Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 32827 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 32827 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 02/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME NOME DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 11/11/2024 della CORTE di APPELLO di VENEZIA
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo emettersi declaratoria di inammissibilità del ricorso; udito l’AVV_NOTAIO, per il ricorrente, che ha concluso riportandosi ai motivi di ricorso e chiedendone l’accoglimento;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza resa in data 11 novembre 2024 la Corte d’Appello di Venezia, in parziale riforma della sentenza emessa il 13 gennaio 2021 dal Tribunale di Vicenza, con la quale l’imputato COGNOME era stato dichiarato colpevole del reato di rapina aggravata in concorso, escludeva la circostanza aggravante di cui all’art. 61, comma 1, n. 5) cod. pen. e riduceva in conseguenza la pena inflitta.
Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del proprio difensore, chiedendone l’annullamento e articolando cinque motivi di doglianza.
Con il primo motivo deduceva violazione degli artt. 354 e 349, comma 2, cod. proc. pen. in relazione alla legge n. 85/2009, nella parte in cui la Corte territoriale aveva ritenuto che il prelievo salivare nei confronti dell’imputato fosse stato effettuato quale accertamento urgente per finalità investigative, a norma dell’art. 354, comma 3, cod. proc. pen. in relazione all’art. 349, commi 2 e 2-bis, cod. proc. pen., e non, diversamente, a norma dell’art. 9 della legge n. 85/2009, ai fini dell’inserimento del profilo del DNA nella RAGIONE_SOCIALE.
Assumeva che il prelievo era inutilizzabile ai sensi del citato art. 9, disposizione che imponeva che l’acquisizione del profilo genetico avvenisse solo dopo la convalida dell’arresto o del fermo da parte del giudice, laddove nel caso di specie tale convalida era intervenuta solo successivamente al prelievo salivare.
Con il secondo motivo deduceva inosservanza di norme processuali in relazione alla nullità o inutilizzabilità del prelievo salivare effettuato sull’imputato in data 22 novembre 2011, in quanto eseguito in violazione dell’art. 9 citato, nonché in violazione dell’art. 114 disp. att. cod. proc. pen. in ragione dell’omesso avviso al difensore, trattandosi nella specie di accertamento tecnico non ripetibile ex art. 360 cod. proc. pen.
Contestava la correttezza dell’affermazione della Corte d’Appello secondo la quale il consenso prestato dall’imputato al prelievo aveva reso superflua l’autorizzazione del giudice al prelievo medesimo.
Con il terzo motivo deduceva violazione dell’art. 114 disp. att. cod. proc. pen., in relazione agli artt. 356 e 360 cod. proc. pen. nella parte in cui era stato omesso l’avviso al difensore del compimento di attività urgente finalizzata ad acquisire materiale biologico nei confronti di soggetto in stato precautelare.
Assumeva, in particolare, che nel caso di specie la raccolta di materiale biologico assumeva i connotati di un accertamento tecnico non ripetibile in quanto presupponeva l’espletamento di attività particolari correlate a scelte operative tali da imporre la presenza del difensore.
Con il quarto motivo deduceva vizio di motivazione in ordine alla doglianza della difesa relativa alla violazione della catena di custodia dei reperti raccolti nel corso delle indagini.
Assumeva in particolare che la motivazione del provvedimento impugNOME era illogica nella parte in cui, a fronte di quanto dichiarato dal teste di p.g. COGNOME, non aveva chiarito le circostanze relative alle modalità e ai luoghi di rinvenimento di uno o forse due fazzolettini intrisi di sangue, non chiarendo in particolare quanti reperti fossero stati acquisiti sul luogo del reato e quali metodologie di custodia fossero state adottate per la loro conservazione.
Con il quinto motivo deduceva violazione degli artt. 191, 234 e 360, comma 3, cod. proc. pen. nonché violazione dei protocolli interni e internazionali in relazione alle modalità di acquisizione e conservazione del reperto biologico acquisito sull’imputato in data 22 novembre 2011, con particolare riguardo all’uso del tampone orale, al tipo di contenitore sterile utilizzato per la conservazione e all’abbigliamento indossato dagli operatori.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo è manifestamente infondato e, pertanto, inammissibile.
La Corte d’Appello, invero, ha opportunamente osservato che nel caso di specie il prelievo salivare – rispetto al quale l’imputato aveva prestato il consenso – aveva una stretta finalità investigativa, essendo funzionale al soddisfacimento dell’interesse degli investigatori di individuare singole responsabilità in relazione all’esecuzione di singoli furti; “da qui la necessità di ottenere l’impronta genetica dei fermati e di compararla con le tracce già repertate che gli autori dei delitti, eseguiti in epoca precedente al fermo, avevano lasciato” (v. pag. 8 della sentenza impugnata).
Non risulta, pertanto, pertinente il richiamo all’art. 9 della legge n. 85/2009, che disciplina il diverso caso del prelievo biologico finalizzato all’inserimento del DNA in RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
Non sussiste, pertanto, la violazione di legge denunciata.
Parimenti inammissibili, in quanto manifestamente infonRAGIONE_SOCIALE, sono il secondo e il terzo motivo.
Con entrambi si lamenta l’omesso avviso al difensore dell’effettuazione del prelievo salivare, sul presupposto che si tratterebbe di un accertamento irripetibile.
Come osservato dalla Corte di merito, il prelievo salivare non ha carattere di irripetibilità poiché costituisce attività che può essere sempre ripetuta, anche su
istanza del difensore; di qui l’inapplicabilità della disciplina di cui all’art. 36 cod. proc. pen., che al comma 1 prevede, tra l’altro, l’avviso al difensore.
Sono, infine, manifestamente infonRAGIONE_SOCIALE, e pertanto inammissibili, anche il quarto e il quinto motivo, dovendosi considerare che gli stessi risultano dedotti in via meramente ipotetica, non essendo stati esplicitati in maniera specifica le violazioni, dedotte solo genericamente, dei protocolli relativi alle modalità di repertazione e alla catena di custodia dei reperti utilizzati ai fini dell’individuazione dell’imputato quale autore del delitto contestato.
La confutazione, poi, delle dichiarazioni rese dal teste di p.g. COGNOME si risolve in mere considerazioni di fatto, come tali inammissibili in questa sede.
Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile.
Il ricorrente deve, pertanto, essere condanNOME, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 02/07/2024
Il Consigliere estensore
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Il Presidente