Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 23526 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 23526 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 20/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CATANZARO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 27/04/2023 della CORTE APPELLO di CATANZARO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette del conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso, e quelle del ricorrente, che ha insistito per il suo accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 27 aprile 2023, la Corte di appello di Catanzaro ha confermato quella con cui il Tribunale della stessa città, GLYPH febbraio 2021, ha dichiarato NOME COGNOME colpevole del reato sanzionato dall’art. 76, comma 3, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, e lo ha condannato alla pena di venti giorni di arresto.
NOME COGNOME propone, con l’assistenza dell’AVV_NOTAIO, ricorso per cassazione articolato su un unico motivo, con il quale lamenta violazione della legge processuale e vizio di motivazione per avere la Corte di appello omesso di considerare la richiesta – avanzata, in via subordinata, con le rassegnate conclusioni – di dichiarare non doversi procedere in ordine al reato ascrittogli per essersi lo stesso estinto per intervenuta prescrizione.
Disposta la trattazione scritta ai sensi dell’art. 23, comma 8, di. 28 ottobre 2020, n. 137, il Procuratore generale ha chiesto, il 29 gennaio 2024, il rigetto del ricorso, mentre COGNOME, con atto di pari data, ha insistito per il suo accoglimento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e, pertanto, passibile di rigetto.
NOME COGNOME è stato tratto e giudizio e condannato per avere commesso, il 27 novembre 2017, un reato contravvenzionale che, a suo dire, si era già estinto, per intervenuta prescrizione, al 27 aprile 2023, data di emissione della sentenza di secondo grado, qui oggetto di impugnazione.
La questione sottoposta all’odierno vaglio di legittimità – attinente, come detto, alla maturazione del termine prescrizionale massimo – involge il tema della successione delle leggi penali del tempo, con particolare riguardo alle disposizioni che si sono succedute, negli ultimi anni, nella materia della sospensione del corso della prescrizione, disciplinata dall’art. 159 cod. pen..
Essa è stata di recente affrontata dalla giurisprudenza di legittimità, ai cui approdi, compendiati, tra le altre, da Sez. 1, n. 2629 del 29/09/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285724 – 01, nei termini che, qui condivisi, si riportano di seguito.
L’art. 1, comma 11, lett. b), legge 23 giugno 2017, n. 103, (c.d. riforma Orlando) aveva previsto, mediante inserimento, all’interno dell’art. 159 cod. pen., di alcuni commi successivi al primo, che:
«Il corso della prescrizione rimane altresì sospeso nei seguenti casi: 1) dal termine previsto dall’articolo 544 del codice di procedura penale per il deposito della motivazione della sentenza di condanna di primo grado, anche se emessa in sede di rinvio, sino alla pronuncia del dispositivo della sentenza che definisce il grado successivo di giudizio, per un tempo comunque non superiore a un anno e sei mesi; 2) dal termine previsto dall’articolo 544 del codice di procedura penale per il deposito della motivazione della sentenza di condanna di secondo grado, anche se emessa in sede di rinvio, sino alla pronuncia del dispositivo della sentenza definitiva, per un tempo comunque non superiore a un anno e sei mesi»;
«I periodi di sospensione di cui al secondo comma sono computati ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere dopo che la sentenza del grado successivo ha prosciolto l’imputato ovvero ha annullato la sentenza di condanna nella parte relativa all’accertamento della responsabilità o ne ha dichiarato la nullità ai sensi dell’articolo 604, commi 1, 4 e 5 bis, del codice di procedura penale. Se durante i termini di sospensione di cui al secondo comma si verifica un’ulteriore causa di sospensione di cui al primo comma, i termini sono prolungati per il periodo corrispondente».
Il successivo comma 15 dell’art. 1 della legge 23 giugno 2017, n. 103, aveva, poi, previsto che: «Le disposizioni di cui ai commi da 10 a 14 si applicassero ai fatti commessi dopo la data di entrata in vigore della presente legge», coincidente, come noto, con il 3 agosto 2017.
Con l’art. 1, comma 1, lett. e), legge 9 gennaio 2019, n. 3 (c.d. riforma Bonafede), il legislatore ha profondamente modificato il regime della sospensione del corso della prescrizione prevedendo che essa operasse, oltre che nei casi espressamente contemplati dall’art. 159, primo comma, cod. pen., nel periodo intercorrente «dalla pronuncia della sentenza di primo grado o del decreto di condanna fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o dell’irrevocabilità del decreto di condanna».
Il comma 2 del citato art. 1 della legge 9 gennaio 2019, n. 3, ha, quindi, differito all’i gennaio 2020 l’entrata in vigore delle disposizioni di cui al comma 1, lett. d) , e) e f).
La disciplina della sospensione e dell’interruzione del corso della prescrizione è stata, infine, modificata dalla legge 27 settembre 2021, n. 134 (c.d. riforma Cartabia).
Per quanto attiene alla sospensione della prescrizione, l’art. 2, comma 1, lett. a), ha abrogato il secondo e quarto comma dell’art. 159 cod. pen..
All’abrogazione del secondo comma – come detto introdotto dalla legge n. 3 del 2019 (a sua volta sostitutivo della disposizione introdotta dalla legge «Orlando») – si è accompagnata l’introduzione dell’art. 161-bis cod. pen., in forza del quale la pronuncia della sentenza di primo grado, sia essa di condanna o di assoluzione, non comporta, come in passato, la sospensione del corso della prescrizione ma, piuttosto, la sua definitiva cessazione.
Coerentemente con tale impostazione, il secondo comma dell’art. 161bis cod. pen. ha previsto che, in caso di annullamento della sentenza di primo grado, con conseguente regressione del procedimento al primo grado o ad una fase anteriore, la prescrizione riprende il suo corso dalla data della sentenza di annullamento.
Come osservato in dottrina, la regressione del procedimento per effetto dell’annullamento della sentenza di primo grado non determina, dunque, un azzeramento del timer della prescrizione, ma segna, invece, il momento a partire dal quale la prescrizione ricomincia a decorrere, dal punto in cui, con l’emissione della sentenza di primo grado, si era fermato.
È noto che, a differenza di quanto accaduto con riferimento all’istituto dell’improcedibilità, la legge n. 134 del 2021 non ha previsto una specifica disciplina transitoria relativa alle modifiche in tema di prescrizione del reato.
In linea generale, l’art. 2, comma 3, prevede che le disposizioni in materia di improcedibilità si applicano solo nei procedimenti di impugnazione che hanno ad oggetto reati commessi a partire dall’i gennaio 2020, ovvero dalla data di entrata in vigore della legge n. 3 del 2019 che aveva, appunto, previsto la sospensione della prescrizione dalla pronuncia della sentenza di primo grado o dell’emissione del decreto penale di condanna per tutta la durata del giudizio di impugnazione.
Mancando, come detto, un’analoga disposizione dedicata alle norme in tema di prescrizione, occorre definire il loro regime temporale di applicabilità.
Sul punto, occorre premettere che, secondo la costante giurisprudenza della Corte costituzionale, la prescrizione del reato, «pur potendo assumere una valenza anche processuale» (sentenza n. 265 del 2017), costituisce un istituto di natura «sostanziale» che incide sulla punibilità della persona, riconnettendo al decorso del tempo l’effetto di impedire l’applicazione della pena «concorrendo a realizzare la garanzia della ragionevole durata del processo (art. 111, secondo comma, Cost.)» (sentenza n. 143 del 2014), sicché essa «rientra nell’alveo costituzionale del principio di legalità penale
sostanziale enunciato dall’art. 25, secondo comma, Cost. con formula di particolare ampiezza» (si vedano, tra le tante, le sentenze n. 278 del 2020 e n. 115 del 2018, nonché l’ordinanza n. 24 del 2017).
In particolare, con la sentenza n. 278 del 2020, la Corte costituzionale ha posto l’accento sul duplice profilo, sostanziale e processuale, della «dimensione diacronica della punibilità» che, da un lato, concerne «la definizione “tabellare” del tempo di prescrizione dei reati», e, dall’altro, è, comunque, influenzata dalle vicende e da singoli atti del processo e può risentire indirettamente delle vicende e di singoli atti di quest’ultimo, previsti dal legislatore come cause di sospensione o di interruzione del decorso del tempo di prescrizione dei reati.
Nel medesimo arresto, la Corte costituzionale ha chiaramente delineato lo statuto costituzionale della prescrizione quale effetto della sua soggezione al principio di legalità sostanziale di cui all’art. 25 Cost., in forza del quale la su disciplina deve necessariamente rispondere ai seguenti parametri: a) sufficiente determinatezza della durata del tempo di prescrizione del reato (tale, ad esempio, non è stata considerata, dalla sentenza n. 115 del 2018, la cosiddetta «regola Taricco» di derivazione dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’unione Europea); b) irretroattività della norma di legge che, fissando la durata del tempo di prescrizione dei reati, ne allunghi il decorso ampliando in peius la perseguibilità del fatto commesso; c) retroattività, quale norma più favorevole ai sensi dell’art. 2 cod. pen., della norma che, invece, riduca la durata del tempo di prescrizione.
Il giudice delle leggi ha, inoltre, ricompreso nell’ambito di operatività del principio di legalità, cui è soggetto l’istituto della prescrizione, anche la disciplin relativa alla decorrenza, alla sospensione ed alla interruzione del suo corso, che concorre a determinare la durata del tempo il cui decorso estingue il reato per prescrizione.
La natura sostanziale della prescrizione è, peraltro, riconosciuta in modo incontroverso anche dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. tra le tante, Sez. 3, n. 26795 del 23/2/2023, COGNOME, n.m.; Sez. 6, n. 31877 del 16/5/2017, B., Rv. 270629).
8. Seguendo le coordinate ermeneutiche tracciate dalla giurisprudenza della Corte costituzionale e da quella di legittimità, è possibile individuare il dies a quo di applicabilità dell’istituto della cessazione del corso della prescrizione, introdotto all’art. 161-bis, primo periodo, cod. pen., considerandone il rapporto di continuità normativa con l’omologa causa di sospensione legata alla sola pronuncia della sentenza di primo grado, prevista dall’art. 159, secondo comma, cod. pen. (disposizione introdotta dalla legge n. 3 del 2019, con decorrenza dall’I. gennaio 2020).
A fronte, infatti, dell’impropria dizione normativa quale causa di sospensione del corso della prescrizione – in realtà destinato a non riprendere più nell’ulteriore prosieguo del procedimento – entrambi gli istituti contemplano una causa di blocco tendenzialmente definitivo (salva l’ipotesi dell’annullamento con rinvio) del decorso del tempo rilevante ai fini della prescrizione del reato.
Partendo, dunque, da tale premessa ermeneutica e dalla identità strutturale dei due istituti, è logico ritenere che l’istituto della cessazione del corso della prescrizione, previsto dall’art. 161-bis cod. pen., debba trovare applicazione, non dalla data di entrata in vigore della legge in commento, bensì, al pari della omologa causa di sospensione, in relazione ai reati commessi dall’i gennaio 2020.
9. Alla luce della ricostruzione che precede va, gradatamente, rilevato:
che la disciplina della sospensione prevista dalla legge «Orlando» al secondo comma dell’art. 159 cod. pen. è entrata in vigore in data 3 agosto 2017 ed è stata, successivamente, abrogata dalla legge n. 3 del 2019, in vigore dall’i gennaio 2020, a sua volta abrogata dalla legge n. 134 del 2021, il cui dies a quo è stato pure individuato, come detto, nella data dell’i gennaio 2020;
b) che il secondo comma dell’art. 159 cod. pen., nella versione della legge n. 103 del 2017, ha avuto, perciò, vigenza dal 3 agosto 2017 al 31 dicembre 2019, forbice temporale all’interno della quale si colloca il reato ascritto all’odierno ricorrente, commesso il 27 novembre 2017;
c) che la disposizione in commento è certamente più favorevole di quelle successive che l’hanno abrogata, perché prevede un allungamento dei termini di prescrizione a fronte di una sua definitiva cessazione alla data della sentenza di primo grado.
Le superiori considerazioni inducono a concludere nel senso dell’infondatezza della censura articolata dal ricorrente o, meglio, dell’irrilevanza, nell’ottica del giudizio di legittimità, del silenzio serbato dalla Corte di appello a fronte della richiesta di emissione di sentenza dichiarativa della prescrizione.
Dall’applicazione alla fattispecie in esame, per le ragioni testé esposte, della disciplina della sospensione del corso della prescrizione prevista dalla legge n. 103 del 2017 discende, invero, che al termine massimo di cinque anni, previsto per i reati contravvenzionali, quale quello ascritto a COGNOME, termine che sarebbe già maturato il 27 novembre 2022, debba aggiungersi
(tenuto conto che la sentenza di primo grado fu emessa, con contestuale deposito della motivazione, febbraio 2021, e che quella di appello è intervenuta a distanza di un lasso temporale superiore ad un anno e sei mesi), un ulteriore periodo di sospensione pari, appunto, ad un anno e sei mesi.
Ne consegue che il termine di prescrizione del reato de quo agitur spirerebbe solo il 27 maggio 2024, cioè in data largamente successiva a quella della pronunzia del giudice di appello.
11. Dal rigetto del ricorso discende la condanna di COGNOME al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616, comma 1, primo periodo, cod. proc. pen..
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 20/02/2024.