Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 16933 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 16933 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 04/04/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti nell’interesse di: un COGNOME, nata in Cina il 26/02/1984, COGNOME NOME, nato a Torre Annunziata il 04/12/1954, NOME COGNOME nato in Marocco il 01/01/1981, NOMECOGNOME nato in Marocco il 01/01/1978, COGNOME NOME, nato a San Nicola La Strada il 27/04/1960, COGNOME NOME, nato a Napoli il 16/01/1982, Nocera NOME, nato a Napoli il 22/06/1954, avverso la sentenza del 03/6/2024 della Corte di appello di Napoli; visti gli atti, il provvedimento impugnato i ricorsi e le memorie; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott.
NOME COGNOME che ha concluso chiedendo:
per 3in Changxiang, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente al capo H per prescrizione, dichiararsi inammissibile nel resto il ricorso;
per COGNOME NOME l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata · limitatamente al capo A per prescrizione, dichiararsi inammissibile nel resto il ricorso;
per COGNOME GiovanniCOGNOME l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla non riconosciuta continuazione con altri reati separatamente giudicati, dichiararsi inammissibile nel resto il ricorso;
dichiararsi inammissibili i ricorsi di NOME COGNOME NOME COGNOME Stefano e COGNOME Pietro.
udito il difensore presente della parte civile RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rapp.te pro tempore, avv.to NOME COGNOME che si è riportato alle conclusioni scritte ed alla nota spese già depositata;
uditi i difensori presenti dei ricorrenti, avv. NOME COGNOME per NOME COGNOME e (per delega dell’avv. NOME COGNOME) anche per NOME COGNOME, avv. NOME COGNOME per Changxiang JinCOGNOME che hanno illustrato i motivi di ricorso ed hanno concluso per l’annullamento della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Napoli, con la sentenza emessa il 28 settembre 2020, all’esito del dibattimento, aveva riconosciuto la responsabilità degli imputati oggi ricorrenti per i reati di associazione per delinquere finalizzata alla detenzione per il mercato di merce recante marchi o segni distintivi di note maison contraffatti e ricettazione e, avvinti i detti reati sotto il vincolo della continuazione, aveva condannato:
NOME COGNOME alla pena di anni tre mesi sei di reclusione ed euro 4.000,00 di multa;
NOME COGNOME alla pena di anni quattro mesi sei di reclusione ed euro 6.000,00 di multa;
NOME alla pena di anni tre di reclusione ed euro 4.000,00 di multa;
NOME alla pena di anni tre di reclusione ed euro 4.000,00 di multa;
NOME COGNOME alla pena di anni quattro mesi sei di reclusione ed euro 6.000,00 di multa;
NOME COGNOME alla pena di anni quattro di reclusione ed euro 4.000 di multa;
COGNOME alla pena di anni tre mesi sei di reclusione ed euro 5.500,00 di multa.
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, lin Changxiang erano altresì condannati al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile RAGIONE_SOCIALE in persona del suo legale rappresentante p.t., da liquidarsi in
separata sede ed alla rifusione delle spese di costituzione e rappresentanza da essa sostenute.
NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME erano altresì condannati al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile RAGIONE_SOCIALE in persona del suo legale rappresentante p.t., da liquidarsi in separata sede ed alla rifusione delle spese di costituzione e rappresentanza da essa sostenute.
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME erano altresì condannati al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile RAGIONE_SOCIALE in persona del suo legale rappresentante p.t., da liquidarsi in separata sede ed alla rifusione delle spese di costituzione e rappresentanza da essa sostenute.
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME Pietro, COGNOME Giovanni, erano altresì condannati al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile RAGIONE_SOCIALE in persona del suo legale rappresentante p.t., da liquidarsi in separata sede ed alla rifusione delle spese di costituzione e rappresentanza da essa sostenute.
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME Pietro, COGNOME NOME, COGNOME NOME, erano altresì condannati al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile associazione RAGIONE_SOCIALE in persona del suo legale rappresentante p.t., da liquidarsi in separata sede ed alla rifusione delle spese di costituzione e rappresentanza da essa sostenute.
Ai sensi dell’art. 240 bis cod. pen. era ordinata la confisca dei beni attualmente in sequestro nei confronti degli imputati COGNOME NOME, NOME COGNOME NOME e COGNOME NOME.
La Corte di appello di Napoli, pronunciatasi sugli appelli proposti dagli imputati, ha riformato parzialmente la sentenza impugnata, dichiarando:
non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME limitatamente al reato descritto al capo B, estinto per prescrizione, rideterminando la pena per i reati di cui ai capi A e C nella misura complessiva di anni tre di reclusione ed euro 3500,00 di multa;
non doversi procedere nei confronti di NOMECOGNOME limitatamente ai reati descritti ai capi I ed L, estinti per prescrizione, rideterminando la pena per il delitto associativo sub H, nella misura di anni due e mesi due di reclusione;
non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME limitatamente ai reati descritti ai capi I ed L, estinti per prescrizione, rideterminando la pena per il delitto associativo sub H, nella misura di anni due e mesi due di reclusione;
non doversi procedere nei confronti di Changxiang Jin, limitatamente ai reati descritti ai capi I, Al, Fl, Gl, Li, estinti per prescrizione, rideterminando la pena
per i reati di cui ai capi H ed L, nella misura di anni tre di reclusione ed euro 3500,00 di multa;
non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME limitatamente al reato descritto al capo B, estinto per prescrizione, rideterminando la pena per i reati di cui ai capi A e C nella misura di anni quattro e mesi quattro di reclusione ed euro 5.500,00 di multa;
non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME limitatamente al reato descritto al capo B, estinto per prescrizione, e riconosciute le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla recidiva, rideterminava la pena per i reati di cui ai capi A e C nella misura di anni tre di reclusione ed euro 3500,00 di multa, con la revoca della pena accessoria disposta in primo grado;
non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME limitatamente al reato descritto al capo B, estinto per prescrizione, rideterminando la pena per il reato di cui al capo C nella misura di anni tre e mesi cinque di reclusione ed euro 3.600,00 di multa;
2.1. La Corte confermava nel resto la sentenza impugnata, anche in relazione alle statuizioni civili ed alla disposta confisca ex art. 240 bis cod. pen.; condannava infine gli imputati appellanti alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa in giudizio sostenute nel grado dalle costituite parti civili.
Avverso tale sentenza ricorrono gli imputati, a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia, deducendo a motivi della impugnazione gli argomenti in appresso succintamente rappresentati, secondo quanto previsto dall’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.:
3.1. Changxiang Jin, capi H ed L,
3.1.1. Vizi esiziali di motivazione (art. 606, comma 1, lett. e, cod. proc. pen.), per manifesta illogicità ed intima contraddittorietà, in riferimento alla non corretta individuazione del tempus commissi delicta (capi H ed L), 23 novembre 2012 per la ricettazione (capo L), mentre la prova intercettiva evidenzia condotte attive fino al 14 luglio 2012, 28 settembre 2020 (data della decisione di primo grado) per il delitto associativo descritto al capo H, mentre ancora una volta la prova intercettiva restituisce evidenza di attività associativa fino al 26 luglio 2012 o, al più, fino al 28 novembre 2014;
3.1.2. Ancora, vizi esiziali di motivazione sono dedotti in riferimento alla prova della partecipazione associativa, in particolare per difetto di dolo (consapevolezza di contribuire con la propria condotta alla realizzazione degli scopi sociali), avendo la ricorrente svolto attività commerciale solo in nome e per conto del coniuge, senza mai rapportarsi con gli altri ricorrenti;
3.2. NOME COGNOME capo C,
3.2.1. Mancanza di motivazione (art. 606, comma 1, lett. e, cod. proc. pen.), con riferimento al confermato- riconoscimento della- recidiva qualificata, non avendo la Corte di merito tenuto conto della estinzione di uno dei reati a seguito dell’esito favorevole della probation;
3.2.2. Ancora, vizio di motivazione per manifesta illogicità, in riferimento alla negata continuazione sul precedente giudicato, compiutamente identificato dall’appellante (con deposito di copia della sentenza già irrevocabile) già nel corso delle conclusioni rassegnate in primo grado;
3.2.3. Violazione e falsa applicazione della legge penale, in ordine alla disposta confisca di due unità immobiliari, non avendo la Corte tenuto conto del lavoro di commerciante, ancorché privo di redditi, svolto dal ricorrente sin dal 2002;
3.2.4. Ancora, vizi di motivazione in riferimento alla disposta confisca dei due immobili, non potendo riscontrarsi alcuna sproporzione tra capacità reddituali del ricorrente e acquisto datato degli immobili.
3.3-4. NOME e NOME, capo H,
3.3-4.1. Vizi esiziali di motivazione, per manifesta illogicità e mera apparenza, in riferimento al negato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e della tenuità del fatto (art. 648, comma quarto, cod. pen.);
3.5. NOME COGNOME capi A e C,
3.5.1. Violazione e falsa applicazione della legge penale e vizi esiziali di motivazione, sia in ordine alla ritenuta partecipazione associativa, essendo egli un mero acquirente di merce da NOME COGNOME, sia con riferimento al tempus commissi delicti per il delitto associativo sub A, che aveva già compiuto la sua parabola di efficacia attiva nel novembre del 2011, con pedissequi riflessi sulla prescrizione;
3.5.2. Ancora, i medesimi vizi sono dedotti quanto a mancata qualificazione in termini di grossolanità della contraffazione e mancata prova della qualità di marchi protetti, il che riverbera evidentemente effetti anche sul reato di ricettazione;
3.6. NOME COGNOME capi A e C ,
3.6.1. Travisamento della prova e violazione di legge incriminatrice, quanto a qualificazione dei fatti descritti al capo C (art. 648 cod. pen.); dal contenuto della prova intercettiva si evince che il ricorrente concorreva con NOME COGNOME nella produzione della merce recante marchi contraffatti, in quanto la ordinava in precisi stock, consegue la inconciliabilità logico-giuridica dell’ipotesi di ricettazione, atteso il concorso nel delitto presupposto, da qualificarsi ai sensi dell’art. 473 cod. pen., comunque già prescritto;
3.6.2. Violazione di legge e vizi di motivazione, per mera apparenza, in ordine alla riconosciuta recidiva qualificata, non ricorrendo i presupposti normativi per
ritenere reiterata la recidiva contestata; i precedenti penali del ricorrente appaiono comunque deboli e datati, tanto da non poter rappresentare l’antecedente logicogiuridico della valutazione di accresciuta pericolosità e più intensa colpevolezza;
3.6.3. La Corte territoriale ha infine errato nel non escludere la parte civile A.D.O.C., non ricorrendo prova del danno civile provocato alla costituita associazione dalla condotta contestata al ricorrente;
3.7. NOME COGNOME capi A e C,
3.7.1. Violazione della norma incriminatrice e vizio di motivazione per travisamento della prova, in riferimento alla ritenuta partecipazione associativa sub A, essendo il COGNOME solo il fornitore episodico di NOME COGNOME senza alcun altro contatto rilevante con gli altri sodali, né prova della consapevolezza della esistenza di un organismo plurisoggettivo strutturato e funzionale;
3.7.2. I medesimi vizi sono dedotti quanto a mancato raggiungimento della prova tranquillante di responsabilità per il delitto associativo contestato sub A;
3.7.3. Inosservanza della norma processuale posta a pena di nullità (art. 606, comma 1, lett. c, in riferimento agli artt. 521 e 522 cod. proc. pen.), avendo i giudici di merito condannato il ricorrente per un fatto diverso da quello contestato, in assenza di parametri cronologici precisi nella imputazione;
3.7.4. Violazione della norma penale incriminatrice, non avendo la Corte ritenuto assorbita la condotta di ricettazione in quella di cui all’art. 747 cod. pen.;
3.7.5. Violazione di legge per difetto dei presupposti normativi atti a riconoscere la recidiva qualificata, non potendo ritenersi significativi i precedenti penali di cui è gravato il ricorrente;
3.7.6. Violazione di legge e vizi di motivazione, in riferimento al rigetto del motivo di gravame col quale si insisteva per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, come equivalenti o prevalenti sulla recidiva qualificata, alla conseguente dosimetria della pena, anche con riguardo alla misura degli aumenti calcolati per la continuazione;
3.7.7. Violazione della norma penale, quanto alla disposta confisca degli immobili intestati alla coniuge, in difetto dei presupposti normativi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Preliminarmente, corre l’obbligo di esplicitare le ragioni che, all’udienza pubblica del 4 aprile 2025, hanno indotto il Collegio ad escludere dalla discussione la parte civile “RAGIONE_SOCIALE“, rappresentata dal procuratore speciale, avv. NOME COGNOME che, in data 18 marzo 2025, aveva nominato se
stessa, con espressa revoca di ogni precedente mandato, quale difensore della parte civile nel processo.
1.1. Questa Corte, con giurisprudenza consolidata da oltre un decennio (Sez. 1, n. 5022 del 28/11/2022, dep. 2023, C., Rv. 283947; Sez. 6, n. 14411 del 14/01/2020, C., Rv. 278846-01; Sez. 6, 46021 del 19/09/2018, NOME, 274281-01; Sez. 2, n. 40715 del 16/07/2013, Stara, Rv. 257072-01; tra le più recenti non oggetto di massinnazione, Sez. 2, n. 11152 del 18/01/2024, Braidic, in motiv. Pag. 3, ult. cpv.; Sez. 2, n. 50091 del 01/12/2023, E., in motiv. pag. 2), ha costantemente affermato (anche in tema di costituzione di parte civile) che l’imputato, così come la persona danneggiata dal reato, seppure esercente la professione forense, deve costituirsi necessariamente con il ministero di un difensore terzo rispetto alla parte.
La scelta del Legislatore costituisce, infatti, espressione della volontà di imporre a tutte le parti private del processo penale la difesa tecnica e che ad essa non deroga la previsione dell’art. 13, comma 1, della legge 31 dicembre 2012, n. 247, che va letta in coordinamento con le specifiche previsioni procedurali di ogni ramo dell’ordinamento.
Richiamando la giurisprudenza della Corte costituzionale (sent. n. 188 del 16/12/1980 e n. 395 del 13/07/2000, e della Corte EDU, relativa in particolare all’art. 6, par. 3, lett. c, Carta EDU: cfr. Corte EDU, 27/4/2006, Sannino c. Italia; Corte EDU, 21/09/1993, Kremzow c. Austria; Corte EDU, 24/05/1991, Quaranta c. Svizzera), è stata -del resto- già più volte espressamente evidenziata la conformità alla Carta fondamentale, così come alla Carta EDU, della vigente disciplina processuale penale, sia nella parte in cui non consente la difesa personale, sia nella parte in cui non permette la proposizione personale, da parte dell’imputato, del ricorso per cassazione. Ciò in quanto, l’attività forense, in quanto diretta alla difesa dei diritti, è componente indefettibile dello Stato di diritto, ch ne deve disciplinare l’esercizio posto a presidio dei diritti dei cittadini, garanzia della loro tutela, strumento di accesso alla giustizia da parte di tutti i soggetti, a qualunque categoria sociale essi appartengano. L’attuale disciplina normativa, che preclude l’autodifesa nel processo penale, dunque, si giustifica anche perché le norme che vietano il suo espletamento tutelano un interesse pubblico, in cui, tra l’altro, è coinvolto un diritto fondamentale, quale quello della libertà personale; la difesa tecnica della parte privata non può, dunque, assolutamente mancare, in quanto garantita e “protetta” dalla Costituzione. In quest’ottica, la professione forense assolve ad una funzione sociale regolata da normativa pubblicistica, come si evince dalla previsione costituzionale di cui agli artt. 24 e 13 della Carta fondamentale, circostanza che, a parere della Corte, legittima la decisione assunta
nel quadro normativo vigente, in base al quale la facoltà di autodifesa dell’avvocato non può essere ammessa al di fuori del processo civile.
Tanto premesso, seguono le ragioni della decisione sui ricorsi degli imputati.
Changxiang 3in, capi H (partecipazione ad associazione finalizzata alla commissione di reati di contraffazione, commercio e ricettazione di merce recante marchi contraffatti) ed L (ricettazione).
La logica interna alla decisone consiglia di invertire l’ordine nell’esame dei motivi di ricorso.
2.1. Il secondo motivo di ricorso, che denuncia -in maniera peraltro promiscua- deficit motivazionali sulla prova della partecipazione associativa (capo H) ed in particolare sulla prova del dolo, è inammissibile, ai sensi dell’art. 606, comma 3, cod. proc. pen., per manifesta infondatezza ed assoluta aspecificità, in quanto meramente ripetitivo dei motivi di gravame già respinti, con diffuse e coerenti argomentazioni dalla Corte di merito.
Dalla lettura del testo della sentenza impugnata e di quella consonante di primo grado, si evince che nel giudizio di merito l’affermazione della responsabilità della ricorrente si è fondata sulla corretta analisi delle circostanze di fatto emerse nel corso del giudizio di primo grado e che nel giudizio di appello sono state tenute in debito conto le doglianze di merito sviluppate con i motivi di gravame, anche in tema di prova della consapevolezza di partecipare efficacemente (ancorché dal territorio cinese) ad una compagine plurisoggettiva organizzata (promossa ed organizzata dal coniuge, NOME COGNOME, attiva nella consumazione di una moltitudine di reati di importazione dall’estremo oriente e diffusione sul territorio partenopeo di merce (capi di abbigliamento ed accessori) recante noti marchi contraffatti. La Corte di merito (pag. da 45 a 53 della sentenza impugnata) ha così offerto ai motivi di gravame diffusa ed esaustiva corrispondenza dialettica, che sul punto essenziale della decisione non viene peraltro specificamente censurata con i motivi di ricorso.
Nel giudizio di merito sono state correttamente argomentate (pag. 52 e 53 della sentenza impugnata) consistenza e univocità delle evidenze intercettive che hanno condotto ad affermare la responsabilità dell’imputata rispetto ad entrambe le ipotesi accusatorie descritte in imputazione. Ciò in quanto dal tenore delle numerose conversazioni intercettate, soprattutto con il coniuge residente in Italia e separatamente già giudicato con sentenza irrevocabile, la Corte ha tratto argomento per ritenere dimostrata la chiara consapevolezza della ricorrente di agire efficacemente per offrire il suo contributo personale alla sodalità dedita alla importazione e commercializzazione di merce recante noti marchi contraffatti. La ricorrente interloquiva infatti non solo con il coniuge, con il quale collaborava
operativamente, ma con una pluralità di fornitori, collaboratori ed esportatori che coordinava nelle loro attività commerciali. -Il motivo di ricorso relativo si risolve, pertanto, nella mera riproposizione delle argomentazioni già prospettate al giudice della revisione nel merito e da questi motivatamente respinte, senza svolgere alcun ragionato confronto con le specifiche argomentazioni spese in motivazione; senza cioè indicare le ragioni delle pretese illogicità o della ridotta valenza dimostrativa degli elementi a carico, e ciò a fronte di puntuali argomentazioni contenute nella decisione impugnata, con cui la ricorrente rifiuta di confrontarsi (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, COGNOME, Rv. 255568; Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, COGNOME, Rv. 243838; Sez. 6, n. 22445 del 08/05/2009, COGNOME, Rv. 244181; Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv. 254584).
2.2. Ammissibile e fondato (nei limiti di cui in appresso) è, viceversa, il primo motivo di ricorso, che si diffonde sul tema della prescrizione (non riconosciuta dalla Corte di appello, cui il punto era stato specificamente devoluto con i motivi di gravame ribaditi nelle conclusioni rassegnate) di entrambi i reati contestati, quello associativo descritto al capo H e quello di ricettazione descritto al capo L.
2.2.1. Quanto al delitto di ricettazione contestato al capo L, la Corte ha escluso che il termine di prescrizione fosse elasso alla data della decisione (3 giugno 2024), giacché le condotte attive sarebbero proseguite fino al 23 novembre 2012. Il termine decennale di prescrizione (otto anni, aumentati di un quarto, per effetto degli atti interruttivi) è rimasto infatti sospeso per complessivi 765 giorni e cadeva il 26 dicembre 2024.
Orbene, la difesa ha sul punto censurato specificamente la decisione impugnata, evidenziando, con argomenti certamente non peregrini, che l’ultimo atto di ricettazione contestato in concorso e continuazione non può coincidere con la data del 23 novembre 2012 (termine dell’attività investigativa svolta nei confronti dei diversi imputati), che ben potrebbe essere astrattamente presa in considerazione quale dies ad quem della permanenza in tema di partecipazione associativa, ma giammai quale data di consumazione del reato istantaneo di ricettazione. Ciò soprattutto in considerazione del fatto che, per gli altri due imputati (NOME COGNOME e NOME COGNOME) delle medesime condotte, la Corte ha indicato (con intima ed irrisolta contraddizione argomentativa) la data dell’ultimo atto di ricettazione nel maggio del 2012 e nei confronti del coniuge (separatamente giudicato) la data dell’ultima condotta di ricettazione (in concorso) è indicata nel 14 luglio dello stesso anno. L’argomento che sostiene la prosecuzione nell’attività di ricettazione fino al 23 novembre 2012 appare, pertanto, del tutto disancorato dalle emergenze intercettive, che registrano peraltro la cessazione delle attività di
acquisto dei trafficanti italiani dalla ricorrente al maggio 2012, l’argomento è, pertanto, del pari intimamente contraddittorio.
Stante la non manifesta infondatezza del motivo di ricorso, il decorso del tempo successivo alla data della decisione di appello (3 giugno 2024) può dunque essere efficacemente computato ai fini del calcolo del termine complessivo della prescrizione (Sez. U. n. 21 del 22/10/2000, Rv. 217266; Sez. 6, n. 58095, del 30/11/2017, Tornei, Rv. 271965). I reati di ricettazione contestati in concorso e continuazione (capo L) risultano, pertanto, oggi certamente prescritti, pur tenendo conto dei 765 giorni di sospensione del corso della prescrizione, essendo decorso il termine ultimo alla data del 26 dicembre 2024.
La prescrizione del reato di ricettazione in data successiva alla sentenza di primo grado impone (in considerazione della inammissibilità dei motivi di merito, cfr. paragrafo 2.1.), secondo quanto dispone il testo dell’art. 578 cod. proc. pen., la conferma delle statuizioni civili.
2.2.2. Quanto al dies ad quem della permanenza associativa descritta al capo H, la motivazione della sentenza impugnata -nella incontestata considerazione che la prova della partecipazione associativa “copre” l’intervallo cronologico fino al 23 novembre 2012, data di cessazione dell’attività di indagine di natura intercettivaha inteso valorizzare la formulazione c.d. aperta della imputazione (… dal gennaio 2011 con condotta perdurante). La Corte ha quindi ritenuto che, dimostrata la partecipazione attiva al sodalizio fino al 23 novembre 2012, la permanenza del reato associativo dovesse ritenersi cessata alla data di accertamento in primo grado del fatto (28 settembre 2020), esattamente come era avvenuto nel separato giudizio abbreviato eletto dagli altri imputati -e dallo stesso coniuge NOME COGNOME– dello stesso fatto associativo. Letta sotto questo angolo prospettico potrebbe forse avere un senso l’espressione contenuta al quarto capoverso della pagina 53 della sentenza impugnata: La sentenza del G.i.p. del Tribunale di Napoli, parzialmente riformata dalla Corte di appello ed irrevocabile il 19/04/2017, ha accertato l’operatività del gruppo diretto da NOME COGNOME fino al 28/09/2020 (salvo il passaggio troppo criptico che logicamente dovrebbe legare la data della decisione di primo grado, resa in questo giudizio, alla data della sentenza di primo grado resa nel separato giudizio, nei confronti degli imputati che avevano eletto il rito abbreviato). Resta infatti irrisolta, nella motivazione della sentenza impugnata, la torsione logica che ipotizza un “accertamento a futura memoria, 28/09/2020” contenuto in una sentenza (resa in separato giudizio) del 28 novembre 2014. Se può, infatti, anche ritenersi che, in caso di contestazione c.d. aperta, la cessazione della permanenza coincida con l’accertamento del fatto in primo grado, certamente questo dato cronologico di natura convenzionale non può
farsi discendere da un accertamento svolto in separato giudizio datato quasi sei anni prima della sentenza intervenuta nel primo grado di questo giudizio. –
Peraltro, approfondendo l’analisi sul tema devoluto, la logica che regge questa parte della decisione, per un verso non tiene conto del significato che si trae dalla prova intercettiva valorizzata con i motivi di appello, ove si dava conto dell’esaurimento della dimostrata virulenza di questa compagine al luglio 2012 (e comunque certamente non oltre il novembre di quello stesso anno), per altro verso si pone in aperto (forse inconsapevole) contrasto con la giurisprudenza di questa Corte (da Sez. 2, n. 23343 del 01/03/2016, Ariano, Rv. 267080, fino a Sez. 2, n. 37104 del 13/06/2023, Aligi, Rv. 285414, tra le ultime oggetto di massimazione; meno recentemente, Sez. 5, n. 25578 del 15/5/2007, Rv. 237707; Sez. 1, n. 39221 del 26/2/2014, Pg in proc. COGNOME ed altri, Rv. 260511), che tende a datare la cessazione della permanenza, anche e soprattutto nei reati associativi, in coincidenza con la dimostrazione di una attuale virulenza. In altre parole, una volta che nel processo sia rimasta dimostrata l’efficace offerta di contribuzione agli scopi dell’associazione, occorre (atteso il carattere assai concreto del pericolo che connota l’incriminazione, che offende il bene-interesse tutelato finché perdura quella “reciproca offerta di contribuzione”) dimostrare la permanente durata di tale offerta, che in questo processo è rimasta ancorata (come del resto le stesse modalità di partecipazione al sodalizio dimostrano) al periodo 2011-2012 in cui si è manifestata la coagulazione del gruppo di mercanti di marchi contraffatti attorno al coniuge della ricorrente, non avendo i giudici di merito valorizzato successive manifestazioni di affectio (recentemente in questi termini, tra le decisioni non massimate: Sez. 2, n. 11786 del 13/03/2025, Giordano; Sez. 1, n. 7781 del 08/01/2025, Cassano; Sez. 5, n. 1854 del 22/11/2024, dep. 2025, Autolitano; Sez. 1, n. 43830 del 25/09/2024, Nirta; Sez. 2, n. 15170 del 26/3/2024, Carpino; Sez. 2, n. 22646 del 10/05/2024, Calcagno; Sez. 5, n. 28118 del 02/04/2024, COGNOME; Sez. F., n. 42737 del 29/08/2024, COGNOME; Sez. 1, n. 37507 del 05/06/2024, Giunta; Sez. 1, n. 34453 del 19/06/2024, Stambé).
La sentenza impugnata deve sul punto specifico essere annullata, per intima contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, onerando la Sezione di rinvio della individuazione corretta della data di cessazione della permanenza associativa, fondata sulla accertata dimostrazione (ad una certa data) della permanenza del vincolo.
3. NOME e NOME, capo H.
3.1. Il primo motivo di ricorso (che censura la sentenza impugnata per aver rigettato il motivo di gravame con il quale si chiedeva di riconoscere l’attenuante di cui al comma quarto dell’art. 648 cod. pen.) proposto nell’interesse dei fratelli
I
NOME con il medesimo atto di impugnazione, è inammissibile per difetto di concreto interesse (art. 568, comma 4, cod. proc. pen.), riferendosi ad una fattispecie di reato (art. 648 cod. pen.) già dichiarata estinta per prescrizione dalla Corte di appello.
3.2. Il secondo motivo, con il quale si censura la decisione che ha respinto il motivo di appello con il quale si chiedeva di riconoscere le circostanze attenuanti generiche, è inammissibile per evidente difetto di specificità. Tale motivo non si confronta, infatti, con l’attenta motivazione offerta dalla Corte a sostegno della decisione (pag. 61, quinto capoverso, della sentenza impugnata), ove si evidenzia, con argomentare conforme alla costante giurisprudenza di questa Corte (Sez. 4, n. 48013 del 12/07/2018, Rv. 273995), che alcuno specifico elemento degno di positivo apprezzamento induce a riconoscere le circostanze innominate.
3.3. Tuttavia, la natura non esclusivamente personale del motivo di ricorso (ad interesse plurale) proposto nell’interesse di Changxiang Jin, poco sopra scrutinato (sub 2.2.2.), impone di estenderne gli effetti favorevoli (art. 587, comma 1, cod. proc. pen.) anche ai concorrenti nel medesimo reato (associazione per delinquere descritta al capo H) che tale motivo non hanno coltivato.
Il motivo, infatti, involge (ai fini di verificare il decorso del termine prescrizione) accertamenti correlati al perimetro cronologico di esistenza stessa del descritto reato associativo, non già la partecipazione dell’individuo alla soda lità
Deve, pertanto, farsi applicazione dell’orientamento di questa Corte secondo cui l’inammissibilità dell’impugnazione non impedisce la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione qualora un diverso impugnante abbia proposto un valido atto di gravame, atteso che l’effetto estensivo dell’impugnazione produce i suoi effetti anche con riferimento all’imputato non ricorrente (o il cui ricorso sia inammissibile) ed indipendentemente dalla fondatezza dei motivi proposti dall’imputato validamente ricorrente, purché di natura non esclusivamente personale, sia quando la prescrizione sia maturata nella pendenza del ricorso, sia quando sia maturata antecedentemente (Sez. 6, n. 14027 del 13/02/2024, Greco, Rv. 286373 – 02; Sez. 2, n. 189 del 21/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 277814 – 02; Sez. 3, n. 16158 del 26/02/2019, COGNOME, Rv. 275403; Sez. 4, n. 10180 del 11/11/2004, dep. 2005, COGNOME, Rv. 231133; Sez. 3, n. 10223 del 24/01/2013, COGNOME, Rv. 254640; Sez. 2, n. 33429 del 12/05/2015, Guardi, Rv. 264139).
La sentenza va pertanto annullata sul punto specifico, onerando la Sezione di rinvio della individuazione corretta della data di cessazione della permanenza associativa, fondata sulla accertata dimostrazione (ad una certa data) della permanenza del vincolo.
NOME COGNOME capi A e C (con la recidiva qualificata ai sensi dell’art. 99, comma secondo, cod. pen.).
4.1. Nel merito dell’accertamento della responsabilità, per il fatto associativo e per il delitto di ricettazione contestato al capo C, la doppia decisione conforme (in punto di responsabilità) ha affrontato tutti i temi posti con i motivi di gravame, valorizzando sia i contatti affaristici iterati nel tempo con il sodale NOME COGNOME, sia i diversi contatti tematici con altro sodale, sia i continui rifornimenti di merce presso gli esponenti del sodalizio, nella consapevolezza della natura contraffatta dei marchi che identificano le calzature acquistate per il mercato. Rispetto a tale argomentare, logico e lineare, i motivi di ricorso spesi nel merito dell’accertamento non fanno che riproporre le medesime questioni già prospettate con i motivi di gravame, facendo così scivolare gli argomenti di doglianza verso l’inammissibilità, per difetto di intrinseca specificità.
4.2. Valgono, tuttavia, per NOME COGNOME le medesime ragioni di annullamento (v. sub 2.2.2.) che sostengono la decisione assunta nei confronti della ricorrente Changxiang 3in, con l’unico distinguo che, questa volta, il reato associativo è quello descritto al capo A. Anche in questo caso la Corte ha ritenuto che la cessazione della permanenza nel reato associativo potesse coincidere con la data dell’accertamento del fatto in primo grado (28 settembre 2020), senza però tenere in debito conto le ragioni spese con i motivi di gravame, che avevano valorizzato l’ultimo atto probatorio della condotta contestata (novembre 2011) e la certa interruzione della vita associativa (che muove in questa fattispecie ex actis) al febbraio 2014, allorquando vennero poste in esecuzione le misure cautelari per i fatti contestati. Sul punto dedotto non può che richiamarsi il percorso argomentativo svolto al paragrafo 2.2.2., con la conseguenza che l’annullamento della decisione impugnata, limitatamente all’eventuale decorso della prescrizione per il delitto associativo sub A, onera la Sezione di rinvio di apprezzare la data di cessazione della permanenza tenendo conto sia delle circostanze di fatto accertate, che della giurisprudenza di questa Corte, già sopra indicata (v. sub 2.2.2., secondo capoverso). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
4.3. Con specifico riferimento ai motivi di censura proposti in relazione al delitto presupposto della ritenuta ricettazione (contraffazione grossolana e marchi non oggetto di tutela intracomunitaria), deve qui richiamarsi la motivazione della Corte di merito (pag. da 28 a 30 della sentenza impugnata), rammentando in diritto che, mentre l’incriminazione posta dall’art. 473 cod. pen. appresta una tutela che riguarda la fase precedente l’immissione in commercio di prodotti contraffatti (tutela che si colloca in una fase analoga a quella della fabbricazione prevista e punita dall’art. 517 ter, primo comma cod. pen., che sanziona chi fabbrica o adopera industrialmente oggetti o altri beni realizzati usurpando un
titolo di proprietà industriale o in violazione dello stesso), la condotta punita dall’art. 474, cod. pen., è direttamente collegata alla messa in circolazione del prodotto falsamente contrassegnato e presuppone già apposto il segno distintivo su una determinata res. Non essendo, peraltro, assolutamente richiesta dalla incriminazione la perfetta identità dei segni riprodotti senza licenza (Sez. 5, Sentenza n. 33543, del 21/09/2006, Rv. 235225).
E’ consolidato inoltre il principio per cui l’art. 474, cod. pen., che è reato di pericolo, è posto a tutela del bene giuridico della fede pubblica e richiede -a montela materiale contraffazione o alterazione dell’altrui marchio, senza che possa rilevare la grossolanità o riconoscibilità della contraffazione (Sez. 2, n. 16807 del 11/01/2019, Assane, Rv. 275814 – 01).
La Corte di merito ha inoltre ripetuto che l’accertamento della responsabilità si è fondato sulla corretta e coerente analisi delle evidenze processuali (sequestro di numerosissime calzature recanti segni identificativi della provenienza industriale da una determinata casa produttrice), a nulla rilevando i motivi geometrici sigle o altro, in quanto ciò che la fattispecie tutela è la originalità del prodotto registrato (per la tutela dei segni ornamentali: Sez. 3, n. 31868, del 17/3/2016, Rv. 267668) e la sua capacità distintiva è stata divisata sulla base di evidenze dichiarative di soggetti tecnici versati nel settore e sulla base di elementi pubblicitari che ne testimoniano la diffusione, senza contare che appartiene certamente al notorio la combinazione tra una maison ed un particolare disegno geometrico. Il che corrisponde esattamente alla ragione che spinge alla contraffazione imitativa, giacché è quel tipo di disegno che viene identificato dal pubblico come sintomatico di qualità e fascino.
4.4. Quanto alla ricettazione degli oggetti recanti riproduzione di marchi figurativi registrati, la Corte ha correttamente divisato concorso di reati nelle distinte oggettività giuridiche tutelate dalle diverse norme incriminatrici, ponendosi così all’interno di un filone giurisprudenziale consolidato da poco meno cinque lustri (Sez. 2, n. 12452, del 4/3/2008, Rv. 239745; Sez. U., n. 23427, del 9/5/2001, Rv. 218771).
4.5. Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è, dunque, nel resto inammissibile.
NOME COGNOME capo C, con la recidiva specifica e reiterata.
Sono fondati i primi due motivi di ricorso (presupposti della recidiva qualificata e negata continuazione con il precedente giudicato).
5.1. La Corte territoriale ha omesso qualsivoglia sforzo argomentativo in ordine alla richiesta di esclusione della recidiva, avanzata all’udienza del 13 dicembre 2023 e ritualmente verbalizzata, come risulta dagli atti compulsati dal
collegio in camera di consiglio. L’esito positivo della probation avrebbe, ad avviso del ricorrente, impedito di riconoscere i presupposti della recidiva qualificata ritenuta in sentenza, giacché l’esito positivo della messa alla prova estingue il reato (art. 168 ter cod. pen.) e ne caduca gli effetti penali (Sez. 2, n. 46064 del 30/11/2021, COGNOME, Rv. 282270 – 01). La mancanza di motivazione, intesa quale difetto del tratto grafico, è sanzionata da nullità della decisione.
5.2. E’ fondato anche il secondo motivo di ricorso, che censura il rifiuto della Corte di riconoscere la continuazione “esterna” con un diverso reato, già precedentemente giudicato (sent. Tribunale Torre Annunziata del 26/06/2013, adducendo che la sentenza indicata dalla difesa non risultava corrispondere a quella annotata nel certificato del Casellario. Sollecitato dai motivi di ricorso, i Collegio ha compulsato gli atti, verificando che già nel corso del giudizio di primo grado la difesa aveva prodotto la sentenza irrevocabile rispetto alla quale chiedeva applicarsi la disciplina della continuazione. La Corte territoriale avrebbe pertanto potuto efficacemente verificare gli estremi della sentenza allegata dalla difesa e confrontarli con quelli del titolo annotato sul certificato del Casellario. La motivazione adottata per rigettare l’istanza appare pertanto meramente apparente, con la conseguente nullità della decisione.
La Corte onerata del rinvio dovrà dunque verificare la sussistenza dei presupposti della recidiva qualificata e quelli della invocata continuazione col precedente giudicato, dando conto in motivazione delle ragioni dell’eventuale rifiuto.
5.3-4. Gli ultimi due motivi di ricorso sono inammissibili, per difetto di concreto interesse alla eventuale revoca della confisca di beni immobili intestati al figlio ed oggetto della disposta confisca c.d. allargata.
In tema di confisca allargata ai sensi dell’art. 240-bis cod. pen., l’imputato nei cui confronti si proceda per uno dei titoli di reato contemplati dalla norma non ha interesse a proporre impugnazione in ordine al provvedimento ablatorio caduto su beni intestati a terzi, ancorché considerati nella sua disponibilità indiretta, poiché, non potendo vantare alcun diritto alla loro restituzione, non può ottenere alcun effetto favorevole dalla decisione (Sez. 2, n. 4160 del 19/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278592 – 01; Sez. 5, n. 18508 del 16/02/2017, COGNOME, Rv. 270209 – 02; tra le più recenti non massimate: Sez. 4, n. 13172 del 26/03/2025, Hu; Sez. 7, ord. n. 7286 del 12/01/2024, COGNOME; Sez. 4, n. 2867 del 13/01/2021, COGNOME), salvo che non vanti un interesse concreto ed attuale alla proposizione dell’impugnazione, nella specie neppure dedotto (Sez. 2, n. del 21/03/2024, COGNOME, non mass.; Sez. 3, n. del 30691 del 24/06/2021, COGNOME, non mass.). Dunque, è solo il terzo a poter accampare un interesse personale e diretto a
provare la legittima acquisizione dei beni ovvero l’assenza di fittizia intestazione degli stessi.
NOME COGNOME capi A, B e C, con la recidiva qualificata ai sensi dell’art. 99, comma IV, cod. pen.
6.1. Inammissibile è il primo motivo di ricorso versato in tema di qualificazione giuridica del fatto (capo B), che il ricorrente vorrebbe avvincere al tipo descritto dall’art. 473 e non 474 (come in imputazione) del codice penale. La Corte territoriale, alle pagine da 35 a 37 della motivazione, ha diffusamente argomentato il proprio convincimento in ordine alla qualificazione giuridica del fatto contestato, valorizzando aspetti di fatto non censurabili nel giudizio di legittimità, quali il ruol in concreto svolto dall’associato, che fungeva da “agente di commercio” e mediatore tra i produttori della merce recante marchi contraffatti ed i mercanti, all’ingrosso o al minuto, di detti prodotti illeciti. Consegue che certamente, afferma in più riprese la Corte, egli fosse estraneo al circuito della produzione della merce, ponendosi funzionalmente a valle della produzione. Sotto le mentite spoglie della differente qualificazione del fatto, il motivo di ricorso sollecita, viceversa inammissibilmente la Corte di legittimità a svolgere una nuova e differente valutazione degli elementi di fatto (Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 273217 – 01).
6.2. Del pari inammissibile il secondo motivo di ricorso, versato in tema di errata valutazione dei presupposti per riconoscere la recidiva qualificata dalla reiterazione specifica nel quinquennio. La Corte ha seguito sul punto il diritto vivente, rappresentato dalla decisione assunta da questa Corte nella sua massima espressione di collegialità (Sez. U, n. 32318 del 30/03/2023, COGNOME Rv. 284878 – 01), che ha affermato il seguente principio di diritto: In tema di recidiva reiterata contestata nel giudizio di cognizione, ai fini della relativa applicazione è sufficiente che, al momento della consumazione del reato, l’imputato risulti gravato da più sentenze definitive per reati precedentemente commessi ed espressivi di una maggiore pericolosità sociale, oggetto di specifica ed adeguata motivazione, senza la necessità di una previa dichiarazione di recidiva semplice.
La Corte di merito ha, per l’appunto, valorizzato il profluvio di precedenti specifici, ultimo dei quali nel quinquennio, che gravano la biografia criminale del ricorrente, argomentando da tale parossistica reiterazione la maggiore pericolosità sociale dell’imputato, oltre alla più accentuata colpevolezza (pag. 39 della sentenza impugnata).
6.3. Parzialmente fondato è, viceversa, il terzo motivo di ricorso, non avendo la Corte offerto alcuna risposta argomentativa al motivo di gravame contrassegnato dal numero 7, ove il difensore, in ragione del difetto dimostrativo
del danno subito dalle costituite parti civili, instava per l’esclusione delle stesse, ovvero per il-rigetto della richiesta di risarcimento dei danni subiti per effetto delle -condotte di contraffazione in marchi attribuite anche a NOME COGNOME
Orbene, se tale argomento di gravame poteva apparire pretestuoso e manifestamente infondato in diritto, quanto alle parti civili titolari dei marchi contraffatti, che rivestono anche la qualità di persone offese dal reato e che hanno certamente subito un danno di immagine diretto ed immediato dalla attività di commercializzazione dei prodotti recanti i loro marchi contraffatti, cosicché la Corte d’appello era legittimata a trascurare il motivo di gravame (Sez. 6, n. 20522 del 08/03/2022, COGNOME, Rv. 283268 – 01), altrettanto non può ritenersi laddove il motivo di gravame poteva presentare una certa apparenza di fondatezza, in quanto la parte civile RAGIONE_SOCIALE, ente esponenziale di una collettività indefinita di consumatori, non può ritenersi persona offesa dal reato di cui all’art. 474 cod. pen. ed il danno del quale chiede ristoro non appare affatto diretta ed immediata conseguenza della condotta di commercializzazione di capi di abbigliamento recanti marchi di note griffe contraffatti. Sul punto si è già recentemente espressa questa Corte (Sez. 2, n. 31574 del 09/05/2023, COGNOME Rv. 284954-02; Sez. 6, n. 16765 del 18/11/2019, dep. 2020, COGNOME Rv. 279418), affermando il seguente principio di diritto: Ai fini della condanna generica al risarcimento dei danni, non è sufficiente la sussistenza di un fatto potenzialmente produttivo di conseguenze dannose, occorrendo la prova, sia pure con modalità sommaria, dell'”an debeatur”, atteso che è rinviata al separato giudizio civile la sola determinazione quantitativa del danno. Il principio è stato affermato in fattispecie relativa alla costituzione di parte civile di associazioni rappresentative di interessi collettivi, in cui la Corte ha precisato che la prova della sussistenza del danno, che può sostanzialmente presumersi nel caso in cui la parte civile sia la persona offesa dal reato, deve essere, invece, specificamente fornita allorquando il rapporto tra azione e danno è indiretto, com’è, di regola, nel caso in cui la pretesa civilistica sia avanzata dal danneggiato, non direttamente offeso dal reato. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
La sussistenza del danno (oggetto pur sempre di doveroso sforzo dimostrativo), se è infatti prossima all’immanenza ove la parte civile sia persona offesa dal reato, direttamente lesa dall’azione criminosa tipica, deve essere, invece, specificamente provata ove il rapporto tra azione e danno sia indiretto, come avviene, di regola, nei casi in cui la pretesa civilistica sia avanzata dal danneggiato, che può essere anche un’associazione rappresentativa di interessi collettivi. Ciò fermo restando che l’ammontare del risarcimento e, dunque, la gravità della lesione deve essere sempre oggetto di specifica prova.
6.4. La sentenza impugnata va, pertanto, annullata, nei confronti di NOME COGNOME limitatamente alle statuizioni civili disposte in favore dell’associazione
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, con rinvio per nuovo giudizio sul capo civile della decisione, ad altra sezione della Corte di appello di Napoli.
6.5. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile nel resto.
6.5.1. La parziale fondatezza del terzo motivo di ricorso, con il conseguente parziale annullamento con rinvio della decisione impugnata, pur afferendo, infatti, ad una parte della statuizione civile della sentenza (per il distinguo dogmatico tra “capi” e “punti” della sentenza, ai fini della prescrizione, si fa rinvio a Sez. U, n. 1 del 19/01/2000, COGNOME, Rv. 216239 – 01; più recentemente, per una disamina organica della giurisprudenza di legittimità impegnata sul tema, si veda Sez. 3, n. 30805 del 15/01/2024, Rv. 286870 – 03, in motivazione, sub 3.1., pag. 127 e ss.), determina qualmente la formazione del giudicato sui capi e sui punti della sentenza non annullati, dovendosi intendere per “punto” qualsiasi statuizione avente un’autonomia giuridico-concettuale, non consistente in un mero passaggio argomentativo, la cui individuazione spetta, in concreto, al giudice di legittimità in sede rescindente, che delinea il discrimine fra ciò che è oggetto di annullamento e ciò che non lo è. L’ordinamento consente, infatti, all’esito del giudizio rescindente, la formazione di un giudicato parziale sulle “parti” non annullate, le quali non per questo sono eseguibili (Sez. U, n. 3423 del 29/10/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280261 – 03); il giudicato parziale si forma pertanto sui capi e sui punti della sentenza non oggetto di annullamento.
Nella presente fattispecie, deve pure rilevarsi che la “parte” della statuizione civile qui annullata rappresenta un “capo” civile della condanna, autonomo (per quanto logicamente dipendente) rispetto alla decisione sulla responsabilità penale, che è completa in ogni suo punto, dalla responsabilità accertata, alla dimensione circostanziale, alla misura della pena. Il che rafforza la netta autonomia tra capo civile e capo penale della decisione, suscettibili di guadagnare l’autorità della cosa giudicata in momenti processuali distinti.
6.7. Consegue, dunque, alla ritenuta inammissibilità, che la decisione di merito sull’accertamento del fatto e l’attribuzione della responsabilità penale, intervenuta in data 3 giugno 2024, cristallizza i suoi effetti a quella data. Il decorso del tempo successivo a tale evento non può essere quindi efficacemente computato ai fini del calcolo del termine complessivo della prescrizione per il reato di ricettazione, in quanto non si è mai validamente ed efficacemente formato un rapporto di impugnazione (Sez. U. n. 21 del 22/10/2000, Rv. 217266; più recentemente, Sez. 2, n. 28848, del 8/5/2013, Rv. 256463).
7. NOME COGNOME capi A e C, con la recidiva qualificata ai sensi dell’art. 99, comma quarto, cod. pen..
7.1-2. I primi due motivi di ricorso, che denunciano, oltre ad una assai genericamente dedotta violazionedella norma -incriminatrice, deficit motivazionali -in maniera peraltro promiscua- sulla prova della partecipazione associativa (capo A) ed in particolare della prova del dolo di partecipazione e di atti concludenti di una tale affectio, sono inammissibili, ai sensi dell’art. 606, comma 3, cod. proc. pen., per manifesta infondatezza ed assoluta aspecificità, in quanto meramente ripetitivi di motivi di gravame già respinti, con diffuse e coerenti argomentazioni dalla Corte di merito.
Dalla lettura del testo della sentenza impugnata e di quella consonante di primo grado si evince che nel giudizio di merito l’affermazione della responsabilità del ricorrente si è fondata sulla corretta .analisi delle circostanze di fatto emerse nel corso del giudizio di primo grado e che nel giudizio di appello sono state tenute in debito conto le doglianze di merito sviluppate con i motivi di gravame, anche in tema di prova della consapevolezza di partecipare efficacemente (quale abituale ed efficiente fornitore all’ingrosso di NOME COGNOME, giudicato separatamente) ad una compagine plurisoggettiva organizzata (promossa ed organizzata dallo stesso COGNOME), attiva nella consumazione di una moltitudine di reati di importazione dall’estremo oriente e diffusione sul territorio italiano di merce (capi di abbigliamento ed accessori) recante noti marchi contraffatti. La Corte di merito (pag. da 61 a 69 della sentenza impugnata) ha così offerto ai motivi di gravame diffusa ed esaustiva corrispondenza dialettica, che sul punto essenziale della decisione non viene peraltro specificamente censurata con i motivi di ricorso.
Nel giudizio di merito sono state correttamente argomentate (pag. 61-64 della sentenza impugnata) consistenza e univocità delle evidenze intercettive che hanno condotto ad affermare la responsabilità dell’imputato rispetto alla ipotesi associativa descritta al capo A della imputazione. Ciò in quanto dal tenore delle 11 conversazioni intercettate, soprattutto (ma non solo) con NOME COGNOME separatamente già giudicato con sentenza irrevocabile, la Corte ha tratto argomento per ritenere dimostrata la chiara consapevolezza del ricorrente di agire efficacemente per offrire il suo contributo personale alla sodalità dedita alla importazione e commercializzazione di merce recante noti marchi contraffatti. Il ricorrente interloquiva, infatti, non solo con NOME COGNOME che assiduamente riforniva dei capi di abbigliamento ordinati, ma anche con NOME COGNOME altro componente del gruppo. I motivi di ricorso relativi si risolvono, pertanto, nella domanda di una diversa lettura della prova intercettiva, che è preclusa -fuori dai casi di evidentissimo travisamento decisivo e incontestabile (che non ricorre nella fattispecie) del dato probatorio- alla Corte di legittimità, in caso di conformità verticale delle decisioni di merito (Sez. 3, n. 6722 del 21/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272558 – 01; Sez. 6, n. 19710 del 03/02/2009, Rv. 243636; Sez. 2, n. (-
5336 del 09/01/2018, Rv. 272018). Il Collegio, anche in questo caso, intende dar seguito al consolidato orientamento giurisprudenziale – che, in materia di intercettazioni telefoniche, qualifica come questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità, se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con la quale esse sono recepite (Sez. 2, n. 50701, del 04/10/2016, COGNOME, Rv. 268389; Sez. 2, n. 35181 del 22/05/2013, Vecchio, Rv. 257784).
7.3. Il terzo motivo di ricorso è del pari inammissibile, per sua manifesta infondatezza, oltre che per difetto di specificità estrinseca.
La contestazione in fatto che si legge al capo A offre, come pure argomentato dalla Corte di merito, una chiara indicazione della condotta incriminata e del ruolo di fornitore del sodalizio ricoperto dal ricorrente. Il tempus commissi delicti è indicato con formula c.d. “aperta”, senza che il ricorrente possa manifestare interesse ad una indicazione diversa della data della cessazione della permanenza, che non avrebbe alcun effetto estintivo, in considerazione della contestata e ritenuta recidiva qualificata. In ogni caso, alcuna violazione della legge processuale (art. 521 cod. proc. pen.) infirma la sentenza impugnata. Il Collegio ritiene sul punto di dover dar seguito al condivisibile orientamento storicizzato di questa Corte che ha escluso in simili fattispecie concrete la violazione del principio di correlazione di cui all’art. 521, comma 1, cod. proc. pen., (Sez. U., n. 16 del 19/6/1996, Rv. 205619; Sez. U. n. 36551, del 15/7/2010, Rv. 248051: per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso riter” del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione; in senso conforme Sez. U., n. 31617 del 26/6/2015, Rv. 264438). Nella concreta fattispecie processuale, il fatto associativo per il quale l’imputato è stato condannato è esattamente quello descritto nella imputazione ancorché perimetrato dalla Corte nel tempo in riferimento alla data di cessazione della permanenza. Consegue che non è neppure immaginabile un concreto vulnus difensivo, dovendosi escludere che l’affermazione di penale responsabilità abbia trovato fondamento nell’accertamento di condotte illecite incompatibili, per la data, con quel che la difesa poteva ragionevolmente attendersi dal materiale Corte di Cassazione – copia non ufficiale
processuale esaminato, anche con riferimento alla ricettazione descritta al capo C, per cui, diversamente dal capo B (dichiarato estinto per prescrizione), è condanna.
7.4. La medesima sorte processuale avvince il quarto motivo di ricorso, con il quale la difesa invoca l’assorbimento del reato di cui all’art. 474 cod. pen. (e non 747 cod. pen., come indicato erroneamente nel testo dell’atto di impugnazione) in quello di ricettazione. La già dichiarata prescrizione delle ipotesi di reato descritte al capo B (art. 474 cod. pen.) impedisce di scorgere il concreto interesse che deve reggere l’impugnazione (art. 568, comma 4, cod. proc. pen.). In ogni caso, il motivo è manifestamente infondato in diritto, in quanto il delitto di ricettazione (art. 648 cod. pen.) e quello di commercio di prodotti con segni falsi (art. 474 cod. pen.) possono certamente concorrere, atteso che le fattispecie incriminatrici descrivono condotte diverse, sotto il profilo strutturale e cronologico, tra le quali non può configurarsi un rapporto di specialità, e che non risulta dal sistema una diversa volontà espressa o implicita del legislatore (Sez. 2, n. 21469 del 20/03/2019, Rv. 276326 – 01).
7.5. Inammissibile è anche il quinto motivo di ricorso, versato in tema di errata valutazione dei presupposti per riconoscere la recidiva qualificata dalla reiterazione specifica nel quinquennio. La Corte ha, con apprezzamento di fatto non censurabile nella sede di legittimità, valorizzato il numero di precedenti specifici, ultimo dei quali nel quinquennio, che gravano la biografia criminale del ricorrente, argomentando da tale parossistica reiterazione la maggiore pericolosità sociale dell’imputato, oltre alla più accentuata colpevolezza (pag. 67 della sentenza impugnata).
7.6. Le doglianze portate al testo della sentenza impugnata in punto di trattamento sanzionatorio sono manifestamente infondate in diritto e neppure si confrontano con la puntuale argomentazione che sostiene, sul punto, la decisione. La pena base per il più grave delitto di ricettazione è attestata sul minimo edittale, gli aumenti per la continuazione sono assai contenuti e inferiori a quanto previsto dalla legge in caso di recidiva qualificata (art. 81, comma quarto, cod. pen.). Le circostanze attenuanti generiche son state correttamente negate, in assenza dui elementi concreti significativi. La richiesta bilanciamento, nelle forme della prevalenza, non era comunque accessibile, stante l’espresso divieto normativo (art. 69, comma quarto, cod. pen.).
7.7. L’ultimo motivo di ricorso è inammissibile, per difetto di concreto interesse alla eventuale revoca della confisca di beni immobili intestati al coniuge ed oggetto della disposta confisca c.d. allargata.
In tema di confisca allargata ai sensi dell’art. 240-bis cod. pen., l’imputato nei cui confronti si proceda per uno dei titoli di reato contemplati dalla norma non ha interesse a proporre impugnazione in ordine al provvedimento ablatorio caduto su
beni intestati a terzi, ancorché considerati nella sua disponibilità indiretta, poiché, non potendo vantare-alcun diritto alla loro restituzione, non può ottenere alcun effetto favorevole dalla decisione (Sez. 2, n. 4160 del 19/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278592-01; Sez. 5, n. 18508 del 16/02/2017, COGNOME, Rv. 270209 – 02; tra le più recenti non massimate: Sez. 4, n. 13172 del 26/03/2025, Hu; Sez. 7, ord. n. 7286 del 12/01/2024, COGNOME; Sez. 4, n. 2867 del 13/01/2021, COGNOME), salvo che non vanti un interesse concreto ed attuale alla proposizione dell’impugnazione, nella specie neppure dedotto (Sez. 2, n. del 21/03/2024, COGNOME, non mass.; Sez. 3, n. del 30691 del 24/06/2021, COGNOME, non mass.). Dunque, è solo il terzo a poter accampare un interesse personale e diretto a provare la legittima acquisizione dei beni ovvero l’assenza di fittizia intestazione degli stessi.
7.8. Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi, per quanto sopra argomentato, profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al versamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla luce di quanto affermato dalla Corte costituzionale, nella sentenza n. 186 del 2000, sussistendo profili di colpa, si stima equo determinare in euro tremila.
La rifusione delle spese processuali sostenute nel presente giudizio dalle costituite ed ammesse parti civili va demandata alla decisione definitiva, potendo le stesse far valere le relative pretese nel corso ulteriore del processo, in cui il giudice di merito dovrà accertare la sussistenza, a carico degli imputati, dell’obbligo della rifusione delle spese giudiziali in base al criterio della soccombenza (Sez. 1, n. 34032 del 01/07/2022, COGNOME, Rv. 283987 – 04).
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di un Changxiang limitatamente al reato di cui al capo L) perché estinto per prescrizione; conferma le statuizioni civili.
Annulla la sentenza impugnata:
nei confronti di COGNOME NOME limitatamente al reato di cui al capo A, nei confronti di Jin Changxiang limitatamente al reato di cui al capo H), nonché, per l’effetto estensivo, nei confronti di NOME COGNOME ed NOME COGNOME limitatamente al reato di cui al capo H);
– nei confronti di COGNOME NOME limitatamente alla configurazione ed eventuale esclusione della recidiva ed -alla richiesta di riconoscimento della continuazione con
reati separatamente giudicati;
– nei confronti di COGNOME NOME limitatamente alle statuizioni civili in favore di associazione RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappr. p.t., con rinvio per nuovo
giudizio sui predetti capi e/o punti ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli.
Dichiara inammissibili nel resto i ricorsi di Jin COGNOME, COGNOME Raffaele, NOME
NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME e COGNOME NOME.
Dichiara inammissibile il ricorso di COGNOME COGNOME che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Spese di parte civile al definitivo.
Così deciso il 4 aprile 2025.