05/2018, COGNOME, Rv. 274764 – 01). Inefficace risulta il tentativo della ricorrente di fondare la questione processuale sul presunto difforme significato dei termini utilizzati dai Giudici di merito, là dove la decisione tiene ben ferma la distinzione tra due fatti, entrambi finalizzati a rimuovere i segni apposti dal tecnico incaricato sull’individuato confine e la valutazione operata, quanto al contestato reato, in ordine al primo di essi.
Declinato in fatto risulta il secondo motivo con cui si rivolgono critiche alla parte della sentenza impugnata che, preso atto dell’intervenuta prescrizione, reputa la stessa viziata in ordine alla riconducibilità della condotta di reato alla ricorrente, sull’assunto dell’esistenza di vizi di motivazione in ordine alla valutazione degli elementi probatori.
La Corte di appello, anche attraverso un pertinente richiamo della sentenza di primo grado, specie nella parte in cui la stessa aveva valorizzato i plurimi interessi dimostrati in merito alla determinazione dei confini ed alle stesse allegazioni e dichiarazioni rese in sede di esame nel corso del processo, sulla base di valutazioni di merito esenti da vizi di logicità e, pertanto, insindacabili in sede di legittimità, ha ritenuto come la ricorrente dovesse ritenersi l’autrice della condotta di rimozione dei paletti o picchetti (irrilevante se gli stessi fossero in legno o in metallo) ivi installati al fine di individuare l’esatto perimetro del lot di terreno che costituiva oggetto di contesa.
All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna della ricorrente sia al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, secondo quanto previsto dall’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., sia alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel giudizio di legittimità dalla parte civile costituita NOME COGNOME che s liquidano in complessivi euro 3.686,00, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Condanna, inoltre, l’imputata, alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, che liquida in complessivi
euro 3.686,00, oltre accessori di legge.
Così deciso il 09/04/2025.