Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 47355 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 47355 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a MELITO DI PORTO SALVO il 12/09/1987
avverso le ordinanze del 03/07/2024 e del 11/06/2024 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del PG, nella persona del Sostituto procuratore NOME COGNOME che ha chiesto annullarsi senza rinvio l’ordinanza impugnata, con restituzione degli atti alla Corte di appello di Reggio Calabria per l’ulteriore corso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza del 3 luglio 2024 la Corte di appello di Reggio Calabria, adita quale giudice dell’esecuzione, ha rigettato l’istanza con cui NOME COGNOME aveva chiesto revocarsi il precedente provvedimento, in data 11 giugno 2024, con cui era stata dichiarata inammissibile l’istanza di riconoscimento del vincolo ella continuazione tra i reati giudicati con sentenze emesse dalla stessa Corte di appello il 13-16 gennaio 2017 ed il 22 novembre 2019.
A ragione della decisione, Corte territoriale osserva che la censurata declaratoria di inammissibilità era stata correttamente emessa perché l’istanza avanzata nell’interesse di Leone costituiva la mera riproposizione di altre due, presentate in precedenza. Anche il reato di estorsione, oggetto della sentenza del 24 luglio 2019, era già stato esaminato perché già unificato al reato associativo oggetto della sentenza in data 22 novembre 2019. In ogni caso, non è possibile ritenere, neanche astrattamente, esistente il vicolo di cui all’art. 81, secondo comma, cod. pen. tra il citato reato di estorsione ed i reati oggetto delle sentenze emesse dalla stessa Corte di appello il 13-16 gennaio 2017 ed il 22 novembre 2019. Risulta infatti accertato, con provvedimenti irrevocabili, che, le violazioni giudicate con queste ultime due sentenze non sono state commesse in esecuzione del medesimo disegno criminoso.
Avverso entrambe le citate ordinanze ha proposto ricorso per cassazione il difensore del condannato, avv. NOME COGNOME deducendo tre motivi di impugnazione.
2.1. Con il primo chiede annullarsi l’ordinanza emessa in data 11 giugno 2024, mai notificata al ricorrente, per omessa valutazione degli elementi di novità in essa allegati.
Evidenzia che la Corte distrettuale ha provveduto de plano in assenza dei presupposti. L’istanza dichiarata inammissibile, infatti, non aveva affatto un contenuto identico a quello delle istanze avanzate in precedenza. Con essa non solo si chiedeva l’applicazione della disciplina della continuazione con riferimento ,nos a reati oggetto di , n terza ed ulteriore sentenza, ma si poneva per la prima volta a fondamento della sussistenza della unitarietà del disegno criminoso tra tutte le violazioni una recente ordinanza ex art. 671 cod. proc. pen., che aveva riconosciuto il vincolo di cui all’art. 81, secondo comma, tra i reati oggetto della sentenza del 22 novembre 2019 e quelli giudicati da altra sentenza emessa in data 24 luglio 2019.
2.2. Con il secondo motivo chiede l’annullamento delle ordinanze emesse in data 11 giugno e 3 luglio 2024 per violazione dell’art. 666, comma 2, cod. proc. pen.
Osserva che entrambe le ordinanze sono state emesse senza la previa fissazione dell’udienza in camera di consiglio per la trattazione nel contraddittorio delle parti.
2.3. Con il terzo motivo chiede annullarsi l’ordinanza in data 3 luglio 2024 in relazione all’art. 81, secondo comma, cod. pen. per violazione di legge e vizio di motivazione.
Lamenta che la Corte territoriale ha ritenuto corretta la declaratoria di inammissibilità della precedente ordinanza, seguendo un percorso motivazionale illogico, che non tiene conto della consumazione dei fatti-reato nel medesimo periodo storico, dal 2005 al 2016, in unico contesto territoriale e con il coinvolgimento degli stessi soggetti. A tal fine il ricorrente indica analiticamente, nelle pagine 7 e seg., gli elementi fattuali desumibili dagli atti acquisiti n procedimenti definiti dalle sentenze di cui ha chiesto l’unificazione ex art. 81, secondo comma, cod. pen., sintomatici dell’unitarietà del disegno criminoso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
1. Il primo motivo è manifestamente infondato.
Risulta dagli atti di causa che l’ordinanza in data 11 giugno 2024 è stata comunicata telematicamente al difensore e, attraverso la Direzione della Casa di reclusione, al condannato istante e che avverso di essa non è stata proposto il mezzo di impugnazione previsto dall’ordinamento processuale, ovvero il ricorso per cassazione, entro il termine perentorio di quindici giorni previsto per tutti provvedimenti in camera di consiglio con la conseguenza che è divenuta irrevocabile.
Il secondo ed il terzo motivo non possono essere scrutinati per difetto di interesse perché volti ad ottenere, attraverso l’annullamento del provvedimento impugnato, una pronuncia – la revoca di un’ordinanza dichiarativa dell’inammissibilità dell’istanza di applicazione della disciplina della continuazione – attraverso uno strumento diverso da quello previsto dall’ordinamento ed in violazione del principio della preclusione processuale, derivante dal divieto del “ne bis in idem” (art. 649 cod. proc. pen.), che è operante anche in sede esecutiva.
A tal proposito va rammentato che, ai fini dell’operatività di siffatta preclusione processuale, non è necessaria la formale irrevocabilità della decisione esecutiva, ma è sufficiente che il giudice dell’esecuzione abbia esaurito il proprio potere cognitivo e la propria funzione (cfr. Sez. U, n. 40151 del 19/04/2018, Avignone, in motivazione).
In questa prospettiva è stato condivisibilmente affermato che nell’ipotesi in cui il provvedimento del giudice, emesso in forma di ordinanza, non decide su questioni contingenti o temporanee, sia di rito, sia di merito, ma statuisce su determinate situazioni giuridiche con carattere di definitività ed è soggetto a impugnazione, il provvedimento stesso deve ritenersi, al pari delle sentenze,
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irrevocabile, con la conseguenza che, essendosi esaurita con la sua emanazione la potestà decisoria, è sottratta, immediatamente o successivamente, all’organo della giurisdizione la possibilità di tornare sulla decisione assunta, salva la possibilità che la questione venga riproposta sulla base di elementi nuovi (Sez. 1, n. 5099 del 22/09/1999, COGNOME, Rv. 214695 – 01 e, più di recente, Sez. 1, n. 425 del 23/11/2023, dep. 2024, PMT C/ COGNOME, Rv. 285554 – 01 in una fattispecie, assimilabile a quella in esame, relativa a un provvedimento, emesso in sede di esecuzione, con cui era stata revocata la precedente ordinanza di riconoscimento della continuazione tra diverse sentenze).
D’altra parte, la ratio sottesa a tale consolidata interpretazione è chiara: comporre ed impedire l’insorgenza di contrasti tra decisioni diverse, intervenute sulla medesima questione a fronte di presupposti coincidenti evitando l’inconveniente della contestuale pendenza di giudizi distinti sullo stesso oggetto in presenza di una immutata situazione di fatto o di identiche questioni di diritto.
In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi inammissibile a norma dell’art. 606, comma 3, cod. proc. pen.; alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, in Roma 7 novembre 2024.