Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 20579 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
PRIMA SEZIONE PENALE
Penale Sent. Sez. 1 Num. 20579 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/05/2025
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
– Relatore –
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOMECOGNOME nata a Lamezia Terme il 31/05/1967, avverso l’ordinanza del 15/11/2024 della Corte di Appello di Catanzaro. Letti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto rigettarsi il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 18 marzo 2008, il giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Lamezia Terme, per quanto in questa sede rileva, condannava all’esito di giudizio abbreviato NOME COGNOME per fatti di usura, tentata estorsione e tentata violenza privata commessi tra il 2003 ed il 2007, e disponeva, ai sensi dell’art. 12 sexies legge 7 agosto 1992, n. 356, la confisca di un terreno con annesso fabbricato a due piani fuori terra e seminterrato, sito in Lamezia Terme, catastalmente individuato al foglio 97, particelle nn. 87, 825, 826 e 827, in quanto ritenuto nella disponibilità del Salatino, pur se di proprietà di NOME COGNOME, sorella di NOME COGNOME, moglie del Salatino.
La pronuncia veniva riformata dalla Corte d’appello di Catanzaro che, con sentenza del 13 marzo 2009, assolveva il COGNOME e gli altri imputati per la ritenuta inutilizzabilità delle deposizioni delle persone offese; questa Corte (Sez. 2, n. 1238 del 01/10/2010, dep. 2011, COGNOME, n.m.) annullava con rinvio la pronuncia liberatoria, reputando pienamente utilizzabili le dichiarazioni delle persone offese.
Giudicando in sede di rinvio, la Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza del 20 luglio 2016, confermava quella di primo grado; questa Corte (Sez. 6, n. 34543 del 30/05/2018, COGNOME, Rv. 274021 – 01) rigettava il ricorso quanto all’affermazione di responsabilità, ma lo accoglieva in relazione alla disposta confisca, annullando in parte qua con rinvio la sentenza di appello.
Il COGNOME aveva, in particolare, dedotto «Mancanza di motivazione in ordine alla dedotta inammissibilità della confisca allargata riferita a beni mobili e immobili (punti 3, 4, 5 ricorso) sotto diversi profili quali: a) la sussistenza di una preclusione processuale derivante da plurime pronunce a sØ favorevoli intervenute sia in sede ordinaria penale che di prevenzione (sentenza 11/04/2013 Tribunale Lamezia Terme; decreto n. 49/09 del 24/06/2009 Tribunale Catanzaro, Sez. Mis. Prev.; decr. n. 27/14 del 18/02/2015 Tribunale Catanzaro, Sez. Mis. Prev.); si deduce in particolare che la Corte di appello Ł incorsa nell’errore di avere ritenuto l’eccezione fondata unicamente sulla
pronuncia di dissequestro emessa dal Tribunale del Riesame di Catanzaro nell’ambito della fase cautelare del presente giudizio, senza però considerare le ulteriori pronunce intervenute in diversa sede; b) l’omessa considerazione del criterio della non rilevante distanza nel tempo dell’acquisto di un determinato bene rispetto al fatto contestato; c) il mancato apprezzamento della documentazione prodotta successivamente alla sentenza d’appello e riferita al rigetto della richiesta di sequestro e confisca di prevenzione proposta dal Questore di Catanzaro dopo la sentenza di primo grado in quanto riferita agli stessi beni sequestrati nell’ambito del presente giudizio, con definitivo decreto di rigetto della stessa Corte d’Appello di Catanzaro del 11/02/2012».
La Corte riteneva fondata la doglianza, poichØ la corte d’appello non aveva esaustivamente risposto alle deduzioni difensive, limitandosi «a motivare per relationem rispetto alle statuizioni della sentenza di primo grado, in tal modo, però, omettendo completamente di pronunciarsi anche sulle risultanze documentali e sulle evenienze procedimentali (questione delle preclusioni processuali) occorse dopo la sentenza di primo grado».
Nel nuovo giudizio di rinvio la Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza n. 224/2022 del 10 febbraio 2022, confermava, per quanto in questa sede rileva, la confisca dell’immobile di proprietà di NOME COGNOME, valorizzando (cfr. pagine 25 e seguenti) gli elementi che inducevano a ritenere che il bene fosse stato solo fittiziamente intestato alla COGNOME (dichiarazioni rese da NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME conversazioni intercettate di NOME COGNOME e NOME COGNOME e dello stesso NOME COGNOME), e sottolineando che, trattandosi almeno in parte di elementi nuovi rispetto a quelli già valutati nelle precedenti pronunce dell’autorità giudiziaria, non fosse configurabile la preclusione processuale dedotta dal difensore del COGNOME.
La sentenza veniva impugnata tanto da NOME COGNOME quanto dalla stessa NOME COGNOME quale terza interessata.
Il COGNOME deduceva «violazione di norme processuali, in relazione all’art. 649 cod. proc. pen., in riferimento alla disposta confisca del terreno e degli annessi fabbricati di proprietà di COGNOME NOME, ritenuti nella disponibilità dell’imputato COGNOME; osservava il ricorrente che non era stata considerata la preclusione processuale derivante dalle decisioni definitive, rese anche in sede di merito, con cui – pur affermando la responsabilità del COGNOME per analoghi delitti di usura – era stata rigettata la richiesta di confisca dello stesso bene immobile, riconoscendone la proprietà in capo a COGNOME NOME», nonchØ «violazione di norme processuali, in relazione all’ art. 649, cod. proc. pen., con riguardo alla medesima statuizione di confisca, per l’errata valutazione condotta dalla Corte territoriale circa il carattere di novità delle fonti di prova che avrebbero supportato la dimostrazione della disponibilità di fatto, da parte dei COGNOME NOME, del bene di proprietà della COGNOME NOME oggetto di confisca», ed ancora «vizio di motivazione, nella parte in cui la decisone impugnata aveva omesso di valutare le censure sollevate dalla difesa di COGNOME NOME quanto al profilo dell’effettiva titolarità del bene confiscato»
La COGNOME deduceva «violazione di norme processuali previste a pena di nullità, in relazione agli artt. 627, comma 3, 628, cod. proc. pen. e vizio di motivazione, con riguardo al profilo delle preclusioni processuali (derivanti da decisioni passate in giudicato emesse sia in sede penale, che di applicazione di misure di prevenzione) dedotte con l’atto di appello, la cui valutazione era stata omessa dalla sentenza annullata», nonchØ «violazione di norme processuali previste a pena di inutilizzabilità, in relazione all’art. 270 cod. proc. pen., violazione di legge in relazione all’art. 240 bis cod. pen., e vizio di motivazione, in punto di dimostrazione dei presupposti legittimanti la confisca; in primo luogo, la Corte territoriale aveva omesso di valutare la portata della preclusione derivante dai provvedimenti definitivi già emessi, senza analizzare il materiale probatorio utilizzato in quelle decisioni e senza specificare quali fossero gli elementi nuovi che avrebbero sorretto la motivazione
circa l’esistenza delle condizioni per procedere alla confisca; in ogni caso, era dimostrato dal tenore dei provvedimenti definitivi che le intercettazioni erano state anch’esse già valutate nei precedenti giudizi; che era stata provata la titolarità effettiva dell’immobile da parte della ricorrente, escludendo l’ipotizzata interposizione fittizia; in secondo luogo, gli elementi nuovi e diversi, rispetto a quelli in precedenza valutati, derivavano dall’utilizzazione di intercettazioni eseguite in altro procedimento, senza il rispetto dei limiti fissati dall’art. 270 cod. proc. pen. (poichØ il delitto di usura per cui si era proceduto non consente l’arresto obbligatorio in flagranza); ancora, si censura la valutazione, quale fattore di novità idoneo a superare la preclusione derivante dai precedenti giudicati, dei risultati della perizia disposta in sede di giudizio di rinvio, attesa la strutturale idoneità dell’accertamento peritale nell’integrare un dato di novità rispetto al patrimonio probatorio precedente, attesa altresì la mancanza di una specifica indicazione di fatti nuovi, emersi eventualmente anche nel corso dell’attività peritale; infine, si denuncia il travisamento della prova dichiarativa (resa dalla persona offesa del contestato reato di usura) nella misura in cui le dichiarazioni del COGNOME davano atto della titolarità del bene immobile in capo alla COGNOME, mentre la decisione impugnata ne aveva stravolto il contenuto affermando il contrario», ed infine «violazione di legge, in relazione all’art. 240 bis cod. proc. pen., e vizio della motivazione in punto di accertamento dei requisiti richiesti per la confisca ai sensi dell’art. 12 sexies l. 356/92; in primo luogo, era rimasta indimostrata la fittizietà dell’intestazione del bene immobile di proprietà delle ricorrente, non potendosi fare leva esclusivamente sulla sproporzione tra i redditi dichiarati, e le attività economiche da lei svolte, ed il valore dei beni oggetto di confisca, circostanza peraltro esclusa dallo stesso perito nominato dalla Corte territoriale; inoltre, sia le dichiarazioni della persona offesa del reato di usura, sia il contenuto dei provvedimenti passati in giudicato fornivano la prova positiva dell’effettiva titolarità del bene in capo alla ricorrente; infine, difettava nella motivazione del provvedimento impugnato la verifica del necessario requisito della correlazione temporale tra acquisto del bene (avvenuto nell’anno 1994) e epoca di commissione del reato (contestato come consumato dall’anno 2004 all’anno 2006)».
Questa Corte (Sez. 2, n. 40333 del 06/06/2023, Salatino, n.m.) dichiarava entrambi i ricorsi inammissibili.
Quanto al ricorso del COGNOME, si rilevava la carenza di interesse: «la prospettazione posta a base del ricorso proposto nell’interesse di COGNOME NOME, infatti, non Ł fondata sulla circostanza della fittizietà dell’intestazione del bene immobile e, conseguentemente, sul diritto del ricorrente – per la carenza dei presupposti per disporre la confisca – alla restituzione in suo favore di quel bene. La tesi posta a sostegno dell’impugnazione Ł, invece, quella della titolarità del bene immobile in capo a COGNOME NOME come espressamente affermato nell’esposizione del primo e del secondo motivo di ricorso, ove si invoca la preclusione derivante da precedenti giudicati che hanno affermato la titolarità del bene in tal senso (condizione giuridica che costituisce oggetto anche del terzo motivo di ricorso, nella misura in cui la censura di inutilizzabilità delle intercettazioni mira a dimostrare la carenza di prova in ordine alla disponibilità del bene da parte del ricorrente, al pari del quarto motivo con cui si lamenta l’errata valutazione della prova – che si dice invece essere stata fornita – della titolarità del bene in capo a COGNOME NOME); posta questa correlazione, trova applicazione il principio, già espresso nella materia delle misure di prevenzione (‘Nel procedimento di prevenzione, Ł inammissibile, per carenza di interesse, il ricorso per cassazione proposto avverso il provvedimento di confisca di beni formalmente intestati a terzi dal soggetto presunto interponente, che assuma l’insussistenza del rapporto fiduciario e, quindi, la titolarità effettiva ed esclusiva dei beni in capo al terzo intestatario, in quanto la legittimazione all’impugnazione spetta solo a quest’ultimo, quale unico soggetto avente, in ipotesi, diritto alla restituzione del bene’: Sez. 5, n. 8922 del 26/10/2015, dep. 2016, Poli, Rv. 266141 – 01; Sez. 6, n. 48274 del 01/12/2015, Vicario, Rv. 265767 – 01; Sez. 2, n. 17935 del 10/04/2014, COGNOME, Rv. 259258 – 01), secondo il quale anche con
riguardo alle confische disposte in sede penale va rilevato il difetto di interesse alla proposizione del ricorso in sede di legittimità, avverso la confisca di un bene, da parte dell’imputato del reato, in riferimento al quale la confisca viene disposta, che non sia titolare del bene stesso (Sez. 5, n. 18508 del 16/02/2017, COGNOME, Rv. 270209 – 02; Sez. 6, n. 11496 del 21/10/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 262612 – 01), principio che Ł stato applicato specificamente in relazione alla confisca allargata ex art. 12 sexies l. 356/92, attualmente disciplinata dall’art. 240 bis cod. pen. (Sez. 2, n. 4160 del 19/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278592 – 01: ‘l’imputato nei cui confronti si proceda per uno dei titoli di reato contemplati dalla norma non ha interesse a proporre impugnazione in ordine al provvedimento ablatorio caduto su beni intestati a terzi, ancorchØ considerati nella sua disponibilità indiretta, poichØ, non potendo vantare alcun diritto alla loro restituzione, non può ottenere alcun effetto favorevole dalla decisione (In motivazione la Corte ha precisato che Ł solo il terzo ad avere un interesse personale e diretto a provare la legittima acquisizione dei beni ovvero l’assenza di fittizia intestazione degli stessi’)».
Quanto al ricorso di NOME COGNOME si rilevava che «il profilo dell’omesso esame delle preclusioni derivanti dai provvedimento passati in giudicato (con cui era stata rigettata la richiesta di confisca ex art. 12 sexies l. 356/92 del medesimo bene, sull’assunto della titolarità legittima dell’immobile da parte della COGNOME: pagg. 28 ss. della sentenza impugnata) Ł argomentato dalla ricorrente in modo generico, senza adeguato confronto con la motivazione della sentenza impugnata, e non tenendo conto dei principi che regolano le statuizioni adottate in materia di sequestro e confisca ‘allargata’. Costituisce patrimonio acquisito della giurisprudenza di legittimità la qualificazione della confisca ex art 240 bis cod. pen. in termini di misura di sicurezza atipica (Sez Unite, n. del 30/05/2001, Derouach, Rv. 219221; Sez. Unite n. 920 del 17/12/2003, dep. 2004, COGNOME, Rv. 226490; Sez. Unite n. 33451, del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260247), con la conseguenza che le statuizioni riguardanti l’adozione delle misure ablatorie, così come quelle che dispongono la revoca di misure già emesse, o escludono i presupposti per imporre il vincolo sui beni, vengono adottate rebus sic stantibus, ‘sicchØ deve escludersi che si possa ipotizzare un ne bis in idem. E’ invece prospettabile una forma di preclusione processuale, sul tipo di quella che si può realizzare in materia cautelare, suscettibile di essere messa in discussione dalla sopravvenienza di fatti nuovi. Tuttavia, tale forma di pregiudizialità opera solo se le decisioni sono intervenute su presupposti comuni, come ad esempio la sproporzione della disponibilità dei beni rispetto al reddito oppure la titolarità del bene, ma deve essere esclusa negli altri casi relativi ad altri aspetti che caratterizzano le singole misure patrimoniali’ (Cass. 23040/2017, cit., Rv. 270482). La decisione impugnata ha analiticamente illustrato (v. pagg. 25-28) le sopravvenienze, in termini di elementi probatori desunti dal materiale raccolto nel giudizio, che hanno costituito la base per superare la preclusione indicata dimostrando che, al di là del dato formale dell’intestazione del bene alla ricorrente, la disponibilità dell’immobile doveva attribuirsi a COGNOME NOME (elementi rappresentati dalle dichiarazioni della persona offesa COGNOME, sulla realizzazione dell’impianto elettrico nell’immobile in questione, su incarico dell’imputato COGNOME, così scomputando la somma equivalente al corrispettivo per i lavori eseguiti, da quanto dovuto al COGNOME per il prestito usurario; dalle dichiarazioni di NOME, cognata di COGNOME NOME, a conoscenza del fatto che il COGNOME e la COGNOME mostravano all’epoca intenzione di andare ad abitare, una volta che l’uomo avesse lasciato la moglie, presso una villa nella sua disponibilità, pur se formalmente intestata alla cognata di quest’ultimo – appunto la COGNOME -; dalle dichiarazioni rese da COGNOME NOME, che aveva commentato con l’imputato l’intenzione di quest’ultimo di andare ad abitare presso il medesimo immobile; dalle dichiarazioni rese da NOME COGNOME soggetto identificato come interessato all’acquisto dell’immobile nel periodo di riferimento, che aveva ricevuto dal COGNOME una proposta di acquisto dell’immobile; dalle intercettazioni disposte in altri procedimenti ed acquisite nel
procedimento a carico del COGNOME che, conversando con altri soggetti, ammetteva che l’immobile era di sua proprietà tanto da aver in programma di venderlo). A fronte di tale corposo impianto probatorio, la ricorrente ha contestato l’utilizzabilità delle intercettazioni, con argomenti fondati per la violazione dei criteri per l’utilizzazione delle captazioni in procedimento diverso, e ha censurato l’inattendibilità della persona offesa (prospettando un diverso giudizio valutativo che non può formare oggetto di censura in questa sede, a fronte delle logiche considerazioni svolte dalla sentenza impugnata); ha, invece, trascurato gli ulteriori dati probatori; ciò rende il ricorso generico e aspecifico, anche per la mancata valutazione della necessaria prova di resistenza una volta eliminato il dato probatorio rappresentato dalle intercettazioni (prova che, invece, era stata compiuta dalla decisione di primo grado: v. la sentenza del G.u.p., pagg. 84 ss.). Infine, per quanto attiene le censure sui profili del difetto di prova sia quanto al requisito della sproporzione, sia della ragionevolezza temporale dell’acquisto, profili tutti parametrati sulla posizione soggettiva della ricorrente, va rilevato che trattasi di aspetti che esulano dall’unico thema probandum che il terzo interessato deve affrontare, al fine di dimostrare l’effettiva e reale titolarità dei beni confiscati».
2. Con ricorso presentato il 12 aprile 2024 alla Corte di appello di Catanzaro quale giudice dell’esecuzione, NOME COGNOME chiedeva, ai sensi dell’art. 669, comma 8, cod. proc. pen., revocarsi la confisca dell’immobile in argomento: nel merito, ribadiva che l’immobile era di sua esclusiva proprietà, come già accertato dal Tribunale di Lamezia Terme con sentenza dell’11 aprile 2003 (nella quale si era tra l’altro rilevato che «l’intestataria aveva prodotto in dibattimento documentazione, anche contabile, idonea a dimostrare una capacità patrimoniale non incompatibile con un acquisto per un valore pari a quello dichiarato per l’immobile»), nonchØ dal Tribunale di Catanzaro che, all’esito dei procedimenti di prevenzione instaurati a carico del Salatino, aveva rigettato la richiesta di confiscare quel bene con decreti definitivi del 31 maggio 2010 e del 18 febbraio 2015; in rito, deduceva la sussistenza di una «preclusione processuale alla confisca» determinata proprio dai due provvedimenti che il Tribunale di Catanzaro aveva emesso all’esito della valutazione del medesimo materiale probatorio poi nuovamente – ed illegittimamente – delibato dal Tribunale di Lamezia Terme: la statuizione di confisca doveva, dunque, essere revocata, perchØ adottata in violazione del principio secondo il quale, in assenza di elementi sopravvenuti, il definitivo rigetto della proposta di applicazione di una misura di prevenzione patrimoniale preclude l’adozione, nel parallelo processo penale, di un successivo provvedimento di confisca ex art. 240 bis cod. pen.
La Corte d’appello di Catanzaro, con provvedimento adottato all’esito dell’udienza camerale del 15 novembre 2024, dichiarava il ricorso inammissibile: si rilevava che la COGNOME aveva senza successo prospettato la medesima questione innanzi al giudice della cognizione, invocando la preclusione processuale derivante non solo dalla sentenza del Tribunale di Lamezia Terme dell’11 aprile 2003, ma anche dai decreti del Tribunale di Catanzaro del 31 maggio 2010 e del 18 febbraio 2015; si riteneva, dunque, che al giudice dell’esecuzione fosse precluso «rimuovere o ribaltare una definitiva decisione di confisca adottata dai giudici della cognizione sulla base di una sollecitata rivisitazione o rivalutazione di argomentazioni e questioni giuridiche che, nel processo penale di cognizione, sono già state integralmente prospettate, vagliate e ritenute infondate, tanto dai giudici di merito che da quelli di legittimità»; si sottolineava, infine, che nei citati decreti adottati dai giudici della prevenzione non si dava atto di molteplici elementi che le indicate sentenze dei giudici della cognizione avevano valorizzato per argomentare la fittizietà dell’intestazione dell’immobile alla COGNOME: in particolare, il primo decreto di rigetto, adottato dal Tribunale di Catanzaro il 24 giugno 2009, non aveva vagliato le dichiarazioni rese il 20 settembre 2017 da NOME COGNOME nØ quelle rese da NOME COGNOME e da NOME COGNOME, nØ le conversazioni telefoniche del COGNOME intercettate dagli inquirenti; il secondo decreto di rigetto, adottato dal Tribunale di Catanzaro il 18 febbraio 2015, «non contiene alcuna valutazione di merito degli elementi posti a base della proposta
di confisca, ma si Ł limitato a rigettarla, rilevando la sussistenza di una ostativa preclusione processuale discendente dalla prima sentenza del Tribunale di Lamezia Terme che, in data 11 aprile 2003, aveva già rigettato la richiesta di confisca».
Il ricorso veniva, dunque, ritenuto «inammissibile e, comunque, manifestamente infondato, in quanto esclusivamente incentrato su una questione giuridica (le dedotte preclusioni processuali asseritamente impeditive della adozione della misura della confisca degli immobili intestati alla odierna ricorrente) che nel processo di cognizione Ł già stata esaminata e definitivamente risolta dai giudici di merito, le cui decisioni hanno superato indenni il vaglio di legittimità».
Il difensore di fiducia di NOME COGNOME Avv. NOME COGNOME ha presentato ricorso per cassazione avverso l’indicata ordinanza del 15 novembre 2024, articolando un unico complesso motivo con il quale deduce «violazione degli artt. 649 e 669 comma 8 cpp, manifesta illogicità della motivazione, ove il giudice dell’esecuzione ha ritenuto di non potere rilevare la violazione del divieto di bis in idem, sull’assunto che la relativa questione era stata già esplicitamente prospettata, valutata e risolta negativamente in via principale nel processo di cognizione n. 1604/06 Rgnr».
Deduce che il giudizio di cognizione conclusosi con la pronuncia di questa Corte del 6 giugno 2023 «aveva escluso la ricorrenza delle preclusioni processuali unicamente con riguardo alla sentenza dell’11 aprile 2003 del Tribunale di Lamezia Terme, non anche con riguardo alle decisioni emesse in sede di prevenzione»: su questo aspetto, dunque, il giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto pronunciarsi nel merito; in proposito rappresenta che il Questore di Catanzaro aveva proposto il sequestro e la confisca dell’immobile in questione, e che il Tribunale di Catanzaro, sezione misure di prevenzione, con decreti del 25 giugno 2009 e del 31 maggio 2010, aveva rigettato la richiesta, mentre l’intero procedimento di prevenzione si era poi concluso con decreto della Corte d’appello del 19 gennaio 2012, che aveva restituito tutti i beni al Salatino; evidenzia che una nuova richiesta di sequestro e confisca di prevenzione del bene era poi stata rigettata dal Tribunale di Catanzaro, con decreto del 18 febbraio 2015 che aveva ritenuto decisiva la preclusione processuale derivante dalla sentenza liberatoria dell’11 aprile 2003 del Tribunale di Lamezia Terme; sottolinea che il giudice per l’udienza preliminare di Lamezia Terme, con la sentenza del 18 marzo 2008, aveva disposto la confisca dell’immobile valorizzando il medesimo materiale probatorio (le intercettazioni telefoniche e le dichiarazioni di NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME) valorizzato dal Questore di Catanzaro nella richiesta di sequestro e confisca di prevenzione poi rigettata nel giugno 2009 dal Tribunale di Catanzaro (si chiarisce, in proposito, che le dichiarazioni di NOME COGNOME non furono rese il 20 settembre 2017, come erroneamente indicato nel provvedimento oggi impugnato, ma il 20 settembre 2007): pertanto i decreti di rigetto intervenuti e divenuti definitivi nel 2009 / 2010, ossia prima che divenisse definitiva la confisca disposta nel 2008 dal giudice per l’udienza preliminare di Lamezia Terme, costituivano valida preclusione processuale all’adozione della detta confisca.
Ritiene, infine, che l’essere stata la questione già trattata in sede di cognizione non impedisce al giudice dell’esecuzione di adottare l’invocata decisione di revoca della confisca: ed invero, pur avendo in quella sede la COGNOME dedotto la preclusione processuale con riferimento alle decisioni del Tribunale di Catanzaro in sede di prevenzione, i giudici della cognizione hanno argomentato il rigetto della richiesta facendo riferimento solo alla sentenza dell’11 aprile 2003 del Tribunale di Lamezia Terme, e non anche ai citati decreti del Tribunale di Catanzaro, sezione misure di prevenzione.
Dunque, poichØ sulla base degli stessi elementi (le intercettazioni telefoniche, le dichiarazioni rese da NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME) un giudice ha disposto la confisca dell’immobile ai sensi dell’art. 240 bis cod. pen., e un altro giudice ha disposto il rigetto della richiesta di sequestro e di confisca di prevenzione, deve trovare applicazione l’art. 669, comma 8,
cod. proc. pen., ordinandosi l’esecuzione della decisione piø favorevole (nella specie, i decreti del Tribunale di Catanzaro, sezione misure di prevenzione), e revocando quella sfavorevole (nella specie, la statuizione di confisca divenuta definitiva il 6 giugno 2023).
Il Sostituto procuratore generale ha chiesto rigettarsi il ricorso: rileva che, pur essendo astrattamente configurabile una preclusione processuale tra il provvedimento che non dispone la chiesta confisca di prevenzione e quello successivo che dispone la confisca ex art. 240 bis cod. pen., nella specie la confisca «trova il suo fondamento sulle plurime e sopravvenute prove assunte ed acquisite in seno al processo penale numero 1604/2006 elementi che non risultavano essere mai stati dedotti e valutati nei procedimenti di prevenzione».
Il 13 maggio 2025 l’Avv. NOME COGNOME ha depositato telematicamente memorie di replica, ribadendo che nel caso di specie sussiste una «preclusione sopravvenuta», poichØ, dopo la confisca disposta in primo grado dal giudice di Lamezia Terme, sono divenuti definitivi, nelle more della celebrazione del giudizio di appello, i provvedimenti dei giudici di prevenzione di Catanzaro che, sulla base degli stessi elementi valorizzati dal giudice della cognizione, hanno rigettato la proposta questorile di confisca dell’immobile del quale si discute; proprio per questo motivo, la questione della preclusione processuale non era stata sollevata innanzi al giudice del Tribunale di Lamezia Terme, ed era stata poi erroneamente risolta dalla Corte di appello di Catanzaro con la sentenza del 10 febbraio 2022, che «non aveva indicato quali fossero stati gli elementi di novità rispetto a quelli che erano stati dedotti dal Questore in sede di prevenzione e che in quella sede erano stati considerati insufficienti a sostenere la confisca, in forza dei quali la preclusione processuale riportata da COGNOME NOME in sede di prevenzione dovesse considerarsi superata», elementi di novità che non vi erano, dal momento che alla confisca si Ł addivenuti a seguito della valutazione dei medesimi elementi che i giudici della prevenzione di Catanzaro avevano ritenuto insufficienti, con provvedimento poi divenuto definitivo. Dunque, al netto degli elementi già scrutinati dai giudici della prevenzione, la cui nuova valutazione era preclusa ai giudici della cognizione, non vi erano altri elementi che giustificassero la statuizione di confisca.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile a cagione della manifesta infondatezza dei motivi che lo sostengono.
Quand’anche si volesse prescindere dalla circostanza che l’odierna ricorrente ha partecipato al giudizio di legittimità che ha reso definitiva la statuizione di confisca, ed ha sottoposto al giudice della cognizione le medesime doglianze poi sottoposte a quello della esecuzione – sicchØ, in base al generale principio che preclude al giudice dell’esecuzione di incidere sulle espresse valutazioni e di modificare le pregresse statuizioni del giudice della cognizione, la Corte di appello di Catanzaro non aveva alcun potere di incidere sul giudicato nel senso richiesto dall’odierno ricorrente -, si deve rilevare la manifesta infondatezza dei motivi di ricorso.
Ad avviso del ricorrente, la preclusione processuale sarebbe determinata dalla pronuncia con la quale il 24 giugno 2009 il Tribunale di Catanzaro, sezione misure di prevenzione, rigettò la richiesta di sottoporre a confisca l’immobile per il quale Ł oggi procedimento.
A dire del ricorrente, il rigetto sarebbe basato sulla valutazione degli stessi argomenti che il giudice della cognizione aveva posto a fondamento della statuizione di confisca.
L’assunto Ł errato.
Nel citato decreto del 24 giugno 2009, il rigetto in parte qua della proposta questorea Ł così motivato: «anche alla luce della copiosa documentazione prodotta dalla difesa (ivi comprese pronunce di merito nelle quali Ł stata già valutata la questione dell’intestazione fittizia del bene in oggetto in capo al Salatino), non emergono, allo stato degli atti, elementi sufficienti per sostenere la
fittizietà della intestazione formale alla stessa COGNOME NOME e la effettiva riconducibilità in capo al COGNOME NOME. In merito si osserva che:
gran parte degli elementi valorizzati nella proposta questorea sono stati già oggetto di valutazione nel merito da parte del Tribunale di Lamezia Terme che, nell’ambito del procedimento penale n. 258/00 R.G.N.R., pur riconoscendo la responsabilità penale del Salatino per il reato di cui all’art. 644 c.p., non ha disposto la confisca ex art. 12 sexies d.l. 206/92 ritenendo non provata l’interposizione fittizia della COGNOME NOME (cfr. sentenza citata in atti);
che COGNOME NOME, nella fase delle indagini preliminari di cui al procedimento penale n. 1604/06 R.G.N.R. in essere presso la Procura della Repubblica di Lamezia Terme, in qualità di persona offesa, dichiarava che nell’anno 2005 aveva realizzato su richiesta di COGNOME NOME lavori per l’installazione di un impianto elettrico nel fabbricato sito in località Cutura di Lamezia Terme, precisando tuttavia che tali lavori dovevano essere effettuati ‘nei confronti della cognata dello stesso, tenuto conto che a suo dire l’abitazione era di proprietà di quest’ultima’ (cfr. allegato 48);
il contratto di fornitura di energia elettrica, contrariamente a quanto evidenziato nella proposta questorea, risulta intestato a COGNOME NOME, formale titolare del bene (all. 50);
le intercettazioni di conversazioni telefoniche di cui all’informativa di reato prot. 484/UG/3173, a carico di COGNOME NOME + altri seppur fortemente sospette nel loro contenuto, non offrono elementi sufficientemente certi per ritenere che l’immobile indicato nelle conversazioni (genericamente indicato come ‘la casa di lì sotto’) sia proprio l’immobile in oggetto di cui si chiede il sequestro;
la documentazione prodotta dalla difesa e comprovante una maggiore disponibilità economica della COGNOME NOME idonea alla potenziale effettuazione dell’acquisto del terreno e del completamento del fabbricato».
Dunque, ad avviso dei giudici della prevenzione, «gran parte degli elementi valorizzati nella proposta questorea sono stati già oggetto di valutazione nel merito da parte del Tribunale di Lamezia Terme che, nell’ambito del procedimento penale n. 258/00 R.G.N.R., pur riconoscendo la responsabilità penale del COGNOME per il reato di cui all’art. 644 c.p., non ha disposto la confisca ex art. 12 sexies d.l. 206/92 ritenendo non provata l’interposizione fittizia della COGNOME NOME».
In realtà, con sentenza n. 269/2003 dell’11 aprile 2003 il Tribunale di Lamezia Terme, all’esito del procedimento penale n. 258/00 R.G.N.R., aveva sì revocato il sequestro preventivo disposto il 12 ottobre 2002 sull’immobile in oggetto, ma senza valutare – contrariamente a quanto ritenuto dai giudici della prevenzione di Catanzaro – «gran parte degli elementi valorizzati nella proposta questorea»: ed invero, il Tribunale di Lamezia Terme aveva in quella occasione rilevato molto sinteticamente che «a fronte di elementi dimostrativi di una attenzione dell’imputato ai beni intervento durante un lavoro di rifinitura dell’abitazione; utilizzo del terreno per lo stazionamento di due suoi cani – peraltro non di univoco significato e dei riferimenti contraddittori contenuti nella testimonianza COGNOME circa affermazioni della proprietà del bene, come vantata con la testimone dallo stesso imputato, la intestataria COGNOME NOME ha prodotto in dibattimento documentazione, anche contabile, idonea a dimostrare una capacità patrimoniale non incompatibile con un acquisto per un valore pari a quello dichiarato per l’immobile».
Ciò posto, va osservato che la sentenza n. 29/2008 del 18 marzo 2008, emessa dal Tribunale di Lamezia Terme all’esito del procedimento n. 1604/2006 R.G.N.R., valutò anche elementi diversi ed ulteriori rispetto a quelli che i giudici della prevenzione di Catanzaro posero a fondamento della loro decisione.
Ed invero, i giudici lametini respinsero la richiesta difensiva di dichiarare inammissibile la richiesta di confisca dell’immobile, formulata dal difensore del COGNOME «in forza del divieto del bis in
idem, essendo stato tale bene già oggetto di sequestro nell’ambito del procedimento n. 258/00 mod. 21 sfociato nella sentenza di condanna del COGNOME per il reato di usura», osservando che «la questione appare priva di pregio», poichØ «il presente processo, contrariamente a quanto dedotto dalla difesa, ha registrato un quid novi rispetto a quanto già acquisito a carico dell’imputato nei precedenti procedimenti già menzionati. Il fatto nuovo Ł costituito dalla circostanza, emergente dagli atti, che presso tale immobile il COGNOME ha realizzato opere di impiantistica elettrica, commissionate e curate dal COGNOME, scomputando la somma equivalente al corrispettivo per i lavori eseguiti da quanto dal medesimo COGNOME dovuto in ragione del prestito usurario contratto con il COGNOME. Devono, poi, essere considerate le dichiarazioni rese in data 20.9.07 da NOME, cognata di COGNOME NOME, la quale ha dichiarato di essere a conoscenza del fatto che il COGNOME e la COGNOME avessero all’epoca intenzione di andare ad abitare, una volta che l’uomo avesse lasciato la moglie, presso una villa nella sua disponibilità, pur se formalmente intestata alla cognata di quest’ultimo. L’indicazione topografica che la donna ha fornito in ordine all’ubicazione della villa in oggetto permette di identificarla in quella oggetto di indagine. Ad ulteriore conferma di tali dati probatori intervengono le ulteriori dichiarazioni rese da COGNOME NOME. La donna ha comunque confermato di avere commentato con il COGNOME l’intenzione di quest’ultimo di andare ad abitare presso l’abitazione collocata nella posizione distintiva dell’immobile di che trattasi»; veniva, inoltre, fatto riferimento al contenuto di conversazioni intercettate nell’ambito dei procedimenti nn. 349/96 e 208/99 mod. 21, ed in particolare a quelle nelle quali il COGNOME gestiva «le trattative per ‘vendere là sotto’, avendo perciò necessità di ottenere la firma della sorella della moglie COGNOME NOME», ed a quelle nelle quali il COGNOME esprimeva preoccupazione circa il fatto che l’eventuale divorzio dalla propria moglie avrebbe potuto fargli perdere la disponibilità della «casa di là sotto», «intestata alla cognata»; erano, infine, citate le dichiarazioni rese da NOME COGNOME, che aveva ricevuto dal COGNOME la proposta di acquistare l’immobile in questione.
Questi elementi, com’Ł evidente diversi ed ulteriori rispetto a quelli valorizzati dai giudici della prevenzione di Catanzaro, venivano ritenuti dai giudici lametini «idonei e sufficienti per ricondurre in capo al COGNOME la titolarità effettiva dell’immobile in questione», neutralizzando le produzioni difensive circa la capacità reddituale di NOME COGNOME.
A ciò si aggiunga, infine, che la sentenza n. 224/2022 del 10 febbraio 2022 della Corte d’appello di Catanzaro, nel confermare la statuizione di confisca, ha fatto riferimento ad elementi ancora ulteriori, quali ad esempio le dichiarazioni di NOME COGNOME il quale «afferma di avere effettuato, per conto di suo cugino COGNOME NOME, prestazioni lavorative presso la sua abitazione nei pressi del centro auto demolizioni di Molinaro (ubicato nei pressi di c.INDIRIZZO COGNOME)», e, come si Ł già accennato, ha espressamente ribadito che le precedenti statuizioni dei giudici di Catanzaro non fondavano alcuna preclusione processuale, poichØ «la procedura aveva registrato un quid novi rispetto a quanto già acquisito»: valutazione che verrà, infine, confermata e fatta propria da questa Corte, con la citata sentenza n. 40333 del 2023, con la quale vennero dichiarati inammissibili i ricorsi del COGNOME e della COGNOME.
Dunque, l’assunto difensivo (lo si ribadisce: sostanzialmente identico a quello già prospettato senza successo al giudice della cognizione) Ł, in fatto, totalmente destituito di fondamento, per un verso perchØ la decisione asseritamente precludente si fonda su una premessa errata (il Tribunale di Catanzaro ha ritenuto che «gran parte degli elementi valorizzati nella proposta questorea sono stati già oggetto di valutazione nel merito da parte del Tribunale di Lamezia Terme che, nell’ambito del procedimento penale n. 258/00 R.G.N.R., pur riconoscendo la responsabilità penale del COGNOME per il reato di cui all’art. 644 c.p., non ha disposto la confisca ex art. 12 sexies d.l. 206/92 ritenendo non provata l’interposizione fittizia della COGNOME NOME»; si Ł visto che, in realtà, le motivazioni della sentenza emessa all’esito del procedimento penale n. 258/00 R.G.N.R. non fanno affatto
riferimento a quegli elementi), e, per altro e decisivo verso, perchØ le decisioni successive a quelle assunte dal Tribunale di Catanzaro si fondano sulla valutazione di elementi diversi ed ulteriori rispetto a quelli posti dai giudici della prevenzione a fondamento della loro decisione.
Si tratta, peraltro, di assunto infondato anche in diritto, atteso che questa Corte ha ineccepibilmente statuito che «In tema di procedimento di prevenzione, la preclusione derivante da giudicato non opera come per la decisione di merito, in quanto la decisione di prevenzione non accerta la sussistenza di un fatto reato o la responsabilità di un soggetto, sicchØ, non essendo preclusa la instaurazione di un nuovo procedimento di prevenzione sulla base di elementi non considerati nei passaggi argomentativi e nei presupposti di fatto di una precedente decisione, Ł consentita l’applicazione del sequestro e della confisca di beni sulla base di una nuova considerazione della situazione fattuale sotto il profilo personale e patrimoniale. (S.U. 13 dicembre 2000 n. 36, ric. Madonia, dep. 7 febbraio 2001, non massimata sul punto)» (Sez. 1, n. 33077 del 21/09/2006, Ingrosso, Rv. 235144 – 01): così come non può precludere l’instaurazione di un nuovo procedimento di prevenzione basato su «una nuova considerazione della situazione fattuale sotto il profilo personale e patrimoniale», il giudicato di prevenzione non può, dunque, precludere la confisca che venga successivamente disposta ex art. 12 sexies legge 7 agosto 1992, n. 356.
La manifesta infondatezza dei motivi di ricorso ne determina l’inammissibilità, con conseguente onere per la ricorrente di sostenere, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., le spese del procedimento.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e considerato che non v’Ł ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza «versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», si dispone che il ricorrente versi, in favore della Cassa delle ammende, la somma, determinata in via equitativa, di € 3.000.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così Ł deciso, 20/05/2025 Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME