Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 32844 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6   Num. 32844  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 11/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Firenze il DATA_NASCITA
avverso la  sentenza del 07/04/2025 della Corte di appello di Firenze visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le richieste del Pubblico Ministero, Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte di appello di Firenze ha confermato la sentenza con cui NOME COGNOME era stato condannato per i delitti di cui agli artt. 110, 611 cod. pen. (capo a);  110, 337,  635, comma 2, in relazione all’art. 625, comma 1, n. 7, cod. pen. (capo b).
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato denunciando i motivi di annullamento di seguito sintetizzati.
2.1. Violazione di legge in riferimento alla ritenuta procedibilità d’ufficio de reato il cui al capo a), riqualificato in tentata violenza privata. Nella prospettazion difensiva, la Corte di appello avrebbe erroneamente ritenuto il reato procedibile d’ufficio per essere stato commesso da più persone riunite, quantunque l’aggravante di cui all’art. 339 cod. pen non sia stata contestata né in fatto né in diritto.
2.2. Violazione di legge e difetto motivazione in riferimento al reato di cui all’art. 635, comma 2, cod. pen., in quanto la porta di ingresso della caserma non sarebbe stata deteriorata.
2.3 Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione all’art. 337 cod. pen. in quanto la Corte di appello avrebbe erroneamente ritenuto inammissibili, perché tardivi, i motivi di doglianza con cui si evidenziava: a) l’insussistenza di un atto d’ufficio cui l’imputato si sarebbe opposto; b) la sua convinzione di reagire a un atto arbitrario del pubblico ufficiale. Con l’atto di appello, infatti, era s censurata espressamente l’affermazione di responsabilità dell’imputato per il delitto in esame, per cui l’approfondimento delle argomentazioni relative a tale tema potevano essere contenute in atto procedimentale successivo.
In ogni caso, la motivazione sarebbe contraddittoria, in ordine all’esclusione della causa di non punibilità di cui all’art. 393-bis cod. pen.
Con memoria depositata il giorno prima dell’udienza, l’AVV_NOTAIO, difensore di NOME COGNOME, ha chiesto a questa Corte di sollevare questione di legittimità costituzionale degli artt. 2, comma 1, lettera a), legge n. 134/2021 e 1, comma 2, legge n. 3/2019 nella parte, in cui secondo il diritto vivente (Sez. U. 12/12/2024, Polichetti, n. 20989) consentono l’interpretazione in base alla quale la disciplina della sospensione del corso della prescrizione di cui all’art. 159, commi 2, 3 e 4, cod. pen., nel testo introdotto dalla legge n. 103/2017, si applica ai reati commessi dal 3 agosto 2017 al 31 dicembre 2019, per contrasto agli artt. 3 e 25, comma 2, Cost.
In alternativa, il difensore ha chiesto di rinviare la trattazione del present ricorso fino alla pronuncia della Corte costituzionale su identica questione, promossa dalla Corte di appello di Lecce con ordinanza dell’Il luglio 2025, allegata alla memoria.
Disposta la trattazione scritta del procedimento, in mancanza di richiesta nei termini ivi previsti di discussione orale, il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
L’art. 2, comma 1, lett. a), d. Igs. n. 150 del 2022, ha aggiunto all’art. 610 cod. pen. un terzo comma che recita: «il delitto è punibile a querela della persona offesa. Si procede tuttavia d’ufficio se il fatto è commesso nei confronti di persona incapace, per età o per infermità, ovvero se ricorre la circostanza di cui al secondo comma»; ossia «se concorrono le condizioni prevedute dall’articolo 339».
L’art. 339 cod. pen. prevede una serie di circostanze aggravanti, tra cui, per quel che qui interessa, quella secondo la quale «se la violenza o la minaccia è commessa  da più persone riunite».
Tale aggravante richiede la simultanea presenza di non meno di due persone nel luogo ed al momento di realizzazione della violenza o della minaccia (Sez. 5, n. 7337 del 12/12/2018 Rv. 275551 – 01); ai fini della sua integrazione è sufficiente la semplice concorrenza di una pluralità di persone riunite, anche se soltanto alcune di esse siano state identificate, derivando da detta pluralità in sé la maggiore gravità dell’illecito.
In altri termini, la ragione dell’aggravamento di pena, in questo caso, si riviene nella maggiore intimidazione e nella minore possibilità di difesa derivante dalla riunione effettiva di più persone, la quale deve essere nota alla vittima e deve sussistere al momento in cui si esplica la violenza o la minaccia.
La Corte di appello ha fatto corretta applicazione di tali principi, rilevando che il fatto dell’aver agito in più persone riunite è stato oggetto di contestazione, in quanto la descrizione delle condotte tenute dall’imputato e dal correo contenuta nel capo di imputazione indica in modo evidente che entrambi erano presenti sul luogo dei fatti.
Da ciò consegue che il reato, connotato dall’essere stato commesso da più persone riunite, quantunque una di esse non sia stata compiutamente identificata, era e resta di per sé procedibile di ufficio anche dopo le modifiche introdotte con il d. Igs. n. 150 del 2022.
2. Anche il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
La Corte di appello, con motivazione logica e immune da vizi, ha ritenuto configurabile il delitto di danneggiamento, in quanto la porta di ingresso della caserma è stata deteriorata, subendo una modificazione che ne ha diminuito in modo apprezzabile il valore, tanto da rendere necessario un intervento ripristinatorio dell’essenza e della funzionalità della stessa.
Il terzo motivo di ricorso è infondato, alla luce della motivazione della Corte di appello che, pur ritenendo tardive le relative doglianze, le ha, di fatto, respint
nel merito, rilevando che l’atto d’ufficio posto in essere dai carabinieri consisteva nel ristabilire l’ordine all’interno della caserma ove l’imputato e il suo complice continuavano a minacciare la persona offesa.
Né emergono elementi che denotino la sussistenza dei presupposti per la configurabilità della causa di non punibilità di cui all’art. 393-bis cod. pen., che richiede che l’atto del pubblico ufficiale sia arbitrario, e cioè del tutto ingiustifi o persecutorio, ovvero abusivo e sproporzionato in relazione alla situazione nella quale il funzionario è chiamato a porlo in essere o che, pur essendo sostanzialmente l’atto legittimo, sia incongruente rispetto alle modalità impiegate e alle finalità da perseguire, a causa della violazione dei doveri minimi di correttezza che devono caratterizzare l’agire dei pubblici ufficiali (Sez. 5, n. 45245 del 25/10/2021. Rv. 282422 – 01).
Secondo la sentenza impugnata, infatti, l’imputato, in un primo momento, ha minacciato la persona offesa affinché sporgesse una falsa denuncia in suo favore e, poi, l’ha seguita in caserma, dove si era nel frattempo rifugiata e, lì, ha continuato ad aggredirla verbalmente. La condotta del pubblico ufficiale che, per ristabilire la calma all’interno della caserma, lo ha fatto uscire, non è in alcun modo qualificabile come atto arbitrario, né è ipotizzabile che egli si sia sentito vittima d ingiustizia, in quanto, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, non emerge in alcun modo che si fosse recato in caserma per sporgere querela.
4. Va respinta la richiesta della difesa di promuovere questione di legittimità costituzionale degli artt. 2, comma 1, lettera a), legge n. 134/2021 e 1, comma 2, legge n. 3/2019 nella parte, in cui secondo il diritto vivente (Sez. U. 12/12/2024 n. 20989), consentono l’interpretazione in base alla quale la disciplina della sospensione del corso della prescrizione di cui all’art. 159, commi 2, 3 e 4, cod. pen., nel testo introdotto dalla legge n. 103/2017, si applica ai reati commessi dal 3 agosto 2017 al 31 dicembre 2019, per contrasto con gli artt. 3 e 25, comma 2, Cost.
4.1. Nella prospettazione difensiva, l’abrogazione, ad opera della legge n. 134 del 2021, delle modifiche al regime della prescrizione di cui alla I. n. 3 del 2019, avrebbe fatto rivivere le disposizioni della I. n. 251 del 2005, con conseguente inapplicabilità dei periodi di sospensione introdotti dalla I. n. 103 del 2017. L’interpretazione delle Sezioni unite, secondo cui «la disciplina della sospensione del corso della prescrizione di cui all’art. 159 cod. pen., nel testo introdotto dall’ar 1 legge 23 giugno 2017, n. 103, si applica ai reati commessi nel tempo di vigenza della legge stessa, ovvero dal 3 agosto 2017 al 31 dicembre 2019, non essendo stata abrogata con effetti retroattivi dalla legge 9 gennaio 2019, n. 3, prima, e dalla legge 27 novembre 2021, n. 134, poi, mentre per i reati commessi dall’I.
gennaio 2020 si applica la disciplina posta a sistema dalla legge n. 134 del 2021» sarebbe in contrasto con gli art. 25 e 3 Cost., in quanto introduce un regime transitorio normativamente non previsto, con effetti sfavorevoli al reo.
4.2. Viene, dunque, posto un problema interpretativo e prospettata una soluzione diversa da quella adottata dalle Sezioni Unite Polichetti, che hanno risolto un contrasto insorto in materia tra l’indirizzo maggioritario nella giurisprudenza di legittimità, cui hanno aderito, e l’indirizzo minoritario sovrapponibile a quello proposto dalla difesa e dall’ordinanza di rimessione della Corte di appello di Lecce cui si richiama, ritenuto conforme alla Carta costituzionale.
Tuttavia, l’esistenza di due opzioni interpretative, una ritenuta conforme alla Costituzione e l’altra ritenuta contraria ad essa, si risolve non con una questione di legittimità costituzionale, ma con l’applicazione dell’interpretazione costituzionalmente conforme.
Se, poi, questa fosse contraria a quella accolta dalle Sezioni unite, la Sezione semplice dovrebbe investire nuovamente della questione le Sezioni unite in applicazione dell’art. 618, comma 1-bis cod. proc. pen. secondo cui «se una sezione della corte ritiene di non condividere il principio di diritto enunciato dall Sezioni unite, rimette a queste ultime, con ordinanza, la decisione del ricorso».
4.3. Ciò detto, il Collegio non ritiene sussistenti i presupposti di cui all’art. 61 comma 1-bis citato, perché condivide il principio di diritto affermato dalle Sezioni unite Polichetti che, come anticipato, hanno già esaminato l’opzione interpretativa proposta dal ricorrente, optando poi per la diversa soluzione sopra indicata.
Le Sezioni unite, in particolare, hanno affermato che «il rapporto tra la disciplina della sospensione della prescrizione dettata dalla legge n. 103 del 2017 e quella di cui alle due susseguenti fonti costituite dalla legge n. 3 del 2019 e dalla legge n. 134 del 2021 non si è risolto nel mero fenomeno della successione delle leggi penali nel tempo, regolato dall’art. 2 cod. pen. Invero, le due leggi succedutesi a quella del 2017 si caratterizzano per la previsione della loro applicabilità soltanto ai reati commessi a decorrere da una certa data, ossia dall’I. gennaio 2020», precisando che «il passaggio da un regime che contempla l’operatività della prescrizione del reato in ogni stato e grado del processo a un regime radicalmente diverso, disciplinante il blocco tendenzialmente definitivo della prescrizione con la sentenza di primo grado, con la conseguente impossibilità di dichiarare estinto il reato per decorso del tempo nei giudizi di impugnazione, ha così determinato l’introduzione di una disciplina considerata ab origine inapplicabile retroattivamente, in quanto totalmente innovativa del regime sospensivo del decorso del termine prescrizionale, oltre che deteriore rispetto a qualsiasi altra regolamentazione della materia avvicendatasi in precedenza».
Hanno, poi, segnalato, al fine di prendere le distanze dalla diversa impostazione proposta nelle pronunce dell’orientamento minoritario propugnato dal ricorrente, che ove si operasse la valutazione comparativa finalizzata a stabilire la disciplina più favorevole all’imputato, non potrebbero estrarsi frazioni della pregressa disciplina della prescrizione senza considerare la contemporanea introduzione della sospensione sine die del relativo termine dopo l’emissione della sentenza di primo grado.
La tesi della difesa (che è, poi, quella posta a base della citata ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale) è, invece, nel senso che, della nuova disciplina, debba considerarsi solo la frazione che abroga la sospensione del corso della prescrizione nella fase successiva alla sentenza di primo grado ma non anche quella che in tanto realizza tale abrogazione in quanto fa cessare definitivamente con la sentenza di primo grado il rilievo della prescrizione. Si tratta di una interpretazione che, per quanto detto, non può essere condivisa.
4.4. Deve altresì precisarsi che, contrariamente a quanto prospettato, il principio di retroattività della disposizione più favorevole, ove in tal senso fosse interpretata la successione di norme nel caso di specie, secondo la costante giurisprudenza della Corte costituzionale, «resta estraneo alla sfera di tutela dell’art. 25, secondo comma, Cost., il quale si limita a sancire il distinto principi di irretroattività delle norme penali sfavorevoli, finalizzato primariamente a tutelare la libertà di autodeterminazione individuale, garantendo al singolo di non essere sorpreso dall’inflizione di una sanzione penale per lui non prevedibile al momento della commissione del fatto. Garanzia che non è posta in discussione dall’applicazione di una norma penale, pur più gravosa di quelle entrate in vigore successivamente, ma comunque vigente quando il fatto fu realizzato» (così da ultimo Corte cost. sent. n. 123 del 2025), ma è correlato al quadro di garanzie dettate dall’art. 3 Cost. e da norme del diritto internazionale dei diritti umani presidiate dagli artt. 117 e 11 Cost.
Sta di fatto che «il diritto dell’imputato a essere giudicato secondo la legge più favorevole entrata in vigore dopo la commissione del fatto non è assoluto, ed è dunque aperto a possibili deroghe da parte del legislatore, purché giustificabili al metro di quello che la sentenza n. 393 del 2006 di questa Corte ha definito «vaglio positivo di ragionevolezza» (così ancora Corte cost. n. 123 del 2025), con la conseguenza che il problema sarebbe quello di verificare se l’assetto risultante dall’interpretazione fornita dalle Sezioni Unite si esponga o meno ad un giudizio di irragionevolezza, il che deve radicalmente escludersi, essendo stati individuati i capisaldi dell’assetto normativo e del tutto razionalmente definiti i rispettivi ambiti delle discipline sopravvenute, legate ciascuna ad un coerente inquadramento della materia in esame in rapporto all’assetto previgente.
Deve comunque ribadirsi che la nuova disposizione, applicata senza l’artificioso frazionamento proposto, risulta indiscutibilmente peggiorativa e che in conclusione non vi è margine neppure in astratto per prospettare un contrasto con gli artt. 3 e 25, comma 2, Cost. o per rinviare il processo.
In conclusione, il ricorso va respinto, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
processuali.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese Così deciso il 11/09/2025.