Precedenti penali: quando bloccano l’accesso alle pene sostitutive
La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito un principio fondamentale del nostro ordinamento penale: la valutazione della personalità dell’imputato, basata anche sui suoi precedenti penali, è cruciale per la concessione delle pene sostitutive. La pronuncia chiarisce come un passato criminale possa essere interpretato dal giudice come un indicatore di una ‘spiccata capacità a delinquere’, tale da rendere inefficace un percorso rieducativo alternativo al carcere. Questo caso offre un’importante lezione sull’onere della prova e sulla corretta interpretazione delle norme.
I Fatti del Caso
Un individuo veniva condannato in primo grado e in appello alla pena di tre mesi di arresto e 1000 euro di ammenda per una violazione prevista dall’art. 7, comma 15-bis, del Codice della Strada. Contro la sentenza della Corte d’Appello, l’imputato proponeva ricorso per cassazione, sollevando due questioni principali: una relativa al trattamento sanzionatorio, lamentando la mancata applicazione di pene sostitutive, e l’altra riguardante la sussistenza stessa del reato, sostenendo la mancanza di un presupposto essenziale della fattispecie.
L’Analisi della Corte di Cassazione
Gli Ermellini hanno esaminato entrambi i motivi di ricorso, dichiarandoli entrambi inammissibili e fornendo chiarimenti su due aspetti distinti del diritto penale e processuale.
I precedenti penali e l’esclusione delle pene sostitutive
Sul primo punto, la Corte ha stabilito che la doglianza relativa al trattamento sanzionatorio non poteva trovare accoglimento. I giudici di merito avevano negato l’applicazione delle pene sostitutive previste dall’art. 20 bis del codice penale con una motivazione ritenuta ‘lineare e coerente’. La decisione si basava sulla ‘negativa personalità dell’imputato’, comprovata da molteplici precedenti penali. Secondo la Corte, questa ‘spiccata capacità a delinquere’ rendeva difficile immaginare un percorso di rieducazione attraverso una misura alternativa, giustificando così la scelta di confermare la pena detentiva. La motivazione della Corte d’Appello è stata quindi giudicata sufficiente, non illogica e basata su un adeguato esame degli elementi a disposizione.
Errata Interpretazione della Norma Incriminatrice
Anche il secondo motivo di ricorso è stato giudicato inammissibile. L’imputato sosteneva che il reato contestato richiedesse, come presupposto, che la condotta vietata fosse accompagnata dal sequestro e dalla confisca di somme di denaro. La Cassazione ha smontato questa tesi, definendola basata su un ‘presupposto contrario al dato normativo’. La Corte ha chiarito che la disposizione incriminatrice (art. 7, comma 15-bis, C.d.S.) non contiene affatto tale requisito. La norma punisce una determinata condotta a prescindere dal fatto che essa abbia comportato un sequestro o una confisca di denaro, né richiede che tali elementi abbiano caratterizzato eventuali condotte precedenti già sanzionate.
Le Motivazioni della Decisione
La Corte ha motivato la declaratoria di inammissibilità evidenziando come il primo motivo di ricorso attenesse a una valutazione di merito, adeguatamente argomentata dalla Corte territoriale, e come tale non sindacabile in sede di legittimità. La presenza di precedenti penali specifici e numerosi è stata considerata un elemento concreto sufficiente a supportare il giudizio di pericolosità sociale e a negare le sanzioni sostitutive. Per quanto riguarda il secondo motivo, la sua infondatezza derivava da una palese errata lettura della norma di legge, che non lasciava spazio a interpretazioni diverse da quella letterale.
Conclusioni
La decisione si conclude con la dichiarazione di inammissibilità del ricorso. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende. Questa ordinanza rafforza due principi cardine: primo, che la concessione di benefici come le pene sostitutive non è automatica ma soggetta a una rigorosa valutazione della personalità del reo, in cui i precedenti penali giocano un ruolo determinante. Secondo, che i ricorsi per cassazione devono fondarsi su violazioni di legge concrete e non su interpretazioni fantasiose o pretestuose delle norme, pena la loro immediata inammissibilità.
I precedenti penali possono impedire l’applicazione di pene sostitutive?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che una valutazione negativa della personalità dell’imputato, basata su molteplici precedenti penali e su una ‘spiccata capacità a delinquere’, costituisce una motivazione sufficiente e logica per negare l’applicazione delle pene sostitutive.
Cosa succede quando un ricorso in Cassazione è dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, la Corte non esamina il merito della questione. Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e, salvo casi di esonero, al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende, come stabilito dall’art. 616 del codice di procedura penale.
Il reato previsto dall’art. 7, comma 15-bis del Codice della Strada richiede un precedente sequestro di denaro?
No. La Corte ha chiarito che la norma incriminatrice non richiede in alcun modo che la condotta illecita sia accompagnata dal sequestro o dalla successiva confisca di somme di denaro. Tale interpretazione è stata ritenuta contraria al dato normativo.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 13731 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 13731 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 25/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a PALERMO il 16/04/1979
avverso la sentenza del 10/10/2024 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Palermo, in epigrafe indicata, con cui è stata confermata la condanna alla pena di mesi tre di arresto ed euro 1000,00 di ammenda inflitta con sentenza del Tribunale della stessa sede in ordine al reato di cui all’art. 7, comma 15-bis, C.d.S.
Il ricorrente deduce violazione di legge in punto di trattamento sanzionatorio e in relazione all’affermazione di responsabilità penale, sotto il profilo della carenza del presupposto dell’avvenuta pregressa attività illecita già sanzionata.
Il primo motivo di ricorso non è consentito dalla legge in sede di legittimità poiché attiene al trattamento sanzionatorio benché lo stesso sia sorretto da sufficiente e non illogica motivazione e da adeguato esame delle deduzioni difensive. Nella fattispecie in questione, la Corte distrettuale, con motivazione lineare e coerente, ha escluso la possibilità di applicare una delle pene sostitutive di cui all’art. 20 bis cod. pen. alla luce della negativa personalità dell’imputato, gravato da molteplici precedenti penali. La spiccata capacità a delinquere dimostrata dall’imputato, quindi, rende difficile immaginarne la rieducazione mediante una pena sostitutiva.
La seconda censura è inammissibile in quanto basata su presupposto contrario al dato normativo, posto che la disposizione incriminatrice non richiede che la condotta vietata sia stata accompagnata dal sequestro e dalla successiva confisca di somme di denaro, né che ciò abbia caratterizzato la condotta già commessa e sanzionata in precedenza.
Per tali ragioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in euro tremila, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen..
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Così deciso in Roma il 25 marzo 2025.