Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 15119 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 15119 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 28/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Firenze il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 24/01/2023 della Corte d’appello di Firenze visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria redatta ai sensi dell’art. 23 d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO !AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
letta la memoria del difensore, AVV_NOTAIO, che insiste per l’accoglimento del ricorso e, in subordine, per la dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione.
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnata sentenza, la Corte di appello di Firenze ha confermato la pronuncia emessa dal Tribunale di Firenze, la quale aveva condannato NOME COGNOME alla pena ritenuta di giustizia in relazione al delitto di cui all’art d.lgs. n. 74 del 2000, perché, in qualità di titolare l’imprese individuale RAGIONE_SOCIALE, esercente l’attività di commercio RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valo aggiunto, distruggeva o comunque occultava le scritture contabili e i documenti di cui è obbligatoria la conservazione – tra cui tutte le fatture attive e passive in modo tale da non consentire la ricostruzione dei redditi e del volume d’affari. In Firenze, il 5 luglio 2017 (data della verifica).
Avverso l’indicata sentenza, l’imputato, per il ministero del difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, articolato in otto motivi.
2.1. Con un primo motivo deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 190, 468, 507 cod. proc. pen. e 6 CEDU. Dopo aver riportato, nel corpo del ricorso, il primo motivo di appello, con cui si contestava la legittimità dell’operato del Tribunale, il quale, ai sens dell’art. 507 cod. proc. pen., aveva disposto l’ammissione dei testi indicati dal pubblico ministero, ancorché la relativa lista fosse stata depositata oltre i termine previsto dall’art. 468, comma 1, cocl. proc. pen., il difensore censura la motivazione, laddove ha affermato che sussiste in capo al giudice un potere di disporre d’ufficio l’assunzione di nuovi mezzi di prova ex art. 507 cod. proc. pen., anche nel caso in cui la parte pubblica non abbia presentato nel termine di legge la lista testimoniale, finalizzato a garantire il controllo dell’esercizio dell’azi penale e della completezza del compendio probatorio. Ad avviso del difensore, tale interpretazione si pone in contrasto con i principi di parità delle parti e imparzialità del giudice, anche considerando che l’iniziativa probatoria spetta alle parti, salvo un potere integrativo e residuale, in capo al giudice, il quale può esercitare detto potere solo all’esito dell’istruttoria, e non, quindi, quando non v è stata l’assunzione di alcuna prova. Ad avviso del difensore, il Tribunale ha posto rimedio, in modo abnorme, a un errore del p.m., violando la norma di cui all’art. 468 cod. proc. pen.
2.2. Con un secondo motivo eccepisce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. in relazione all’art. 468 cod. proc. pen. Nel riprendere argomentazioni illustrate nel motivo precedente, il difensore ribadisce che l’ordinanza del Tribunale – il quale, ai sensi dell’art. 507 cod. proc. pen., aveva disposto l’esame dei testi della lista indicata dal p.m., benché depositata senza il
rispetto del termine di legge e che quindi era tardiva – ha violato l’art. 468 cod. proc. pen., come affermato dalla sentenza della RAGIONE_SOCIALEzione n. 28371 del 2013.
2.3. Con un terzo motivo eccepisce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 546, lett. e), e 192 cod. proc. p e all’art. 121 cod. proc. pen. Rappresenta il difensore che la Corte di merito, con motivazione apparente, ha rigettato il motivo di appello con cui si lamentava che il Tribunale non aveva considerato il contenuto della memoria ex art. 121 cod. proc. pen. depositata all’udienza del 3 giugno 2019.
2.4. Con un quarto motivo censura la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 546, lett. e), e 192 cod. proc. pen. relazione alla ritenuta inattendibilità delle dichiarazioni dell’imputato. Il difenso censura la motivazione, laddove, senza spiegarne il motivo, ha ritenuto vaghe e, comunque, inattendibili, le dichiarazioni rese dall’imputato nel corso dell’esame.
2.5. Con un quinto motivo deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. in relazione all’art. 10 d.lgs. n. 74 del 2000. Espone i difensore che la Corte di merito ha erroneamente ravvisato la sussistenza dell’elemento oggettivo del reato, in quanto non è stata acquisita alcuna prova in ordine alla tenuta delle scritture e dei documenti contabili sicché, per il principi del favor rei, il fatto si sarebbe dovuto derubricare nell’illecito amministrativo di cui all’art. 9, comma 1, d.lgs. n. 471 del 1997, che punisce l’omessa tenuta delle scritture contabili, come affermato da Sez. 3 n. 1441 del 2017.
2.6. Con un sesto motivo eccepisce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. in relazione all’art. 10 d.lgs. n. 74 del 2000 c riferimento alla sussistenza del dolo specifico. Sul punto, la motivazione sarebbe mancante, non essendovi alcuna prova da cui desumere che l’imputato abbia agito con la finalità di conseguire un’evasione di imposta.
2.7. Con un settimo motivo lamenta la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione all’art. 157 cod. pen. Espone ricorrente che, in ogni caso, la condotta di distruzione si è prescritta nel 2023, posto che le ultime fatture sono state emesse nel 2015.
2.8. Con un ottavo motivo censura la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 62-bis cod. pen. e 542 cod. proc. pen. La Corte di merito, infatti, ha escluso l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche in relazione ai precedenti penali, che tuttavia sono risalenti nel tempo, e non ha considerato il buon comportamento dell’imputato, che si è sottoposto all’esame.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile, perché reitera censure che la Corte di merito ha rigettato con una motivazione immune da errori di diritto e da profili di illogicit manifesta, con la quale il ricorrente omette di confrontarsi criticamente.
I primi due motivi, esaminabili congiuntamente essendo collegati, sono manifestamente infondati.
La Corte di merito, infatti, si è correttamente ricollegata all’interpretazione dell’art. 507 cod. proc. pen. costantemente predicata da questa Corte, anche a Sezioni Unite e poi avallata dalla Corte Costituzionale, interpretazione che il ricorrente nemmeno considera, anche per confutarla.
2.1. A dispetto del remoto ed isolato precedente, espresso da Sez. 3, n. 28371 del 28/05/2013, COGNOME, Rv. 256904, indicato dal ricorrente, sin dal 1992, le Sezioni Unite hanno accolto un’interpretazione ampia del potere officioso di integrazione probatoria attribuito al giudice, attivabile anche nel caso, come quello in esame, in cui il pubblico ministero abbia tardivamente depositato la lista ex art. 468 cod. proc. pen.
Nella nota sentenza COGNOME (la n. 11227 del 06/11/1992, Rv. 191606 e 191607), le Sezioni Unite affermarono che il potere del giudice di disporre anche di ufficio l’assunzione di nuovi mezzi di prova ai sensi dell’art. 507 cod. proc. pen. sussiste anche nel caso in cui non vi sia stata in precedenza alcuna “acquisizione delle prove”, e che può essere esercitato anche con riferimento a quelle prove che le parti avrebbero potuto richiedere e non hanno richiesto.
In motivazione, le Sezioni Unite chiarirono che per prova “nuova” deve intendersi quella non disposta precedentemente e non invece quella sopravvenuta o scoperta, e che le parole “terminata l’acquisizione delle prove”, con le quali esordisce l’art. 507 cod. proc. pen., indicano il momento dell’istruzione dibattimentale in cui può avvenire l’ammissione delle nuove prove e non invece, come opinato dal ricorrente, il presupposto per l’esercizio del potere di integrazione probatoria, fermo restando che, in tal caso, il giudice non potrebbe non far seguire l’ammissione anche delle eventuali prove contrarie. Ad avviso delle Sezioni Unite, tale conclusione è supportata dalla stretta correlazione tra principio della indisponibilità del processo e potere probatorio officioso: l’irretrattabilità dell’azione penale rende, infatti, necessari previsione di un canale istruttorio attivabile d’ufficio dal giudice per sopperire ad eventuali carenze probatorie.
2.2. Nel confermare gli approdi della sentenza COGNOME dopo la modifica dell’art. 111 Cost., nella sentenza Greco GLYPH n. 41281 del 17/10/2006, Rv.
234907), le Sezioni Unite hanno ribadito che giudice può esercitare il potere di disporre d’ufficio l’assunzione di nuovi mezzi di prova, previsto dall’art. 507 cod. proc. pen., anche con riferimento a quelle prove che le parti avrebbero potuto richiedere e non hanno richiesto.
Invero, il recepimento, a livello costituzionale del principio fondante del processo accusatorio, ossia la formazione della prova nel contraddittorio delle parti, “nulla ha innovato sul principio dispositivo che, pur essendo uno dei principi cui si ispirano i sistemi accusatori, non li caratterizza in modo così decisivo come i criteri che riguardano la formazione della prova”. Le Sezioni Unite hanno quindi chiarito che il riconoscimento di un potere officioso di iniziativa probatoria non mina né la terzietà del giudice, proprio perché il processo è regolato dal principio dispositivo, né il principio della ‘parità dell armi’, dal momento che quel potere può essere esercitato anche per colmare le lacune probatorie della prospettazione difensiva, così da evitare che si pervenga a condanne ingiuste. Del resto, “una limitazione dei poteri probatori officiosi del giudice sarebbe idonea a vanificare il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale e si porrebbe in palese contraddizione con l’esistenza degli amplissimi poteri del giudice in tema di richiesta di archiviazione del p.m.”.
2.3. Questa conclusione è stata avallata dalla Corte costituzionale.
In particolare, sulla scia di quanto già affermato nella sentenza n. 111 del 1993, con la sentenza n. 73 del 2010, la Corte costituzionale ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 507 cod. proc. pen., sollevata in relazione al principio di terzietà ed imparzialità del giudice sancit dall’art. 111 Cost., nella parte in cui – secondo l’interpretazione accolta dalle Sezioni unite della Corte di cassazione – consente al giudice di disporre l’assunzione di nuovi mezzi di prova anche quando si tratti di prove dalle quali le parti sono decadute per mancato o irrituale deposito della lista prevista dall’art. 468 e, a seguito di tale decadenza, non vi sia stata alcuna acquisizione probatoria. La Corte ha sottolineato che, nel caso di specie, il p.m. aveva sollecitato l’ammissione delle prove orali, in quanto la lista testi non era stat deposita nei termini; in un’ipotesi del genere, non sussiste alcuna violazione del principio di imparzialità “per una ragione pregiudiziale: e, cioè, che non risulta configurabile neppure una reale deroga al principio dispositivo, in base al quale il giudice è chiamato a giudicare sulla base di quanto allegato e provato dalle parti”.
La Corte ha ritenuto infondato l’argomento secondo cui il giudice, accogliendo la richiesta ex art. 507 cod. proc. pen. favorirebbe la parte decaduta dalla prova: se è vero che “l’esercizio del potere di cui all’art. 507 cod. proc. pen può ridondare, in concreto, a potenziale vantaggio della parte che sollecita la
prova”, tuttavia “ciò non può essere concepito come indice di ‘parzialità’: l’ammissione di una prova a richiesta di parte giova sempre, per definizione, a chi, avendo formulato la richiesta stessa (tempestiva o tardiva che sia), si veda accordato uno strumento argomentativo da impiegare a sostegno della propria tesi e pur sempre sottoposto alla verifica della escussione dialettica dibattimentale”.
La Corte ha poi censurato l’argomentazione, secondo cui l’interpretazione accolta dalle Sezioni Unite vanificherebbe la sanzione dell’inammissibilità comminata dall’art. 468, comma 1, cod. proc. pen.; invero, l’art. 507 cod. proc. pen. richiede un filtro più rigoroso, da accertare in termini positivi (“assolut necessità”), e non meramente negativi (non manifesta superfluità e irrilevanza), come prevede l’art. 190 cod. proc. pen. per l’ordinaria ammissione di prove.
La Corte, infine, ha ribadito, nel caso in cui la prova sia disposta ex art. 507 cod. proc. pen., deve essere garantito il diritto alla prova contraria, anche con riguardo alle condizioni e ai tempi dell’esercizio di quel diritl:o, secondo quanto previsto dall’art. 6, comma 3, lett. b) e d), CEDU e dall’art. 111, comma 3, Cost.
2.4. Nel solco dell’orientamento appena indicato, ancora di recente si è riaffermato il principio, qui da ribadire, secondo cui il giudice ha il potere disporre d’ufficio l’assunzione di nuovi mezzi di prova ex art. 507 cod. proc. pen. anche con riferimento a quelle prove per la cui ammissione si sia verificata la decadenza delle parti per omesso tempestivo deposito della lista testimoniale, ai sensi dell’art. 468, comma 1, cod. proc. pen., trattandosi di potere funzionale a garantire il controllo giudiziale sull’esercizio dell’azione penale e sul suo svilupp processuale, ovvero sulla completezza del compendio probatorio su cui deve fondarsi la decisione (Sez. 2, n. 46147 del 10/10/2019, COGNOME, Rv. 277591; Sez. 5, n. 32017 del 16/03/2018, COGNOME, Rv. 273643; Sez. 4, n. 22033 del 12/04/2018, COGNOME, Rv. 273267; Sez. 3, n. 38222 del 25/05/2017, La Gaipa, Rv. 270802).
L’assegnazione al giudice di tale potere, del resto, non è in contrasto con le indicazioni della Costituzione e della Corte EDU, che si limitano a garantire il contraddittorio nella formazione della prova, ma non inibiscono il controllo sulla completezza del compendio probatorio, necessario correlato della indisponibilità dell’azione penale, conseguente al riconoscimento della natura ultraindividuale degli interessi tutelati dalla giurisdizione penale (Sez. 2, n. 46147 del 10/10/2019, cit., in motivazione).
2.5. Nel caso in esame, i giudici merito hanno fatto corretta applicazione dei principi poc’anzi evocati, con i quali, invece, il ricorrente omette di confrontar criticamente.
I motivi che, a vario titolo, contestano l’affermazione della penale responsabilità (ossia il terzo, il quarto, il quinto e il sesto), sono inammissibili aspecificità e perché di contenuto valutativo.
In primo luogo deve evidenziarsi la genericità del terzo motivo, con cui si lamenta la mancata considerazione, da parte del Tribunale, di una memoria difensiva, sia perché, la Corte di merito ha confutato tale argomentazione, evidenziando come il Tribunale abbia esaustivamente e congruamente motivato sulla sussistenza dell’elemento oggettivo dal reato – sussistenza ribadita, come si vedrà, dalla decisione impugnata con una motivazione immune da errori di diritto e da aporie logiche -; sia perché l’omessa valutazione di una memoria difensiva non determina, di per sé, alcuna nullità ma eventualmente può influire sulla congruità e sulla correttezza logico-giuridica della motivazione del provvedimento che definisce la fase o il grado nel cui ambito sono state espresse le ragioni difensive (ex multis, Sez. 1, n. 26536 del 24/06/2020, Cilio, Rv. 279578; Sez. 3, n. 5075 del 13/12/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272009; Sez. 5, n. 4031 del 23/11/2015, dep. 2016, Graziano, Rv. 267561) e, come detto, al proposito il motivo nulla dice.
Quanto alla sussistenza dell’elemento oggettivo del reato – oggetto di censura da parte del quinto motivo – non vi è motivo di discostarsi – ma, anzi, va ribadito – l’orientamento di questa Sezione, secondo cui il reato dell’art. 10, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 presuppone l’istituzione della documentazione contabile e la produzione di un reddito, donde la necessità del relativo specifico accertamento, anche per distinguere la fattispecie penale rispetto alla condotta di omessa tenuta delle scritture contabili, sanzionata arnministrativamente dall’art. 9, comma 1, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 (da ultimo, Sez. 3, n. 1441 del 12/07/2017, dep. 2018, Andriola, Rv 272034).
5.1. Ciò posto, oggetto della condotta di distruzione o di occultamente può certamente essere la fattura, come emerge dalla lettera dell’art. 10 d.lgs. n. 74 del 2000, che contempla, in via alternativa, le “scritture contabili” e “i documenti di cui è obbligatoria la conservazione”, loc:uzione che abbraccia, appunto, la fattura. La conservazione delle fatture, infatti, è imposta, ai fini fiscali, dagli 39, comma 3, d.P.R. n. 633 del 1972, e 22, d.P.R. n. 600 del 1973, oltre che, a fini civilistici, dall’art. 2214, comma 2, cod. civ.; è altrettanto noto che la fa deve essere emessa in duplice esemplare, uno dei quali è consegnato alla parte, ai sensi dell’art. 21, comma 4, d.P.R. n. 633 del 1972. Risponde, dunque, a canoni di logica desumere dal rinvenimento di una fattura presso un terzo il fatto
che di quel documento esista fisicamente una copia presso chi l’ha emessa (cfr. Sez. 3, n. 41683 del 02/03/2018, Vitali, Rv. 274862).
5.2. Posto che, nel caso di specie, sono state rinvenute molteplici fatture passive presso i soggetti acquirenti attraverso i questionari ai clienti dell’impresa dell’imputato e le attività conseguenti, ne consegue che non è manifestamente illogico il ragionamento della Corte di merito, che, richiamando espressamente il principio appena indicato, ha desunto dal mancato rinvenimento delle copie delle fatture la conseguenza della loro distruzione e del loro occultamento, dal momento che la G.d.F. non le ha mai reperite, né esse sono state esibite, sebbene richiesto, dall’imputato, il quale, peraltro – come accertato dalla Corte di merito (p. 6 della sentenza impugnata) – non ha mai negato l’emissione di tali fatture, né ha mai contestato i relativi importi.
5.3. Su queste basi, la Corte ha perciò correttamente ritenuto provata la condotta contestata, anche considerando – venendo così al quarto motivo – le dichiarazioni, ritenute generiche e vaghe, rese dall’imputato in ordine alle modalità di custodia e conservazione delle fatture, dichiarazioni ritenute comunque recessive rispetto agli elementi di prova dinanzi indicati.
A tal proposito, le censure difensive, !ungi dal dedurre un travisamento delle dichiarazioni dell’imputato – vizio che deve essere dedotto mediante la completa trascrizione dell’integrale contenuto delle dichiarazioni al fire di documentare, appunto, il loro travisamento, ciò che il ricorrente non ha fatto – hanno un contenuto generico e valutativo e, quindi, non possono trovare ingresso nel giudizio di legittimità.
Quanto, poi, al sesto motivo, la Corte di merito, con un apprezzamento di fatto che certamente non può dirsi manifestamente illogico – e quindi non è censurabile in sede di legittimità -, ha desunto la prova del dolo specifico di evasione dalla concomitante omessa tenuta delle scritture contabili, da ciò ritenendo che l’imputato abbia gestito per anni – e quindi non episodicamente, ma in maniera sistematica – la propria impresa in modo tale da non consentire la ricostruzione dei redditi e del volume di affari: il tutto al fine, appunto evadere il pagamento delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto.
7. Il settimo motivo è manifestamente infondato.
7.1. Si rammenta che la condotta del delitto in esame può consistere, alternativamente, sia nella distruzione che nell’occultamento delle scritture contabili o dei documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari, con conseguenze diverse rispetto al momento consumativo: mentre la distruzione realizza
un’ipotesi di reato istantaneo, che si consuma con la soppressione della documentazione, l’occultamento – consistente nella temporanea o definitiva indisponibilità della documentazione da parte degli organi verificatori costituisce un reato permanente, che si protrae sino al momento dell’accertamento fiscale, dal quale soltanto inizia a decorre il termine di prescrizione (Sez. 3, n. 14461 del 25/05/2016 – dep. 24/03/2017, Quaglia, Rv. 269898).
7.2. Nel caso di specie, come emerge dal capo di imputazione, la condotta ascritta al ricorrente si riferisce alternativamente all’occultamento e alla distruzione delle scritture contabili; per avvalersi della dedotta maturazione della prescrizione in conseguenza della qualificazione della condotta come distruttiva, l’imputato, pertanto, avrebbe dovuto dimostrare sia la circostanza che la documentazione contabile fosse stata distrutta, e non semplicemente occultata, sia l’epoca di tale distruzione.
Orbene, non solo una prova del genere non è stata fornita dal ricorrente, ma è smentita dagli atti di causa: posto che il reato si è consumato il 5 luglio 2017, data in cui ha avuto inizio l’attività di accertamento da parte dell’amministrazione (cfr. Sez. 3, n. 14461 del 25/05/2016, ciep. 2017, Quaglia, Rv. 269898), il termine massimo di prescrizione, pari a dieci anni – ai sensi dell’art. 17, comma 1-bis, d.lgs. n. 74 del 2000, introdotto dall’art. 36 vides semel, lett. I) d.l. 13/08/2011, n. 138, convertito con modificazioni dalla I 14/09/2011, n. 148, e in vigore dal 17 settembre 2011, che ha elevato di un terzo il termine di prescrizione per il reato ex art. 10 d.lgs. n. 74 del 2000 (norma che il ricorrente non considera) -, maturerà il 5 luglio 2027.
8. L’ottavo motivo è inammissibile.
8.1. Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, in tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (ex multis, cfr. Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269, la quale ha ritenuto sufficiente, ai fini dell’esclusione delle attenuant generiche, il richiamo in sentenza ai numerosi precedenti penali dell’imputato; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 265826; SeZ. 3, n. 28535 del 19/03/2014, COGNOME, Rv. 259899). Si è precisato, inoltre, che, la concessione delle attenuanti generiche deve essere fondata sull’accertamento di situazioni idonee a giustificare un trattamento di speciale benevolenza in favore dell’imputato; ne consegue che, quando la relativa richiesta non specifica gli elementi e le
circostanze che, sottoposte alla valutazione del giudice, possano convincerlo della fondatezza e legittimità dell’istanza, l’onere di motivazione del diniego dell’attenuante è soddisfatto con il solo richiamo alla ritenuta assenza dagli atti di elementi positivi su cui fondare il riconoscimento del beneficio (Sez. 3, n. 9836 del 17/11/2015 – dep. 09/03/2016, COGNOME, Rv. 266460). Ciò significa, in altri termini, che l’applicazione delle circostanze in esame non costituisce un diritto conseguente all’assenza di elementi negativi connotanti la personalità del soggetto, ma richiede elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di concessione delle stesse (Sez. 3, n. 24128 del 18/03/2021, COGNOME, Rv. 281590).
8.2. Nel caso di specie, la Corte di merito, con una valutazione di fatto non manifestamente illogica, per un verso, ha negato i presupposti per una mitigazione della pena in considerazione dei precedenti penali dell’imputato e del periodo prolungato della condotta illecita; per altro verso, non ha ravvisato elementi valorizzabili a tal scopo, elementi che nemmeno sono stati dal ricorrente, posto che l’essersi sottoposto all’esame e l’aver presenziato alle udienze altro non è che l’esercizio dei diritti difensivi.
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso il 28/03/2024.