Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 30260 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 30260 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI PALERMO nel procedimento a carico di:
COGNOME NOME nato a AGRIGENTO il DATA_NASCITA
e sul ricorso proposto dallo stesso COGNOME NOME nato a AGRIGENTO IL DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 17/07/2023 della CORTE ASSISE APPELLO di PALERMO
in cui sono costituiti parte civile:
COGNOME NOME
COGNOME NOME
COGNOME NOME
COGNOME NOME
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso del P.G. limitatamente alla circostanza aggravante e l’inammissibilità del ricorso di COGNOME NOME.
uditi i difensori
E’ presente l’avvocato COGNOME NOME del foro di ROMA, quale
sostituto processuale per delega orale dell’avvocato COGNOME NOME del foro di PALERMO in difesa delle PARTI CIVILI COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, che conclude chiedendo l’accoglimento del ricorso del P.G. e il rigetto del ricorso della parte e deposita conclusioni e no spese.
E’ presente l’avvocato COGNOME del foro di AGRIGENTO in difesa di COGNOME NOME che conclude per il rigetto del ricorso del P.G. e insiste nell’accoglimento dei motivi di ricorso del proprio assistito.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa in data 17 luglio 2023 la Corte di assise di appello di Palermo, parzialmente riformando la sentenza emessa in data 25 luglio 2022 dal giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Agrigento, ha condannato NOME COGNOME alla pena di anni sedici di reclusione, e al risarcimento in favore delle parti civili, per il delitto di cui all’art. 575 cod.pen. commesso il 02/12/20 in danno di NOME COGNOME.
La Corte ha confermato la responsabilità del ricorrente per tale delitto, con esclusione dell’aggravante della premeditazione, confermata invece a carico del coimputato, ribadendo che, come già ritenuto dal giudice di primo grado, le prove a suo carico consistono nelle dichiarazioni etero- e auto-accusatorie del correo, NOME COGNOME, ritenute credibili per la loro spontaneità, per i comprovati rapporti del dichiarante con i soggetti da lui indicati quali autor materiali e quale mandante dell’omicidio, per la veridicità del motivo che il mandante avrebbe indicato al COGNOME, e riscontrate dalle intercettazioni a carico del COGNOME, successive alle dichiarazioni del correo, che contengono una sorta di sua confessione stragiudiziale. In particolare ha ribadito la piena credibilità delle dichiarazioni del COGNOME, sia valutandole con motivazione ampia e approfondita alla luce della giurisprudenza di legittimità, sia affermando di ritenere non rilevanti alcune loro discrasie e non ipotizzabile un intento calunniatorio da parte del dichiarante, non indicato neppure dall’imputato con motivi plausibili. Ha confermato la sussistenza di alcuni riscontri a tal dichiarazioni, consistenti soprattutto nelle conversazioni intercettate tra lo stesso imputato COGNOME e l’altro soggetto accusato di essere l’autore materiale dell’omicidio, tale NOME COGNOME, giudicato separatamente. Ha invece respinto la richiesta di concessione delle attenuanti generiche, per la gravità del reato, la personalità negativa dell’imputato e la sua non corretta condotta processuale. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Avverso la sentenza hanno proposto ricorso il procuratore generale presso la Corte di appello di Palermo, articolando un unico motivo, e l’imputato COGNOME, per mezzo del suo difensore AVV_NOTAIO, articolando anch’egli, di fatto, un unico motivo.
Il procuratore generale deduce la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui ha escluso l’aggravante della premeditazione nei riguardi dell’imputato COGNOME.
La Corte di assise di appello ha motivato tale decisione con il fatto che i riscontri alla chiamata di correità del COGNOME, relativi al COGNOME, riguardano solo la partecipazione di questi alla fase finale dell’iter criminoso e alla su presenza nel momento della esecuzione dell’omicidio, ed ha valutato che egli, pur genericamente informato della programmazione di un omicidio che non prevedeva, però, il suo diretto coinvolgimento, sembra essere stato solo all’ultimo momento compulsato o precettato, e avere dato la propria disponibilità a parteciparvi, per essersi uno degli esecutori designati defilato o per una modifica organizzativa, e avere solo allora ricevuto la pistola.
La Corte di assise di appello, poi, ha omesso di valutare, nel decidere la sussistenza dell’aggravante, alcuni riscontri già utilizzati per valutare l’attendibilità estrinseca della chiamata di correità, quali le conversazion intercettate tra il COGNOME e il complice COGNOME il 16/04/2019 e il 02/05/2019, che evidenziano la piena conoscenza dell’operazione, da parte del primo, a partire dalle sue fasi preparatorie e dall’identità del mandante.
Tale ricostruzione, secondo il procuratore ricorrente, è in contraddizione con le dichiarazioni del coimputato COGNOME, nelle quali la presenza del COGNOME a tutte le fasi preparatorie dell’omicidio risulta, nell’economia del suo racconto, non così defilata e priva di rilievo come ipotizzato dai giudici. Il COGNOME, infatti, raccontato che sin dal primo momento parlò dell’omicidio che gli era stato commissionato con il COGNOME e con l’altro soggetto designato quale esecutore; che, acquistata insieme a quest’ultimo la pistola da utilizzare, la custodì per pochi giorni ma poco dopo la consegnò al COGNOME; che il COGNOME si incaricò di pedinare per alcuni giorni la vittima designata, consentendo così di organizzare l’omicidio per un venerdì, giorno in cui questa restava a lavorare in campagna. Secondo queste dichiarazioni, il COGNOME ha rivestito, quindi, un ruolo significativo sia nella fase deliberativa dell’omicidio, sia nella intera fa preparatoria. La ritenuta piena credibilità del coimputato dichiarante, ribadita per l’intera sentenza, esclude di ritenere che la partecipazione del COGNOME all’omicidio sia stata decisa solo nella sua immediatezza, essendo la ricostruzione in tal senso non solo priva di supporto probatorio, ma del tutto in contrasto con le affermazioni del dichiarante. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
L’iter motivazionale che ha portato all’esclusione dell’aggravante, pertanto, è illogico, in quanto i dati probatori rivelano con evidenza la necessaria correlazione logica tra l’accertamento della responsabilità del COGNOME quale esecutore materiale dell’omicidio e la sussistenza della premeditazione, anche perché, viste le modalità dell’omicidio (commesso su mandato, dietro un compenso in denaro, previa acquisizione di una pistola clandestina e previo studio delle abitudini della vittima), non è logicamente plausibile la sua
partecipazione solo nell’imminenza dell’azione e senza un suo coinvolgimento nelle fasi preparatorie antecedenti. Sussistono, pertanto, gli elementi cronologico e ideologico che, secondo la giurisprudenza di legittimità, integrano la citata aggravante.
Il ricorrente COGNOME deduce il travisamento della prova e la contraddittorietà della motivazione, nonché la violazione dei canoni di valutazione della prova.
I giudici di merito hanno fondato la prova della responsabilità del ricorrente sulle dichiarazioni auto- ed etero-accusatorie di NOME COGNOME, erroneamente ritenute attendibili, benché prive di riscontri individualizzanti.
In primo luogo le sue dichiarazioni circa le modalità del delitto vanno considerate come de relato, in quanto egli non partecipò alla fase esecutiva dell’azione ornicidiaria e quindi ne venne informato, per sua stessa ammissione, dagli esecutori materiali; costoro, in realtà, gli avrebbero riferito solo poch informazioni, per cui molte delle sue affermazioni sono frutto di sue intuizioni e deduzioni.
Le sue dichiarazioni, poi, sono intrinsecamente inattendibili perché narrate, dal dichiarante, in quattro modi diversi, e perché emerge con chiarezza il suo intento calunniatorio verso le due persone indicate quali suoi complici. Egli ha affermato di avere commesso altri delitti, in precedenza, con i due chiamati in correità, ma dagli atti emerge solo che egli ha una lunga storia criminale, e non vi è alcun elemento da cui risulti che ha commesso altri reati con i coindagati.
Non è fondata l’affermazione dei giudici di merito, secondo cui le conversazioni intercettate a carico del COGNOME costituiscono riscontro alle accuse del COGNOME, perché di esse il ricorrente ha dato una diversa, plausibile interpretazione: esse, quindi, sono quanto meno non univoche, e non possono provare la partecipazione del medesimo all’omicidio. Non costituisce una prova della partecipazione all’omicidio la dichiarazione del COGNOME, di avere dato al COGNOME una pistola, perché potrebbe avergliela consegnata per commettere altri reati.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, i singoli indizi a carico di un imputato devono, sì, essere valutati unitariamente e non in modo parcellizzato, però ciascuno di essi deve risultare certo ed avente valenza indiziaria, mentre i giudici di merito hanno omesso la loro previa valutazione singola.
Stante l’esito negativo di tale verifica, il ricorrente avrebbe dovuto essere assolto, mancando la prova della sua responsabilità “oltre ogni ragionevole dubbio”; mancano del tutto i riscontri individualizzanti, le dichiarazioni de chiamante in correità sono contraddittorie, ad esempio quando ha parlato di una
diversa auto con cui uno degli autori materiali dell’omicidio si sarebbe portato sul luogo dell’agguato, mancano testimoni del fatto, e il chiamante in correità è intrinsecamente inattendibile, e descrive una dinamica omicidiaria basata su incongruenze e circostanze contraddittorie.
c.k. n 5t.tt,ec , Unte. –
Il Procuratore generale,Vriportandosi alla requisitoria scritta depositata, ha te.’ 144,Q chiesto l’accoglimento del ricorso del procuratore generale con annullamento del provvedimento impugnato sul punto della premeditazione e rinvio per nuovo giudizio, e la declaratoria di inammissibilità quanto al ricorso dell’imputato.
Le parti civili hanno depositato una comparsa conclusionale, con relativa nota spese.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto dall’imputato COGNOME è generico e manifestamente infondato, e deve essere dichiarato inammissibile. COGNOME Esso risulta, infatti, meramente reiterativo delle questioni poste con l’atto di appello e approfonditamente valutate dalla corte di secondo grado, dalla pagina 35 alla pagina 124 della sentenza impugnata.
Deve, pertanto, ribadirsi il consolidato principio di questa Corte, secondo cui «È inammissibile il ricorso per cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con l’atto di appello e motivatamente respinti in secondo grado, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato ma limitandosi, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicità della motivazione» (Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rv. 276970).
La sentenza impugnata ha ritenuto sussistente la responsabilità del ricorrente adottando gli stessi criteri utilizzati dal giudice di primo grado nel valutazione delle prove ed emettendo quindi una cd. “doppia conforme”, in cui la struttura argomentativa si salda con quella della sentenza di primo grado, con la conseguenza che le due sentenze devono essere lette congiuntamente, costituendo un unico complessivo corpo decisionale (Vedi Sez. 2, n. 372915 del 12/06/2019, COGNOME Rv. COGNOME 277218). COGNOME La COGNOME sua COGNOME motivazione, COGNOME peraltro, COGNOME valuta approfonditamente tutte le questioni proposte con l’atto di appello, con argomentazione logica e non contraddittoria.
La credibilità soggettiva del chiamante in correità è stata nuovamente valutata dalla pagina 36 alla pagina 61 della sentenza di appello, correttamente
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chiarendo che trattasi di un dichiarante diretto e non de relato, dal momento che egli ha partecipato attivamente e direttamente a tutte le fasi del delitto, dall sua organizzazione, all’acquisizione dell’arma e alla scelta degli esecutori materiali, rimanendo escluso solo dalla fase meramente esecutiva. I giudici, peraltro, hanno richiamato la nota sentenza Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, Aquilina, ed hanno applicato in modo corretto i principi da questa stabiliti per la valutazione della chiamata in correità, ribadendone la piena attendibilità anche se la si volesse ritenere, almeno in parte, una dichiarazione de relato.
Le presunte discrasie tra le varie versioni rese e l’asserito intento calunniatorio del dichiarante sono stati nuovamente esaminati, ed esclusi con motivazione approfondita e coerente con gli indizi e le prove raccolti, dalla pagina 62 alla pagina 92 della sentenza. Il ricorso non si confronta affatto con questa parte della motivazione, e continua ad asserire, in modo peraltro generico, la sussistenza di elementi idonei ad escludere la credibilità del dichiarante, elementi che sono stati dettagliatamente neciati dalla sentenza impugnata: gli stretti rapporti tra questi e il ricorrente e il concorso tra loro commettere precedenti reati, ad esempio, sono stati ammessi dallo stesso COGNOME, risultando perciò provati oltre ogni ragionevole dubbio, così come è stata motivatamente esclusa, alle pagine 45-46, la sussistenza di ragioni di astio che potevano far sorgere nel dichiarante un intento calunniatcrio.
La presenza di riscontri alla chiamata di correità, e l’assenza di circostanze contrarie ad essa per le parti non riscontrate, sono questioni ampiamente riesaminate, alle pagine da 93 a 116 della sentenza, individuando i primi, essenzialmente, nelle conversazioni intercettate a carico del ricorrente e del COGNOME dopo che costoro sono venuti a conoscenza della scelta del dichiarante di collaborare con l’autorità giudiziaria, nelle quali essi si mostrano preoccupati di poter essere da lui accusati di questo omicidio. Il ricorrente sostiene l’irrilevanza delle conversazioni intercettate a suo carico affermando di averne dato una plausibile spiegazione alternativa, ma la sentenza ha preso in esame tale spiegazione, relativa peraltro solo ad alcune delle frasi intercettate, e ne ha evidenziato, con motivazione logica e puntuale, contenuta nelle pagine da 116 a 124, la non credibilità, per l’evidente contrasto con l’effettivo contenuto delle stesse.
Diversamente da quanto affermato dal ricorrente, quindi, la sentenza impugnata ha riesaminato singolarmente i vari elementi sui quali il giudice di primo grado aveva fondato la propria decisione, ne ha ribadito, con motivazione logica e non contraddittoria, la credibilità e la valenza accusatoria, e li ha po valutati in modo complessivo e non parcellizzato, concludendo che essi conducono univocamente a dimostrare la responsabilità dell’imputato per
l’omicidio, “oltre ogni ragionevole dubbio”. La motivazione, pertanto, è priva dei vizi dedotti dal ricorrente, il cui ricorso, in quanto generico e aspecifico, dev essere dichiarato inammissibile.
Il ricorso proposto dal procuratore generale presso la Corte di appello di Palermo è, invece, fondato e deve essere accolto.
3.1. La sentenza risulta contraddittoria nella parte in cui, dopo avere ampiamente valutato la piena credibilità soggettiva e oggeti:iva del dichiarante COGNOME, e la correttezza della sua ricostruzione circa le modalità dell’omicidio contestato, esclude per l’imputato COGNOME l’aggravante della premeditazione affermando che «gli elementi di riscontro individualizzante che corroborano in modo decisivo la chiamata di correo che promana dal COGNOME nei riguardi del COGNOME si riferiscono tutti e solo alla partecipazione di quest’ultimo alla fase finale dell’iter criminoso, e alla sua presenza sulla scena del crimine», e che lo stesso dichiarante descrive un ruolo del COGNOME «quasi impalpabile … incolore» per tutta la fase preparatoria del delitto.
Nelle parti precedenti, come richiamato alle pagine da 127 a 129 della sentenza, i giudici hanno invece ricordato che, secondo il dichiarante, egli riferì il mandato onnicidiario sia al COGNOME sia al COGNOME, che quest’ultimo ebbe il compito di pedinare la vittima per scegliere il momento e il luogo più propizi per la sua uccisione, che gli venne consegnata la pistola, che la funzionalità di quest’ultima venne provata anche da lui, mediante apposite prove di tiro effettuate in un terreno in sua disponibilità. Le conversazioni intercettate, poi, dimostrano senza alcun dubbio la sua piena conoscenza del mandante dell’omicidio, come emerge dal riferimento a “quello della birreria” fatto dal COGNOME, e immediatamente compreso dal COGNOME.
La chiamata in correità del COGNOME non viene, quindi, svalutata o ritenuta non credibile nelle parti in cui egli afferma che il COGNOME fu messo a conoscenza sin dal primo momento del mandato omicidiario, e quindi del proposito di uccidere la vittima, che seguì, anche se in un ruolo asseritamente «incolore», le fasi preparatorie dell’azione, pedinando direttamente o comunque partecipando ad un pedinamento della vittima dichiaratamente finalizzato ad individuare il momento più opportuno per agire, e partecipando addirittura alle prove di tiro con la pistola, risultando quindi informato delle modalità con cui l’omicidio doveva essere commesso.
L’affermazione della mancanza di riscontri individua lizzanti circa la partecipazione del COGNOME alla fase preparatoria dell’omicidio non è corretta, perché la sua conoscenza del mandante dell’omicidio, dimostrata dalla conversazione intercettata a carico suo e del COGNOME il 16/04/2019,
conferma che egli venne informato sin dall’inizio del mandato omicidiario e dell’identità del mandante, come riferito dal dichiarante. Inoltre costituisce un principio consolidato di questa Corte, quello secondo cui «La circostanza aggravante della premeditazione, oggetto di prova, ex art. 187 cod. proc. pen. e, pertanto, assoggettata alle regole di valutazione stabilite nell’art. 192, comma 2, del codice di rito, può essere dimostrata anche con il ricorso alla prova logica, sulla scorta degli indizi ricavabili dalle modalità del fatto, dalle circostanze tempo e luogo, dal concorso di più persone con ripartizione dei ruoli e dalla natura del movente; non è, invece, necessario stabilire con assoluta precisione il momento in cui è sorto il proposito criminoso o quello in cui l’accordo è stato raggiunto, essendo sufficiente che gli elementi indiziari suddetti siano gravi, precisi e concordanti e che, globalmente valutati, consentano di risalire, in termini di certezza processuale, al requisito di natura cronologica e a quello di natura ideologica, in cui si sostanzia la premeditazione» (Sez. 5, n. 3542 del 17/12/2018, Rv. 275415).
In questo caso vi è la certezza, derivante dalla prova costituita dalla chiamata in correità e dai riscontri oggettivi evidenziati nella sentenza, che il COGNOME è stato informato del mandato omicidiario ed ha partecipato all’azione con il ruolo fondamentale di esecutore materiale. La sua partecipazione alla fase preparatoria, affermata dal medesimo dichiarante, in particolare indicando il suo compito di pedinare la vittima e la sua partecipazione alle prove di tiro con la pistola, può pertanto essere ritenuta dimostrata attraverso il ricorso alla prova logica, essendo logico che egli sia stato coinvolto nell’organizzazione dell’omicidio, al fine di individuare con precisione la vittima, e soprattutto che si stato messo alla prova quanto alle sue capacità di tiratore, risultando non credibile che il ruolo di materiale esecutore sia stato attribuito, all’ulti momento, ad un soggetto non precedentemente coinvolto nel delitto, e di cui si ignorava persino se sarebbe stato capace di usare la pistola, mentre tale compito avrebbe potuto essere attribuito all’altro soggetto a cui era stato già assegnato il ruolo di esecutore materiale.
Deve anche ribadirsi che «In tema di chiamata in correità, gli “altri elementi di prova” che, a norma dell’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen., confermano l’attendibilità della dichiarazione non devono valere a provare il fatto-reato e la responsabilità dell’imputato, perché, in caso contrario, la suddetta disposizione sarebbe dei tutto pleonastica; la loro funzione processuale è, invece, semplicemente quella di confermare l’attendibilità delle dichiarazioni accusatorie, il che comporta che tali elementi sono in posizione subordinata ed accessoria rispetto alla prova derivante dalla chiamata in correità» (Sez. 2, n. 8125 del 30/01/2013, Rv. 255244). E’ errata, pertanto, l’affermazione contenuta alla
pagina 125 della sentenza, secondo cui la sussistenza della circostanza della premeditazione sarebbe dimostrata se fosse provata, da elementi diversi dalla chiamata in correità, la partecipazione del COGNOME a tutte le fasi dell’iter criminoso, perché ciò significa togliere valore probatorio alla dichiarazione del chiamante, e pretendere di rintracciare non dei riscontri ad essa, ma delle prove autonome, e da questa indipendenti.
Sussistono, pertanto plurimi elementi indiziari dai quali può essere dedotta, attraverso il ricorso alla prova logica, la sussistenza anche a carico del COGNOME della circostanza aggravante della premeditazione.
3.3. La sentenza, infine, non ha applicato il princdpio secondo cui «L’aggravante della premeditazione si applica anche al concorrente che non abbia direttamente premeditato il reato nel caso in cui lo stesso abbia acquisito, prima che si sia esaurito il proprio apporto volontario all’evento criminoso, l’effettiva conoscenza della altrui premeditazione» (Sez. :L, n. 37621 del 14/07/2023, Rv. 285761). Secondo la giurisprudenza di legittimità tale aggravante, in questo caso sicuramente sussistente a carico del correo
COGNOME, ai sensi dell’art. 118 cod.pen. si estende anche ai concorrenti che non hanno premeditato il delitto se costoro hanno «acquisito, prima dell’esaurirsi del loro volontario apporto alla realizzazione dell’evento criminoso, l’effettiva conoscenza dell’altrui premeditazione, facendo propria la particolare intensità dell’altrui dolo» (così, tra le molte, Sez. 1, n. 12879 del 24/01/2005, Rv. 231124; Sez. 1, n. 49237 del 10/10/2007, Rv. 237866; Sez. 5, n. 29202 del 11/03/2014, Rv. 262383; si veda anche Sez. U, n. 8545 del 19/12/2019, Chioccini, Rv. 278734, sul principio della estensione ai correi delle circostanze di natura soggettiva). Si è affermato, in particolare, che se il concorrente, pur non avendo direttamente premeditato l’omicidio, vi partecipa nella piena consapevolezza dell’altrui premeditazione, acquisita prima di esaurire il proprio apporto all’azione stessa, la sua volontà adesiva al progetto investe e fa propria la particolare intensità del dolo altrui, con estensione a lui stesso della relativ aggravante.
La sentenza impugnata non si è conformata a tale principio, e non ha spiegato perché, pur avendo ritenuto provato che il COGNOME abbia avuto conoscenza, sin dall’inizio, del mandato omicidiario e della volontà del COGNOME di uccidere quella specifica vittima, e vi abbia quindi partecipato quale esecutore materiale, non debba estendersi a lui stesso l’aggravante della premeditazione, benché ritenuta sussistente a carico del predetto dichiarante.
La motivazione, sul punto, è pertanto erronea sotto diversi profili, per la sua contraddittorietà e la sua assenza in ordine all’applicabilità della norma di cui all’art. 118 cod.pen.. La sentenza deve, perciò, essere annullata limitatamente alla sussistenza dell’aggravante della premeditazione, con rinvio ad altra sezione della Corte di assise di appello di Palermo per un nuovo giudizio, da svolgersi con piena libertà valutativa, ma nel rispetto dei principi sopra puntualizzati.
Per i motivi esposti, quindi, il ricorso proposto dal procuratore generale presso la Corte di appello di Palermo deve essere accolto e la sentenza annullata, nei termini sopra precisati.
Il ricorso proposto dall’imputato COGNOME, invece, deve essere dichiarato inammissibile, e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento, ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen., di una somma in favore della Cassa delle ammende, nella misura che si stima equo determinare in euro 3.000,00.
Egli deve, altresì, essere condannato al rimborso delle ulteriori spese sostenute dalle parti civili, liquidate come in dispositivo, in misura pari a quanto richiesto.
Annulla la sentenza impugnata con riferimento all”aggravante della premeditazione, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di assise di appello di Palermo.
Dichiara inammissibile il ricorso di COGNOME NOME e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, tutti nella qualità di eredi di COGNOME NOME, che liquida in complessivi euro 3.686,00, oltre accessori di legge.
Così deciso il 03 maggio 2024
COGNOME