Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 23319 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 23319 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 04/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME NOME nato a Lucca il 11/05/1983
avverso la sentenza del 25/10/2024 della Corte di appello di Firenze;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso;
letta la memoria dell’avv. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
1
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 25 ottobre 2024 la Corte di appello di Firenze ha confermato la sentenza con cui il 13 maggio 2022 il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Lucca aveva dichiarato NOME COGNOME responsabile del reato di cui all’art. 186 1 comma 7, cod..strada, condannandolo alla pena di mesi 3, giorni 15 di arresto ed C 800,00 di ammenda, nonché al pagamento delle spese processuali.
1.1. Secondo la concorde ricostruzione dei giudici di merito, il 31 dicembre 2020 NOME COGNOME si pose alla guida di un’autovettura in stato alterazione psicofisica e, alla richiesta degli agenti, si rifiutò di sottoporsi agli accertament rito.
Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione NOME COGNOME a mezzo del proprio difensore, lamentando in sintesi, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., quanto segue.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione della legge penale sostanziale in relazione alla mancata concessione della sospensione condizionale.
I giudici di merito hanno erroneamente valorizzato due precedenti condanne, di cui una relativa ad un reato estinto per esito positivo della messa alla prova, ed un’altra felativa ad una sentenza ex art. 444 cod. proc. pen. con applicazione della sanzione sostitutiva.
2.2. Con il secondo motivo deduce violazione della legge penale sostanziale e vizio della motivazione in relazione agli artt. 62-bis e 133 cod. pen.: i giudici di merito hanno valorizzato i medesimi elementi – ovvero le condanne a pene da ritenersi estinte – sia ai fini della dosimetria, sia per il diniego delle generiche, per disattendere la richiesta di sospensione condizionale.
2.3. Con il terzo motivo deduce violazione della legge penale sostanziale e vizio della motivazione con riguardo alla mancata applicazione di una sanzione sostitutiva, benché richiesta nel corso del giudizio di appello.
Il giudizio di cassazione si è svolto con trattazione scritta, e le parti hanno formulato, per iscritto, le conclusioni come in epigrafe indicate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
1.1. Il primo motivo è infondato.
Ai sensi dell’art. 445, comma 2, cod. proc. pen., se nel termine di cinque anni (quando la sentenza concerne un delitto), ovvero di due anni (quando la sentenza concerne una contravvenzione) l’imputato non commette un delitto ovvero una contravvenzione della stessa indole, allora il reato si estingue (sempre che sia stata erogata una pena detentiva non superiore a due anni, soli o congiunti a pena pecuniaria).
L’estinzione del reato, se consegue al verificarsi delle condizioni previste dall’art. 445, comma 2, cod. proc. pen., opera ipso iure e non richiede una formale pronuncia da parte del giudice dell’esecuzione (Sez. 2 n. 994 del 25/11/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282515 – 02; Sez. 6, n. 6673 del 18/02/2016, COGNOME, Rv. 266120 – 01).
La norma dispone, inoltre, che si estingue anche “ogni effetto penale” e che, una volta estinto il reato, la sentenza di applicazione della pena non è di ostacolo alla concessione di una successiva sospensione condizionale, ma solo se con la stessa è stata applicata una sanzione pecuniaria o una pena sostitutiva.
È stato quindi autorevolmente affermato che l’estinzione degli effetti penali di cui all’art. 445, comma 2, cod. proc. pen., deve intendersi limitata, con riferimento alla reiterabilità della sospensione condizionale, ai soli casi in cui sia stata applicat una pena pecuniaria o una sanzione sostitutiva, con la conseguenza che, ove sia stata applicata una sanzione detentiva, di questa occorre comunque tenere conto ai fini della valutazione imposta dagli artt. 164, ultimo comma, e 163 cod. pen. (Sez. U, n. 31 del 22/11/2000, dep. 2001, COGNOME, Rv. 218529- 01; Sez.· 6, n. 27589 del 22/03/2019, P., Rv. 276076 – 01).
Tuttavia, l’avvenuta estinzione del reato non è ostativa al successivo rigetto della richiesta di sospensione condizionale, in quanto l’art. 445, comma 2, cod. proc. pen. non esclude che il giudice possa tener conto di tale precedente, motivando specificamente perché, in concreto, tale pronuncia offra elementi rilevanti ai fini di un negativo giudizio prognostico (Sez. 6, n. 46400 del 13/09/2017, Anedda, Rv. 271389 – 01, in un caso in cui il reato estinto era della stessa indole di quello per i quale era intervenuta condanna).
In tale ultima decisione (par. 3.1), ripresa in sentenze successive (Sez. 5, n. 17809 del 19/03/2025, COGNOME, non mass.; Sez. 5, n. 11694 del 20/01/2023, COGNOME, non mass.; Sez. 5, n. 39504 del 01/07/2021, COGNOME, non mass.), si è infatti chiarito che la previsione di cui all’art. 445, comma 2, secondo periodo, cod. proc. pen. non può essere intesa come regola che impone l’assoluta irrilevanza della sentenza ex art. 444 cod. proc. pen.; per effetto di questa disposizione, il giudice non può escludere la sospensione condizionale solo perché vi è una precedente sentenza di patteggiamento con applicazione di pena pecuniaria o di sanzione
3 GLYPH
(9
sostitutiva, ma conserva comunque la possibilità di tenerne conto a fini prognostici, attraverso una specifica motivazione.
Nel caso in esame, la Corte di appello ha fatto corretta applicazione di tali principi, valorizzando i precedenti – peraltro per reati della stessa specie – come espressione di una tendenza alla violazione delle norme penali (p. 4).
Al di là, quindi, delle intervenute estinzioni dei reati (non valorizzate pe ritenere superato il limite formale del biennio) i giudici di merito hanno ritenuto che l’imputato non abbia tratto indicazioni positive dalla fiducia ripetutamente accordatagli nelle precedenti vicende giudiziarie, avendo ciononostante commesso l’ulteriore reato, della stessa specie; pertanto, all’esito della valutazione che richiesta dall’art. 164, comma 1, cod. pen., hanno ritenuto di non poter formulare una prognosi positiva in ordine al suo futuro comportamento.
Ad analoghe conclusioni deve giungersi in relazione all’estinzione conseguente all’esito positivo della messa alla prova.
Ai sensi dell’articolo 168-ter cod. pen., infatti, l’esito positivo della pr estingue il reato: di tali precedenti giudiziari, quindi, la Corte ha valutato la rilevan nel formulare il giudizio prognostico richiesto dalla legge, non nel ritenerli preclusiv ex se del riconoscimento della sospensione condizionale.
1.2. Il secondo motivo è, nel suo complesso, inammissibile.
1.2.1. Il motivo, nella parte in cui lamenta la violazione dell’art. 133 cod. pen., non è consentito in sede di legittimità, in quanto mira ad una nuova valutazione della congruità della pena, la cui determinazione non è stata frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 2, n. 47512 del 03/11/2022, COGNOME, non massimata; Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243; conf., Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259142 – 01).
D’altra parte, la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.
Ciò posto il Collegio, nel ribadire il principio di diritto secondo cui l’obbligo una motivazione rafforzata in tema di trattamento sanzionatorio sussiste solo allorché la pena si discosti significativamente dal minimo edittale (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, COGNOME, Rv. 276288 – 01, anche per indicazioni sul modo in cui determinare il medio edittale; conf., Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243 – 01), osserva che i giudici di merito hanno richiamato l’attenzione sugli indicatori di cui all’art. 133 cod. pen., ovvero le modalità dell’azione, nonché i comportamento tenuto subito dopo il controllo e i precedenti giudiziari, bilanciandoli anche in relazione alle argomentazioni difensive (p. 3 sentenza del Tribunale).
Il (modesto) scostamento dal minimo edittale si fonda quindi su una congrua motivazione, avendo i giudici di merito individuato indici di disvalore di tip oggettivo (attinenti alla gravità del fatto) e di valenza soggettiva (inerenti al capacità a delinquere).
1.2.2. Quanto alla dedotta violazione del bis in idem, il motivo è manifestamente infondato.
Costituisce ius receptum il principio secondo cui ai fini della determinazione della pena, il giudice può tenere conto più volte del medesimo dato di fatto sotto differenti profili e per distinti fini senza che ciò comporti lesione del principio del ne bis in idem (Sez. 2, n. 16058 del 14/03/2025, 3erinò, non mass.; Sez. 4, n. 49491 del 08/11/2023, COGNOME, non mass.; Sez. 3, n. 17054 del 13/12/2018, dep. 2019, M., Rv. 275904 – 03; Sez. 2, n. 24995 del 14/05/2015, Rechichi, Rv. 264378 – 01; Sez. 2, n. 933 del 11/10/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258011 – 01).
1.2.3. Quanto al diniego delle attenuanti generiche, è pacifico che il giudice, ai fini dell’applicabilità delle circostanze attenuanti generiche di cui all’art. 62-bis cod. pen., possa considerare i precedenti giudiziari, ancorché non definitivi, ed a maggior ragione potrà tener conto dei reati dichiarati estinti (cfr., Sez. 3, n. 43920 del 21/10/2021, COGNOME, non mass.; Sez. 4, n. 25766 del 18/06/2021, COGNOME, non mass.; Sez. 5, n. 10977 del 12/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278921 – 01; Sez. 5, n. 39473 del 13/06/2013, Paderni, Rv. 257200 – 01).
Tanto è accaduto nel caso di specie (p. 3 sentenza del Tribunale; p. 4 sentenza ricorsa).
La valutazione in esame, quindi, è giustificata da motivazione esente da manifesta illogicità che fa leva sulle condotte anteriori al delitto, valutate alla lu del comportamento successivo alla commissione del reato.
Si tratta di una motivazione che, pertanto, è insindacabile in cassazione (Sez. 3, n. 1913 del 20/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275509 – 03; conf., Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, COGNOME, Rv. 242419 – 01), anche considerato il principio affermato da questa Corte secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli rite decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tal valutazione (Sez. 2, n. 23903 del 15/7/2020, Marigliano, Rv. 279549 – 02; conformi, Sez. 5, n. 43952 del 13/4/2017, COGNOME, Rv. 271269 -01; Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, COGNOME, Rv. 249163 – 01; Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Giovane, Rv. 248244 – 01).
La ratio della disposizione di cui all’art. 62-bis cod. pen., che attribuisce al giudice la facoltà di cogliere, sulla base di numerosi e diversificati dati sintomatic
gli elementi che possono condurre ad attenuare la pena, non impone, infatti, al giudice di merito di esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva (come insiste invece il ricorrente: p. 5), essendo, invece, sufficiente l’indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti.
Ne consegue che anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione può legittimamente fondare il diniego.
La decisione impugnata, quindi, si rivela aderente al consolidato orientamento secondo cui la concessione o meno delle attenuanti generiche rientra nell’ambito di un giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice, il cui esercizio dev essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l’adeguamento della pena alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo (Sez. 3, n. 1226 del 18/11/2024, dep. 2025, Rizzo, non mass.; Sez. 6, n. 41365 del 28/10/2010, COGNOME, Rv. 248737 – 01).
1.3. Il terzo motivo è infondato.
L’art. 95 d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, stabilisce espressamente l’applicabilità delle nuove pene sostitutive – in quanto più favorevoli – ai giudizi appello in corso all’entrata in vigore del già menzionato decreto.
Secondo l’indirizzo prevalente di questa Suprema Corte, cui il Collegio aderisce, per effetto di tale disciplina transitoria, affinché il giudice di appello tenuto a pronunciarsi in merito all’applicabilità o meno delle nuove sanzioni sostitutive di cui all’art. 20-bis cod. pen., è necessaria una richiesta in tal senso dell’imputato, che deve essere formulata non necessariamente con l’atto di appello o con i motivi di cui all’art. 585, comma 4, cod. proc. pen., ma che deve comunque intervenire – al più tardi – nel corso dell’udienza di discussione d’appello (Sez. 5, n. 4332 del 15/11/2024, dep. 2025, COGNOME, Rv. 287624 – 02; Sez. 2, n. 12991 del 01/03/2024, Generali, Rv. 286017 – 01; Sez. 4, n. 4934 del 23/01/2024, COGNOME, Rv. 285751 – 01; Sez. 6, n. 33027 del 10/05/2023, Agostino, Rv. 285090 – 01; Sez. 6, n. 46782 del 29/09/2023, Borazio, Rv. 285564 – 01).
È rimasta invece isolata l’interpretazione secondo la quale, in ragione del principio devolutivo fissato di cui all’art. 597, comma 1, cod. proc. pen., la richiesta di pena sostitutiva deve essere formulata con l’atto di appello o con i motivi nuovi (Sez. 6 n. 41313 del 27/9/2023, COGNOME, non mass.).
Nella specie il ricorrente, dopo aver proposto appello in un momento precedente all’entrata in vigore del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, in sede di conclusioni scritte ha chiesto la sostituzione della pena in subordine rispetto alla sospensione condizionale: pertanto, la richiesta è stata ritualmente devoluta alla Corte territoriale.
Osserva il Collegio che, anche a seguito delle modifiche introdotte dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, il giudice, è vincolato nell’esercizio del suo potere discrezionale sotteso all’applicazione pene sostitutive, alla valutazione dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 3, n. 9708 del 16/02/2024, Tornese, Rv. 286031 01).
Questo vuol dire che il giudice deve effettuare una valutazione complessiva che tenga conto tanto dei criteri concernenti la gravità del reato, quanto di quelli relativi alla capacità a delinquere, e ciò pur senza dover esaminare tutti i parametri contemplati nella suddetta previsione, potendo la sua discrezionalità essere esercitata motivando sugli aspetti ritenuti decisivi in proposito, quali l’inefficac della sanzione (Sez. 5, n. 10941 del 26/01/2011, Orabona, Rv. 249717).
Una simile motivazione può anche trarsi, anche implicitamente, dal testo del provvedimento impugnato (per la possibilità di una motivazione anche solo implicita, Sez. 6, n. 10614 del 30/01/2024, Latini, non mass.; Sez. 4, n. 4925 del 29/11/2023, Messina, non mass.), nel caso in cui dal tessuto argomentativo della pronuncia impugnata siano comunque enucleabili le ragioni del convincimento.
Nella specie la decisione impugnata, con il richiamo ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., ha ritenuto la sanzione sostitutiva inidonea alla rieducazione del reo, né ad assicurare la prevenzione del pericolo di commissione di altri reati.
In tal modo ha escluso che l’invocata sostituzione possa ritenersi oggettivamente utile alla rieducazione del condannato e ad assicurare la prevenzione del pericolo di commissione di altri reati, secondo quanto dispone l’art. 58 della I. 24 novembre 1981, n. 689: non possono che essere qui richiamati gli argomenti già poc’anzi esaminati, che hanno indotto la Corte di appello a non ritenere affidabile l’imputato, al quale sono state già applicate, le sanzioni sostitutiv con riguardo al reato di guida in stato di ebbrezza.
Né sembra al Collegio che a tale conclusione osti il richiamo del ricorrente all’art. 61-bis I. 24 novembre 1981, n. 689 (p. 3 memoria), che riguarda altro profilo e che, in ogni caso, è inapplicabile ai fatti commessi prima dell’entrata in vigore del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (Sez. 5, n. 45583 del 3/12/2024, Tronco, 287354 01).
D’altra parte, l’accertamento della sussistenza delle condizioni che consentono di applicare una delle sanzioni sostitutive della pena detentiva breve, previste dall’art. 53 I. n. 689 del 1981, costituisce un accertamento di fatto, non sindacabile in sede di legittimità, se motivato, come nel caso in esame, in modo non manifestamente illogico (Sez. 5, n. 19394 del 21/02/2025, COGNOME, non mass.; Sez. 4, n. 40164 del 23/10/2024, Castigliola, non mass.; Sez. 1, n. 35849 del 17/05/2019, COGNOME, Rv. 276716 – 01; Sez. 2, n. 13920 del 20/02/2015, Diop, Rv. 263300 – 01).
2. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen..
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, 4 giugno 2025
Il liere estensore
GLYPH
Il Presidente