Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 1650 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 1650 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 28/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Catania il 23/06/1996
avverso la sentenza del 22/06/2023 della Corte di appello di Catania visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 24/04/2017 il Tribunale di Catania ha dichiarato NOME COGNOME responsabile del reato di cui all’art. 336 cod. pen. e lo ha condannato alla pena di mesi quattro di reclusione con il beneficio della sospensione condizionale della pena.
La Corte di appello di Catania ha revocato tale beneficio, confermando, nel resto la sentenza di primo grado.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato denunciando i motivi di annullamento, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo di ricorso si deduce il vizio di difetto di motivazione in riferimento alla sussistenza del reato di cui all’articolo 336 cod. pen., in quanto le minacce prospettate dall’imputato sarebbero inidonee a coartare la volontà dei pubblici ufficiali.
2.2 Con il secondo motivo di ricorso si deduce il vizio di violazione di legge in relazione agli articoli 129 cod. proc. pen. e 157 cod. pen., in quanto il reato si è estinto per intervenuta prescrizione prima dell’emissione della sentenza impugnata.
2.3 Con il terzo motivo si deduce il vizio di violazione di legge in relazione all’articolo 597 cod. proc. pen., avendo la Corte violato il divieto di reformatio in peius in quanto, in assenza di appello del pubblico ministero, ha revocato il beneficio della sospensione condizionale della pena concesso in primo grado.
Disposta la trattazione scritta del procedimento, in mancanza di richiesta nei termini ivi previsti di discussione orale, il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Va preliminarmente esaminato il secondo motivo di ricorso, con cui si deduce che il reato era prescritto prima dell’emissione della sentenza di secondo grado.
Tale censura è infondata.
Il termine di prescrizione per il reato di cui all’art. 336 cod. pen. è di anni se (art. 157, comma 1, cod. pen.) mentre il termine massimo, tenuto conto delle interruzioni, è di anni sette e mesi sei (art. 161, comma 2, cod. pen.).
A tale termine vanno aggiunte le sospensioni della prescrizione (in primo grado: sessanta giorni per rinvio per impedimento del difensore dal 21/11/2016 al 22/07/2016; quattro mesi in secondo grado, dal 23/02/2023 al 22/06/2023).
Il termine di fase, di sei anni e sessanta giorni, decorrente dalla emissione della sentenza di primo grado, non era, quindi, ancora decorso al momento della emissione della sentenza di secondo grado (22/06/2023) e, quindi, a maggior ragione, al momento della notificazione del decreto di citazione in appello.
La prescrizione è maturata dopo la sentenza di appello.
Tenuto conto delle sospensioni sopra indicate, infatti, il termine massimo prescrizione è scaduto il 05/10/2023.
La causa estintiva deve essere rilevata da questa Corte in applicazione dell’ 129, comma 1, cod. proc. pen., essendo il rapporto processuale validamente instaurato con un ricorso non manifestamente infondato (Sez. U, n. 12602 de 17/12/2015, COGNOME Rv. 266818 secondo cui solo l’inammissibilit dell’impugnazione paralizza, sin dal suo insorgere, i poteri decisori del giudi quale, al di là dell’accertamento di tale profilo processuale, non è abili occuparsi del merito e a rilevare, a norma dell’ 129 cod. proc. pen., cause di punibilità, quale l’estinzione del reato per prescrizione, sia se mat successivamente alla sentenza impugnata sia se verificatasi in precedenza, n corso cioè del giudizio definito con tale sentenza, destinata a rima immodificabile, proprio perché contrastata da una impugnazione inammissibile).
Non sussistono i presupposti per l’emissione di sentenza ex art. 129, comma 2, cod. proc. pen. in quanto non emergono in modo assolutamente non contestabile circostanze idonee a escludere l’esistenza del fatto, la commiss del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale (Sez. U, n. 354 del 28/05/2009, COGNOME, Rv. 244274 – 01).
Del resto, la ricostruzione dei fatti non viene neppure censurata dall’imputa che contesta in modo del tutto generico l’idoneità delle minacce profferit coartare la volontà del pubblico ufficiale.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto p prescrizione.