Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 18631 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 3 Num. 18631 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 31/01/2025
TERZA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: NOMECOGNOME nata ad Andria (BT) il 03/03/1986, avverso la sentenza del 26/06/2024, della Corte di appello di Bari; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott.ssa
NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 26 giugno 2024 la Corte di appello di Bari confermava la sentenza emessa dal Tribunale di Trani il 02/05/2023, con la quale NOME COGNOME era stata condannata alla pena di mesi otto di arresto ed euro 6.000,00 di ammenda, in quanto ritenuta responsabile del reato di cui agli artt. 44, comma 1, lett. b), 71 e 72 d.P.R. n. 380/2001, per aver realizzato un’opera abusiva consistita in un manufatto a forma quadrata, posto al piano semi-rialzato, avente una superficie di mq 100 circa, con tramezzature interne, allo stato del rustico, privo di porte e finestre, parzialmente piastrellato e intonacato con copertura in legno a doppia falda, impermeabilizzato, in zona sismica, senza permesso di costruire, senza la direzione dei lavori da parte di un tecnico abilitato, senza il preventivo deposito del progetto presso il competente Genio Civile e senza il prescritto nulla osta da parte del predetto ufficio.
Avverso la sentenza della Corte di appello di Bari, NOME COGNOME a mezzo del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione, sollevando due motivi.
2.1 Con il primo motivo, lamenta ai sensi dell’art. 606, lett. b) e c), cod. proc. pen., mancata declaratoria di prescrizione del reato, da considerarsi ultimato nell’anno 2017 e prima della entrata in vigore della legge Orlando secondo quanto previsto dalla legge n. 380/2001.
Deduce la ricorrente che, dal verbale di sequestro del 05/04/2018, emergeva come non vi fossero lavori in corso al momento del sopralluogo e come la Polizia Locale fosse intervenuta a causa di
evento non collegato alla costruzione abusiva. Osserva, inoltre, che il manufatto non poteva considerarsi ultimato secondo gli indirizzi affermati in sede di legittimità, non essendovi prova della sussistenza dei requisiti richiesti. Aggiunge la ricorrente che, in base ad una ortofoto, vi era prova della esistenza del manufatto nel 2017, sicchŁ, per il principio del favor rei, l’abuso doveva farsi risalire all’inizio del 2017 ed era prescritto prima della pronuncia della sentenza di primo grado. 2.2 Con il secondo motivo, lamenta ai sensi dell’art. 606, lett. b) e c), cod. proc. pen., mancata declaratoria di prescrizione del reato maturata anteriormente alla pronuncia della Corte di appello ai sensi dell’art. 159 cod. proc. pen. e della legge n. 134 del 2021.
Deduce la ricorrente che la legge n. 134/2021 aveva previsto la cessazione della prescrizione del reato con la pronuncia della sentenza di primo grado e introdotto l’art. 344-bis cod. proc. pen. che prevedeva il regime della improcedibilità per il giudizio di appello e il giudizio di cassazione per i reati commessi dopo il 01/01/2020. Nel contempo, l’art. 2, comma 1, lett. a), l. n. 134/2021 aveva espressamente abrogato i commi 2 e 4 dell’art. 159 cod. proc. pen. che prevedevano una causa di sospensione del corso della prescrizione introdotta dalla legge n. 103 del 2017, c.d. legge Orlando, per i reati commessi dal 03/08/2017, sicchŁ quale norma posteriore piø favorevole doveva applicarsi ai processi in corso relativi a reati commessi dal 03/08/2017 al 31/12/2019.
Conclusivamente, ritiene la ricorrente che, nel caso in esame, doveva essere applicata la normativa prevista dalla legge n. 251 del 2005, c.d. legge Cirielli, che non prevedeva la causa di sospensione del corso della prescrizione, introdotta nel comma 2 dell’art. 159 cod. proc. pen. dalla legge Orlando, poi abrogata dalla legge n. 134 del 2021.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso Ł manifestamente infondato.
Sul punto occorre richiamare il costante orientamento di questa Corte, declinato con riferimento agli immobili destinati ad uso abitativo, in forza del quale l’ultimazione edilizia coincide con la conclusione dei lavori di rifinitura interni ed esterni dell’opera (Sez. 3, n. 33821 del 17/09/2020, COGNOME, Rv. 280575; Sez. 3, n. 46215 del 03/07/2018, N., Rv. 274201; Sez. 3, n. 48002 del 17/09/2014, Surano, Rv. 261153), la quale, prima di tale evenienza, deve ritenersi ancora in fase di realizzazione e di completamento, tanto che il reato urbanistico versa in una fase di perdurante consumazione, posto che la permanenza di esso cessa con l’ultimazione dei lavori del manufatto, in essa comprese le rifiniture (Sez. 3, n. 13607 del 08/02/2019, Martina, Rv. 275900), sempre che, per qualsiasi causa, volontaria (utilizzo abitativo del bene comprovato dalla attivazione delle utenze necessarie) o imposta (ad esempio, sequestro del manufatto), non cessino o vengano sospesi i lavori abusivi (Sez. 3, n. 3067 del 08/09/2016, dep. 2017, P.G. in proc. COGNOME e altri, Rv. 269022). La Corte di appello ha fatto corretta applicazione di tali principi, essendo stata accertata – sulla base di fonti di prova testimoniali e documentali (fotografie riprese durante il sopralluogo) – la circostanza che, al momento del sopralluogo e del conseguente sequestro, i lavori non erano stati completati, in ragione della mancanza sia pure parziale di intonaco e soprattutto di tutti gli infissi esterni, essendo presente soltanto una porta. Tale accertamento di fatto, ampiamente motivato, insuscettibile di sindacato in sede di giudizio di legittimità, comprova che il momento di consumazione del reato deve farsi coincidere, nel caso in esame, con quello dell’accertamento e del conseguente sequestro, eseguito il 05/04/2018.
NØ vale obiettare, come fa la ricorrente, che, in una ortofoto del 2017 il manufatto risultava esistente, non essendo emerso nel corso dell’istruttoria dibattimentale lo stato dei lavori al momento dell’ortofoto, nØ avendo la ricorrente fornito tale prova, come era suo onere (Sez. 3, n. 676 del 21/09/2023, dep. 2024, My). Resta pertanto insuperata e logicamente non sovvertibile l’informazione
probatoria che ne trae la Corte di appello in ordine alla permanenza del reato al momento al momento del sopralluogo, permanenza interrotta con l’esecuzione del sequestro.
2. Il secondo motivo di ricorso Ł infondato.
La questione richiama la problematica della legge applicabile ai reati commessi nel vigore della legge 23 giugno 2017, n. 103 (c.d. riforma Orlando), e cioŁ tra il 3 agosto 2017 e il 31 dicembre 2019, con riferimento alla considerazione dei periodi di sospensione ex art. 159, comma 2, cod. pen., nel testo introdotto dall’art. 1, comma 11, lett. b), legge cit.
La legge 23 giugno 2017, n. 103 (c.d. legge Orlando), applicabile ai fatti commessi a decorrere dal 3 agosto 2017, aveva modificato la previgente norma dell’art. 159, comma 2, cod. pen, nonchØ introdotto la sospensione del corso della prescrizione: a) dal termine previsto dall’art. 544 cod. proc. pen. per il deposito della sentenza di condanna di primo grado, sino alla pronuncia del dispositivo della sentenza che definisce il grado successivo per un tempo, comunque, non superiore a un anno e sei mesi; b) dal termine previsto dall’art. 544 cod. proc. pen. per il deposito della motivazione della sentenza di condanna di secondo grado, sino alla pronuncia del dispositivo della sentenza definitiva, per un tempo comunque non superiore a un anno e sei mesi.
L’art. 159, comma 2, cod. pen., così come introdotto dalla suddetta legge, era stato, poi, riformulato dall’art. 1, comma 1, lett. e), n. 1, della legge 9 gennaio 2019, n. 3 (c.d. legge COGNOME), che aveva introdotto, a decorrere dal primo gennaio 2020, la disposizione per cui il corso della prescrizione rimane sospeso dalla pronunzia della sentenza di primo grado, o dal decreto di condanna, fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o della irrevocabilità del decreto di condanna.
L’art. 159, comma 2, cod. pen., Ł stato, infine, definitivamente abrogato dall’art. 2, comma 1, lett. a), della legge 27 settembre 2021, n. 134, che ha contestualmente introdotto l’art. 161-bis cod. pen., a norma del quale il corso della prescrizione cessa definitivamente con la pronuncia della sentenza di primo grado. La stessa legge ha introdotto all’art. 344-bis cod. proc. pen. – per i soli reati commessi a far data dal primo gennaio 2020 (ai sensi dell’art. 2, comma 3) – l’improcedibilità dell’azione penale in caso di mancata definizione del giudizio di appello e di cassazione entro il termine, rispettivamente, di due anni e di un anno, decorrenti dal novantesimo giorno successivo alla scadenza del termine previsto dall’art. 544 cod. proc. pen. eventualmente prorogato ai sensi dell’art. 154 disp. att. cod. proc. pen., termini prorogabili con ordinanza nei casi previsti dall’art. 344-bis, comma 4, cod. proc. pen.
Sulla interpretazione di queste norme Ł sorto un contrasto in seno alla Corte di cassazione: alcune pronunce hanno ritenuto che, in tema di prescrizione, ai reati commessi tra il 3 agosto 2017 e il 31 dicembre 2019 si applica, per il principio di retroattività della norma penale piø favorevole, la disciplina prevista dalla legge 5 dicembre 2005, n. 251, che non prevedeva la causa di sospensione del corso della prescrizione durante il tempo di celebrazione del giudizio di appello e di cassazione, introdotta all’art. 159, comma 2, cod. pen. dal disposto di cui all’art. 1, comma 11, lett. b), legge 23 giugno 2017, n. 103 e, poi, esplicitamente abrogata dall’art. 2, comma 1, lett. a), della legge 27 settembre 2021, n. 134, con conseguente “reviviscenza” del regime prescrizionale antecedente (Sez. 3, n. 18873 del 27/02/2024, COGNOME, Rv. 286436); altre pronunce, ponendo l’accento sul rilievo che il primo gennaio 2020 individua il dies a quo di applicabilità dell’istituto della cessazione del corso della prescrizione (non applicabile a fatti commessi prima di quella data), hanno ritenuto che, per i fatti commessi tra il 3 agosto 2017 e il 31 dicembre 2019, il regime delineato dalla cd. legge Orlando costituisca regime piø favorevole, sia rispetto a quello previsto dall’art. 1, comma 1, lett. e), n. 1, legge 9 gennaio 2019, n. 3 (cd. riforma Bonafede), che, vigente dal 1 gennaio 2020, ha riformulato l’art. 159, comma 2, cod. pen., prevedendo la sospensione del corso della prescrizione
dalla pronunzia della sentenza di primo grado o dal decreto penale di condanna fino all’esecutività della sentenza o all’irrevocabilità del decreto, sia rispetto a quello delineato dall’art. 2 legge 27 settembre 2021, n. 134, abrogativo dell’art. 159, comma 2, cit., che ha introdotto l’art. 161-bis cod. pen., a termini del quale il decorso della prescrizione cessa con la sentenza di primo grado, nonchØ l’art. 344-bis cod. proc. pen., a tenore del quale, per i reati commessi dal primo gennaio 2020, la mancata definizione del giudizio di appello e di quello di cassazione entro i termini rispettivamente indicati costituisce causa di improcedibilità dell’azione penale (tra le altre Sez. 4, n. 26294 del 12/06/2024 Rv. 286653; Sez. 4, Sentenza n. 28474 del 10/07/2024 Rv. 286811).
Il contrasto Ł stato risolto dalle Sezioni Unite del 12 dicembre 2024, affermando che, per i reati commessi dal 3 agosto 2017 al 31 dicembre 2019 si applica la disciplina della sospensione del corso della prescrizione di cui alla legge n. 103 del 2017, mentre, per i reati commessi a partire dal primo gennaio 2020 trova applicazione la disciplina di cui alla legge n. 134 del 2021, che ha introdotto il regime della cessazione del corso della prescrizione a partire dalla pronuncia della sentenza di primo grado, come comunicato con informazione provvisoria.
Ed anche con riferimento precipuo alla diversa disciplina della prescrizione dettata dalla c.d. legge Orlando e dalla c.d. legge Bonafede, il fenomeno della successione delle leggi penali nel tempo non può essere regolamentato dall’art. 2 cod. pen., posto che le leggi succedutesi contengono la previsione della loro applicabilità ai reati commessi a decorrere da una certa data (Sez. 4, n. 566 del 13/12/2024, dep. 2025, Gerace; Sez. 4, n. 10483 del 29/02/2024, Bisterzo).
Pertanto, alla fattispecie in esame, relativa a reato commesso il 5 aprile 2018, va applicato il regime di sospensione della c.d. legge Orlando, con la conseguenza che il termine di prescrizione massimo quinquennale non era ancora maturato alla data del 02/05/2023 in cui Ł stata emessa la sentenza di primo grado, dovendosi considerare sia un periodo di sospensione di 64 giorni per il rinvio dell’udienza del 14/04/2020 ricadente nel periodo 09/03/2020-11/05/2020, sia un periodo di ulteriori 162 giorni per il rinvio dell’udienza del 15/11/2022 all’udienza del 02/05/2023 disposto su richiesta della difesa, con differimento del termine di prescrizione massimo al 17/11/2023. Il decorso del termine di prescrizione era poi nuovamente sospeso a partire dal 01/08/2023, termine ultimo entro il quale, a norma dell’art. 544 cod. proc. pen., doveva essere depositata la sentenza di primo grado, sino alla pronuncia del dispositivo della sentenza del grado successivo e, comunque, per un termine non superiore a un anno e sei mesi; ed ancora, senza soluzione di continuità, il decorso del termine di prescrizione era nuovamente sospeso a partire dal 26/06/2024 (data nella quale Ł stato emesso il dispositivo e contestualmente depositata la motivazione della sentenza di secondo grado) sino alla pronuncia del dispositivo della sentenza definitiva e, comunque, per un termine non superiore a un anno e sei mesi, sospensione non ancora esaurita alla data del 31/01/2025 in cui Ł stata deliberata la presente decisione con la pronuncia del dispositivo della sentenza definitiva.
In conclusione, stante l’infondatezza delle censure sollevate, il ricorso proposto nell’interesse della ricorrente deve essere rigettato, con onere per la ricorrente medesima, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
P.Q.M
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così Ł deciso, 31/01/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME