Prescrizione del reato e Diritto al Risarcimento: Cosa Succede alle Statuizioni Civili?
La prescrizione del reato è un concetto giuridico che spesso genera confusione, soprattutto per quanto riguarda le conseguenze per la persona offesa. Una domanda comune è: se il reato si estingue per il passare del tempo, la vittima perde anche il diritto a essere risarcita? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su questo punto, chiarendo che le sorti del processo penale e quelle delle richieste civili non sempre coincidono. Analizziamo insieme la decisione per capire perché la condanna al risarcimento può sopravvivere alla prescrizione.
I Fatti del Caso
La vicenda processuale ha origine dalla condanna in primo grado di un imputato per un reato inizialmente qualificato come tentata estorsione. In sede di appello, la Corte territoriale ha modificato la qualificazione giuridica del fatto, derubricandolo nel meno grave reato di violenza privata.
Contestualmente, i giudici di secondo grado hanno dichiarato l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione. Tuttavia, hanno confermato la parte della sentenza di primo grado che condannava l’imputato al risarcimento dei danni nei confronti della parte civile.
L’imputato ha quindi presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che la Corte d’Appello avesse errato nel non revocare anche le statuizioni civili, dato che il reato era stato dichiarato prescritto.
La Decisione della Corte di Cassazione sulla prescrizione del reato
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso dell’imputato inammissibile, ritenendolo manifestamente infondato. La decisione si basa su un principio fondamentale del diritto processuale penale: il momento in cui matura la prescrizione del reato è cruciale per determinare il destino delle statuizioni civili.
La Corte ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali, al versamento di una somma di 3.000 euro alla Cassa delle ammende e alla rifusione delle spese legali sostenute dalla parte civile, liquidate in 1.800 euro oltre accessori.
Le motivazioni
Il cuore della motivazione risiede nella cronologia degli eventi processuali. La Corte di Cassazione ha evidenziato che, tenendo conto delle sospensioni del procedimento (come quelle dovute all’emergenza pandemica) e della recidiva dell’imputato, la prescrizione del reato era maturata il 13 marzo 2023.
Questo significa che la prescrizione è intervenuta dopo l’emanazione della sentenza di primo grado, che risaliva al 2 novembre 2021. Quella sentenza aveva già accertato la responsabilità penale dell’imputato e, di conseguenza, il suo obbligo di risarcire il danno alla vittima.
Secondo un principio consolidato, quando la prescrizione interviene dopo una sentenza di condanna di primo grado, le statuizioni civili in essa contenute rimangono valide e definitive. L’estinzione del reato impedisce solo l’applicazione della pena, ma non cancella l’accertamento del fatto illecito che fonda la pretesa risarcitoria della parte civile. Pertanto, la richiesta dell’imputato di revocare la condanna al risarcimento era priva di fondamento giuridico.
Conclusioni
Questa ordinanza ribadisce un concetto di grande importanza pratica per le vittime di reato. La prescrizione del reato non equivale a un’assoluzione nel merito e non sempre comporta la perdita del diritto al risarcimento. Se esiste una sentenza di primo grado che ha già stabilito la colpevolezza dell’imputato, la condanna al risarcimento del danno resiste anche se il reato si estingue per il decorso del tempo.
Questa tutela garantisce che, anche di fronte alle lungaggini processuali che possono portare alla prescrizione, la persona danneggiata non venga privata del suo diritto a ottenere una compensazione per il pregiudizio subito, consolidando così il principio che l’illecito civile sopravvive all’estinzione dell’illecito penale.
Se un reato viene dichiarato prescritto in appello, la vittima perde il diritto al risarcimento del danno?
Non necessariamente. Se la prescrizione del reato è maturata dopo la sentenza di condanna di primo grado che ha accertato la responsabilità dell’imputato, le statuizioni civili (cioè la condanna al risarcimento) restano valide.
Perché in questo caso la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto manifestamente infondato perché la prescrizione era intervenuta dopo la sentenza di primo grado, la quale aveva già accertato la responsabilità penale e civile. Pertanto, la pretesa del ricorrente di vedere cancellate le condanne civili era contraria alla legge.
Cosa succede quando un ricorso viene dichiarato inammissibile?
L’imputato (ricorrente) viene condannato a pagare le spese processuali, una somma alla Cassa delle ammende (in questo caso, 3.000 euro) e a rimborsare le spese legali sostenute dalla parte civile nel giudizio di Cassazione (in questo caso, 1.800 euro oltre accessori).
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 3642 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 3642 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 27/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a GIUGLIANO IN CAMPANIA il 11/05/1964
avverso la sentenza del 16/06/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
R.g. 30761-2024 – Rel. COGNOME – Ud. 27.11.2024 –
Rilevato che COGNOME Nicola ricorre avverso la sentenza della Corte di Appello di Napoli che, riqualificando il delitto ex artt 56, 629 cod. pen. di cui al capo A) nel meno grave reato di violenza privata, ha parzialmente riformato la pronunzia di primo grado, nel senso che ha dichiarato la prescrizione della fattispecie riqualificata, mentre ha confermato la sentenza di primo grado quanto alla condanna al risarcimento del danno nei confronti della parte civile;
Letta la memoria tempestivamente depositata dal difensore della parte civile, Avv. NOME COGNOME che ha insistito per l’inammissibilità del ricorso;
Considerato che il primo ed unico motivo di ricorso – con il quale il ricorrente denunzia la violazione e l’erronea applicazione della legge processuale per avere omesso la Corte di merito di procedere alla revoca delle statuizioni civili pur avendo accertato l’intervenuta prescrizione del delitto nel corso del procedimento di primo grado – è manifestamente infondato perché denunzia violazione di norme smentita dagli atti processuali dai quali emerge che, tenuto conto della recidiva reiterata infraquinquennale riconosciuta a carico dell’imputato e delle sospensioni del procedimento conseguenti all’emergenza pandemica da Covid-19, la prescrizione del delitto è maturata in data 13 marzo 2023 e, dunque, dopo l’emanazione della sentenza di primo grado che ne ha accertato la responsabilità, sentenza emessa il 2 novembre 2021;
Ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende; data la soccombenza dell’imputato, quest’ultimo va altresì condannato alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, che si liquidano in euro 1800,00, oltre accessori di legge.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di tremila euro in favore della cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi euro 1800,00 oltre accessori di legge.