Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 23094 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 23094 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/06/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
1) NOME NOME nata in Romania il 21/09/1991
2) COGNOME NOME nato a Taranto il 22/04/1968
3) NOME COGNOME nato a Catania il 17/11/1959
NOME COGNOME
nato a Taranto il 18/11/1962
5) NOME COGNOME nato a Taranto il 04/11/1977
avverso la sentenza del 08/07/2024 della Corte di appello di Lecce visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto : quanto a Boicea, l’annullamento della sentenza impugnata in ordine al reato sub A) perché estinto per prescrizione e in ordine al reato sub B) per non avere commesso il fatto; per Martire l’annullamento con rinvio in relazione alla pena; quanto a COGNOME, COGNOME e COGNOME il rigetto dei ricorsi;
uditi l’A vv. NOME COGNOME per NOME COGNOME e, anche in sostituzione dell’ Avv. NOME COGNOME per COGNOME; l’Avv. NOME COGNOME per COGNOME; l’A vv. NOME COGNOME per COGNOME; l’Avv. NOME COGNOME e l’Avv. NOME COGNOME per COGNOME i quali hanno chiesto l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 20 giugno 2022 la Corte di appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto, in parziale riforma della sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Taranto, per quanto qui rileva, dichiarava:
NOME COGNOME colpevole dei reati di associazione per delinquere (capo A), corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio (capi B, C, D, E, F, G, H, L, N), induzione indebita a dare o promettere utilità (capo M), turbata libertà degli incanti (consumata, capo I; tentata, capo O);
NOME COGNOME colpevole dei reati di associazione per delinquere (capo A), corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio (capi B, F, G, L, M), turbata libertà degli incanti (capo I); induzione indebita a dare o promettere utilità (capi M, S, T); rivelazione di segreti d’ufficio (capo U);
NOME COGNOME colpevole dei reati di associazione per delinquere (capo A) e corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio (capi B, F);
NOME COGNOME colpevole del reato di corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio (capo H);
NOME COGNOME colpevole del reato di corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio (capo L).
La Corte territoriale confermava l’esistenza di un’associazione per delinquere finalizzata a pilotare le gare d’appalto, o comunque gli affidamenti di opere e servizi, da parte della Direzione Commissariato di Taranto della Marina militare (convenzionalmente ‘Maricommi’), nonché la commissione di vari episodi delittuosi collegati.
Di tale associazione, ad esito della sentenza di appello, venivano ritenuti partecipi NOME COGNOME allora comandante di tale Direzione, con il ruolo di capo e promotore, NOME COGNOME sua convivente, con il ruolo di partecipe, e NOME COGNOME impiegato civile presso la medesima amministrazione alle dipendenze del primo, con il ruolo di promotore.
Gli altri soggetti cui era contestata la partecipazione all’associazione erano stati separatamente giudicati.
Gli imprenditori NOME COGNOME e NOME COGNOME, aggiudicatari di commesse, erano ritenuti colpevoli di singoli episodi di natura corruttiva.
Con sentenza del 24 maggio 2023 la Sesta sezione della Corte di cassazione ha annullato con rinvio la sentenza della Corte di Appello di Taranto ‘con riferimento al reato di cui al capo A), nonché con riferimento al reato di cui al capo H) nei confronti di COGNOME NOME e, per l’effetto estensivo, anche nei
confronti di COGNOME NOME, con riferimento al reato di cui al capo L) nei confronti di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, con riferimento ai reati di cui ai capi B) ed F) nei confronti di COGNOME NOMECOGNOME e disponeva il rinvio per nuovo giudizio su tali capi alla Corte di appello di Lecce.
Con sentenza emessa in data 8 luglio 2024, la Corte di Appello di Lecce, quale giudice del rinvio, così provvedeva:
assolveva NOME COGNOME dal reato di cui al capo F) per non aver commesso il fatto e dichiarava non doversi procedere nei confronti della stessa in ordine al reato di cui all’art. 379 cod. pen., così riqualificato quello di cui al capo A) dell’imputazione, limitatamente alle condotte commesse sino al 29 luglio 2016, per intervenuta prescrizione; per l’effetto, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata circostanza aggravante, rideterminava la pena inflitta all’imputata per il reato di cui al capo B) e al capo A), come sopra riqualificato e limitatamente alle condotte successive al 29 luglio 2016, unificati per continuazione, in anni quattro e mesi due di reclusione;
rideterminava la pena per gli altri imputati, come da dispositivo, nei seguenti termini: per COGNOME, a titolo di aumenti per continuazione rispetto al reato di cui al capo S), in mesi nove di reclusione per il reato di cui al capo A) e in mesi sei di reclusione per quello di cui al capo L); per COGNOME, in relazione al capo H), in anni quattro e mesi quattro di reclusione; per COGNOME, a titolo di aumenti per continuazione rispetto al reato di cui al capo M), in mesi nove di reclusione per ciascuno dei reati di cui ai capi A), H) ed L); per COGNOME, in relazione al capo L), in anni quattro e mesi quattro di reclusione;
confermava nel resto la sentenza impugnata, limitatamente ai capi oggetto di annullamento con rinvio.
Hanno proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME a mezzo dei rispettivi difensori, chiedendo l’annullamento della sentenza .
Il ricorso presentato dall’Avv. NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME è articolato in sette motivi.
3.1. Inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità, inammissibilità o decadenza nonché mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione risultante dal provvedimento impugnato e da altri atti processuali.
Il Giudice del rinvio, ritenendo che il fatto contestato al capo A) non potesse configurare per la ricorrente il reato di partecipazione all’associazione per delinquere, in difetto dell’elemento soggettivo, lo ha riqualificato come favoreggiamento reale (art. 379 cod. pen.), condannando l’imputata per un reato diverso rispetto a quello oggetto dell’originaria contestazione, in violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza.
La struttura originaria dell’imputazione, a seguito della riqualificazione ad opera del Giudice del rinvio, ha subìto uno stravolgimento radicale rispetto al fatto ritenuto in sentenza: nel capo A), infatti, veniva contestata alla Boicea una condotta di partecipazione a ll’associazione per delinquere diretta da NOME COGNOME, nella quale la ricorrente si sarebbe occupata della raccolta e della custodia di denaro, con ‘condotte meglio precisate nei successivi capi di imputazione’ ; la sentenza impugnata, invece, ha condannato l’imputata per episodi di favoreggiamento ( l’aiuto a occultare la somma di novecento euro che l’imprenditore COGNOME aveva consegnato a COGNOME e l’apertura di un conto corrente in Romania, a proprio nome, sul quale il proprio compagno avrebbe fatto confluire i proventi dei propri affari illeciti) ontologicamente eterogenei e non collegati alle condotte originariamente contestate.
La Corte d’appello ha osservato che , proprio l’atto di appello , aveva sostenuto la possibile configurabilità del reato di cui al l’art. 379 cod. pen., ma tale prospettazione si riferiva a tutt’altro episodio , neppure preso in considerazione dalla stessa Corte come condotta favoreggiatrice.
3.2. Violazione della legge penale per inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 379 cod. pen. , relativamente al capo A) dell’imputazione, nonché mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione risultante dal provvedimento impugnato o da altri atti del processo.
La sentenza va annullata anche solo perché il Giudice del rinvio, in contrasto con l’insegnamento della Suprema Corte, ha ritenuto configurabile il favoreggiamento di un capo dell ‘associazione per delinquere (reato presupposto di natura permanente) che non si era ancora sciolta.
In ogni caso, le due condotte valutate dalla Corte d’appello non integrano il delitto di favoreggiamento: invero, la COGNOME ricevette la somma di novecento euro versata da COGNOME a COGNOME a titolo di regalìa e non al fine di custodirla od occultarla, mentre non vi è prova che il conto aperto dall’imputata in Romania fosse stato da lei utilizzato per agevolare il compagno nel conseguimento dei suoi proventi illeciti.
3.3. Violazione della legge penale per la erronea applicazione dell’art. 319 cod. pen., in relazione al capo B) dell’imputazione, nonché mancanza,
contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione risultante dalla sentenza impugnata ovvero da altri atti del processo.
A dispetto del puntuale rilievo effettuato dalla Suprema Corte nella sentenza di annullamento, il Giudice del rinvio non ha affrontato il tema della sussistenza di un accordo corruttivo fra NOME COGNOME e l’imprenditore NOME COGNOME che prevedesse l’effettuazione delle due prestazioni (l’atto contrario ai doveri d’ufficio del pubblico ufficiale e l’ erogazione della indebita utilità) in corrispondenza sinallagmatica.
Senza la prova di detto accordo non è configurabile il reato di corruzione propria.
3.4. Violazione della legge penale per la erronea applicazione dell’art. 319 cod. pen., quanto al capo B) dell’imputazione, nonché mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione risultante dalla sentenza impugnata ovvero da altri atti del processo, in relazione alla ritenuta responsabilità dell’imputata a titolo di concorso nel reato .
La condotta tenuta dall’imputata (acquisto di alcuni capi d’abbigliamento in un negozio) si è sostanziata in una mera percezione dell’utilità e non già in una tipica attività di intermediazione ovvero in una compartecipazione nel reperire o mettere a disposizione del funzionario infedele il prezzo della sua corruzione. Al momento della ricezione dei doni da parte della Boicea, il pactum sceleris , rispetto al quale era rimasta estranea, si era già consolidato e aveva già avuto esecuzione, quantomeno parziale.
Neppure si coglie la differenza fra questa condotta e quelle che la Corte ha qualificato in termini di favoreggiamento reale, aventi caratteristiche del tutto sovrapponibili.
3.5. Violazione della legge penale per la erronea applicazione dell’art. 114 cod. pen., nonché mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione risultante dal provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo.
A differenza di quanto ritenuto dalla Corte d’appello, l’attenuante di cui all’art. 114 cod. pen. è configurabile nel caso di specie, poiché la condotta pressoché passiva della COGNOME, avuto anche riguardo al contesto personale e sociale in cui ella si trovava, ha avuto una scarsa o addirittura impercettibile incidenza causale rispetto all’evento, che si sarebbe ugualmente verificato con le medesime modalità senza il suo contributo.
3.6. Violazione della legge penale per la erronea applicazione dell’art. 323 -bis cod. pen., nonché mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della
motivazione risultante dal provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo.
La ricorrente ha prestato la propria collaborazione contribuendo alle indagini con dichiarazioni che, rispetto a quelle essenziali del compagno, hanno apportato una minore utilità in ragione del ruolo del tutto marginale dalla stessa rivestito.
La circostanza attenuante non può essere esclusa solo perché l’imputata, contrastando la tesi accusatoria, ha evidenziato la scarsa consapevolezza e l ‘accessorietà del proprio compito nell’intera vicenda illecita.
3.7. Violazione della legge penale per erronea applicazione degli artt. 62bis e 133 cod. pen. nonché mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo.
La condotta collaborativa della COGNOME, qualora non dovesse essere reputata sussumibile nell’a lve o della fattispecie attenuata di cui all’art. 323 -bis cod. pen., è comunque meritevole di un trattamento sanzionatorio più mite e conforme all’effettivo disvalore della vicenda, considerato che la stessa non aveva gli strumenti per comprendere il sostrato illecito delle attività del proprio compagno; pertanto, le già concesse attenuanti generiche vanno ritenuti prevalenti sull’aggravante contestata.
Il ricorso presentato dall’Avv. NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME è articolato in quattro motivi.
4.1. Violazione di legge in relazione agli artt. 318 e 319 cod. pen. e all’art. 627, comma 3, cod. proc. pen., quanto alla errata qualificazione del fatto nella fattispecie di cui all’art. 319 cod. pen., in luogo di quella prevista dall’art. 318 cod. pen., e alla omessa applicazione dei principi di diritto affermati nella sentenza rescindente.
Violazione di legge, con riferimento agli artt. 192, 521, 533, 546, lett. e ), cod. proc. pen., in assenza della prova del compimento di un atto contrario ai doveri d’ufficio da parte dell’ intraneus e del fatto che l’affidamento del servizio di svuotamento per la nave Espero sia stato opera di NOME COGNOME.
Contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione quanto alla identificazione di NOME COGNOME quale autore dell’atto contrario ai propri doveri d’ufficio, all a omessa valutazione e/o travisamento della prova riguardo al compimento, da parte dello stesso , di un atto contrario ai doveri d’ufficio, alla individuazione dell’elemento psicologico del reato di cui all’art. 319 cod. pen. in mancanza della prova e alla omessa valutazione e/o travisamento della prova circa l’esistenza di un pactum sceleris .
Il Giudice del rinvio ha disatteso la regula iuris della sentenza rescindente, secondo la quale, per inquadrare il fatto nel reato di cui all’art. 319 cod. pen., è necessario ricostruire le modalità della presunta alterazione dello svolgimento del procedimento amministrativo che ha determinato l’affidamento alla RAGIONE_SOCIALE del servizio di smaltimento di liquami per la nave Espero.
Poiché l’illiceità della condotta del pubblico ufficiale non è integrata dalla mera dazione e accettazione della somma di denaro, secondo la Suprema Corte vi era la necessità di accertare l’esistenza di un previo accordo corruttivo nonché la non conformità ai doveri d’ufficio della condotta tenuta da COGNOME. In assenza di tali accertamenti, manca la prova della illegittimità dell’atto e quindi della progressione criminosa che caratterizza il rapporto di specialità della fattispecie di cui a ll’art. 319 cod. pen. rispetto a quella generale prevista dall’art. 318 cod. pen.
La stessa Corte d ‘ appello ha riconosciuto la mancanza in atti della prova dell’esistenza degli elementi costitutivi della fattispecie di cui all’art. 319 cod. pen., là dove ha rilevato la mancata acquisizione del fascicolo relativo alla gara, essenziale per identificare l’autore dell’atto amministrativo e per ricostruire il tipo di attività svolta, asseritamente contra legem , nonché l’assenza di intercettazioni indicative della contrarietà ai doveri d’ufficio dell’aggiudicazione all’impresa riferibile a COGNOME.
NOME COGNOME, poi, sulle dichiarazioni accusatorie del quale si fonda il processo, ha escluso che l’affidamento ottenuto dalla RAGIONE_SOCIALE sia stato conseguenza di un accordo illecito intervenuto con il ricorrente.
La Corte d’appello ha affermato che COGNOME è stato l’autore dell’atto asseritamente illecito sulla base di congetture non idonee a sostenere un giudizio di responsabilità, non essendo stato in alcun modo provato che egli possedesse le credenziali di accesso al portale del MEPA (Mercato Elettronico della P.A.); che vi avesse inserito lui stesso la R.D.O. (richiesta di offerta); che avesse selezionato l’opzione ‘ad unico invito’ in favore d i Calabrese piuttosto che quella ‘ad offerta aperta’; che COGNOME Guardo, nel caso in cui il R.U.P. (Responsabile Unico del Procedimento) avesse gestito la procedura, sarebbe intervenuto imponendogli di inserire una R.D.O. secondo modalità tali da favorire Calabrese nell’aggiudicazione del servizio.
Pertanto, l’ipotesi che COGNOME abbia avuto un ruolo, diretto o indiretto, nella procedura di affidamento del servizio appare irragionevole: ne consegue che il fatto va riqualificato nella fattispecie prevista dall’art. 318 cod. pen.
4.2. Violazione di legge in relazione agli artt. 318 e 319 cod. pen., 521 e 649 cod. proc. pen., 24 e 111 Cost. in ragione della errata qualificazione ai sensi
dell’art. 319 cod. pen. e della violazione di un precedente giudicato sullo stesso fatto.
Violazione di legge in relazione agli artt. 318 e 319 cod. pen., 192, 533 e 546, lett. e ), cod. proc. pen. per la mancanza della prova oltre ogni ragionevole dubbio della contrarietà dell’atto di affidamento ai doveri d’ufficio del pubblico ufficiale COGNOME
Contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla identificazione dell’atto di affidamento come atto contrario ai doveri d’ufficio e alla omessa valutazione, travisamento e/o mancanza della prova per la ritenuta mancanza dei presupposti di fatto per l’applicazione degli artt. 35 e 63 del C.d.A. (Codice degli Appalti) che prevedevano la possibilità di ricorrere, rispettivamente, alla modalità dell’affidamento diretto e della procedura negoziata.
La Corte d’appello ha concluso per la illegittimità dell’a tto in quanto compiuto, nella sostanza, in violazione del principio di rotazione e del divieto di frazionamento, omettendo di indagare sulla condotta in concreto tenuta dal pubblico ufficiale per adottare l’atto stesso.
La sentenza impugnata ha erroneamente interpretato le norme del C.d.A. del 2016, asseritamente violate, e ha dedotto da tale violazione la illegittimità dell’atto, in realtà insussistente, in quanto l’ accusa non ha dimostrato che la RAGIONE_SOCIALE avesse beneficiato di una serie ripetuta di affidamenti diretti sottosoglia per un valore stimato, riferito ai dodici mesi precedenti, superiore a quarantamila euro.
Dagli atti, infatti, risulta che la Guardia di Finanza accertò che l’impresa facente capo a Calabrese, nel periodo in cui COGNOME esercitava il ruolo di direttore, aveva ottenuto esclusivamente due affidamenti per un importo complessivo pari a 39.853,48 euro, valore inferiore alla soglia.
La Corte di merito non ha neppure chiarito in virtù di quali elementi di fatto abbia riscontrato la violazione del comma 12 dell’art. 35 C.d.A. e affermato che i servizi affidati all’impresa presenta vano il carattere della regolarità ed erano soggetti a rinnovo periodico, caratteristiche non ravvisabili in base ai soli due affidamenti ottenuti durante il mandato di NOME COGNOME.
La sentenza non ha considerato che il servizio di smaltimento di acque nere e grigie di cui si tratta riguarda navi militari, cosicché risultava difficile programmare e determinare l’entità del servizio su base annuale , poiché il volume dei liquami da smaltire varia da nave a nave e non è neppure prevedibile la durata della permanenza in porto delle navi, soggette a una costante operatività.
Priva di fondamento appare anche la tesi del fraudolento frazionamento degli appalti poiché dalle conversazioni intercettate tra COGNOME e gli altri associati (in questo caso COGNOME) emerge il riferimento a tutt’altro genere di forniture e servizi indubbiamente periodici.
La Corte non ha considerato che COGNOME in realtà, era interessato all’assegnazione di altri appalti a imprenditori riconosciuti come suoi sodali (a differenza di Calabrese), essendo rimasto estraneo all ‘affidamento ottenuto da l ricorrente tramite la speciale procedura di R.D.O. inserita nel MEPA.
Anche per quanto concerne la ritenuta violazione dell’art. 63 C.d.A. -per la mancanza dei presupposti delle condizioni di urgenza, di inopportunità del cambiamento del fornitore e della possibilità di rinnovo del servizio -la sentenza impugnata ha espresso valutazioni riguardanti l’atto amministrativo e non il procedimento seguìto per adottarlo, risultando evidente che, anche sotto questo profilo, la motivazione si scontra con la mancanza della prova dell’iter amministrativo che ha generato l’atto finale, in difetto dell’acquisizione dei fascicoli di gara e di intercettazioni rilevanti sul punto.
Nonostante la regola iuris espressa nella sentenza rescindente -secondo cui la sola accettazione di denaro da parte del pubblico ufficiale non basta a integrare il delitto di corruzione propria, dovendosi invece verificare se l’esercizio dell’attività sia stata condizionata dalla ‘presa in carico’ dell’interesse del privato corruttore -la Corte territoriale ha preteso di derivare dalla dazione non solo l’attribuzione della paternità dell’atto a COGNOME, ma anche la contrarietà del suo agire ai doveri d’ufficio.
NOME COGNOME inoltre, è stato assolto con formula piena dal reato di turbativa d’asta di cui al capo I) dell’imputazione, richiamato nel capo H) . Accertato, dunque, che COGNOME non ha mai realmente turbato l’affidamento ottenuto dalla RAGIONE_SOCIALE, va escluso un collegamento tra la dazione ed il compimento dell’atto , con la conseguente ricaduta nella fattispecie delittuosa della corruzione impropria.
Infine, va rimarcato che, solo in sede di giudizio di rinvio, la Corte di merito, per la prima volta, ha individuato le norme extrapenali asseritamente violate nell’attribuzione dell’affidamento, operando in tal modo una sorta di emendatio del capo H) dell’imputazione , che, una volta svuotato del contenuto mutuato dal capo I) per via dell’assoluzione, risultava privo di specifica determinazione delle condotte contestate.
La sentenza ha riconosciuto la responsabilità di COGNOME e COGNOME per avere quest’ultimo affidato al primo il servizio di smaltimento, violando gli artt. 35 e 63 C.d.A., condotta mai contestata e non desumibile dal capo H). Tutto ciò
ha determinato una violazione del principio di correlazione tra imputazione e sentenza, oltre che del diritto di difesa, considerato che la genericità dell’imputazione apriva un ventaglio indeterminato e indeterminabile di possibili condotte del pubblico ufficiale astrattamente riconducibili alla trasgressione di una qualunque norma del codice degli appalti.
4.3. Violazione di legge per la mancata applicazione degli artt. 157, 158, 159, 160, 161 e 318 cod. pen., in relazione all’art. 129 cod. proc. pen. , in ragione della omessa dichiarazione d’ufficio del non luogo a procedere per intervenuta prescrizione del reato.
Riqualificato il fatto nella fattispecie di cui all’art. 318 cod. pen. , la Corte avrebbe dovuto rilevare che il 18 giugno 2024 era maturata la prescrizione, considerando i periodi di sospensione (per complessivi 159 giorni) e la data di consumazione del reato che, per una serie di coerenti deduzioni logiche, va individuata ne ll’11 luglio 2016.
4.4. Violazione di legge per la mancata applicazione degli artt. 62bis , 133, 192 e 323bis , primo comma, cod. pen., in relazione all’art. 546 , lett. e ), cod. proc. pen. e agli artt. 24, 27 e 111 Cost.
Contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione per l’omessa valutazione e/o travisamento della prova circa la sussistenza di presupposti oggettivi e soggettivi per la concessione delle attenuanti di cui agli artt. 62bis e 323bis , primo comma, cod. pen., e per l’applicazione del medesimo trattamento sanzionatorio a posizioni processuali descritte e accertate come diverse.
Il giudizio di non meritevolezza delle circostanze attenuanti generiche si è fondato su fatti non accertati e persino smentiti dalle risultanze documentali nonché sulla mancata confessione da parte dell’imputato di tutti gli episodi di corruzione, inclusi quelli non contestatigli.
Anche dal punto di vista del mancato riconoscimento della particolare tenuità del danno, le considerazioni della Corte territoriale sono irragionevoli, considerato che: la pubblica amministrazione non ha subìto danni derivanti da sovrafatturazione della prestazione (l’imputato aveva fatturato 13.000 euro per l’effettiva quantità di liquami scaricati, mentre l’appalto aveva previsto l’importo di 35.000 euro); l’ extraneus non ha conseguito extraprofitti bensì solo la remunerazione per il lavoro svolto; si è trattato di una unica dazione di una somma di denaro (pari allo 0,65% del totale di quelle percepite da COGNOME) da parte dell’imputato, assolto sia dal reato associativo sia da quello di turbata libertà degli incanti; in ogni caso, l’affidamento del servizio è stato effettuato in favore di un’impresa in possesso de lle competenze per svolgerlo e non ha generato costi ingiustificati.
Infine, a Calabrese e a COGNOME è stata inflitta la medesima pena, nonostante la diversa gravità delle condotte, considerati il numero di episodi contestati a COGNOME e l’ammontare delle tangenti .
4.5. Con motivi aggiunti, depositati il 20 maggio 2025, la difesa di COGNOME ha ulteriormente censurato la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto sussistere l’illegittimità dell’atto amministrativo, valutandone però i profili di illegittimità sulla base di norme di carattere generale (artt. 35 e 63 C.d.A.), anziché effettuare tale valutazione sulla lex specialis ( d. lgs n. 208 del 2011), omettendo un accertamento puntuale della condotta illegittima dell’ intraneus . Conseguentemente, non potendosi ritenere sussistenti, anche sotto questo profilo, i presupposti della fattispecie punita dall’art. 319 c od. pen., il fatto va riqualificato nel reato previsto dall’ art. 318 cod. pen.
Nell’interesse di NOME COGNOME sono stati depositati lo stesso giorno dai suoi difensori due ricorsi con quattro motivi dall’identico contenuto, il primo a firma dell’Avv. NOME COGNOME e il secondo a firma dell’Avv. NOME COGNOME
5.1. Inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 416 cod. pen. nonché mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo indicati nei motivi di gravame, in relazione al capo A) dell’imputazione .
La sentenza impugnata avrebbe dovuto fornire i dovuti elementi probatori ritenuti carenti dalla Suprema Corte, necessari per l’accertamento della responsabilità penale per il reato di associazione per delinquere, ma in realtà ha indicato semplicemente una serie di conversazioni, richiamando più volte la medesima intercettazione a sostegno delle stesse conclusioni e generando così una fittizia moltiplicazione delle prove.
La maggior parte delle conversazioni richiamate coinvolgono i soli COGNOME e COGNOME o si estendono tuttalpiù al singolo imprenditore interessato ed evocano la sussistenza di accordi bilaterali indipendenti e non un vero e proprio sodalizio. Il dato emergente dalle intercettazioni, per cui il pagamento di tangenti fosse un fatto di pubblico dominio, non è sufficiente a dimostrare l’esistenza di un collegamento sinergico tra gli imprenditori asseriti sodali, essendo necessaria a tal proposito la reciproca consapevolezza dei singoli di appartenere a un organismo collettivo nel quale si collabora per l’attuazione di un unico programma criminoso. Non è neppure emerso un patto di spartizione delle commesse tra gli imprenditori asseritamente inseriti nella compagine associativa, i quali si sono adeguati a una prassi da tempo consolidata, in mancanza di manifestazioni della affectio societatis .
Erroneamente la Corte d’appello ha ritenuto di dedurre dalle intercettazioni il fatto che alcuni privati corruttori avessero contribuito alla operatività del sodalizio, quando in realtà le conversazioni dimostrano solo come gli eventuali apporti materiali degli imprenditori fossero occasionali e finalizzati a compiacere il pubblico ufficiale e a rafforza re l’accordo corruttivo.
5.2. Inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 318 e 319 cod. pen. nonché mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo indicati nei motivi di gravame, in relazione al capo H) dell’imputazione .
La stessa sentenza impugnata ha evidenziato due elementi dirimenti: la mancata acquisizione degli atti relativi agli affidamenti conseguiti da Calabrese e la non significatività, rispetto a questo capo d’imputazione, degli esiti delle intercettazioni.
Ciononostante, la Corte d’appello ha accertato la contrarietà dell’atto ai doveri d’ufficio, prescindendo dall a conoscenza e dall ‘esame degli atti ufficiali compiuti dal ricorrente e sulla base di mere asserzioni, basandosi su prove che non esistono o su massime di esperienza di dubbia tenuta e omettendo di argomentare circa la riconducibilità a COGNOME delle prospettate violazioni.
Il Giudice del rinvio ha inteso valorizzare il solo elemento della dazione, quando invece, perché sia integrata la corruzione propria, non sono sufficienti la sussistenza di percezioni o promesse e la natura indebita del denaro o delle utilità accettate dal pubblico ufficiale, ma è necessario che la promessa/dazione del corruttore e l’accettazione del corrotto convergano verso la medesima finalità e diano causa al compimento dell’atto contrario ai doveri d’ufficio.
La sentenza, invece, non ha dato conto del contenuto dell’accordo corruttivo e del sinallagma fra le due prestazioni, tanto più che gli asseriti atti contrari ai doveri d’ufficio e l’aggiudicazione del servizio a Calabrese sarebbero avvenuti in epoca precedente rispetto al momento della dazione del denaro.
5.3. Inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 318 e 319 cod. pen. nonché mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo indicati nei motivi di gravame, in relazione al capo L) dell’imputazione .
Anche in relazione alle aggiudicazioni effettuate in favore dell’imprenditore COGNOME, la Corte d ‘ appello non si è attenuta alle indicazioni della sentenza rescindente, censurando l’assenza dei presupposti per effettuare plurimi affidamenti diretti al posto dell’indizione delle ordinarie procedure di gara , il frazionamento fittizio delle commesse in maniera tale da non superare mai le soglie massime che consentivano di omettere una gara vera, la mancanza delle
condizioni per prorogare i servizi già affidati all’ impresa aggiudicataria. In questo modo, però, si sono fatte confluire in un magma indistinto procedure di cottimo fiduciario, procedure negoziate e affidamenti in convenzione, i cui presupposti applicativi sono ben diversi.
Infatti, le considerazioni svolte dalla Corte territoriale non si attagliano alle aggiudicazioni effettuate con affidamento diretto alle stesse condizioni di atti negoziali stipulati all’esito di regolari procedure concorrenziali (procedure in economia svolte con il cosiddetto cottimo fiduciario), la cui normativa all’epoca vigente (artt. 124 e 125 d. lgs. n. 163/2006) non impone oneri di motivazione né presupposti di eccezionalità o urgenza, esigendo solo il rispetto di valorisoglia. Inoltre, la scelta della procedura è stata anche condizionata da ulteriori disposizioni normative quali l’art. 129 del d.P.R. n. 236/2012 che indica le tipologie di spesa per le quali è consentito il ricorso alle procedure in economia.
In base a questo sistema normativo cade anche la contestazione di un frazionamento artificioso delle commesse, poiché il valoresoglia per l’accesso a tali procedure era fissato in 130.000 euro per procedura, cifra che, dati gli importi di tutti gli affidamenti aggiudicati alle ditte di COGNOME (il cui valore rimaneva visibilmente al di sotto delle soglie massime proprie della procedura in economia), avrebbe reso inutile un tentativo di frode tramite un finto frazionamento.
In definitiva, la sentenza appare lacunosa sotto il profilo della corretta ricostruzione dell’impianto normativo ; appare anche evidente che COGNOME intese soddisfare, oltre che l’interesse privatistico, soprattutto quello pubblico , assicurando l’economicità e l’efficienza dell’azione amministrativa, evitando di creare discontinuità nel servizio, specie nelle ipotesi di forniture aggiudicate in convenzione. Inoltre, si osserva come svariate possono essere state le cause ostative a ll’indizione di nuove gare , ma in ogni caso non vi è prova che tale mancata indizione sia stata oggetto di un pactum sceleris .
5.4. Inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 597, comma 3, cod. proc. pen. ovvero dell’art. 442, comma 2, cod. proc. pen.; inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 133 cod. pen., nonché mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo indicati nei motivi di gravame.
In punto di pena, vi è contrasto fra dispositivo e motivazione, non risultando nel primo la diminuzione per il rito, in violazione del principio del divieto di reformatio in peius .
Il ricorrente, incensurato, ha ammesso gli addebiti, ha fornito il proprio importante contributo alle indagini, si è dimesso dalla Marina militare e ha
assunto un comportamento processuale ineccepibile, circostanze che avrebbero meritato adeguata valorizzazione in sede di graduazione del trattamento sanzionatorio.
Il ricorso presentato dall’Avv. NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME è articolato in cinque motivi (gli ultimi due dei quali possono essere trattati e sintetizzati unitariamente).
6.1. Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale con riferimento alla configurazione della fattispecie di cui al capo A) come delitto di cui all’art. 416 cod. pen., con conseguente declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione.
La Corte d’appello ha indebitamente valorizzato le scelte di altri imprenditori, giudicati con separato procedimento, di ricorrere al patteggiamento in ordine al reato associativo, ritenuto sussistente anche in ragione della conoscenza tra gli stessi, i quali si sarebbero accordati e coordinati per ottenere l ‘assegnazione degli appalti.
In realtà, il meccanismo contestato si è sostanziato in un accordo corruttivo fra il pubblico ufficiale e i singoli imprenditori affinché costoro si impegnassero a fruire a turno degli appalti, previa la corresponsione della tangente del 10% senza la consapevolezza di partecipare a un sodalizio criminoso.
NOME COGNOME è stato addirittura ritenuto un promotore della presunta organizzazione criminale, mentre il suo unico compito era quello di riscuotere le tangenti dai vari imprenditori: il suo ruolo era in sostanza quello di un ‘postino’ .
Egli fu poi bruscamente estromesso nel luglio 2016 da COGNOME e non ebbe alcuna reazione, quando invece, se avesse realmente ricoperto una posizione apicale, avrebbe certamente cercato di opporsi a quella decisione.
6.2. Manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla omessa declaratoria di estinzione del reato associativo per intervenuta prescrizione.
Anche ipotizzando l’esistenza del sodalizio, la partecipazione del ricorrente sarebbe venuta meno due mesi prima del 14 settembre 2016, data indicata nel capo d’imputazione, cosicché il reato sarebbe estinto per prescrizione.
6.3. Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale con riferimento alla rideterminazione della pena in ordine allo stesso reato.
In violazione del principio del divieto di reformatio in peius , il Giudice del rinvio ha quantificato in nov e mesi di reclusione l’aumento di pena per il reato associativo a fronte dei tre mesi di reclusione determinati nella sentenza annullata.
6.4. Erronea applicazione della legge penale con riferimento alla fattispecie di cui al capo L), da riqualificare in quella prevista da ll’art. 318 cod. pen. , con conseguente declaratoria di prescrizione.
6.5. Manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla fattispecie di cui al capo L), da riqualificare in quella prevista dall’art. 318 cod. pen., con conseguente declaratoria di prescrizione.
Innanzitutto, appare di rilievo l’assoluzione dal reato ex art. 416 cod. pen. di NOME COGNOME che aveva ottenuto diciannove commesse (reputate insufficienti ai fini dell’integrazione del reato associativo) per un importo totale di 215.000 euro, per lo più assegnate con procedure di affidamento diretto e di cottimo fiduciario.
Nel procedere a tali assegnazioni, è stata rispettata la normativa dei decreti legislativi n. 163/2006 e n. 50/2016, in assenza di alcuna violazione del divieto di frazionamento degli appalti, dato che erano due distinte società, facenti capo entrambe a Musciacchio, le beneficiarie dei contestati affidamenti diretti/cottimi fiduciari per un totale di 135.908 euro. Di conseguenza, le somme corrisposte non si sarebbero dovute calcolare nel complesso ma distintamente per una società e per l’altra ; in ogni caso, anche a voler considerare la cifra totale, questa sarebbe risultata comunque inferiore rispetto alla soglia indicata dalla lettera c ) dell’art. 35 d. lgs. n. 50/2016.
La normativa sugli appalti, relativa ai lavori, ai servizi e alle forniture in economia, è stata rispettata, così come quella riguardante i contratti sottosoglia, essendosi trattato di operazioni effettuate per un importo inferiore ai 40.000 euro.
Pertanto, in assenza di alcun tipo di atto illegittimo, asservito all’interesse privatistico dell’ extraneus , la dazione di denaro da parte di quest’ultimo va ritenuta punibile ai sensi dell’art. 318 cod. pen. , reato estinto per prescrizione.
Il ricorso a firma dell’Avv. NOME COGNOME e dell’Avv. NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME è articolato in tre motivi.
7.1. Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale, con riferimento all’art. 319 cod. pen. in relazione agli artt. 129 e 130 d.P.R. n. 236/2012; mancanza e manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato e da altri atti del processo indicati.
La Corte territoriale ha erroneamente affermato che gli appalti sarebbero stati assegnati alle due società riconducibili al ricorrente mediante una
fraudolenta operazione di frazionamento attuata al fine di farli apparire come una pluralità di affidamenti sottosoglia.
Va premesso che il valore contestato per gli affidamenti considerati è stato indicato in 214.832 euro con un illegittimo cumulo degli stessi, riferibili a due differenti società di capitali, risultando irrilevante la riconducibilità dei due diversi operatori economici alla medesima persona fisica.
Il Giudice del rinvio non ha poi valutato che la soglia applicabile per gli affidamenti non era quella di 40.000 euro, considerata in base al richiamo delle norme del codice degli appalti, bensì quella di 130.000 o di 200.000 euro, a seconda della tipologia dei beni, prevista specificamente dalla disciplina di settore per gli appalti del Ministero della Difesa (art. 130, comma 1, d.P.R. n. 236/2012).
Nello specifico, per quanto attiene alla RAGIONE_SOCIALE, il valore degli affidamenti deve essere calcolato in complessivi 63.173,72 euro. Per quanto riguarda gli affidamenti alla RAGIONE_SOCIALE , solo l’importo complessivo supera la soglia dei 130.000 euro; tuttavia, avendo tali affidamenti oggetti diversi, essi devono essere considerati distintamente ai fini del calcolo del rispettivo valore, che in tutti i casi risulta inferiore a detta soglia.
7.2. Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale con riferimento all’art. 319 cod. pen. in relazione agli artt. 318, 62 -bis e 323bis , primo comma, cod. pen.; mancanza e manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo indicati.
La sentenza di annullamento affermava come l’avvenuto pagamento di tangenti da parte di COGNOME, emergente dalle conversazioni intercettate alle quali egli non ha preso parte, non fosse un elemento sufficiente a sostenere la sua responsabilità per il reato ex art. 319 cod. pen.; ciononostante, la Corte d’appello , riproponendo il contenuto delle intercettazioni come elemento dimostrativo di responsabilità, ha violato il divieto di adottare, in sede di rinvio, le stesse argomentazioni della pronuncia annullata.
La Corte di merito ha poi ignorato anche ulteriore profili evidenziati nella sentenza rescindente: il tema del nesso sinallagmatico tra commesse ‘illegittime’ e dazioni delle somme e la questione della strumentalità degli affidamenti al l’esclusivo soddisfacimento del l’ interesse privato a scapito di quello pubblico.
In realtà, proprio le intercettazioni valorizzate dal Giudice del rinvio dimostrano che alle dazioni asseritamente effettuate da COGNOME non era conseguito il vantaggio da questi sperato.
Pertanto, è logico ritenere che, quand’anche il ricorrente av esse versato delle tangenti, le stesse fossero finalizzate a ottenere il favore del pubblico ufficiale, dovendosi così effettuare la riqualificazione del fatto nella fattispecie prevista dall’art. 318 cod. pen., che determinerebbe notevoli conseguenze in punto di calcolo della pena, poiché il diniego delle circostanze attenuanti generiche e di quella ex art. 323bis cod. pen. è stato calibrato su una fattispecie criminosa più grave.
7.3. Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale, con riferimento all’art. 319 cod. pen. in relazione all’art. 2, secondo comma , cod. pen. nonché agli artt. 62bis e 323bis cod. pen.
Il Giudice del rinvio ha fondato la propria erronea valutazione di illegittimità dell’operato amministrativo sulla disciplina ratione temporis applicabile, effettuando però un richiamo improprio alla normativa.
Infatti, diversamente da quanto sostenuto nella sentenza impugnata, l’affidamento mediante cottimo fiduciario poteva essere compreso tra i 40.000 e i 130.000 euro (e non entro il limite di 40.000 euro) e doveva essere preceduto dalla previa consultazione di cinque operatori a patto che sussistessero in tale numero soggetti idonei ; l’affidamento diretto di valore inferiore a 40.000 euro non richiedeva neppure tale condizione.
In secondo luogo, la sentenza impugnata omette di considerare che il d. lgs. n. 163/2006 e il d. lgs. n. 50/2016 sono stati superati dal nuovo Codice dei contratti pubblici emanato con il d. lgs. 31 marzo 2023, n. 36, che ha innalzato le soglie rilevanti per le procedure in economia.
Questa modifica appare di rilievo nell’ambito del diritto intertemporale in materia penale, poiché la fattispecie di corruzione propria richiama la norma amministrativa oggetto di violazione: si è verificata, di conseguenza, una eterointegrazione della norma penale ad opera della norma giuridica extrapenale, con una a bolitio criminis parziale della fattispecie incriminatrice, alla luce della quale nessuna delle commesse disposte in favore della RAGIONE_SOCIALE supererebbe la soglia attualmente vigente (mentre gli affidamenti in favore della RAGIONE_SOCIALE la supererebbero di circa 11.000 euro).
Il dato assume rilievo con riguardo all’aumento disposto per la continuazione e al diniego delle attenuanti generiche e di quella ex art. 323bis cod. pen.; la pena va comunque rimodulata per la minore gravità del fatto e la minore entità della tangente che si assume versata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Ad esito della sentenza rescindente e di quella impugnata, i capi oggetto dei ricorsi sono quelli sub A) (reato ex art. 416 cod. pen.) per COGNOME e COGNOME; quello sub A) (come riqualificato dalla Corte di appello in favoreggiamento reale) e sub B) (corruzione propria ex art. 319 cod. pen.) per NOME COGNOME; quello sub H) (corruzione propria) per COGNOME e COGNOME; quello sub L) (corruzione propria) per COGNOME, COGNOME e COGNOME.
Capo A): reato ex art. 416 cod. pen., ascritto a NOME COGNOME e NOME COGNOME
Il primo motivo dei ricorsi , inerente all’affermazione di responsabilità per il reato associativo, è generico.
2.1. Nei ricorsi di COGNOME viene genericamente censurata una insussistente violazione di legge e dedotta la ‘ mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione’, in contrasto con il principio ribadito di recente dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 24591 del 16/07/2020, COGNOME non mass. sul punto), secondo il quale «il ricorrente che intenda denunciare contestualmente, con riguardo al medesimo capo o punto della decisione impugnata, i tre vizi della motivazione deducibili in sede di legittimità ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e ), cod. proc. pen., ha l’onere -sanzionato a pena di aspecificità, e quindi di inammissibilità, del ricorso -di indicare su quale profilo la motivazione asseritamente manchi, in quali parti sia contraddittoria, in quali manifestamente illogica, non potendo attribuirsi al giudice di legittimità la funzione di rielaborare l’impugnazione, al fine di estrarre dal coacervo indifferenziato dei motivi quelli suscettibili di un utile scrutinio, in quanto i motivi aventi ad oggetto tutti i vizi della motivazione sono, per espressa previsione di legge, eterogenei ed incompatibili, quindi non suscettibili di sovrapporsi e cumularsi in riferimento ad un medesimo segmento della motivazione» (in senso conforme, da ultimo, vds. Sez. 4, n. 8294 del 01/02/2024, COGNOME, Rv. 285870 -01).
I ricorsi difettano di specificità estrinseca in quanto contestano apoditticamente la conclusione della Corte di appello, secondo la quale ‘ le conversazioni intercettate sono dimostrative del fatto che gli imprenditori COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, NOME COGNOME non solo avessero rapporti con il COGNOME e il suo collaboratore NOME e accettassero di pagare loro delle ‘ tangenti ‘ , in misura corrispondente al
10%, per ottenere l’aggiudicazione di appalti, affidamenti e commesse deliberate dalla Marina militare di Taranto, ma avessero la piena consapevolezza, ciascuno, dell’esistenza degli altri loro colleghi, nella stessa posizione, e della conseguente necessità di una ‘ spartizione ‘ tra di essi dei vari affidamenti ‘ (pag. 8); pertanto, ciascuno di loro ‘ era ben consapevole che vi erano altri imprenditori i quali, allo stesso modo, ottenevano le commesse dal COGNOME e pagavano le medesime tangenti e che doveva esserci una rotazione ed una ripartizione equilibrata di affidamenti e commesse; essi poi, oltre ad avere rapporti diretti con il Di COGNOME e con il COGNOME, avevano anche dei rapporti tra di loro, anche perché, soprattutto quando il Di COGNOME ha cominciato a non fidarsi più del COGNOME, erano gli stessi imprenditori più vicini al Di COGNOME, in particolare COGNOME NOME e COGNOME, a fare da intermediario con altri imprenditori ‘ (pag. 12) .
La sentenza ha richiamato e commentato una serie numerosissima di conversazioni intercettate (pagg. 8-12), alcune delle quali soltanto intervenute fra COGNOME e COGNOME
Senza confrontarsi in alcun modo con le argomentazioni della Corte territoriale, la difesa ha affermato genericamente che la condanna per il reato associativo sarebbe stata confermata ‘in base ad eclatanti travisamenti della prova’, senza tuttavia indicarne nemmeno uno, dovendosi ribadire che il travisamento della prova, introdotto quale ulteriore criterio di giudizio della contraddittorietà estrinseca della motivazione dalla legge 20 febbraio 2006, n. 46, non costituisce il mezzo per valutare nel merito la prova, bensì lo strumento per saggiare la tenuta della motivazione alla luce della sua coerenza logica con i fatti sulla base dei quali si fonda il ragionamento.
I ricorsi, poi, hanno obliterato del tutto la parte della motivazione (pagg. 1314) ove sono state valorizzate le dichiarazioni rese nel corso degli interrogatori dagli imprenditori COGNOME, COGNOME NOME e COGNOME i quali, unitamente a Bisceglia, hanno definito la propria posizione mediante applicazione della pena ex art. 444 cod. proc. pen. con sentenza divenuta irrevocabile.
Superando le lacune motivazionali evidenziate nella sentenza rescindente, il Giudice del rinvio ha dato ampiamente conto di tutti gli elementi dimostrativi dello stabile legame fra i suddetti imprenditori, COGNOME e COGNOME, dei continuativi rapporti di affari illeciti con una stabile compravendita dell’esercizio di funzioni pubbliche nonché del ‘ ricorso sistematico all’attività corruttiva, quale strumento utile a sottrarre indebitamente, programmaticamente e strutturalmente, risorse alle casse pubbliche e a ripartire, sulla base delle ‘ provvista ‘ così formata, illeciti vantaggi tra pubblici ufficiali ed imprenditori, e,
quindi, in definitiva, a perseguire e realizzare una durevole comunanza di scopo tra soggetti, pur inizialmente portatori di interessi individuali diversificati ‘ (pag. 23) ; la Corte d’appello ha poi rimarcato i numerosi indici dimostrativi della sussistenza di una struttura organizzativa (pag. 24), anche in questo caso non specificamente contestati nei ricorsi.
2.2. Anche il ricorso di COGNOME è sul capo A) del tutto generico.
Senza fondamento, la difesa, con riferimento ai patteggiamenti degli imprenditori, ha affermato che il convincimento della Corte d’appello ‘è stato fuorviato dalla presenza delle suddette sentenze sui casellari giudiziali’, obliterando le ampie argomentazioni sopra richiamate, supportate da una minuziosa analisi delle conversazioni intercettate e delle dichiarazioni degli indagati.
Anche questo ricorso apoditticamente reitera la tesi dei singoli rapporti corruttivi bilaterali conclusi con i vari imprenditori, disattesa nella sentenza (pagg. 12-13) con specifica motivazione in relazione alla quale neppure è stato dedotto alcun vizio.
Quanto alla specifica posizione di COGNOME, la difesa ha sostenuto che il suo unico compito ‘fosse quello di riscuotere le tangenti dai vari imprenditori e di consegnarle a chi di dovere’, omettendo di confrontarsi ancora una volta con le argomentazioni del Giudice del rinvio (pagg. 14-16) in ordine al suo ruolo di promotore del sodalizio, desunto dalle intercettazioni e dagli interrogatori resi da vari imprenditori e da COGNOME del quale fu dall’inizio uno stretto collaboratore, ricoprendo un ruolo ben diverso da quello marginale indicato nel ricorso (avuto riguardo ‘ai rapporti illeciti con gli imprenditori, all’aggiudicazione degli appalti agli imprenditori del giro -in modo che fossero mantenuti gli equilibri e vi fosse una ripartizione degli incarichi cosicché tutti pagassero e tutti beneficiassero dei profitti legati agli appalti e non avessero interesse a sporgere denunce -, a fare da tramite tra il COGNOME e gli imprenditori in vista degli incontri, a sollecitare gli imprenditori ai pagamenti, a riscuotere le somme delle tangenti e consegnarle al Di Guardo, a sollecitare il Di Guardo a prestare attenzione e a nascondere il denaro, in modo da non custodirlo nella sua abitazione, ad attivarsi per acquisire informazioni utili a comprendere se vi fossero indagini in corso, da chi fossero svolte ecc., ad offrirsi per provvedere lui ad occultare il denaro del Di Guardo una volta avuto notizia dell’indagine in corso’) .
La circostanza che COGNOME, nel luglio del 2016, avesse in qualche modo estromesso COGNOME il quale si era fatto pagare da NOME COGNOME tangenti doppie a quelle pattuite del 10% trattenendo per sé la differenza, ‘ conferma che
sino ad allora il ruolo di NOME era stato di particolare rilievo e pregnanza all’interno del sodalizio’, come logicamente ritenuto dalla Corte d’appello .
2.3. È privo di ogni fondamento il secondo motivo del ricorso di COGNOME con il quale si è denunciata la illogicità della motivazione con riferimento alla omessa declaratoria di estinzione del reato associativo per intervenuta prescrizione, una volta individuata nel luglio del 2016 la cessazione dell’appartenenza dello stesso imputato all’associazione per delinquere .
Infatti, avuto riguardo al massimo edittale previsto per la fattispecie ex art. 416, primo comma, cod. pen. (sette anni), ai sensi degli artt. 157, primo comma, e 161, secondo comma, cod. pen., il tempo necessario a prescrivere è di otto anni e nove mesi, cui vanno aggiunti i 159 giorni di sospensione della prescrizione in primo grado (specificamente indicati a pag. 2 della sentenza impugnati e non contestati) e i 30 giorni di sospensione nel presente grado di giudizio a seguito del rinvio dell’udienza del 6 maggio 2025 per adesione dei difensori all’astensione dalle udienze proclamata da organismi di categoria.
Anche ipotizzando la cessazione dell’appartenenza di NOME al sodalizio al 1° luglio 2016, la prescrizione, considerando i 189 giorni di sospensione, maturerebbe solo il 7 ottobre 2025.
Capo A): reato ex art. 379 cod. pen., per le condotte successive al 29 luglio 2016, così riqualificato dalla Corte d’appello, ascritto a NOME COGNOME
Il secondo motivo di ricorso non è manifestamente infondato.
Secondo un orientamento della giurisprudenza di legittimità, il delitto di favoreggiamento personale non è configurabile in corso di consumazione di un reato permanente, in quanto qualsiasi agevolazione del colpevole posta in essere durante la perpetrazione della sua condotta si risolve, salvo che non sia diversamente previsto, in un concorso, quanto meno morale, nel reato allo stesso ascritto (cfr., anche di recente, Sez. 6, n. 42980 del 03/10/2024, P., Rv. 287264 -03; Sez. 3, n. 14961 del 27/03/2024, COGNOME, Rv. 286105 -01; Sez. 2, n. 282 del 22/09/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282510 -01; Sez. 3, n. 364 del 17/09/2019, dep. 2020, C., Rv. 278392 -01).
Detto indirizzo richiama la decisione con la quale le Sezioni Unite, affermando il medesimo principio, hanno statuito che il reato di favoreggiamento non è configurabile con riferimento alla illecita detenzione di sostanze stupefacenti in costanza di detta detenzione (Sez. U, n. 36258 del 24/05/2012, COGNOME, Rv. 253151 -01).
Lo stesso principio è stato affermato in alcune pronunce di questa Corte anche in relazione al reato di favoreggiamento reale che, come quello personale, richiederebbe l’avvenuta consumazione del reato ascritto al soggetto favorito; pertanto, qualora si tratti di reato associativo, occorre che si sia già verificata la sua cessazione, costituita dallo scioglimento del sodalizio, dandosi luogo altrimenti alla configurabilità, non del favoreggiamento, ma della partecipazione o del concorso esterno, a seconda che risulti o meno dimostrato lo stabile inserimento del soggetto nella struttura associativa (cfr., ad es., Sez. 3, n. 364 del 17/09/2019, dep. 2020, C., Rv. 278392 nonché Sez. F, n. 38236 del 03/09/2004, COGNOME, Rv. 229648 -01; da ultimo, vds. Sez. 2, n. 17545 del 08/04/2025, COGNOME, non mass.).
Nel caso di specie, è pacifico che le condotte che secondo la Corte d’appello avrebbero integrato il delitto di favoreggiamento reale (l’aiuto a occultare la somma di novecento euro che COGNOME consegnò a COGNOME e l’apertura di un conto corrente sul quale quest’ultimo potesse versare il denaro provento delle corruzioni) furono commesse dalla Boicea prima del 14 settembre 2016, quando il sodalizio criminoso era ancora operativo e quindi non era cessata la permanenza del reato associativo.
Il ricordato orientamento giurisprudenziale non è consolidato, ma risulta evidente come non si sia in presenza di un motivo inammissibile; va ribadito in proposito che «il ricorso per cassazione la cui definizione presupponga la risoluzione di problema oggetto di contrasto nella giurisprudenza di legittimità non può considerarsi proposto per motivi manifestamente infondati e, come tale, non è inammissibile, sicché non preclude la rilevazione della prescrizione del reato maturata nelle more della sua discussione» (così, Sez. 2, n. 19411 del 12/03/2019, COGNOME, Rv. 276062 -01).
Pur considerando come il 14 settembre 2016 la data di commissione dei due reati di favoreggiamento reale, successivi al 29 luglio 2016, come individuati nella sentenza impugnata (pagg. 22 e 23), la prescrizione è ampiamente maturata.
Infatti, ai sensi degli artt. 157, primo comma, e 161, secondo comma, cod. pen., il tempo necessario a prescrivere è di sette anni e sei mesi, cui vanno aggiunti i 159 giorni di sospensione nel primo grado di giudizio, cosicché la prescrizione è maturata il 19 agosto 2024, già prima del deposito della sentenza impugnata (non rilevando, ovviamente, le modifiche in tema di prescrizione e improcedibilità, apportate rispettivamente dalla legge 9 gennaio 2019, n. 3, e dalla legge 27 settembre 2021, n. 134, riguardanti i reati commessi dal 1° gennaio 2020).
Pertanto, la sentenza impugnata va sul capo annullata senza rinvio perché il reato è estinto per prescrizione.
Capo B): reato ex art. 319 cod. pen., ascritto a NOME COGNOME.
Il quarto e assorbente motivo di ricorso è fondato là dove censura la qualificazione giuridica dei fatti contestati in termini di concorso nel reato ex art. 319 cod. pen. e non come favoreggiamento reale.
La sentenza rescindente aveva evidenziato che, fra le condotte descritte nel capo B), il solo contributo della Boicea ‘secondo l’accusa -si sarebbe concretizzato nell’acquisto di capi d’abbigliamento presso un lussuoso negozio della città, il cui corrispettivo è stato poi versato dall’imprenditore COGNOME, venendo tale prestazione considerata il prezzo della corruzione ‘.
La pronuncia impugnata fa riferimento a tale fatto e alla consegna da parte dello stesso RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE di una busta contenente tremila euro.
Dette condotte della ricorrente erano state specificamente richiamate dalla Corte d’appello nell’esame della questione inerente alla sua partecipazione all’associazione per delinquere (pag. 17). Secondo il Giudice del rinvio, l ‘imputata era ‘ben consapevole che i pagamenti che l’Agliata e altri imprenditori facevano si riferissero all’esecuzione di accordi corruttivi’ .
Ciononostante, più in generale e avuto anche riguardo a una serie di condotte ulteriori della Boicea, la sentenza impugnata ha osservato che gli atti ‘ da lei compiuti -contare il denaro riscosso dal COGNOME a titolo di tangenti, concorrere al suo occultamento, ricevere denaro da un imprenditore, al fine di consegnarlo al COGNOME, consapevole che si trattasse di una tangente, effettuare acquisti di costosi capi di abbigliamento senza pagarli, sapendo che sarebbero stati pagati da uno degli imprenditori del gruppo capeggiato dal compagno ed allo stesso debitore di tangenti in relazione alle commesse ricevute, recarsi in Romania per aprire un conto estero, sul quale il COGNOME potesse versare tramite Internet banking -sembrano realizzati più nell’interesse del Di Guardo, che al fine di agevolare l’attività dell’associazione a delinquere a lui facente capo ‘ (pagg. 21 -22).
Tutte queste condotte, dunque, sono state qualificate dalla Corte territoriale come favoreggiamento reale, con ampia e logica motivazione (a prescindere dalla questione di diritto trattata al § 3.) e risulta evidente come fra quelle sopra descritte fossero comprese proprio le due che la sentenza ha poi ritenuto contraddittoriamente integrare il reato di corruzione propria (‘ ricevere denaro da un imprenditore, al fine di consegnarlo al COGNOME, consapevole che si trattasse di una tangente, effettuare acquisti di costosi capi di abbigliamento senza
pagarli, sapendo che sarebbero stati pagati da uno degli imprenditori del gruppo ‘).
Ciò a prescindere dalla individuazione dello specifico patto corruttivo intervenuto in rapporto sinallagmatico con le elargizioni, in relazione alla quale la sentenza impugnata non ha colmato le lacune motivazionali denunciate dalla Sesta Sezione (ovvero, più a monte, il deficit probatorio, secondo quanto si evince dalla ricostruzione in fatto della vicenda), cosicché, in ogni caso, le condotte contestate alla ricorrente al capo B) non avrebbero comunque integrato il delitto previsto dall’art. 319 cod. pen.
Pertanto, riqualificato il fatto ascritto in detto capo ai sensi degli artt. 81 e 379 cod. pen., anche in questo caso la prescrizione è maturata non oltre il 19 agosto 2024, come si è visto (cfr. § 3.), con conseguente annullamento senza rinvio della sentenza in parte qua .
Capo H): reato ex art. 319 cod. pen., ascritto a NOME COGNOME e NOME COGNOME.
I motivi proposti nei ricorsi di COGNOME (il secondo) e di COGNOME (il primo e il secondo), relativi alla qualificazione giuridica del fatto sono fondati, rimanendo tutti gli altri assorbiti.
La sentenza impugnata, pur avendo testualmente riportato le criticità della motivazione della pronuncia annullata, rilevate sul capo in oggetto dalla Sesta Sezione (pagg. 33-34), si è concentrata solo su un aspetto della questione demandata al Giudice del rinvio, come si evince anche dalla premessa, là dove ha ritenuto di dovere (soltanto) ‘stabilire se l’accordo corruttivo fosse riferito, o meno, al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio e, dunque, di verificare se vi sia stata violazione delle norme attinenti a modi, contenuti o tempi del provvedimento da assumere; ovvero di stabilire se il Di Guardo abbia inteso, con tale affidamento all’impresa del Calabrese, pregiudizialmente realizzare l’interesse del privato corruttore, o se abbia realizzato ugualmente l’interesse pubblico e non abbia violato alcun dovere specifico’ .
La necessità di accertare la contrarietà ai doveri d’ufficio dell’atto compiuto dal pubblico ufficiale era stata enfatizzata nella sentenza rescindente per contrastare ‘l’errata premessa giuridica sulla quale la Corte d’appello costruito la propria decisione: quella, cioè, per cui la corruzione per l’esercizio della funzione si configuri soltanto qualora l’agente pubblico non ponga in essere alcun atto del suo ufficio’ (pag. 33).
Tuttavia, anche nella parte generale della motivazione, nella premessa comune fatta al fine di tracciare la linea di confine fra il delitto di corruzione
‘propria’ (art. 319 cod. pen.) e quello di corruzione per l’esercizio della funzione (art. 318 cod. pen.), era ben chiaro come a monte, prima di valutare la questione circa la contrarietà ai doveri d’ufficio dell’atto, vi fosse comunque la necessità di accertare la sussistenza o meno di un accordo corruttivo fra COGNOME e COGNOME che prevedesse l’effettuazione delle due prestazioni (l’atto contrario ai doveri d’ufficio del pubblico ufficiale e l’erogazione della somma di tremila euro) in corrispondenza sinallagmatica. Solo in caso affermativo sarebbe stata integrata la più grave fattispecie criminosa.
Del resto, è da tempo consolidato nella giurisprudenza di legittimità (e, in particolare, in quella della Sesta Sezione penale) il principio secondo il quale il reato di corruzione propria presuppone «che sussista un rapporto sinallagmatico tra il compimento dell’atto d’ufficio e la promessa o ricezione di un’utilità, la cui dazione deve rappresentare l’adempimento del patto corruttivo» (così, Sez. 6, n. 15641 del 19/10/2023, dep. 2024, Saguto, Rv. 286376 -07; in senso conforme cfr., ad es., Sez. 6, n. 14027 del 13/02/2024, Greco, Rv. 286373 -01; Sez. 6, n. 3765 del 09/12/2020, dep. 2021, COGNOME Rv. 281144 -01; Sez. 6, n. 18125 del 22/10/2019, dep. 2020, Bolla, Rv. 279555 -05; Sez. 6, n. 39008 del 06/05/2016, COGNOME, Rv. 268088 -01).
La sentenza rescindente, esaminando proprio il capo di cui si tratta, aveva censurato la pronuncia della Corte di appello soprattutto per una motivazione contraddittoria e per un paralogismo nella confutazione della tesi difensiva proposta da COGNOME e COGNOME circa la ‘giustificazione alternativa di quelle aggiudicazioni in favore del Calabrese’, vale a dire che ‘la determinazione in tal senso del COGNOME fosse stata un’iniziativa spontanea dello stesso e non il prodotto di un patto corruttivo tra i due’ (pag. 34).
In particolare, COGNOME aveva sostenuto che l’affidamento alla RAGIONE_SOCIALE, società allo stesso riconducibile, del servizio di raccolta e smaltimento di acque reflue della nave militare RAGIONE_SOCIALE era stato deciso da COGNOME per rimediare alla ingiusta revoca di una precedente aggiudicazione alla stessa società ed evitare eventuali iniziative giudiziarie dello stesso COGNOME.
NOME COGNOME, che nel corso della fase delle indagini preliminari ha in larga parte ammesso le proprie responsabilità e numerosi episodi corruttivi per i quali è stato poi definitivamente condannato, ha escluso che la successiva dazione della somma di tremila euro da parte dell’imprenditore fosse avvenuta in adempimento di un pregresso patto corruttivo finalizzato a quell’affidamento: la circostanza risulta chiaramente dall’interrogatorio reso il 15 dicembre 2016, allegato al ricorso di COGNOME.
Su questo punto, che rivestiva carattere preliminare e che -come visto -costituiva oggetto del giudizio di rinvio, la sentenza impugnata non ha sciolto il nodo, essendosi limitata a riportare il dato oggettivo (e pacifico) del versamento da Calabrese a COGNOME della somma di tremila euro, nell’agosto del 2016, quindi successivamente all’affidamento del servizio deliberato il 30 giugno 2016, ‘somma corrispondente, grossomodo, al 10% dell’importo della commessa’ (pag. 28), secondo la notoria e consolidata prassi della Marina militare tarantina.
Ritiene il Collegio che, in ragione della analitica ricostruzione del fatto da parte del Giudice del rinvio e dell’approfondita analisi delle risultanze probatorie, si sia in presenza non già di un vizio motivazionale bensì di un deficit di prova che dalla stessa motivazione emerge: in sostanza, non vi sono concreti elementi, neppure ricavabili dalla conversazione fra COGNOME e COGNOME intercettata il giorno 11 luglio 2016 (come riconosciuto espressamente nella sentenza impugnata a pag. 28), per affermare, in contrasto con le dichiarazioni rese dai due imputati in sede di interrogatorio, che la dazione della somma di denaro rappresentasse l’adempimento di un pregresso specifico patto corruttivo riguardante quell’affidamento.
Va anche considerato che NOME COGNOME è stato assolto con formula piena dal reato di turbativa d’asta di cui al capo I) dell’imputazione, richiamato nel capo H) per riempire quest’ultimo di contenuto: era stata disattesa, dunque, già dalla prima sentenza della Corte d’appello, la tesi accusatoria secondo la quale l’imprenditore aveva turbato il regolare svolgimento del procedimento amministrativo riguardante l’affidamento ottenuto dalla società RAGIONE_SOCIALE
La condotta contestata al capo H), pertanto, va inquadrata nella fattispecie prevista dall’art. 318 cod. pen., all’epoca del fatto punita con la pena massima di sei anni di reclusione, in relazione alla quale, pertanto, il calcolo della prescrizione è il medesimo di quello visto per il reato di favoreggiamento reale sub § 3.
R iqualificato il fatto ascritto al capo H) ai sensi dell’art. 318 cod. pen., la sentenza va annullata senza rinvio perché il reato è estinto per prescrizione.
Degli effetti della pronuncia sul trattamento sanzionatorio quanto a COGNOME si dirà al § 7.
Capo L): reato ex art. 319 cod. pen., ascritto a NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
I motivi proposti nei ricorsi di COGNOME (il terzo), di COGNOME (il quarto) e di COGNOME (il secondo), relativi alla qualificazione giuridica del fatto sono fondati, rimanendo tutti gli altri assorbiti.
La Corte d’appello ha testualmente richiamato (pag. 35) le indicazioni della sentenza rescindente, là dove, in conclusione, censurava quella del Giudice di secondo grado per avere ‘ omesso di verificare la conformità o meno alla disciplina degli appalti pubblici delle commesse assegnate al COGNOME o, quanto meno, in alternativa, la strumentalità delle stesse all’esclusivo soddisfacimento del suo interesse in pregiudizio di quello pubblico, nonché il rapporto sinallagmatico tra tali assegnazioni ed i versamenti di somme da lui effettuati (compatibili, diversamente, con il proposito di guadagnarsi semplicemente il generico favore del pubblico ufficiale, mettendolo ‘ a libro paga ‘ : ipotesi, questa, sussumibile nella fattispecie dell’art. 318 ‘…).
Anche in questo caso, però, il Giudice del rinvio si è concentrato esclusivamente sulla illegittimità degli affidamenti diretti, peraltro non senza cadere in alcune lacune motivazionali (sul cumulo dell’importo degli affidamenti a due diverse società, per quanto entrambe riconducibili all’imprenditore COGNOME; sul valore soglia del cottimo fiduciario previsto dall’art. 125, comma 11, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163; sulla omessa considerazione della specifica normativa di settore per gli appalti del Ministero della Difesa di cui al d.P.R. 15 novembre 2012, n. 236, pure richiamata negli atti della procedura autorizzativa citati nell’informativa della Guardia di Finanza ).
È mancata, dunque, una verifica sul rapporto sinallagmatico tra le assegnazioni alle società riferibili a COGNOME (il cui numero elevato è già stato considerato nella sentenza rescindente elemento irrilevante ai fini dell’inquadramento della fattispecie nel reato ex art. 319 cod. pen.) e i versamenti di somme effettuati dallo stesso imprenditore.
La Corte territoriale si è limitata a indicare gli affidamenti avuti dalle due società negli anni 2015 e 2016 e a ritenere dimostrato il pagamento di ‘tangenti’, senza tuttavia quantificare un solo pagamento e in assenza della indicazione di alcuna correlazione tra assegnazione di un appalto e versamento di una somma di denaro, venendo così meno al compito richiesto dalla sentenza rescindente che sul punto aveva ritenuto fondato il secondo motivo del ricorso di COGNOME: in esso si lamentava che la pronuncia impugnata non aveva spiegato ‘quando, in che modo ed in relazione a quali specifici atti contrari ai doveri d’ufficio si sarebbe perfezionato il patto corruttivo, né quanti e di quale importo sarebbero stati i versamenti in ipotesi operati dal COGNOME‘.
Il Giudice del rinvio non ha colmato la lacuna della motivazione, anche in questo caso -ritiene il Collegio -in ragione di un deficit probatorio emergente dalla ricostruzione del fatto.
Si consideri anche che la sentenza impugnata ha ricordato (pagg. 11 e 35) che, da una conversazione intercettata il 29 luglio 2016 fra COGNOME e l’imprenditore COGNOME , era emerso che COGNOME si era lamentato con il secondo perché non stava ricevendo appalti, al che i due interlocutori concordarono che COGNOME avrebbe provveduto a ‘tirarselo dentro’ piano piano : si tratta di una ricostruzione ben poco compatibile con l’ipotesi di pagamenti effettuati in rapporto sinallagmatico con l’assegnazione di singoli appalti, in ogni caso -come detto -neppure indicati dal Giudice del rinvio.
Pertanto, riqualificato il fatto ascritto al capo L) ai sensi dell’art. 318 cod. pen., la sentenza va annullata senza rinvio perché il reato è estinto per prescrizione.
Degli effetti della pronuncia sul trattamento sanzionatorio quanto a COGNOME e COGNOME si dirà nel paragrafo che segue.
7. Il trattamento sanzionatorio per COGNOME e COGNOME.
A seguito degli annullamenti disposti, per NOME COGNOME e COGNOME non residua alcun reato, mentre per COGNOME e COGNOME vanno eliminate le pene in aumento inflitte per i reati satellite ascritti ai capi H) e L) (per il primo) e al capo L) (per il secondo).
Nel contempo, vanno emendati gli errori relativi al trattamento sanzionatorio segnalati nei ricorsi di COGNOME e COGNOME (rispettivamente con il quarto e il terzo motivo), presenti nel dispositivo, dovendosi altresì correggere l’errore di calcolo presente nella sentenza impugnata in danno del secondo imputato.
Rimangono inalterate le pene determinate nella sentenza impugnata (e in quella annullata) per gli altri reati, poiché la relativa quantificazione non ha formato oggetto del ricorso di Martire e il motivo sull’entità della pena , proposto nel ricorso di COGNOME, peraltro in modo generico con riferimento al trattamento sanzionatorio complessivo, era inammissibile: infatti, con il precedente ricorso per cassazione, si era soltanto impugnato il punto inerente al diniego delle circostanze attenuanti generiche (con il settimo motivo, disatteso dalla sentenza rescindente).
Le pene vengono rideterminate nei termini che seguono.
Per COGNOME: pena base per il più grave reato di cui al capo M) anni sei di reclusione, aumentata per la continuazione di nove mesi di reclusione ciascuno per i reati di cui ai capi A), B), C), D), E), F), G), N), di due mesi per il reato sub I) e di un mese per il reato di cui al capo O), sino a complessivi dodici anni e tre mesi di reclusione, pena ridotta per il rito a quella finale di otto anni e due mesi di reclusione.
Per Martire: pena base per il più grave reato di cui al capo S) anni sei di reclusione, aumentata per la continuazione di tre mesi di reclusione per il reato di cui al capo A), di sei mesi per ciascuno dei reati di cui ai capi B), F), G), di un mese per il reato sub I), di nove mesi per ciascuno dei reati di cui ai capi M) e T) e di due mesi per il reato sub U), sino a complessivi nove anni e sei mesi di reclusione, pena ridotta per il rito a quella finale di sei anni e quattro mesi di reclusione.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di: COGNOME NOME in relazione ai capi A) e B), come riqualificato quest’ultimo ex artt. 81, 379 cod. pen., perché estinti per prescrizione; COGNOME NOME perché il reato di cui al capo H), come riqualificato a norma dell’art. 318 cod. pen., è estinto per prescrizione; COGNOME NOME in relazione ai capi H) ed L), come riqualificati a norma dell’art. 318 cod. pen., perché i reati sono estinti per prescrizione ed elimina la relativa pena di anni uno di reclusione, rideterminando la pena finale complessiva in anni otto e mesi due di reclusione; NOME NOME in relazione al capo L), come riqualificato a norma dell’art. 318 cod. pen., perché il reato è estinto per prescrizione ed elimina la relativa pena di mesi quattro di reclusione, rideterminando la pena finale complessiva in anni sei e mesi quattro di reclusione; COGNOME NOME, perché il reato di cui al capo L), come riqualificato a norma dell ‘ art. 318 cod. pen., è estinto per prescrizione.
Dichiara inammissibili nel resto i ricorsi di COGNOME NOME e di COGNOME NOME.
Così deciso il 05/06/2025.